QUIRINALE, LA MOSSA DI MELONI SU MORATTI SCATENA LA RABBIA DI BERLUSCONI
CENTRODESTRA UNITO? OGNUNO GIOCA PER SE’
Non sarà forse la carta numero uno per il centrodestra nella partita quirinalizia, ma il nome di Letizia Moratti — attuale assessora regionale lombarda alla Salute e vicepresidente della Regione — a Giorgia Meloni piace davvero.
Cosa che agita gli alleati: il fatto che il collega di coalizione Matteo Salvini, sempre nervoso quando a prendere l’iniziativa è l’amica-nemica di Fratelli d’Italia, abbia definito «montatura di panna» il pranzo romano al “Maxela” tra le due raccontato ieri da Repubblica, conferma che il nome è effettivamente sul piatto.
Silvio Berlusconi ha subito chiamato Meloni e poi il segretario federale della Lega per convocare un vertice di coalizione, giovedì a Villa Grande, la magione del Cavaliere nella Capitale. Quest’ultimo è assai preoccupato, se non irritato, dell’attivismo della coppia sovranista, nell’ultimo caso di Meloni. «Normalissimo incontro sul tema della riforma appena approvata, nessun segreto», ha spiegato la ex sindaca di Milano. «“Incontro segreto” fa un po’ ridere, quello è un ristorante frequentato da parlamentari. Eravamo lì per parlare della riforma sanitaria lombarda sulla cui approvazione c’era stato dibattito…», conferma Meloni
Nel suo stesso partito però, al netto delle dichiarazioni di rito, si fa un altro ragionamento: occorre tenersi più strade aperte, non basta un solo piano; Moratti è donna, esponente di un centrodestra moderato (addirittura il presidente dei 5 Stelle Giuseppe Conte ha detto di «non aver motivo di non riconoscerle qualità morali»), con un lungo curriculum e una vasta rete di rapporti anche col mondo dell’impresa. Potenzialmente può piacere a tutti: Forza Italia che era il suo partito, la Lega che l’ha ritirata fuori dal cilindro l’anno scorso per riaddrizzare la gestione sanitaria della Lombardia, promettendole a mezza bocca la candidatura alla guida della Regione nel 2023. Il grosso “però” di questo ragionamento porta il nome di Berlusconi.
La sua candidatura aleggia ormai da mesi ma non è ufficiale. Con lui davvero in campo, tutto il resto passa in secondo piano.
«Intanto questo suo essersi candidato a metà un effetto lo ha: sarà lui di fatto a gestire le fiches del centrodestra», ammette un esponente di Fdi. Da qui l’iperattività di Meloni, ma così pure di Salvini, entrambi tirati per le orecchie da Osvaldo Napoli di Coraggio Italia: «Per chi ha vissuto altre elezioni presidenziali, quello che accade ci restituisce un’immagine di improvvisazione che rischia di mettere il centrodestra in grave affanno. Derubricare poi la candidatura di Berlusconi a un piano A, seguito da piani B e C è abbastanza umiliante per il piano A e poco esaltante per gli altri candidati che diventerebbero di risulta. Se il Quirinale diventa una storia di schieramenti in competizione fra loro significa votarsi a sconfitta».
Che comunque Moratti sia tra le papabili d’area lo si dice da tempo, certo è che il faccia a faccia con Meloni ne fa aumentare le quotazioni. Da Arcore silenzio glaciale e non casuale. Nel Carroccio altrettanto, a parte le parole tese a minimizzare di Salvini. Attorno a Fratelli d’Italia, ormai stabilmente primo partito della coalizione secondo praticamente tutti i sondaggi, aleggiano risentimenti diffusi degli alleati.
A partire dalle recriminazioni attorno alla sua comoda postazione dell’opposizione, che sta dando ottimi frutti in termini di consenso. «Mentre noi ci confrontiamo con la pandemia e la crisi economica, facile così», si lamenta un leghista di peso.
E poi ci sono i sospetti sulle mosse per il Colle: cioè che al di là delle prese di posizione in cui si augura un “patriota” come Capo dello Stato, a Meloni non dispiacerebbe vedere Mario Draghi al Quirinale.
Le ragioni sono due: aumenterebbero le possibilità di una fine anticipata della legislatura, dove appunto Fdi andrebbe all’incasso; e poi, ancor più importante per le ambizioni di Meloni, con un “tutore” del genere — giusto ieri il Financial Times ha scritto che all’Italia farebbe bene averlo presidente della Repubblica — gli ambienti internazionali che contano potrebbero sentirsi rassicurati se pure un’erede del mondo neofascista diventasse presidente del Consiglio dopo le prossime elezioni.
Dice sempre Napoli, ex democristiano classe 1944: «Meloni e Salvini sono giovani, capisco che affrontino la partita con la baldanza dei loro anni. Ma sono necessarie doti come la prudenza e la discrezione…
(da La Repubblica)
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