RECOVERY IN STAND-BY, DUBBI UE SULLA RIFORMA DEL FISCO
TELEFONATA DRAGHI-VON DER LEYEN
Le riunioni in videoconferenza vanno avanti da ieri. Una pausa notturna, poi una nuova call stamattina. Ancora in corso alle sette di sera. I tecnici di palazzo Chigi e del Tesoro a Roma, quelli della Commissione europea a Bruxelles. Il premier Mario Draghi e la presidente Ursula von der Leyen si sentono al telefono intorno all’ora di pranzo. Si parla, e si discute, del Recovery plan.
Atteso alle dieci del mattino sul tavolo del Consiglio dei ministri. Ma otto ore dopo la riunione non è stata ancora riconvocata. Il Recovery non è pronto. E Draghi non può riunire i ministri. Non perché intanto è esplosa la questione della proroga del superbonus, con i 5 stelle all’arrembaggio e tutti gli altri partiti, con più o meno foga, ad intestarsi la battaglia politica.
La ragione è un’altra: il piano da 221,5 miliardi va ricalibrato. Non è una questione di soldi, ma di riforme. Una su tutte, quella del fisco, suscita più di un dubbio a Bruxelles: troppo generica. Ma anche altre – concorrenza, Pa e giustizia – sono soggette a richieste di aggiustamenti, seppure più contenuti. La Commissione Ue chiede un cronoprogramma più dettagliato.
A palazzo Chigi la consapevolezza che il Consiglio dei ministri non si sarebbe potuto tenere la mattina seguente prende forma ieri sera tardi. Quando da Bruxelles vengono chiesti più dettagli sulle riforme.
Le sei missioni del Piano non suscitano criticità: c’è qualche numero da sistemare, qualche tabella da riscrivere, ma di quello si occupano i tecnici al ministero dell’Economia. Le riforme invece no.
Qui i dettagli sono sì numerici, ma anche politici. Perché l’Europa erogherà i soldi del Recovery non solo se i progetti andranno avanti, ma anche se i Paesi faranno le riforme. Tema assai complesso e delicato, che ripropone il tema di un’Europa che chiede un cambio di passo all’Italia e l’Italia, che sulle riforme ha sempre avuto il fiato corto, chiamata a dare un segnale di forte discontinuità rispetto al recente passato. Questa volta le riforme si devono fare davvero.
I problemi che solleva questa questione, come si diceva, emergono già venerdì sera. E per questo intorno alle dieci e mezza dagli uffici della presidenza del Consiglio partono le telefonate per comunicare che la riunione del Consiglio dei ministri, convocata all’indomani alle 10, non si sarebbe svolta a quell’ora.
La comunicazione è accompagnata anche dall’impossibilità di fissare un nuovo orario. Al mattino, quando riprende la call con i tecnici di Bruxelles, si entra nei dettagli delle riforme.
Sulla riforma della Pubblica amministrazione arrivano da Bruxelles richieste di chiarimenti sul reclutamento, cioè sui concorsi, e sulle procedure da semplificare. Ma la questione si chiude subito, senza sfociare in fibrillazioni.
Si passano in rassegna le altre riforme: quella sulla concorrenza, ma anche la riforma della giustizia. I problemi nascono quando si arriva alla riforma del fisco, appena abbozzata nel Recovery.
Nelle stesse ore in cui a palazzo Chigi si prova a chiudere il Recovery monta la questione del superbonus. Il pressing dei 5 stelle e di Forza Italia su Draghi e su Franco aumenta il nervosismo dentro il Governo maturato già ieri, quando più di un ministro ha lamentato di arrivare al Cdm senza neppure aver visto la bozza del Recovery. E allo stesso tempo di essere venuto a conoscenza dei contenuti dalle agenzie di stampa. Sono i ministri grillini Stefano Patuanelli e Federico D’Incà a premere per la proroga al 2023, mentre la ministra per gli Affari regionali in quota Fi Maristella Gelmini alza il telefono per chiamare il ministro dell’Economia e chiede rassicurazioni sulle coperture necessarie.
Rassicurazioni che secondo quanto riferiscono fonti parlamentari sarebbero arrivate. Così è. Ecco il compromesso: nessuna modifica alle norme sul superbonus nel Recovery, quindi niente soldi per la proroga, ma nei prossimi mesi il Governo farà una valutazione delle risorse che saranno utilizzate quest’anno e valuterà un rifinanziamento della misura a settembre, quando si aprirà il cantiere della manovra.
L’impianto del Recovery, quindi, non si tocca. I soldi messi in conto per l’agevolazione fiscale sui lavori di efficientamento energetico e antisismici restano in tutto 18 miliardi, tra vecchi e nuovi. Il Recovery non fa altro che rimescolare la composizione di questi fondi, divisi tra risorse nazionali ed europee e conferma la proroga del superbonus prevista nell’ultima legge di bilancio, quella che vale per le case popolari. Ma per estendere l’agevolazione a tutti gli edifici fino al 2023, come detto, servono altri 10 miliardi.
La mediazione di Franco, tra l’altro, non cancella del tutto le perplessità di una parte dei 5 stelle, quella più oltranzista. E infatti pochi minuti dopo aver spiegato che Franco, ma anche Draghi, sono disposti a valutare la proroga del superbonus nella prossima manovra, le stesse fonti grilline chiedono che il secondo impegno che il premier avrebbe assunto nel corso delle interlocuzioni – cioè parlare della proroga durante le comunicazioni sul Recovery in Parlamento – sia effettivamente portato avanti lunedì e martedì, quando sarà alla Camera e al Senato.
Si fa sentire anche Giuseppe Conte, che con un post su Facebook parla della necessità di un segnale politico: “La misura del superbonus – scrive l’ex premier – va prorogata fino al 2023 e, anzi, è necessario intervenire per renderla ancora più semplificata”.
Anche le pensioni sono un tema che divide la maggioranza. Ma il Recovery non può aspettare. Draghi vuole inviarlo a Bruxelles entro il 30 aprile e intende presentarsi in Parlamento con un testo che ha già ricevuto una prima validazione, seppure non definitiva, da parte del Consiglio dei ministri.
Quando la riunione con i tecnici di Bruxelles sta per entrare nel vivo, poco dopo l’ora di pranzo, ecco che prende forma l’orario del Consiglio dei ministri: primo pomeriggio. I senatori 5 stelle alzano di nuovo il pressing su Draghi: “Per il M5S sarà molto difficile dire sì al Pnrr qualora non dovessero arrivare garanzie sull’estensione del superbonus”. Poco dopo scendono in campo i big. Sono quattro ministri grillini – Luigi Di Maio, Fabiana Dadone, Patuanelli e D’Incà – ad annunciare che chiederanno in Consiglio dei ministri “garanzie nero su bianco affinché nei prossimi provvedimenti economici venga prorogato al 2023”. Ma Di Maio sottolinea anche che ci sono 18 miliardi e che bisogna lavorare per la stabilità. Il nodo politico del superbonus è sciolto prima ancora che il Cdm inizi. Ma la riunione non viene ancora convocata. I problemi sono da un’altra parte.
(da “Huffingtonpost”)
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