RENZI FORZA E OTTIENE IL CONGRESSO SUBITO
NEL FINE SETTIMANA L’ASSEMBLEA, DOVE RENZI HA LA MAGGIORANZA… VOTO PER ORA CONGELATO
Quasi cinque ore di riunione. Il centro Alibert vicino piazza di Spagna è assediato da cronisti e fotografi, agenti anti-sommossa e anche da un gruppo molto agguerrito di precari dell’Istat, almeno all’inizio: a un certo punto, Matteo Orfini li fa ‘sparire’ chiamandoseli al Nazareno per un confronto.
Ben tre vie del centro di Roma rimangono più o meno bloccate per tutto il pomeriggio dalla direzione del Pd.
Ma alla fine di un dibattito teso, a tratti frenato – i renziani in prima fila al cospetto dell’amato segretario, la minoranza nelle retrovie tutti seduti vicini vicini da D’Alema a Emiliano, Bersani e Speranza e Minniti capitato lì per caso – al termine di tanto parlare e molti giochi di sguardi, ognuno a studiare le mosse dell’altro, Matteo Renzi ottiene quello che vuole: il congresso del Pd da subito, con primarie ad aprile.
Nel weekend sarà un’assemblea nazionale a decidere le regole e subito dopo una nuova direzione le voterà . “Fuori dai caminetti, vediamo la base con chi sta”, è il mantra del segretario.
Il Renzi vero viene fuori alla fine. Nelle repliche.
Quando si butta alle spalle le premure usate nell’intervento inziale: non erano da lui. E infatti dopo aver ascoltato Bersani con espressione di sufficienza, dopo aver sentito Emiliano che a un certo punto lo implora pure: “Matteo, non mi guardare con la faccia che facevi con Bersani, fammi un’altra faccia…”, Renzi affonda.
Sicuro dell’asse con Dario Franceschini. E certo di avere la maggioranza dei delegati in assemblea nazionale: probabilmente si terrà sabato all’hotel Parco de’ Principi di Roma, ma potrebbe tenersi domenica se sarà necessario il quorum per votare.
A sera i renziani si studiano lo statuto. In ogni caso, all’indomani una nuova direzione ratificherà il tutto ed è congresso. E’ una forzatura, decisa sulle rovine degli altri. Nelle repliche Renzi fa Renzi. O la va o la spacca: così, dopo due mesi di tentennamenti.
E attacca così: “Non siamo soli a rappresentare il Pd. Ci sono centinaia di migliaia di iscritti e la chance per un loro coinvolgimento è il congresso. Dopo due mesi che avanziamo proposte, salvo il giorno dopo cambiare posizione, un punto va messo. Non io, non noi ma l’assemblea. Abbiamo cambiato linea una volta alla settimana per le esigenze di tutti… Abbiamo proposto il congresso e ci è stato risposto: no. Abbiamo proposto la conferenza programmatica ed è stato no. Le primarie no. C’è un limite a tutto. De Luca ha detto che siamo un po’ masochisti”. Tra parentesi: il governatore campano ha appena spezzato una lancia a favore di Renzi: “Dico no all’interdizione del segretario eletto di esprimere la sua posizione..”.
De Luca non si è spostato sul collega meridionale Emiliano, almeno per ora: finisce l’intervento e se ne va non senza una pacca sulla spalla per Renzi.
Per questo Renzi lo cita: “Masochisti o sadici… Ma il sadico è colui che è buono con i masochisti e io non posso essere sadico. C’è un limite a tutto. Va bene tutto ciò che serve per creare un clima per sentirsi a casa ma quando si ha paura di confrontarsi con la propria gente con le modalità dell’ultimo congresso io credo che l’ennesimo passo indietro non sarebbe capito neanche dai nostri. Andiamo al congresso con il sorriso sulle labbra, così saremo un partito ancora più democratico, se altri vogliono farsi governare da un algoritmo è un problema loro”.
Il resto è la conta. Su due documenti diversi e completamente opposti.
C’è quello renziano a prima firma di Franco Mirabelli: senatore fedelissimo di Dario Franceschini. E’ il documento che chiede il congresso subito: breve, non esplora altri temi, nè il governo, nè la data del voto.
E poi c’è il documento della minoranza bersaniana, dalemiana, quella di Michele Emiliano che con un piede è già candidato al congresso ma acconsente a fare squadra con gli altri per frenare il segretario e celebrare l’assise in autunno.
La minoranza prova a inserire nel documento il cavallo di Troia della fiducia a Gentiloni fino al 2018.
Il premier tra l’altro è presente al centro Alibert, con Padoan, Delrio, Minniti, lo stesso Franceschini: la corrente dei ministri è ampiamente rappresentata e non mostra crepe con Renzi, a parte Orlando che prova a dare man forte a chi frena.
“Ma scusa Andrea: la tua proposta di conferenza programmatica è di quattro puntate fa…”, gli risponde Renzi nelle repliche.
Il documento renziano viene approvato. L’altro non viene votato. Merito (o demerito a seconda dei punti di vista) di Piero Fassino, altro dell’area di Franceschini che spezza una lancia per il segretario: “Il documento della minoranza parla anche del sostegno al governo Gentiloni, attenzione a cosa mettiamo ai voti”.
“Favorevoli…”, comincia il presidente Orfini mostrando la delega. Alzate di mano indicano che il segretario non ha ancora perso la direzione. “Contrari?”. Tutte le prime file si girano verso le retrovie per vedere cosa fa il gruppetto della minoranza, Renzi continua a smanettare con lo smart phone. Orlando non vota, per dire. Gli altri alzano la mano per dire no. Buona la prima: assemblea e congresso.
La direzione di oggi chiude formalmente la corsa per le elezioni a giugno.
Almeno per ora. L’obiettivo rimane sullo sfondo. Ma sfocato, come un sogno dimenticato. Renzi ormai ha trovato un’altra occupazione: il congresso.
E nel frattempo inaugura un nuovo asse con il governo: “Dobbiamo evitare la procedura di infrazione”, dice per andare incontro a Padoan.
E dal Tesoro stanno cercando un modo per fare la manovrina che chiede l’Europa nel modo più indolore possibile. La trattativa è in salita ma si è capito che Bruxelles non gradisce una corsa al voto: è qui che Renzi cede. Si lancia sul congresso
“Caro Pier Luigi, se qualcuno vuole usare il congresso per decidere la linea sulle elezioni lo faccia. Io lo ritengo irrispettoso verso il presidente della Repubblica, il governo e i parlamentari…”, è la risposta a Bersani.
E nemmeno il tema di aspettare la legge elettorale può frenare il congresso: “Anche nel 2013 non c’era la legge elettorale, c’era appena stata la sentenza della Consulta sul Porcellum come oggi sull’Italicum e io cominciai la campagna congressuale da Bari”, è la frecciata a Emiliano che allora lo appoggiava.
“Sembra una riunione dei Ds con un saluto di Renzi e di Delrio”. A metà direzione una fonte renziana si lascia andare così. “Sembrano tornati i vecchi riti, le vecchie terminologie…”.
Il segretario continua a non sentirsi a casa. E la sensazione è reciproca con la minoranza tentata dalla scissione.
Una cosa li accomuna: ne sono terrorizzati entrambi. Ma ora Renzi ha deciso: “Vediamo che fanno”, dicono i suoi che danno per certo l’addio di D’Alema e una parte dei bersaniani, forse. Ma ormai non è più questo l’incubo del segretario, se mai lo è stato.
Piuttosto, nonostante abbia vinto oggi in direzione, il timore che gli resta è quello espresso da Gianni Cuperlo: “Bene il congresso, ma attenti a scegliere una guida adatta ad una nuova fase”.
Tradotto: si può vincere un congresso ma non le elezioni. E con questo cupo presagio si svuota la sala dell’Alibert e il traffico di Roma riprende a circolare.
(da “Huffingtonpost”)
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