RENZI. GOVERNO SORDO: AL PARLAMENTO NON RISPONDE MAI
INTERROGAZIONI CADUTE NEL NULLA, MOZIONI CHIUSE NEI CASSETTI DEI MINISTERI… DEGLI ATTI DI INDIRIZZO VEDE LA LUCE SOLO IL 4,5%
Anchilosato da tre ore abbondanti passate sui banchi del governo nell’aula di palazzo Madama, Matteo Renzi aveva pensato bene di alzarsi proprio nel momento in cui i senatori di maggioranza e opposizione aspettavano una risposta alle loro osservazioni. Lui – caso raro nell’intera storia repubblicana – decideva di non replicare.
Di più, si alzava e se ne andava, costringendo la presidente di turno, Linda Lanzillotta, a difenderlo dal coro di sdegno: “Forse aveva bisogno di muoversi”.
Era il 22 di ottobre e quel giorno il suo governo compiva otto mesi giusti giusti.
Li festeggiò così: celebrando plasticamente il suo totale disinteresse per quei 630, arrivati lì prima di lui e ora chiamati a rincorrere gli umori del suo governo.
Eppure, che il rapporto tra i poteri dello Stato si sia interrotto, non lo dicono solo i 30 voti di fiducia in 10 mesi.
Il ministro Maria Elena Boschi ha da poco pubblicato una tabella riepilogativa degli atti di indirizzo della legislatura: secondo il Dipartimento per i Rapporti con il Parlamento sono stati conclusi il 53 per cento delle mozioni e risoluzioni presentate alla Camera e il 58 per cento di quelle depositate in Senato.
Per “conclusi”, specifica la tabella, si intendono tutti gli atti “discussi, trasformati o ritirati”.
Che poi il governo li tenga in considerazione, è tutto da vedere.
È il “Servizio per il controllo parlamentare” di Montecitorio a fornire cifre che fotografano il totale disinteresse del governo verso le indicazioni dei parlamentari.
Cominciamo dall’inizio.
Il “Servizio per il controllo parlamentare” ha, tra gli altri, il compito di verificare e controllare “il seguito delle deliberazioni e delle iniziative parlamentari non legislative”.
A questo scopo, segnala ai ministeri competenti tutti quegli atti che sono stati approvati in Assemblea o in commissione e che sono stati accolti dal governo anche solo come “raccomandazione”.
Sarà poi cura del ministero informare il “servizio per il controllo parlamentare” che fine hanno fatto quegli atti che gli erano stati segnalati.
Dunque, le cose sono due: o i ministeri si scordano sistematicamente di comunicare il loro lavoro, oppure quegli atti finiscono in un cassetto che nessuno apre più.
Ecco i numeri: su 2.450 ordini del giorno segnalati, ne sono stati attuati 92.
Su 115 risoluzioni, hanno avuto un seguito soltanto 15.
E delle 186 mozioni sottoposte ai ministeri, solo 18 sono state messe in campo.
Le somme sono presto fatte: su un totale di 2751 atti di indirizzo, il governo ne ha attuati 125.
Tradotto: il 4,5 per cento.
Nella classifica (elaborata dall’associazione Openpolis) la Presidenza del Consiglio è quella che meno risponde alle interrogazioni, seguita dal ministero della Giustizia e da quello dell’Economia.
I governi precedenti non avevano brillato in capacità di ascolto delle prerogative parlamentari: Berlusconi aveva risposto al 39 per cento delle interrogazioni, Monti al 29. Ma quest’ultima legislatura (per metà di Enrico Letta e per l’altra di Matteo Renzi) non arriva nemmeno al 15.
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano”)
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