RIFORME, LA RESA DEI CONTI NEL PD, LETTA METTE RENZI ALL’ANGOLO
IN COMMISSIONE LA BINDI ACCUSA: “BASTA CON GLI INCIUCI CON BERLUSCONI, NESSUNO HA DATO MANDATO A RENZI DI TRATTARE SULLE LISTE BLOCCATE”…I BERSANIANI: “IL PD NON SI FA DETTARE GLI EMENDAMENTI DA FORZA ITALIA”
Una riunione bollente dei 21 deputati democratici della commissione Affari costituzionali svela il clima di guerra che c’è nel Pd.
Motivo dello scontro: la legge elettorale, il patto Renzi-Berlusconi.
Sullo sfondo: la resa dei conti, la rivincita del congresso, il duello tra governisti e anti-governisti, la frattura profonda di una comunità .
Sono volate parole grosse ieri mattina a Montecitorio. Domani pomeriggio è previsto il secondo round, quello decisivo. Può finire molto male.
Matteo Renzi difende l’accordo e non vuole strappi. Gli emendamenti all’Italicum devono essere unitari e soprattutto non devono mettere un dito nell’occhio del Cavaliere.
Ma la minoranza non accetta diktat. Punta tutte le sue fiches sulle preferenze, contro le liste bloccate.
È la chiave che rischia di far saltare tutto, l’accordo «ma anche la legislatura, si tornerebbe a votare subito», avverte il segretario.
Sono ore decisive per la tenuta dell’impianto di riforma. Il sindaco e il suo osso del collo corrono qualche pericolo.
Alla legge elettorale Renzi ha affidato l’immagine di leader che decide e fa, ovvero il suo tesoro più prezioso.
Per questo il segretario è furibondo con Enrico Letta, con i suoi sconfinamenti in «un campo non suo».
Si riferisce alle parole pronunciate l’altra sera a “Otto e mezzo”, favorevoli a una «scelta più diretta tra i cittadini e gli eletti» e all’annuncio di una legge sul conflitto d’interessi, lo spauracchio del Cavaliere.
«Faccia quello che vuole, io vado dritto. In sei giorni abbiamo già approvato il testo base. Questi sono i tempi adesso che io ho preso in mano la pratica. Enrico pensa di intervenire? Stia attendo o fa la figura del sabotatore», è l’ultimatum di Renzi confidato ai suoi fedelissimi.
I due ieri non si sono sentiti. Meglio da un certo punto di vista, perchè l’atmosfera è pesantissima.
Lunedì si comincia a votare in commissione, entro mercoledì la legge va in aula. Lo sprint è deciso, fa parte degli accordi. Non si torna indietro.
Il problema sono i numeri in commissione. Sulla carta, la maggioranza a favore delle preferenze è schiacciante. Dodici democratici “non renziani” su 21, e tutti gli altri partiti. Da Alfano a Sel, alla Lega, ai 5 stelle.
Ieri Rosy Bindi, membro della commissione, urlava in riunione: «Non esistono altre vie, ci vogliono le preferenze. Nessuno ha dato a Renzi il mandato di trattare con Berlusconi sulle liste bloccate».
Maria Elena Boschi, la responsabile delle riforme, le ha ricordato il voto della direzione che ha sconfitto i nemici dell’accordo. «Giusto. Ma il segretario ci lasci la possibilità di tentare. Questo non può impedircelo, chiaro?».
Il punto è che se salta l’intesa sulle liste bloccate, semplicemente la riforma non esiste, finisce nel cestino.
«Lo scambio è chiarissimo: Forza Italia è contro le preferenze, punto e basta. Noi abbiamo strappato il doppio turno e le riforme costituzionali. Così si fanno gli accordi. E si rispettano», insiste Renzi.
Dario Franceschini cerca una mediazione. Ma stavolta non è consentita l’equidistanza tra “Enrico e Matteo” che un giorno acrobaticamente definì «due numeri uno».
Sceglie Renzi e rompe con Letta: «Le preferenze sarebbero un gravissimo errore. Non soltanto perchè farebbero quasi certamente saltare l’intesa raggiunta ma molto di più per i danni al sistema politico e alla sua trasparenza ».
In privato, il ministro dei Rapporti con il Parlamento spiega di «aver voluto evitare la guerra termonucleare tra loro». Letta e Franceschini si parlano, cercano un chiarimento. Senza esito.
«Sulle preferenze quella è la mia posizione da sempre, tu lo sai – dice il premier –. E sul conflitto d’interessi forse si poteva valutare meglio l’impatto. Ma è la posizione del Partito democratico da sempre, non facciamo finta di niente».
Una parte del partito lo segue e ora si sente più forte.
Per questo, il presidente del Consiglio può rientrare volentieri nel suo ambito. «Mi occupo di privatizzazioni. Come si vede dalle riunioni di ieri, il governo non è inoperoso. Dico solo che bisogna superare le insidie sulla legge elettorale».
La lista bloccata, secondo Renzi, non è un’insidia anche perchè senza non c’è il patto. Lo è invece la soglia di acceso al premio di maggioranza.
Gliel’ha comunica-to anche Giorgio Napolitano con il quale i contatti sono quotidiani perchè i loro interessi convergono: arrivare al traguardo.
Il capo dello Stato teme che il 35 per cento sia un tetto troppo basso, che l’asticella andrebbe alzata al 40 per cento. Troppo alta, risponde Renzi. Forza Italia non la regge. Ma si può fare qualcosa: portarla al 38 per cento, una cifra che soddisferebbe il Colle. In questo modo il premio sarebbe “limitato” al 15 per cento.
Un altro pezzo della legge elettorale destinato a cambiare, è il no alle candidature plurime.
Angelino Alfano insiste per cancellarlo: dev’esserci la possibilità di candidare la stessa persona in più circoscrizioni. Renzi è d’accordo e ieri ha dato il via libera anche Denis Verdini: «Angelino ce lo sta chiedendo in tutte le maniere. Va bene».
Questa è la fotografia. Nel gioco di sponda tra Quirinale, Alfano e Verdini, Renzi trova la misura di un compromesso che salva l’Ispanicum.
Nel Pd e nella sfida con Letta, l’impresa è molto più difficile.
Il capogruppo democratico in commissione Affari costituzionali Emanuele Fiano vede tutti i rischi di una rottura: «Ma io lavoro perchè il partito presenti le proprie posizioni unitariamente». Il lettiano Francesco Sanna capisce che il momento è davvero delicato. «La nobiltà della legislatura – dice – si misura sull’approvazione della legge elettorale». Dunque, cercherà le soluzioni possibili ma non metterà in pericolo la struttura del patto.
Alfredo D’Attorre, bersaniano, annuncia invece un attacco a tutto campo. «Verdini e Berlusconi non vogliono le preferenze? Fatti loro. Il Pd non si fa dettare gli emendamenti da Forza Italia. Il loro potere di veto va respinto e il Pd deve cominciare a ragionare con la sua testa».
Non si spaventa per la minaccia di Renzi: «Lui è l’ultimo a volere andare al voto con la legge proporzionale della Consulta, figuriamoci ».
Come dire: non va da nessuna parte con gli ultimatum.
Goffredo De Marchis
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