ROMA, CINQUE CENTESIMI AL MESE PER UNA CASA DEL COMUNE
E CON 57 EURO SI PUO’ AVERE UN APPARTAMENTO DAVANTI AL COLOSSEO
«Fittasi appartamento a Roma, zona Serpentone, ingresso indipendente, piano terra, zona tranquilla, servita da mezzi pubblici e negozi. Prezzo: 5 centesimi al mese».
È l’annuncio che tutti gli affittuari sognano.
Ed è quanto ha reso possibile il Comune di Roma a una famiglia a dir poco fortunata di via dei Chiaramonti. Una distrazione? Un gesto di estrema generosità ? Un errore di calcolo? Un refuso di stampa? Nemmeno per sogno, tutto vero.
E l’incredulità di chi legge è stata anche la nostra quando nell’elenco dei beni immobili gestiti da Roma Capitale è spuntato il canone di affitto più basso di sempre. Finchè non ci siamo recati sul posto e abbiamo avuto conferma dall’inquilino.
Un signore di 65 anni, imbianchino ora in pensione, che rappresenta la terza generazione che occupa quell’appartamento.
Dopo un po’ di resistenze ci racconta tutta la storia. Ancora più assurda dei 60 centesimi all’anno.
«Sì, è vero, il canone è quello. O meglio: lo era». Gliel’hanno aumentato? «No, no, anzi. Sono alcuni anni ormai che il Comune ha rinunciato a riscuotere anche quei soldi. A un certo punto non ci ha più inviato i bollettini per il pagamento».
Ma come è possibile che sia stato concordato un fitto così basso?
«La storia risale alla fine degli anni ’50. Il nonno di mia moglie ebbe in concessione questo immobile al prezzo di 900 lire, ed è anche l’ultimo importo pagato. Poi il Comune si è totalmente disinteressato del bene e non ha mai provveduto ad aggiornare il canone. Con il passaggio all’euro sono diventati sessanta centesimi».
Alla storia che racconta l’inquilino c’è da aggiungere un particolare. Dalla morte del nonno della moglie, la sua famiglia occupa l’appartamento abusivamente. Senza averne titolo.
Perchè a tutt’oggi non esiste nessun contratto di locazione firmato con il Comune.
«E chi si muove da qui, sta scherzando? Ci abitiamo da tre generazioni, abbiamo fatto lavori di tasca nostra, l’abbiamo migliorato. Anzi, abbiamo chiesto di essere regolarizzati».
Per niente sconvolto ci porta a fare un giro per il quartiere e ci indica casa per casa tutti gli alloggi del Campidoglio che come lui non pagano l’affitto.
«Vede quegli appartamenti di fronte? Non solo non pagano da anni ma hanno anche ampliato l’appartamento abusivamente. E non ci chiami abusivi. Qui al Serpentone, come i romani chiamano il quartiere Corviale, il 70% degli inquilini non è quello che ha ricevuto la casa legittimamente dal Comune».
Il caso di via dei Chiaramonti non è l’unico. Il patrimonio ad uso abitativo di Roma Capitale conta quasi cinquecento alloggi.
Scorrendo la lista fornita dalla Romeo Gestioni s.r.l (la società incaricata di gestire il patrimonio immobiliare della capitale fino allo scorso anno) si trovano decine di canoni a dir poco fuori mercato.
In via dei Coronari, al centro del percorso per la porta santa, il canone mensile è di 7,32 euro. Si può godere della vista del Colosseo con soli 57 euro al mese in via Labicana.
Oppure abitare di fronte al Foro Romano Palatino in via dei Fienili pagando 120 euro al mese. E il panorama è davvero spettacolare.
A pagare canoni irrisori ci sono anche associazioni, partiti politici, fondazioni ed enti religiosi. L’ambasciata egiziana, ad esempio, per avere un ufficio culturale in un palazzo di via delle Terme di Traiano, sempre di proprietà del Campidoglio, paga 4,30 euro al mese.
Un isolato più avanti c’è un fabbricato dato in concessione all’ex Movimento Sociale Italiano per 12,91 euro al mese.
Mentre i prezzi più alti li paga il ministero dell’Interno per una caserma dei vigili del fuoco in via Genova (452 mila euro all’anno).
Eppure i prezzi di mercato sono tutt’altro.
Per una sola stanza a pochi metri dalle abitazioni che abbiamo citato ci chiedono 750 euro al mese: senza telefono, senza cucina e senza regolare contratto.
Se vogliamo una ricevuta dobbiamo pagare il 10% in più a parte, oltre al costo fiscale. A questa situazione c’è una spiegazione un po’ burocratica ma vale la pena raccontarla perchè rende bene l’idea della schizofrenia della pubblica amministrazione.
Nel 1996 una delibera comunale regola un incremento degli affitti. Due anni dopo sopraggiunge una legge (n. 431) che l’abroga e stabilisce due tipi di contratto possibili: a forma «libera» (con una contrattazione diretta tra inquilini e proprietari) e a forma «protetta» (con una contrattazione tra proprietari e sindacati).
L’Amministrazione in un primo momento opta per la «forma libera» ma dopo dissensi interni è costretta a fare marcia indietro e scegliere quelli a forma «protetta».
Tra un’altalena e l’altra si arriva al 2004. Si trova un accordo con il sindacato. Sono tutti pronti per brindare ma manca ancora un dettaglio: l’«accordo integrativo» per dare attuazione alla legge 431.
Per sottoscrivere il quale il Comune impiega dieci anni. Durante i quali i sindacati stimano che le perdite per il Comune dovute al mancato accordo ammontino a circa 50mila euro al mese.
«Nel 2004 eravamo pronti a firmarlo ma la dottoressa Zambrini del Comune di Roma si rifiutò di sottoscriverlo perchè ritenne gli aumenti troppo esigui» ricorda Guido Lanciano, segretario romano dell’Unione Inquilini. Solo nel 2014 arriva la firma per l’integrazione che, tra le altre cose, prevede nuovi parametri economici basati sui redditi (ad esempio, per la zona Centro si va dai 10 ai 22 euro al mq, salvo agevolazioni).
Problema risolto? Niente affatto. «Dal giorno dell’accordo (2014) solo in queste settimane stanno arrivando le lettere per chiedere i redditi degli inquilini» precisa Lanciano. Dopodichè il Campidoglio dovrà verificarli con l’Agenzia delle Entrate per poi verificare se l’inquilino intende restare o andare via.
E per gli abusivi? Il numero delle persone che occupano appartamenti senza titolo è talmente elevato da essere fuori da qualunque stima attendibile. Anche perchè mancano i controlli.
Nei rioni popolari i mestatori che si preoccupano di offrire case popolari sono facili da trovare. Propongono dai cinque ai trentamila euro per prendere il posto di un assegnatario. L’alternativa è entrare nel giro delle occupazioni.
(da “il Corriere della Sera”)
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