ROMA IN ALTO MARE: A SINISTRA FRENO A GUALTIERI, A DESTRA NO DI BERTOLASO
COALIZIONI CON IDEE CONFUSE E SENZA CANDIDATI FORTI
Senza coalizioni certe e senza candidati: Roma è in alto mare.
Ieri il freno a mano tirato da Enrico Letta sulla corsa dell’ex ministro Roberto Gualtieri, oggi il “no grazie” di Guido Bertolaso, impegnato sul fronte milanese dei vaccini e stufo delle perplessità di FdI sul suo nome.
Così, in vista dell’autunno — data più probabile per le urne il 10 e 11 ottobre — centrosinistra e centrodestra non sanno ancora chi sfiderà Virginia Raggi per il Campidoglio. Intanto, Grillo la blinda: “Massimo sostegno alla nostra guerriera”.
Il “non possumus” dell’ex capo della Protezione Civile arriva poche ore dopo i rilanci di Matteo Salvini e Antonio Tajani che lo indicavano come il nome più forte, l’unico capace di vincere al ballottaggio.
Ed è secco quanto freddo: “Non mi candiderò a sindaco di Roma. Sono qui in Lombardia, sto facendo il vaccinatore, mi pare che basti e avanzi. Per il resto abbiamo già dato”.
La scena si congela. Divisa tra chi considera Bertolaso “una primadonna in cerca di plebiscito”, suscettibile dunque di ripensarci, e chi più realisticamente archivia la partita. Fortemente sponsorizzato da Silvio Berlusconi, e “adottato” dalla Lega, è un nome mai digerito da Giorgia Meloni a causa (anche) di antiche ruggini.
FdI — cui spetta negli equilibri di coalizione la “primogenitura” per il Campidoglio e che, soprattutto, ha un bacino di voti molto cospicuo a Roma e nel Lazio – sogna il presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca, che però ha declinato, ed ha quindi messo in campo il manager sportivo Andrea Abodi, finora distante dalla politica.
All’obiezione di azzurri e leghisti sulla scarsa notorietà di Abodi nei sondaggi, gli uomini della Meloni replicano che l’importante è avere dietro la coalizione unita: “Dopo una settimana a braccetto con i tre leader lo conosceranno tutti”.
Il punto, insomma, è politico. Fatto sta che un’intesa complessiva non è neppure all’orizzonte. “Chi candideremo dipenderà anche dove vogliamo arrivare” spiega un parlamentare bene informato. Tradotto: se giochiamo per vincere o per azzoppare qualche avversario. Ecco perchè prima di prendere decisioni, il centrodestra vuole capire le mosse del Pd.
Dove la situazione è ingarbugliata. Ieri lo stop alle macchine dato da Letta ai rumors su Gualtieri pronto a sciogliere la riserva in senso favorevole. Condito da “irritazione” per l’accelerazione e fastidio per il “metodo lunare” frutto delle vecchie dinamiche che hanno già portato i Dem a schiantarsi con le dimissioni di Zingaretti.
Oggi, grazie al colloquio tra il neo-segretario e il potenziale candidato, la situazione è ripartita, ma “nulla è ancora deciso”. Appuntamento — vago — ad aprile.
Nel frattempo, Letta proseguirà gli incontri in agenda: con Carlo Calenda probabilmente già domani, poi con Giuseppe Conte, con Roberto Speranza. Ma andrà avanti anche il “tavolo cittadino di programma” e consultazione con gli alleati. L’obiettivo del “cacciavite” lettiano è chiaro: costruire uno schema di gioco con l’alleanza più larga possibile, perchè sarà battaglia all’ultimo voto e neppure l’approdo al ballottaggio è scontato.
Se necessario, con il ricorso alle primarie di coalizione. Ecco il motivo dell’imminente faccia a faccia con Calenda, che non ha intenzione di ritirarsi ed è sostenuto anche da Italia Viva. “Letta semplifichi il quadro e dia un segnale concreto di cambio di linea puntando su Calenda — ha avvisato Ettore Rosato — Per noi è il più adeguato e può essere vincente”.
Giochi aperti con la speranza del jolly
All’uscita del faccia a faccia Gualtieri ha usato toni concilianti: “Sto riflettendo, in ogni caso darò il mio contributo per Roma”. Va detto che il pressing dei Dem romani su di lui è stato confortato da una serie di test che lo individuano come il profilo più “forte” al ballottaggio poichè suscettibile di prendere sia i voti di Calenda al centro che quelli dei Cinquestelle a sinistra. E profilo “autorevole” – come ex presidente della commissione Finanze a Bruxelles nonchè interlocutore della Commissione Europea sul Recovery Plan — adatto a guidare una grande metropoli.
Quanto a un eventuale “gap di popolarità ”, la risposta starebbe nei sette mesi che mancano alle urne: Gualtieri si è già confrontato con due campagne elettorali per l’Europarlamento (nel 2009 e nel 2014) a suon di preferenze, mentre nel gennaio 2020 ha vinto alle suppletive il collegio di Paolo Gentiloni. Insomma, ci sarebbe tempo per costruire l’”empatia” del personaggio e scongiurare il rischio, evocato da Letta, di un Pd “partito della Ztl” che non convince le periferie.
Tuttavia, i giochi sono ancora aperti. E non sono escluse sorprese. A dicembre di quest’anno scade il mandato da presidente dell’Europarlamento di David Sassoli, ipotesi che con il voto ad aprile non era stata presa in considerazione per ovvi motivi. Ma soprattutto, molti sperano in una corsa in extremis di Nicola Zingaretti. Che, anche in privato, ha chiuso la porta a tentazioni di questo genere. Ci ripenserà entro aprile? Sarebbe il jolly: unitario, attrattivo per l’elettorato grillino, assai meno sgradito a Calenda dell’ex ministro dell’Economia.
Con una ricaduta a destra: l’addio anticipato del governatore aprirebbe la corsa per la Pisana, su cui punta il partito meloniano, sbloccando la griglia dei veti incrociati. Solo che a quel punto, per il centrodestra, la partita per il sindaco capitolino sarebbe davvero in salita.
(da “Huffingtonpost”)
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