SALVINI BASTONATO DAI “TERRONI”: IL SUD HA VOLTATO LE SPALLE ALLA LEGA E FRATELLI D’ITALIA HA FATTO INCETTA DI VOTI AL NORD
IL CAPITONE PAGA L’AVER FATTO CADERE IL GOVERNO DRAGHI: LE AMBIGUITÀ LEGHISTE SUL GREEN PASS, LE PROMESSE ELETTORALI FANTASIOSE E LA COMPOSIZIONE DELLE LISTE
Il pugno di mosche. Dopo tanto correre e sgolarsi, tanti selfie e infiniti chilometri macinati, a Matteo Salvini in mano è rimasto poco. Soprattutto, il segretario leghista ha mancato di centrare il vero obiettivo strategico della Lega da lui trainata: il Sud.
Peggio ancora: nel frattempo, con prudenza e (quasi sempre) con misura, Giorgia Meloni ha messo a segno il suo, di enlargement : è dilagata a nord, nelle valli e nelle Province che sono sempre state la roccaforte della Lega. I luoghi in cui il partito era nato e cresciuto e si era conquistato una credibilità di governo cresciuta sindaco per sindaco, amministrazione dopo amministrazione. Tutto spazzato via.
Rispetto a quel tradizionale blocco sociale che al Nord bada al sodo, è probabile che Salvini sia stato danneggiato dalla caduta del governo Draghi. Il segretario leghista formalmente respinge l’accusa, ma anche le ultime settimane di campagna elettorale, con le frequenti prese di distanza dal governo da lui stesso sostenuto fino a luglio, forse hanno contribuito al disamoramento.
Perché una cosa sono i militanti a Pontida, parecchi dei quali favorevoli al «draghicidio», cosa diversa è quella parte cospicua di corpo elettorale che avrebbe apprezzato la stabilità e la credibilità internazionali garantite dall’ex governatore Bce. Il presidente di Confindustria Andrea Bonomi l’aveva detto chiaro che più chiaro non si può: «La politica non blocchi Draghi». Probabile che all’insuccesso abbia contribuito anche la disponibilità dichiarata quotidianamente a spendere soldi che non ci sono.
Nella stessa Lega qualcuno nelle ultime settimane ha cominciato a chiamare Matteo Salvini «Mister miliardo». Scostamento di bilancio per le bollette, quota 41 per le pensioni, flat tax, un atteggiamento meno belligerante nei confronti del reddito di cittadinanza («Va modificato»), migliaia di assunzioni nelle forze dell’ordine, Iva zero su alcuni prodotti alimentari e cancellazione del canone Rai. Oltre che lo stop alla revisione delle concessioni, a partire da quelle balneari.
Le previsioni leghiste dell’impatto sui conti pubblici erano e sono ottimistiche. Ma al nord, lo si è sentito sia a Cernobbio che dai giovani confindustriali riuniti a Rapallo, non sono altrettanto ottimisti. Mentre le ambiguità leghiste sul Green pass, che per molti imprenditori è stato lo strumento che ha consentito di riaprire le aziende, a giudicare dall’esito delle urne non sono state apprezzate.
Difficile dire quanto abbia pesato sul risultato la composizione delle liste. Ma l’esclusione di volti che per anni, o decenni, hanno incarnato la Lega sui territori non pare abbia fatto bene.
In Lombardia, Paolo Grimoldi, Daniele Belotti, Matteo Bianchi, Raffaele Volpi; Roberto Paolo Ferrari. In Veneto Gianantonio Da Re, Gian Paolo Gobbo, Gianpaolo Vallardi, a rischio Franco Manzato.
In compenso rientrerà da Bruxelles in anticipo l’europarlamentare Mara Bizzotto ed è stato qui paracadutato il ligure Lorenzo Viviani. I malumori sono divampati, al punto che il vice segretario di Salvini, Lorenzo Fontana, è stato costretto ad ammonire: «Provvedimenti pesanti saranno presi verso chi parla contro la linea del partito».
Zaia non è entrato nell’arena, ma il modo in cui i veneti, storicamente orgogliosi della loro autonomia «anche da via Bellerio», sono stati di fatto esclusi dalla composizione delle liste non deve essergli piaciuto: «Ho preso visione delle liste solo la sera della presentazione. Le analisi, le valutazioni e i bilanci li faremo dopo il 25 settembre».
Ma il sentimento diffuso lo ha espresso qualche settimana l’ex sindaco-sceriffo di Treviso, Giancarlo Gentilini, simbolo della Lega trevigiana. Che ha detto: «Giorgia Meloni potrebbe piacermi». Nel 2019, la Lega da queste parti aveva preso il 40,9%. Il che significa che tre elettori su quattro oggi hanno scelto altro. Giorgia Meloni? Molti, di sicuro. Ma lo stesso Carlo Calenda è andato lì lì dal superare la Lega. «E se anche avessimo pareggiato – dice un deputato ormai ex – sarebbe stata comunque una debacle…».
E poi, c’è il Sud. Alle Amministrative, dopo il 2018, la Lega si era presentata in modo, per così dire, strategico. Non sempre e non dappertutto. Alle Politiche, si prende quello che si prende, senza strategie di territorio. Salvini ci ha provato: oltre a Milano si è candidato in Basilicata, Calabria e Puglia. Ma, almeno a giudicare dai primi dati, la Lega qui non riesce a sfondare. «Non abbiamo abbastanza da offrire» sbuffa un salviniano doc. Ma la batosta è pesante.
(da il “Corriere della Sera”)
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