SANTORO TRA X FACTOR E MARIA DE FILIPPI: “VIVA IL TELEVOTO”
LA TV NELL’ERA DEL POPULISMO: ELIMINAZIONE VIA WEB DEI CANDIDATI PREMIER
Brillante idea: la “defilippizzazione ” di Michele Santoro.
Ossia, in una società “liquida” dominata dai format, non è poi così strano se è il televoto l’ultima frontiera dell’infotainment politico.
Giusto, sbagliato? Chissà : quel che conta è che Santoro torna sulla televisione generalista, dopo la stagione sabbatica passata un po’ sul web un po’ a ricerca libera su Sky, ed approda a La7 (da giovedì, ore 21.30).
La quale emittente Telecom — refugium peccatorum delle migliori menti televisive della nostra era — l’accoglie come il figliol prodigo.
Un po’ ingombrante, per la verità , ma lui decide di muoversi con cortese eleganza: «Chi mi segue da tempo sa — esordisce messianico, con a fianco i fidi Sandro Ruotolo, Giulia Innocenzi e Vauro — che ho sempre considerato La7 come una delle chiavi per un possibile cambiamento dell’assetto televisivo italiano».
Paolo Ruffini, direttore di rete, annuisce soddisfatto, anche se poi Michele parlerà per buona parte della mattinata dell’odiata-amata Rai, anche quella «così ben vestita e pettinata della signora Tarantola, che va a letto subito dopo il Carosello».
Ovviamente non è un caso se il titolo del ciclo di Servizio Pubblicodi quest’anno è “La ricerca del leader che non c’è”.
Non solo e non tanto perchè gli ospiti della prima puntata sono Matteo Renzi, Gianfranco Fini e Diego Della Valle, ma perchè la vera novità di rilievo è l’invenzione di un segmento che si chiama “Partito liquido”, affidato a Giulia, la bella, intelligente e giovane della famiglia santoriana: ossia, attraverso il web il pubblico potrà scegliere, via via, il proprio candidato premier — confrontando anche programmi elettorali — con un meccanismo mutuato dai talent show alla Amici eX Factor.
Oh yeah: con tanto di televoto ed eliminazioni progressive tra i vari politici.
Il trionfatore finale sfiderà Mario Monti nell’ultima puntata, sempre a suon di televoto, ormai unica cifra del consenso popolare nella democrazia catodica, con o senza i coriandoli a fiotti degli show targati De Filippi.
È populismo questo?
Di certo l’abilissimo Santoro sa collocarsi esattamente al suo confine.
Parla di «delusione e repulsione» dei cittadini rispetto alla politica, teme per l’Italia una situazione alla Weimar se i Renzi e i Grillo non incanaleranno lo scontento generale e sottolinea come i «maggiori supporter» dell’antipolitica siano stati i partiti tradizionali, incapaci di comprendere e di veicolare la spinta al cambiamento.
Le primarie? Manco dipinto lui si recherà a votare: «Che vinca il migliore».
Per il resto, un po’ di terremoto per tutti: «Se non ci fossero Renzi e Grillo l’Italia sarebbe ancora preda della stagnazione: hanno agitato le acque e provocato uno shock nel sistema. Niente può essere più come prima».
Idem per quel che riguarda il sistema televisivo: «Entro tre anni sarà tutto cambiato… Rai, Canale5, La7, lo scenario non sarà come lo conosciamo oggi».
Giustamente ce l’ha, il Santoro, con il «furto di fiducia» da parte delle istituzioni nei confronti dei cittadini.
E lui lo sa bene, visto che viene universalmente riconosciuto — egli ci rivela — come uno dei rottamatori (non usa questo termine ma il senso è quello) della prima repubblica.
Oggi come allora uno dei pochi argini all ‘antipolitica, così pare, è guardare i programmi di Santoro: «È quando non si guarda più, quando si diventa passivi, quando non si partecipa, che il vuoto prende il sopravvento».
Verissimo.
Così com’è vero che quando il Caveliere scese in campo, «io ero più famoso di lui».
Grillo? Beh, non ci fosse stato Annozero che mandava in onda i suoi “vaffa”, non avrebbe avuto tutto questo seguito.
E sarà altrettanto vero che è stato lui, il Sancta Santorum, a inventare la piazza (televisivamente parlando, s’intende), ad inventare i citofoni (avete presente i giornalisti molesti che si attaccano ai citofoni dei personaggi che non vogliono farsi intervistare?), a inventare i talk show all’italiana (e non è mica colpa sua, sottolinea veemente, se oggi gli ospiti si sono un po’ usurati), nonchè a “inventare” Riccardo Iacona e Corrado Formigli («che orgoglio quando li vedo in tv…», si commuove ruvidamente).
Al proposito del secondo, e della famigeratissima “staffetta” tra i due (ora che comincia lui, al conduttore di Piazzapulita tocca sospendere fino a inizio gennaio), il mitico Michele previene ogni domanda: «Ma se sono stato io il primo a dire che avrebbe potuto andare in onda con un programma suo e che avrebbe avuto successo anche senza di me…».
E poi: «Ci pensate? Cinquantaquattro trasmissioni di approfondimento nello stesso anno: possono portare anche un aumento di un punto di share in media. E sapete quanto vale? 20 milioni di euro. Vi pare una cosa negativa?»
È fatto così, il mitico Michele, è un generoso: si fa le domande da solo e si dà le risposte da solo.
Ed essendo che tutte le innovazioni della tv degli ultimi trent’anni portano la sua firma, ammette di essere un po’stanco.
«Vorrei che questo fosse l’ultimo anno in cui conduco questo tipo di programma», sospira. «Sapete, il mio format è nato quando dall’altra parte c’era Mike Bongiorno. Ora bisognerebbe fare qualcosa di diverso. Ma per avere idee nuove, devi staccare la spina, per un anno o due». Intanto, prendiamo in prestito da Amici il televoto.
Non l’ha inventato Michele, in effetti. Ma la politica, quella non aspettava altro.
Roberto Brunelli
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