“SE RENZI VINCE LE PRIMARIE NON LO VOTIAMO”: A FIRENZE TRA GIOVANI DIRIGENTI DEL PD CHE VORREBBERO ROTTAMARE IL SINDACO
“I SUOI SONO ORGANIZZATI E CATTIVI: E’ CAPACE DI FARE IL COLPO”…UN VECCHIO MILITANTE LO CHIAMA “IL BUGIA”
L’amore scattò al primo sguardo. Nel luglio 2005 Cecilia Pezza e i suoi amici raccoglievano pomodori a Corleone, nei campi di lavoro confiscati alla mafia.
Arrivò un pullman. Ne scese Matteo Renzi, il giovane presidente della sua Provincia. «Fece un saluto con la mano, da lontano. Si fece fare una foto con noi sullo sfondo e ripartì subito, facendo incavolare tutti. Da allora ha perso 30 chili, si è tolto qualche neo e ha comprato abiti di sartoria. Null’altro da segnalare».
Alle Cascine, tradizionale sede fiorentina della Festa democratica, ma nessuno la chiama così, il sindaco-rottamatore candidato alle primarie e i suoi seguaci non sono di casa.
Neppure graditi, visto che a soppesare i nomi dei partecipanti ai vari convegni la rappresentanza del Pd di matrice renziana è numerosa come i panda sull’Appennino tosco-emiliano.
Tra gli stand del Mugello che sfornano bomboloni alla crema e quelli di Campi Bisenzio, dedicati al sugo di pecora, si aggira Paolone Calosi.
Figura storica del Pci locale, volontario dalla notte dei tempi, spesso bardato con magliette che non lasciano traspirare grande slancio per il sindaco, che chiama «il bugia».
Su quella che indossa stasera campeggia una sciarada non proprio da Settimana enigmistica: «Matteo vuol bene a Renzi, ma chi vuole bene a Firenze?».
La storia del nessuno profeta in patria non è recente, ma qui si esagera.
Tra le tante anomalie delle primarie del Pd, quella di un candidato con un radicamento locale tutt’altro che granitico non è forse la maggiore, ma balza all’occhio.
Patrizio Mecacci, segretario metropolitano del Pd fiorentino, invita ad allargare lo sguardo sui gazebo delle Cascine.
Fino al 2010 qui era campagna, dice. All’ultima festa targata Ds c’erano due stand di volontari, oggi sono 16. Tutti i segretari comunali del Pd provinciale hanno meno di 35 anni, aggiunge per chiarire il concetto. «Noi lavoriamo per cambiare la classe dirigente del partito, senza proclami o arrembaggi».
In quanto all’età , anche Mecacci non scherza.
Classe ’84, trent’anni ancora da compiere, beato lui.
Nel caso il caloroso appoggio a Renzi non fosse del tutto chiaro: «Se vince le primarie non credo che lo appoggerò. Matteo le ha trasformate in una resa dei conti nel partito, creando fratture delle quali non si sentiva il bisogno. Pensa a se stesso, e la sua campagna finora manca di respiro programmatico».
Al tavolino dello stand di Sesto Fiorentino si è seduta anche Cecilia.
Tornata indietro dalla Sicilia si è iscritta ai Ds, poi al Pd. Nel 2009 è entrata in consiglio comunale, dove anima un gruppo di dissidenti che si astengono sulle delibere del sindaco, spesso appoggiate da Fli e Lega per compensare i voti mancanti. «Fa accordi con tutti, e in città questa cosa della destra che voterà per lui alle primarie non è campata per aria. Qui si limita agli annunci. Sul progetto della nuova tramvia che potrebbe liberarci da un traffico infernale tiene tutto bloccato. Perchè i lavori in strada non garbano alla gente, e lui vive di consenso».
Con l’arrivo di Andrea Giorgio, segretario toscano dei giovani del Pd, la passione per Renzi diventa febbre da cavallo.
«Mentre lui predicava la rottamazione, io giravo la Toscana in furgone per parlare ai proprietari delle Pmi: siamo la prima Regione ad aver fatto un accordo per retribuire gli stage lavorativi. Ma per lui siamo un partito di ragazzini, da mandare a casa. Curiosa concezione della democrazia».
Su un punto Renzi ha ragione da vendere. Questi sono davvero giovani.
Messi insieme, Patrizio, Cecilia e Andrea non arrivano a novant’anni.
A voler andare di slogan, il sindaco si ritrova in casa gli aspiranti rottamatori del rottamatore.
La differenza è antropologica: tutte e tre le persone sedute a questo stand hanno preso parte al Forum sociale del 2002, quello che doveva essere Genova 2001 se non ci fossero stati i black bloc e i manganelli della Polizia.
Un nuovo gruppo dirigente fiorentino molto di sinistra e un nuovo sindaco molto cattolico, e chi ci vuole vedere una metafora sulle anime diverse e non sempre conciliabili che animano il Pd nazionale è libero di farlo.
Ma forse la verità è un’altra. Nel 2009 Renzi si è preso Palazzo Vecchio, non il partito. E la sua scalata in solitaria alle primarie cittadine ha piallato la vecchia classe dirigente.
Non c’è più molto, del Pd fiorentino dei primordi. Chi resta di quella stagione, però, ha memoria da elefante. Non perdona lo strappo di Renzi e fa da guida a una generazione nuova che ha riempito il vuoto. Inutile fare divisioni tra bersaniani o dalemiani: a Firenze è anche una questione privata.
Ma tra le invettive dei giovani si percepisce non solo un rifiuto politico, ma anche paura.
Lo conoscono bene. Sanno che lo ha già fatto una volta, può farlo di nuovo.
Cecilia è la più sincera: «Matteo corre per vincere. Non mi piace, ma lui è capace. I suoi sono organizzati, cattivi. Ragionano per occupazione di spazi. Il loro obiettivo ora è il Pd. Non escludo che gli riesca il colpo».
Mecacci concorda. Anche se ad ascoltare le parole della sua amica sembra gli sia entrato un rospo in gola: «Scalano la nostra casa appoggiando la scala all’esterno». Come i ladri, tuonano i volontari che circondano il tavolo.
I tre giovani partigiani del Pd anti Renzi non muovono un muscolo del viso.
Ma si capisce che sono d’accordo.
Marco Imarisio
(da “Il Corriere della Sera“)
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