SOLDI IN NERO E STIPENDI DA FAME: LA TRISTE VITA DEI “PORTABORSE”
OGNI PARLAMENTARE PUO’ DISPORRE DI 3.690 EURO AL MESE PER I COLLABORATORI, MA L’ASSENZA DI CONTROLLI FAVORISCE GLI ABUSI… E LA LEGGE DI RIFORMA ATTENDE DA ANNI
Per la prima volta la Camera dei deputati ha chiesto meno soldi al Tesoro.
Per la prima volta è stata tagliata la spesa per gli immobili.
Per la prima volta si sta affrontando il capitolo degli stipendi abnormi del personale: non senza qualche dribbling ardito, va detto, per aggirare il più possibile quel tetto dei 240 mila euro. L’impegno c’è.
E sarebbe ingeneroso non riconoscerlo, anche se la strada è ancora lunga, e molti buchi neri restano ancora da esplorare. Soprattutto uno.
Forse il più odioso, considerando che questo è il posto dove si fanno le leggi.
Parliamo della questione dei collaboratori di deputati e senatori, quelli che con un termine poco elegante sono stati sempre definiti «portaborse».
Da anni rivendicano non soltanto un trattamento economico decente, ma anche contratti regolari che molti non hanno.
Spesso retribuiti in nero con paghe da fame, non riescono a far valere questo diritto elementare. Eppure un mezzo davvero semplice ci sarebbe: basterebbe adottare le regole in vigore negli altri parlamenti, a cominciare da quello europeo.
I deputati indicano all’amministrazione i nomi dei collaboratori e gli uffici delle Camere provvedono a stipulare con loro un regolare contratto a termine e a pagargli lo stipendio.
Per le mani del parlamentare non passa un solo euro di quelli destinati ai suoi assistenti.
Non come in Italia. Qui ogni onorevole ha ancora a disposizione 3.690 euro mensili sopravvissuti ai tagli del 2010.
Si chiama «rimborso delle spese per l’esercizio del mandato». Fino a un paio d’anni fa non era tenuto nemmeno a rendere conto di come li spendeva.
Con il risultato che non era possibile sapere se quei soldi andavano effettivamente ai collaboratori, oppure se finivano al partito, o se il parlamentare se li metteva semplicemente in tasca.
Dopo le polemiche scoppiate sul caso, si è stabilito che almeno metà di quella cifra va «rendicontata».
Ma l’altra metà continua a restare assolutamente discrezionale.
Senza contare che la rendicontazione del 50 per cento è un pannicello caldo: non risolve il problema principale.
La somma «rendicontata», pari a 1.845 euro al mese, può essere impiegata per i collaboratori, ma anche per «consulenze, ricerche, gestione dell’ufficio, utilizzo di reti pubbliche di consultazione di dati, convegni e sostegno delle attività politiche».
I numeri del resto parlano chiaro.
I contratti per collaboratori parlamentari depositati alla Camera sono 508. Per 630 deputati. E i permessi di ingresso permanenti a Montecitorio, considerando che i collaboratori possono essere impiegati anche soltanto sul territorio, non sono che 385. Evidentemente qualcosa non torna.
Ed è certo lo stesso motivo per cui la stragrande maggioranza dei gruppi politici continuano a opporsi all’introduzione di quella semplicissima regola adottata a Strasburgo, ma anche a Berlino e in tanti altri parlamenti nazionali.
Il bello è che non più tardi del 6 novembre 2013, in occasione del varo del bilancio interno, l’assemblea della Camera ha approvato fra l’altro un ordine del giorno con il quale si invitava l’ufficio di presidenza e il collegio dei questori, testualmente, a «disciplinare tempestivamente, in maniera completa o organica, il rapporto fra deputato e collaboratore avvalendosi delle soluzioni individuate dai principali paesi europei e dal parlamento europeo».
Ma in undici mesi non si è mossa una virgola.
C’è anche un disegno di legge presentato a maggio del 2013: rimasto per 14 mesi nel congelatore, è stato tirato fuori a luglio 2014 e discusso pochi minuti in commissione. Giusto il tempo per rinviare il tutto. Impossibile non mettere in relazione la strenua difesa dell’uso discrezionale di quella cifra con i tagli al finanziamento pubblico dei partiti. Le risorse cominciano a scarseggiare e quelle somme sono preziose.
La cifra non è affatto trascurabile.
Perchè 3.690 euro al mese per dodici mesi e per 630 fa 27 milioni 896.400 euro l’anno.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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