SOVRANISTI ESCLUSI DALLA NUOVA MAGGIORANZA UE E DALLE NUOVE CARICHE EUROPEE
ALLEANZA PPE-PSE-ALDE, MA C’E’ ANCHE L’INCOGNITA VERDI
Una cosa è certa, anzi confermata visto che si sapeva da prima del voto: Matteo Salvini, Marine Le Pen e la famiglia dei sovranisti sono fuori dai giochi delle alleanze nel Parlamento europeo per la legislatura 2019-2024.
Lo dice chiaramente Manfred Weber in conferenza stampa a Bruxelles. “Nessuna collaborazione con gli estremisti di sinistra o destra, voglio lavorare con chi crede nell’Europa”, scandisce lo Spitzenkandidaten del Ppe, formalmente il candidato alla presidenza della Commissione europea, carica che però passerà dalle trattative tra i leader. Weber invita “socialisti e liberali” a intavolare la discussione per la formazione di una maggioranza e per decidere le prossime cariche europee.
In un secondo momento cita come possibili interlocutori anche i Verdi, la novità di queste elezioni, secondo partito in Germania.
Ma sono proprio gli ecologisti il ‘pivot’ delle nuove intese: socialisti e liberali (l’Alde che accoglierà gli eletti de La Republique en marche di Macron e prenderà il nuovo nome di Renaissance) vogliono includerli nell’alleanza.
Il Ppe preferirebbe di no: ne teme i programmi, troppo lontani dalle scelte strategiche anche della stessa Cdu in Germania.
E’ questa la base dalla quale si comincerà a discutere da domani.
Da qui discenderanno gli accordi sulle nomine ai vertici dell’Unione Europea.
Weber parla di “stabilità ”. Una parola che fa arrabbiare Frans Timmermans. Subito dopo il collega del Ppe, lo Spitzenkandidaten socialista parla nell’emiciclo dell’Europarlamento, adibito a sala stampa in questa notte elettorale, con un palco in stile ‘Eurovision song contest’.
“Non sono d’accordo sulla parola ‘stabilità ‘ — dice — l’Europa invece ha bisogno di dinamismo. Dobbiamo lavorare con tutti i partiti progressisti per fare una coalizione e solo dopo aver stabilito i programmi possiamo iniziare il ‘game of thrones’ per i posti al vertice dell’Ue. Senza un programma non si va da nessuna parte”.
Dopo Timmermans, parla Marghrete Vestager. Commissaria alla Concorrenza, una degli Spitzenkandidaten dei liberali. Stasera per la prima volta Vestager lancia ufficialmente la sua corsa per la presidenza della Commissione Europea.
“Cercherò i voti in Parlamento”, dice prima di entrare nell’emiciclo, evidentemente scommettendo sulla possibilità che sia una donna a prendere il posto di Jean Claude Juncker, cosa possibile nel nuovo giro di nomine.
Vestager sfoggia l’asse con Timmermans: “Sono d’accordo con lui quando dice che le coalizioni si possono fare solo con chi vuole costruire qualcosa”. Ancora: “Ho lavorato per cinque anni a rompere i monopoli nell’Ue, il voto di oggi dice che il monopolio si è rotto”.
Effettivamente, il Ppe è ancora primo gruppo in Parlamento ma perde 36 seggi, passando da 216 eurodeputati a 180. I socialisti e democratici ne perdono 33, da 185 a 152. Per la prima volta, Ppe e socialisti non hanno più la maggioranza da soli.
Di contro, nonostante che Macron arrivi secondo in Francia dopo il Rassemblement National di Marine Le Pen, l’Alde — meglio, Renaissance — guadagna 36 seggi: da 69 a 105. Mentre i Verdi passano da 52 a 67 eurodeputati: 15 in più.
E allora, i socialisti — reduci dal crollo in Germania, i Verdi li scalzano al terzo posto — non vorrebbero accodarsi alla coalizione ‘old style’ sognata dal Ppe. Stessa cosa dicasi per l’Alde.
Non vogliono insomma finire nel quadretto della ‘vecchia Europa’ che va rinnovata, insistono. Anche perchè i sovranisti sono fuori dai giochi, ma in Francia, in Italia sono forti. L’euroscetticismo non si può dire sconfitto.
Nello stesso Ppe, vincono i partiti più nazionalisti ed euroscettici. Viktor Orban, il nazionalista del Ppe, stravince con oltre il 50 per cento. In Polonia, Fidesz di Jaroslaw Kaszynski, attuale alleato del Ppe (Ppe, Ecr e Alde hanno eletto Antonio Tajani all’Europarlamento nel 2017), batte la la coalizione europeista che si era formata proprio nel tentativo di metterlo ai margini, dai socialisti ai liberali di Donald Tusk, il presidente uscente del Consiglio europeo. Fidesz va oltre il 42 per cento, la coalizione europeista si ferma sotto il 40.
E che dire di Nigel Farage? Il padre della Brexit, colui che dal referendum di tre anni fa ha infettato l’Ue con il virus dell’euroscetticismo approfittando dello scontento seminato dalla crisi economica, balza a oltre il 30 per cento.
Significa che sulle macerie della Brexit, ancora progetto incompiuto che sta mietendo vittime su vittime tra i leader dei partiti tradizionali in Gran Bretagna (ultima Theresa May che ha annunciato le dimissioni per il 7 giugno), Farage porta all’Eurocamera una sostanziosa pattuglia di eletti: tutti con la bandiera del no all’Ue, eppure tutti stipendiati dall’Ue fino a quando Londra riuscirà a definire il suo addio al continente, sempre che ci riesca.
Il Ppe è il partito più straziato da questo voto. Primo partito, seppure in calo, ma con spinte diverse al suo interno. E dunque un peso politico minore o difficile da imporre.
Il voto di stasera sancisce che insieme all’Ecr e all’Alde il Ppe non ha più la maggioranza. Ecco perchè Weber si rivolge a socialisti e liberali. Con loro, la maggioranza ci sarebbe: 437 sul totale di 751. Con i Verdi arriverebbe addirittura a 504. Ma riusciranno a coinvolgerli?
Loro intanto puntato i piedi, dicono che non appoggeranno candidati alla Commissione europea che siano stati in corsa alle elezioni. Dunque no a nomi terzi scelti dai leader, che cominceranno a parlarne martedì sera al vertice informale a Bruxelles.
E soprattutto: “priorità alle politiche per il clima”. Difficile da accettare per la stessa Angela Merkel, che all’ultimo consiglio europeo ha bloccato la decarbonizzazione al 2050, insieme alla Polonia, altro paese europeo con una forte industria del carbone.
(da “Huffingtonpost”)
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