SPARO DI CAPODANNO: LE SUPERCAZZOLE DA “PATRIOTI”
UN CASO CHE SI POTEVA RISOLVERE IN 5 MINUTI AMMETTENDO DI AVER SPARATO E’ DIVENTATO UN COLD CASE
La storia dello sparo di capodanno che ha coinvolto il sottosegretario Delmastro, il deputato sospeso da Fdi, caposcorta, genero e figlio, si sarebbe dovuta chiudere prima di aprirsi con l’ammissione del responsabile. E invece i prodi servitori dello stato continuano a lanciarsi ridicole accuse
Una vicenda che avrebbe dovuto essere risolta in poche ore tiene banco da un mese e mezzo. Aggravando di lavoro la magistratura. E oscillando, giorno dopo giorno, sempre di più tra la tragedia e la farsa.
Parliamo del primo caso di cronaca politica del 2024: il caso Pozzolo, meglio conosciuto come “lo sparo di Capodanno”. Un pezzo di storia è noto, l’altro pezzo un po’ meno. Un deputato della Repubblica, esponente del partito di maggioranza relativa – Fratelli d’Italia – si presenta a una festa di Capodanno nella pro loco di Rosazza, nel Biellese. La sindaca del paese è Francesca Delmastro, sorella del sottosegretario alla Giustizia Andrea, colonnello di Fratelli d’Italia.
Anche quest’ultimo – insieme agli agenti di scorta – è presente alla festa. Mentre il sottosegretario alla Giustizia è fuori dalla sala – vai a capire se a pochi metri o a qualche centinaio – la piccola pistola che il deputato Emanuele Pozzolo aveva con sè esplode un colpo. Un colpo accidentale che parte mentre l’arma non era nell’apposita custodia. Il parlamentare – stando alle ricostruzioni – la stava mostrando urbi et orbi. Non si capisce bene perché, forse solo per pavoneggiarsi.
Quando il colpo esplode, viene ferito il genero del caposcorta di Delmastro. Chi ha sparato? Boh. Tutti accusano Pozzolo. Pozzolo professa innocenza. Non parla ma manda pizzini: “So chi ha sparato, ma lo dirò solo ai magistrati”, ha detto nella prima intervista a Repubblica. I magistrati, intanto, indagano. E chissà se qualche volta non ci pensano che una vicenda – triste, brutta, grottesca – avvenuta in un contesto in cui c’erano un parlamentare e un sottosegretario avrebbe dovuto risolversi velocemente con una semplice ammissione di colpa (di chiunque sia il colpevole).
E invece sta succedendo che i patrioti – o ex tali, Pozzolo è stato sospeso da FdI e deferito ai probiviri, che l’hanno ascoltato pochi giorni fa quando è ricomparso alla Camera, proferendo qualche sibillina parola – non si stanno comportando esattamente da difensori della patria. Anzi, verrebbe da dire che a furia di lanciarsi reciproche accuse, di mandare pizzini e di offrire un pessimo spettacolo, stanno un po’ disonorando il loro ruolo. E tutta la Repubblica.
Di quella notte ancora non solo non si sa esattamente chi ha fatto esplodere il colpo, ma non si capisce per quale oscura ragione un parlamentare – peraltro laureato in giurisprudenza – stesse mostrando la sua pistola. È cosa nota che chi possiede un’arma debba attentamente custodirla. Ma perché Pozzolo aveva un’arma con sé? Dalle varie ricostruzioni che sono state faticosamente fatte, si è capito che gli era stava concessa perché si era esposto a favore della resistenza iraniana. E che aveva già altre armi, ma con permesso sportivo. Era titolato a portare sempre con sé quella pistola piccola piccola, simile a un accendino, per difesa personale. “In Italia girano troppe armi”, si dice. E forse è vero. Ma è vero anche che la licenza che aveva Pozzolo è piuttosto rara. Come raccontato qui da HuffPost, solo 12mila persone in Italia l’hanno ottenuta. Pozzolo era tra questi.
Ora, quali e quante sono le stranezze in questa storia? Così tante che è complicato racchiuderle tutte in un articolo. Ci proviamo.
Subito dopo lo sparo, trapela la notizia che il deputato si sarebbe rifiutato di farsi fare lo stub, il test che rileva la polvere da sparo sulle mani e che non avrebbe consegnato i vestiti, opponendo l’immunità parlamentare. Tempo qualche giorno e la procura dichiara che, invece, lo stub era stato fatto. Sempre fonti investigative comunicano che non aveva consegnato i vestiti “perché aveva freddo”. Non si è mai ben capito cosa sia successo in quelle ore, se davvero gli sia balenato in mente di opporre l’immunità parlamentare, se lo ha davvero fatto e poi qualcuno lo ha indotto a cambiare idea, se era da principio una fake news. Fatto sta che, come era ovvio, questo stub risulta positivo. Sui vestiti di Pozzolo c’era polvere da sparo. Del resto, la pistola era sua. Ed era nella sua mano quando il colpo è partito ed è stato ferito il genero dell’agente di scorta di Delmastro. Quest’ultimo, dal canto suo, aveva detto da subito che quando lo sparo è partito non era nel locale, perché stata sistemando gli avanzi di cibo in macchina.
In una fase iniziale si è accavallata più di una versione dei fatti e, per questo, Matteo Renzi per settimane non ha mollato la vicenda. Prima ha fatto un’interrogazione parlamentare – alla quale Nordio ha risposto picche – e poi, durante un evento a Biella, ha chiesto al sottosegretario e alla sorella di fare il test del Dna. Prontamente Delmastro ha fatto sapere di averlo querelato per le “continue diffamazioni” che il leader di Italia Viva gli ha indirizzato. Un atteggiamento, questo, coerente con quello tenuto sin dall’inizio di questa storia. Il sottosegretario, infatti, ha detto in tutte le salse che in quella sala al momento del fattaccio non c’era. E continua a dirlo, nonostante ci sia chi si diverte a girare il dito nella piaga. Negli annales è rimasto quel “Buon anno un c….” con cui ha risposto a Repubblica il giorno di Capodanno, a poche ore dallo sparo.
Ma allora, come sono andate le cose?
All’inizio neanche la vittima – Luca Campana, 31 anni, elettricista – aveva querelato Pozzolo. In un secondo momento ha deciso di farlo. Perché non subito? “Perché lui è un politico e io un operaio” ha risposto. Nel mentre, sono emersi dettagli sulla figura di Pablito Morello, già caposcorta di Delmastro, che alla festa a quanto pare si era portato tutta la famiglia. Qualche giorno dopo i fatti è stato sospeso e Domani ha svelato che in passato era stato indagato per aver pestato un detenuto. Il procedimento si è concluso con un nulla di fatto.
Le indagini sullo sparo sono poi andate avanti e si è scoperto che sulla pistola c’erano impronte digitali di tre persone diverse. La prima (facile) era Pozzolo. Le altre due? Dopo giorni di mistero, ecco svelato l’arcano: la pistola è stata toccata anche da Maverick Morello. Il figlio di Pablito, finora quasi non menzionato dalle cronache, sostiene di averla tolta dalle mani di Pozzolo dopo lo sparo e di averla consegnata al padre. E infatti è dell’ex caposcorta la terza impronta. A La Stampa, Pablito Morello ha raccontato: “Istintivamente l’ho presa in mano per evitare che urtasse il tavolo”. E ancora: “Mi sono assicurato di allontanare Pozzolo dall’arma rimasta sul tavolo, per poi collaborare a soccorrere il ferito che stava inveendo contro il deputato”.
L’arma è poi stata poggiata su una mensola. Vale sempre la pena ricordare che nei locali della pro loco erano presenti dei bambini e che solo il caso ha voluto che il 31enne se la sia cavata con pochi giorni di prognosi. I tasselli del puzzle si vanno uno dopo l’altro ricomponendo. Manca ora l’esito dell’esame balistico, che dovrebbe finalmente dirci come sono andate le cose. Sempre che qualcuno non decida di mettere fine a questa pietosa saga e raccontarle una volta per tutte.
(da agenzie)
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