TOTI, IL VITELLO GRASSO SACRIFICATO SULL’ALTARE DI PARISI
HA BALLATO IL MERENGUE DEL “FEDERATORE” PER UNA SOLA STAGIONE, ORA TOCCA ALL’INDEFESSO SERVITORE DEL CAPITALISMO RELAZIONALE
Dalle stanze di Regione Liguria trapela la notizia di un Giovanni Toti abbastanza furioso per la drastica rimessa in riga da parte del signore e padrone Berlusconi, che ne ha piallato via con un sol colpo le aspirazioni a svolgere un ruolo nazionale da leader e il sistema di alleanze su cui basava la conquista della centralità a destra.
Dopo aver ballato per una stagione il merengue del nuovo federatore di tutta la paccottiglia politica sul trucido — dalla Santanchè a Calderoli — deve essere stato duro per il governatore ligure, nato in Versilia e con il cuore a Cologno Monzese, sapersi confinato in un territorio marginale e doversi impegnare in qualcosa di cui ignora perfino i rudimenti: amministrare.
Soprattutto, suona stridente essere sopravanzato al vertice da uno come Stefano Parisi, le cui ricette in politica sono identiche alle proprie (mettere insieme una coalizione dagli alfaniani fino ai leghisti); con il piccolo particolare che in Liguria si è vinto mentre a Milano no. Insomma, un clone perdente.
Perchè questo improvviso cambio di cavallo, deciso in quel di Arcore?
Rispondere al quesito può offrire utili indicazioni sull’intero quadro politico e sui movimenti in atto. Accelerati dall’appuntamento referendario autunnale.
Come, per altro verso, dimostra il cambio repentino nella direzione di Libero — da Maurizio Belpietro, critico della riforma costituzionale/elettorale Boschi-Renzi, al renziano di complemento Vittorio Feltri — non meno delle acrobazie in Rai per coprire tutte le testate giornalistiche della casa con pasdaran del “sì”.
Ecco — dunque — il perchè del cambio in corsa ai vertici di Forza Italia: Toti dava crescenti segni di scandalosa indipendenza, evidenziata dalla sintonia oppositiva nei confronti del governo con gli anti-renziani dichiarati Renato Brunetta e Paolo Romani, i lepenisti alla amatriciana (e cassoeula) Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Al contrario il cinguettante ex dg confindustriale Parisi assicura maggiore flessibilità e conoscenza delle compatibilità da navigato uomo di mondo.
Ossia, può garantire al padrone la ripresa della linea consociativa (inciuciesca/nazzarena) con il premier Renzi.
Ciò dimostra che — al di là delle manfrine — il Berlusconi sul viale del tramonto è consapevole di essere aziendalmente sotto schiaffo da parte del governo (leggi Renzi). Non a caso è stato proprio il partito azienda dei Felice Confalonieri a spingere per un riassetto delle faccende politiche che salvasse il salvabile del business; già lesionato da un Bollorè (Vivendi) che si muove alla Berlusconi.
Sull’altro fronte, tutto questo segnala anche il crescente nervosismo del premier, riguardo agli esiti presunti del referendum.
E le spregiudicate pressioni a 360 gradi che sta esercitando (unitamente alla campagna di propaganda, tra il terroristico e il demenziale, in cui è impegnata a spron battuto la ministra Boschi) dimostrano che i sondaggi riservati in suo possesso non sono per nulla tranquillizzanti.
Più in generale, i posizionamenti in atto ci forniscono importanti indicazioni sull’orografia in gestazione nella scena politica: se il ridisegno dello Stato oggetto della consultazione novembrine promuove l’ordine postdemocratico tendente alla democratura, con cui la corporazione della politica e relativi partner blindano il loro controllo sulla società (preminenza dell’esecutivo, o meglio della premiership, sugli altri poteri; riduzione del controllo elettorale sugli organigrammi pubblici), quanto attorno a Renzi si sta coagulando è un vero blocco d’ordine a tutela del privilegio.
In altri tempi lo si sarebbe definito “la destra” (con tante scuse per i 5S e le loro rudimentali strumentazioni politologiche che rifiutano le distinzioni cultural-ideali).
È dunque normale che Berlusconi subisca il richiamo (oltre che i ricatti) dell’operazione: cane non mangia cane.
E che come pegno di buona fede sacrifichi il vitello grasso Toti, per festeggiare l’arrivo di un indefesso servitore del potere purchessia, sia esso capitalismo relazionale o carrierismo politicante, quale il Parisi.
Pierfranco Pellizzetti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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