UN PENSIERO AGLI ULTIMI E A CHI NON CE LA FA : “LEGALITA’. ONESTA’. SOLIDARIETA'”
LA ROTTURA NARRATIVA DI MATTARELLA: SOFFERENZA E PRINCIPIO DI REALTA’ NELL’ERA DELL’OTTIMISMO E DELLE SLIDE
La poltrona da cui Sergio Mattarella pronuncia il suo primo discorso di fine anno non è un “trono”, come la scrivania e il set solenne del suo predecessore.
Anzi, proprio la poltrona e l’informalità del salotto (con tanto di presepe napoletano dietro) e con essi il tono poco solenne e umano rappresentano il simbolo di una rottura narrativa. Tutta politica.
Per Mattarella si è chiusa una fase della vita repubblicana segnata dall’eccezionalità in cui anche il Quirinale ha esercitato un ruolo eccezionale, come luogo dell’iniziativa politica e talvolta baricentro decisionale al pari, se non di più, dei luoghi della sovranità popolare.
Un ruolo che per molti è stato una supplenza necessaria ai tempi dello spread e del governo Berlusconi o dopo lo stallo del 2013, per altri una anomalia.
Ecco, il discorso di Mattarella sancisce, innanzitutto, il ritorno della presidenza della Repubblica nell’alveo della costituzione: un governo politico c’è, espressione di una chiara maggioranza parlamentare, e c’è un premier forte investito di una solida fiducia del parlamento, dunque il presidente della Repubblica può tornare a fare il presidente della Repubblica, come pensato nella costituzione formale e non dettato dalle esigenze di quella materiale.
Nessun passaggio del discorso di Mattarella suona come invasivo delle prerogative del Parlamento o del governo.
In fondo, anche la rimozione del tema delle riforme, tanto caro a Napolitano quando non si riuscivano a fare e ora vero mantra dell’era renziana, indica questa consapevolezza di confini.
Tuttavia le parole semplici, dirette, del capo dello Stato non suonano solo come una rottura narrativa rispetto al predecessore, ma anche come una rottura rispetto alla narrazione del premier.
E non solo perchè la sua poltrona appare lontana dagli effetti speciali e dalle slide di Renzi, e non solo perchè le sue parole evocano una antica sapienza di governo che nulla a che fare con l’ossessiva ricerca di un nemico o di un gufo, ma soprattutto perchè il messaggio del capo dello Stato appare come un richiamo al principio di realtà .
O forse sarebbe meglio dire: al pessimismo della realtà , fatta del dramma della disoccupazione, del senso di sfiducia, delle difficoltà della vita di tutti i giorni, di famiglie in affanno. Insomma, la realtà degli ultimi.
Sarebbe forse ingeneroso mettere a confronto su ogni tema – dall’economia al lavoro all’immigrazione – le parole di Mattarella e quelle di Renzi, perchè è chiaro che ogni capo del governo, fisiologicamente, deve anche essere attento al consenso e quindi è avvezzo a scivolare un po’ sul terreno della propaganda. Però, al netto della distinzione di ruoli e obiettivi, è difficile sfuggire a un’impressione.
È cioè che Mattarella abbia insistito proprio sul punto dove Renzi appare più fragile, ovvero sul terreno dei valori.
“Legalità “, “onestà “, “uguaglianza”, “solidarietà “, denuncia della “società dello spreco e del consumo”, ecco: il discorso di Mattarella non è contro il governo ma è intriso di quell’anima sociale che chi guida il paese non solo non sembra avere, ma sembra rimuovere, quasi ossessionato da un’ansia di prestazione per cui le difficoltà del paese, anche le più ataviche e incrostate, diventano tutte propri insuccessi.
E dice molto il richiamo di Mattarella alla Costituzione, che non è “solo un sistema di regole”, ma quello che la sinistra una volta chiamava il “programma fondamentale da attuare”.
Programma che, forse, e’ stato sin troppo rottamato negli ultimi venti anni su lavoro, pace, equilibrio tra i poteri dello Stato. Venti minuti la durata del discorso.
Il principio di realtà non ha bisogno nè di tempi lunghi ne’ di effetti speciali.
(da “Huffingtonpost”)
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