VERDINI AL SERVIZIO DI RENZI: STUDIA IL PARACADUTE FORZISTA SE MATTEO AVESSE BISOGNO
MOLTI POTREBBERO AMMALARSI O PERDERE L’AEREO
Sul Jobs Act il premier potrà contare sempre e comunque sul «paracadute» berlusconiano.
Nel caso (improbabile) che venissero a mancargli dei voti in Senato, Renzi si salverebbe dal baratro grazie a Forza Italia.
Questo è sicuro, sebbene ufficialmente a destra tutti sostengano il contrario preannunciando anzi una netta opposizione. «Il modo per dare una mano lo troveremmo», garantiscono sottovoce personaggi molto influenti nel giro di Arcore.
Al premier l’hanno fatto sapere.
Per esempio, un tot variabile di senatori azzurri potrebbe scordarsi la sveglia, col risultato di perdere l’aereo proprio nel giorno delle votazioni; altri potrebbero restare vittima di qualche malanno: le solite scuse che si tirano fuori in circostanze del genere.
Ancora ieri, parlando con alcuni suoi fedeli, Berlusconi era categorico: «Renzi non deve cadere. Bisogna che vada avanti almeno fino a quando avremo varato una legge elettorale conveniente tanto a lui quanto a noi, a quel punto se ne riparlerà ».
Oltre a questa motivazione, dettata da calcoli tattici, pare ce ne siano altre che rendono l’ex Cavaliere pronto a tutto, pur di tenere in piedi il governo, alcune di un certo spessore politico: «Dobbiamo augurarci di fare insieme al Pd le nostre riforme», è uno dei ragionamenti berlusconiani, «o desideriamo ritrovarci con la Trojka in casa tra meno di sei mesi?».
Domanda retorica con risposta scontata: mille volte meglio tenere in sella Renzi che farci governare dalla «Spectre» finanziaria internazionale.
E dunque, quale che sarà l’esito del duello a sinistra sul Jobs Act, il premier verrà sorretto perfino nel caso in cui dovesse precipitare.
Ciò premesso, nessuno (nemmeno Verdini) si augura questo «soccorso» azzurro.
Renzi rifiuta di prenderlo anche solo in considerazione perchè, primo, sarebbe un segnale di immensa debolezza e, secondo, verrebbe a ritrovarsi tra le braccia di Silvio.
Per quanto gli si mostri amico, Matteo giustamente non se ne fida.
Lo stesso Berlusconi preferisce di gran lunga che il governo se la cavi con le proprie forze, senza trucchi e senza inganni.
La ragione è semplice: pure lui, se fosse costretto a sostenere Renzi, pagherebbe un prezzo politico salatissimo.
Nel suo partito il Jobs Act non piace letteralmente a nessuno.
Toti, il consigliere politico, lo bolla senza cerimonie come l’«ennesimo compromesso al ribasso tra le componenti del Pd». Gasparri, che bene interpreta gli umori dei «peones», spara a pallettoni contro le «deleghe confuse e ancora da conoscere nei loro esatti contenuti».
Il Capo la pensa come loro. Una piccola folla di esperti gli ha detto peste e corna del Jobs Act. Gliene parla malissimo pure la Santanchè.
L’imprenditore Berlusconi è convinto che all’Italia servirebbe ben altro, una riforma che nessuno (tantomeno lui) è riuscito a far passare.
Poi c’è Fitto, ci sono i «malpancisti» di Forza Italia, c’è la concorrenza da destra dei Fratelli d’Italia e della Lega, soprattutto c’è Grillo…
Il Cav non ha voglia di prestare il fianco ai loro attacchi, e nemmeno di donare il sangue gratis a Renzi.
Tra l’altro, negli ultimi giorni si è molto indispettito per come il governo sta trattando il tema della giustizia.
Gli risulta che il guardasigilli Orlando presti orecchio a certi magistrati «comunisti», e rimprovera a Renzi di non vigilare abbastanza
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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