VIAGGIO NEI PARADISI FISCALI DELLA UE
ECCO COME MULTINAZIONALI E SUPER RICCHI RIESCONO A PAGARE POCO O NULLA
Dalla palazzina nell’isola di Jersey dove hanno sede i trust che controllano il gruppo siderurgico ArcelorMittal, ancora per poco socio di Invitalia nella gestione dell’ex Ilva, al piccolo edificio di Londra che sulla carta ospita gli uffici di 19mila società. Dal quartiere degli affari di Amsterdam in cui Exor nel 2016 ha trasferito la sede legale e fiscale al business center del Lussemburgo in cui oltre 5mila italiani hanno aperto holding e finanziarie per godere di un trattamento fiscale di favore su dividendi e interessi. Fino alla cittadina di Cipro in cui sono basati i trust esentasse di centinaia di oligarchi e miliardari russi, che controllano patrimoni da decine di miliardi di dollari oltre a yacht, aerei e complessi immobiliari. Tocca una decina di Paesi d’Europa – oltre all’emirato di Dubai – il viaggio del giornalista finanziario del Sole 24 Ore Angelo Mincuzzi per raccontare “come i paradisi fiscali dell’Unione europea ci rendono tutti più poveri”. Che è anche il sottotitolo del suo nuovo libro, Europa parassita (Chiarelettere).
Obiettivo, raccontare i meccanismi che consentono alle multinazionali di pagare meno tasse – e girare dividendi ancora più ricchi ai loro azionisti – e a milionari e miliardari (tra cui oligarchi, criminali e trafficanti) di “non contribuire allo sviluppo dei Paesi dove vivono, dove magari sono anche nati, dove hanno studiato e hanno mosso i primi passi della vita professionale”. Perché “possono stabilire il livello delle imposte da versare, in quale paese pagarle e addirittura se custodire per sé tutta la ricchezza accumulata”. Il punto è che quelli che Mincuzzi definisce abitanti del “Mondo di sopra” evadono o eludono quasi sempre grazie a leggi che glielo consentono e all’assenza di regole comuni nella Ue: una situazione che garantisce loro un’impunità ovviamente negata ai comuni cittadini, soggetti alle normali aliquote delle imposte sui redditi. Che subiscono in silenzio lo status quo, pur pagandone gli effetti sotto forma di servizi pubblici scadenti, disuguaglianze crescenti, sussidi insufficienti, delocalizzazioni che distruggono posti di lavoro.
A livello globale, stando al Global Tax Evasion Report 2024 dell’Eu Tax Observatory, i paradisi fiscali nascondono oltre 11mila miliardi di euro, in parte frutto di evasione, elusione e corruzione. L’Italia, di per sé gravata da un’evasione di massa che sottrae alle casse pubbliche una novantina di miliardi l’anno, subisce un’emorragia di oltre 10 miliardi di euro annui dirottati verso “Stati parassiti”: 7,5 se ne vanno per effetto di abusi ed elusione delle multinazionali, 3 per le frodi di privati cittadini. E un’importante fetta di quegli ammanchi finisce in altri Stati europei noti per le politiche fiscali compiacenti nei confronti di grandi imprese e super ricchi: Olanda e Lussemburgo, non a caso due tappe del viaggio di Mincuzzi insieme a Svizzera e Regno Unito. È la cosiddetta asse dell’elusione fiscale, che assorbe 550 miliardi di dollari di profitti societari ogni 12 mesi ed è responsabile del 65% delle tasse non pagate dalle élite internazionali.
Ma i numeri, per quanto eclatanti, spesso faticano a colpire l’immaginazione. La forza del libro di Mincuzzi sta nel raccontare cosa c’è dietro. Seguendo il cronista nel pellegrinaggio alla ricerca delle sedi irlandesi dei grandi gruppi hi-tech, nella “via dei miliardari” della municipalità belga di Estaimpius e per le strade lussuose del principato di Monaco, che non tassa i redditi delle persone fisiche né i dividendi, ci si fa un’idea concreta di come funzionino l’industria dell’offshore, il business dei trust, le rotte migratorie dei nomadi fiscali in cerca di scudo dalle imposte, le società di comodo con cui si ripuliscono i soldi sporchi e si comprano immobili che nessuno riuscirà a ricondurre al reale proprietario. Non manca un’analisi psicologica e sociologica del perché le persone comuni accettino tutto questo o lo ritengano immutabile, che chiama in causa l’ideologia della meritocrazia, il falso mito della mobilità sociale e l’interiorizzazione dello stato di subalternità.
Sull’altro piatto della bilancia c’è il fatto che qualche passo avanti negli ultimi anni è stato fatto: dall‘accordo sullo scambio automatico di informazioni tra istituti finanziari alla – seppur depotenziata – direttiva sulla tassa minima globale per le multinazionali. Non è neanche lontanamente abbastanza. Il contrasto tra il trattamento riservato a una minoranza di super ricchi e le condizioni di tutti gli altri, scrive Mincuzzi, mette a rischio non solo le economie ma anche le democrazie del Vecchio continente.
(da ilfattoquotidiano.it)
Leave a Reply