Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
I MONTIANI RESTANO IN ATTESA: “DISPONIBILI SOLO A UN GOVERNO RIFORMISTA ED EUROPEO”
Mario Monti chiude a qualsiasi ipotesi di governo che comprenda il Movimento 5 Stelle e lascia solo Bersani nella rincorsa a Grillo.
La decisione viene presa nella riunione degli eletti civici di ieri.
Il premier uscente lo dice chiaro e tondo: «Siamo per un governo di riformatori responsabili aperto a tutti» che guardi sia alle riforme istituzionali sia a quelle economiche. Per questo i montiani non voteranno alla presidenza delle Camere un candidato grillino e comunque abbracceranno solo candidature che prefigurino un futuro accordo di governo
Non fa mistero il coordinatore di Scelta Civica Andrea Olivero: «Siamo determinati nel sostenere candidature che portino a una solida e chiara maggioranza riformista per il governo del Paese».
Dunque per i montiani vanno bene solo candidati del Pd o del Pdl.
Oppure uno espresso dal proprio partito.
L’ex presidente delle Acli d’altra parte ricorda che i civici entreranno in una maggioranza, «e di questa può far parte anche il M5S, che identifichi punti chiari e netti su cui vi sia convergenza e tra questi elementi indispensabili ci sono l’assunzione delle nostre responsabilità e del nostro ruolo in Europa».
Come dire, noi con Grillo non ci stiamo visto che una sua virata sull’Europa sembra del tutto remota.
E chi ha partecipato alla riunione con il Professore rimarca che lo stesso discorso vale per la Lega, con la quale Monti non entrerà mai in maggioranza.
Un no preventivo di fronte ai recenti movimenti sotterranei del Carroccio, interessato ad aiutare la nascita di un governo.
Olivero attacca anche Bersani e gli otto punti approvati dalla direzione del Pd per stanare Grillo.
«Anche se dice che sono rivolti a tutti, sembrano indirizzati più che altro verso il M5S. Per noi mancano dei punti che indichino con chiarezza l’impianto europeo e riformista».
Di fatto la linea di Monti – spiegano gli strateghi di Scelta Civica – resta la stessa che aveva abbracciato alla sua “salita in politica”: scommettere su uno sgretolamento del Pd e del Pdl e mettersi al traino di una maggioranza fatta dalle anime riformiste dei due principali partiti.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)
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Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
“HO AVUTO UNA FIDANZATA, ERA DEL GRUPPO DI AMICI CON CUI ANDAVO A BALLARE. POI HO SCOPERTO LA VOCAZIONE RELIGIOSA”
ARMONIA – «Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei primi padri della Chiesa
scrisse che lo Spirito Santo “ipse harmonia est”, lui stesso è l’armonia. Lui solo è autore al medesimo tempo della pluralità e dell’unità . Solo lo Spirito può suscitare la diversità , la pluralità , la molteplicità e allo stesso tempo fare l’unità . Perchè quando siamo noi a voler fare la diversità facciamo gli scismi e quando siamo noi a voler fare l’unità facciamo l’uniformità , l’omologazione». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).
BATTESIMO – «Il bambino non ha alcuna responsabilità dello stato del matrimonio dei suoi genitori. E poi, spesso il battesimo dei bambini diventa anche per i genitori un nuovo inizio. Di solito si fa una piccola catechesi prima del battesimo, di un’ora circa; poi una catechesi mistagogica durante la liturgia. In seguito, i sacerdoti e i laici vanno a fare le visite a queste famiglie, per continuare con loro la pastorale postbattesimale. E spesso capita che i genitori, che non erano sposati in chiesa, magari chiedono di venire davanti all’altare per celebrare il sacramento del matrimonio». (Intervista a 30 giorni , 2009, al giornalista che chiedeva se erano giustificabili in alcuni casi di battesimi rifiutati bambini figli di genitori «irregolari»).
CERTEZZE – «Le nostre certezze possono diventare un muro, un carcere che imprigiona lo Spirito Santo. Colui che isola la sua coscienza dal cammino del popolo di Dio non conosce l’allegria dello Spirito Santo che sostiene la speranza. È il rischio che corre la coscienza isolata. Di coloro che dal chiuso mondo delle loro Tarsis si lamentano di tutto o, sentendo la propria identità minacciata, si gettano in battaglie per essere alla fine ancor più autoccupati e autoreferenziali». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).
DEBITO «Siamo stati molto chiari nel sostenere che la politica economica del governo non faceva altro che aumentare il debito sociale argentino, molto più grande e molto più grave del debito estero e abbiamo chiesto un cambiamento». (a Francesca Ambrogetti, La Stampa , 31 dicembre 2001).
DESAPARECIDOS – «Poichè in diversi momenti della nostra storia siamo stati indulgenti verso le posizioni totalitarie, violando le libertà democratiche che scaturiscono dalla dignità umana. Poichè attraverso azioni od omissioni abbiamo discriminato molti dei nostri fratelli, senza impegnarci sufficientemente nella difesa dei loro diritti. Supplichiamo Dio, Signore della storia, che accetti il nostro pentimento e sani le ferite del nostro popolo. O Padre, abbiamo il dovere di ricordare davanti a te quelle azioni drammatiche e crudeli. Ti chiediamo perdono per il silenzio dei responsabili e per la partecipazione effettiva di molti dei tuoi figli in tale scontro politico, nella violenza contro le libertà , nella tortura e nella delazione, nella persecuzione politica e nell’intransigenza ideologica, negli scontri e nelle guerre, nella morte assurda che ha insanguinato il nostro paese. Padre buono e pieno di amore, perdonaci e concedi a noi la grazia di rifondare i vincoli sociali e di sanare le ferite ancora aperte nella tua comunità ». (Richiesta di perdono dei vescovi argentini, tra i quali lo stesso Bergoglio aveva una posizione di spicco, 10 settembre del 2000).
EPIGRAFE – «Come si definirebbe?» «Jorge Bergoglio, prete». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).
ESPOSA – «La mia diocesi di Buenos Aires». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).
FIDANZATA – «Sì, era del gruppo di amici con i quali andavamo a ballare. Poi ho scoperto la vocazione religiosa». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).
FILM – «Il mio film preferito? Il pranzo di Babette ». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).
FIGLI – «Qualche giorno fa ho battezzato sette figli di una donna sola, una vedova povera, che fa la donna di servizio e li aveva avuti da due uomini differenti. Lei l’avevo incontrata l’anno scorso alla festa di San Cayetano. Mi aveva detto: padre, sono in peccato mortale, ho sette figli e non li ho mai fatti battezzare. Era successo perchè non aveva i soldi per far venire i padrini da lontano, o per pagare la festa, perchè doveva sempre lavorare… Le ho proposto di vederci, per parlare di questa cosa. Ci siamo sentiti per telefono, è venuta a trovarmi, mi diceva che non riusciva mai a trovare tutti i padrini e a radunarli insieme… Alla fine le ho detto: facciamo tutto con due padrini soli, in rappresentanza degli altri. Sono venuti tutti qui e dopo una piccola catechesi li ho battezzati nella cappella dell’arcivescovado. Dopo la cerimonia abbiamo fatto un piccolo rinfresco. Una Coca Cola e dei panini. Lei mi ha detto: padre, non posso crederlo, lei mi fa sentire importante… Le ho risposto: ma signora, che c’entro io?, è Gesù che a lei la fa importante». (Intervista a 30 giorni , 2009)
GARAGE – «Ai miei sacerdoti ho detto: “Fate tutto quello che dovete, i vostri doveri ministeriali li sapete, prendetevi le vostre responsabilità e poi lasciate aperta la porta”. I nostri sociologi religiosi ci dicono che l’influsso di una parrocchia è di seicento metri intorno a questa. A Buenos Aires ci sono circa duemila metri tra una parrocchia e l’altra. Ho detto allora ai sacerdoti: “Se potete, affittate un garage e, se trovate qualche laico disposto, che vada! Stia un po’ con quella gente, faccia un po’ di catechesi e dia pure la comunione se glielo chiedono”. Un parroco mi ha detto: “Ma padre, se facciamo questo la gente poi non viene più in chiesa”. “Ma perchè?”, gli ho chiesto, “Adesso vengono a messa?” “No”, ha risposto. E allora! Uscire da sè stessi è uscire anche dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è di Dio» (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).
GIONA – «Giona aveva tutto chiaro. Aveva idee chiare su Dio, idee molto chiare sul bene e sul male. Su quello che Dio fa e su quello che vuole, su quali erano i fedeli all’Alleanza e quali erano invece fuori dall’Alleanza. Aveva la ricetta per essere un buon profeta. Dio irrompe nella sua vita come un torrente. Lo invia a Ninive. Ninive è il simbolo di tutti i separati, i perduti, di tutte le periferie dell’umanità . Di tutti quelli che stanno fuori, lontano. Giona vide che il compito che gli si affidava era solo dire a tutti quegli uomini che le braccia di Dio erano ancora aperte, che la pazienza di Dio era lì e attendeva, per guarirli con il Suo perdono e nutrirli con la Sua tenerezza. Solo per questo Dio lo aveva inviato. Lo mandava a Ninive, ma lui invece scappa dalla parte opposta, verso Tarsis. Quello da cui fuggiva non era tanto Ninive, ma proprio l’amore senza misura di Dio per quegli uomini» (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).
Hà–LDERLIN – «Amo le sue poesie» (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, nel libro-intervista El Jesuita , 2010).
ITALIA – «Mio padre era di Portacomaro (Asti, ndr ) e mia madre di Buenos Aires, con sangue piemontese e genovese». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).
LAICI – «La loro clericalizzazione è un problema. I preti clericalizzano i laici e i laici ci pregano di essere clericalizzati… È proprio una complicità peccatrice. E pensare che potrebbe bastare il solo battesimo. Penso a quelle comunità cristiane del Giappone che erano rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni. Quando tornarono i missionari li ritrovarono tutti battezzati, tutti validamente sposati per la Chiesa e tutti i loro defunti avevano avuto un funerale cattolico. La fede era rimasta intatta per i doni di grazia che avevano allietato la vita di questi laici che avevano ricevuto solamente il battesimo e avevano vissuto anche la loro missione apostolica in virtù del solo battesimo. Non si deve aver paura di dipendere solo dalla Sua tenerezza…» (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni, fine 2007).
LEBBRA – «La cosa peggiore che può accadere nella Chiesa? È quella che Henri De Lubac chiama “mondanità spirituale”. È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo nella Chiesa. “È peggiore”, dice De Lubac, “più disastrosa di quella lebbra infame che aveva sfigurato la Sposa diletta al tempo dei papi libertini”. La mondanità spirituale è mettere al centro sè stessi. È quello che Gesù vede in atto tra i farisei: ” Voi che vi date gloria. Che date gloria a voi stessi, gli uni agli altri”». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007)
MICRO – «Per contrastare l’effetto della globalizzazione che ha portato alla chiusura di tante fabbriche e la conseguente miseria e disoccupazione, bisogna promuovere anche una crescita economica dal basso verso l’alto, con la creazione di micro, piccole e medie imprese. Gli aiuti che possono venire dall’estero non devono essere solo di fondi ma tendere a rafforzare la cultura del lavoro della cultura politica». (a Francesca Ambrogetti, La Stampa , 31 dicembre 2001).
NAVICELLA – «I teologi antichi dicevano: l’anima è una specie di navicella a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela, per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la Sua spinta, senza la Sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero di Dio e ci salva dal pericolo d’una Chiesa gnostica e dal pericolo di una Chiesa autoreferenziale, portandoci alla missione» (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).
OMOSESSUALI – «Non ricorrendo contro la decisione del giudice nel contenzioso amministrativo sul matrimonio di persone dello stesso sesso, ha mancato gravemente al suo dovere di governante e di custode della legge». (Comunicato ufficiale del 26 novembre del 2009 contro il governatore di Buenos Aires Mauricio Macri, reo di non avere fatto ricorso contro la sentenza sul matrimonio gay).
PARANOIA – «A una chiesa autoreferenziale succede quel che succede a una persona rinchiusa in sè: si atrofizza fisicamente e mentalmente. Diventa paranoica, autistica» (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).
POSTO – «”Vi faccio una domanda: la Chiesa è un posto aperto solo per i buoni?” “Nooo!” “C’è posto per i cattivi, anche?” “Sìììì!!!”. “Qui si caccia via qualcuno perchè è cattivo? No, al contrario, lo si accoglie con più affetto. E chi ce l’ha insegnato? Ce lo ha insegnato Gesù. Immaginate, dunque, come è paziente il cuore di Dio con ognuno di noi”». (Dialogo tra Bergoglio e la folla di fedeli alla festa di san Cayetano, in un barrio popolare di Buenos Aires, 30 giorni , agosto 2008, durante la festa).
QUADRO – «Il mio quadro preferito? La Crocefissione Bianca di Chagall». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).
RASSA NOSTRANA – «Drit e sincer, cosa ch’a sun, a smijo: / teste quadre, puls ferm e fìdic san / a parlo poc ma a san cosa ch’a diso / bele ch’a marcio adasi, a van luntan. /
Sarajè, mà¼radur e sternighin, / minà¶r e campagnin, sarun e frè: / s’a-j pias gargarisè quaic buta ed vin, / j’è gnà¼n ch’a-j bagna el nas per travajè. / Gent ch’a mercanda nen temp e sà¼dur: / – rassa nostrana libera e testarda – / tà¼t el mund a cunoss ch’i ch’a sun lur / e, quand ch’a passo … tà¼t el mund a-j guarda…». («Razza nostrana», poesia in dialetto piemontese di Nino Costa che il nuovo Papa si picca di saper recitare a memoria, in omaggio ai genitori di origine piemontese).
SIGNORE – «Il Manzoni diceva: “Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene”». (a Francesca Ambrogetti, La Stampa , 31 dicembre 2001).
TANGO – «Mi piace molto il tango e da giovane lo ballavo». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).
TRADIZIONALISTI – «Paradossalmente (…) proprio se si è fedeli si cambia. Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni, fine 2007)
VERITà€ – «La verità è che sono un peccatore che la misericordia di Dio ha amato in una maniera privilegiata… Errori ne ho commessi a non finire. Errori e peccati» (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
I LEGHISTI NOVARESI CONTRO L’EX CAPO DELLA SEGRETERIA DI COTA COLPITO DA AVVISO DI GARANZIA… LA MOGLIE, CAPOGRUPPO LEGHISTA IN COMUNE A NOVARA, INDAGATA PER CORRUZIONE, PUO’ INVECE RIMANERE
Dopo l’avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta Giordano e la sua revoca dall’incarico di responsabile del progetto Expo per il Piemonte, un’altra tegola sul novarese Giuseppe Cortese, giornalista, già capo della segreteria politica di Cota: il consiglio direttivo della Lega di Novara ha avviato le procedure per l’espulsione dal partito.
L’organismo di governo del Carroccio ha votato la decisione a stragrande maggioranza e poi l’ha comunicata al direttivo nazionale (che per il Carroccio si intende quello del Piemonte).
Ogni provvedimento, quindi, sarà deciso a Torino.
L’espulsione non ha nulla a che vedere con l’inchiesta della Procura di Novara che vede Cortese indagato assieme a una dozzina di altre persone: è stata invece motivata dai colleghi di partito con i continui attacchi portati da Cortese al segretario nazionale Cota e al Carroccio in generale, soprattutto attraverso le colonne del «NordOvest», di cui è consulente editoriale.
Il segretario provinciale Luca Bona conferma: «Decisione per motivi politici: Cortese ha tenuto una linea contraria al partito. Niente a che vedere con la bufera giudiziaria che ha portato alle dimissioni di Giordano».
Delicata anche la posizione della moglie di Cortese, Isabella Arnoldi, già portavoce di Giordano e capogruppo della Lega in Consiglio comunale a Novara.
Anche lei è tra gli indagati per corruzione.
Su di lei il partito conferma la linea del garantismo: «La proposta di espulsione riguarda solamente Cortese attenendo alla sua attività politica. Niente da dire su Isabella Arnoldi, che da questo punto di vista è in una posizione neutra. Per quanto riguarda invece il suo coinvolgimento nell’inchiesta giudiziaria, al momento non c’è nient’altro che un decreto di perquisizione. Ne parleremo in tutta tranquillità e valuteremo con lei se questo possa influire in qualche modo sul suo ruolo di capogruppo in municipio a Novara».
Marco Benvenuti
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Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
CSM: “A RISCHIO L’INDIPENDENZA”…IL PROCESSO RUBY ACCELERA, GHEDINI SI LAMENTA
Nessuna tregua, il processo Ruby continua a ritmo serrato, togati e laici del Csm si schierano
coi giudici dei processi Berlusconi, il Pd pronto a votare l’eventuale arresto e comunque l’ineleggibilità del leader Pdl.
E i berlusconiani impugnano di nuovo l’ascia, tornano a rispolverare l’Aventino domani in aula e a confermare la piazza anti pm del 23 marzo.
Silvio Berlusconi – che resterà anche oggi al San Raffaele – non si era fatto illusioni dopo l’intervento di Napolitano di due giorni fa.
Predicava cautela e ieri non ha potuto fare a meno di confermare ai suoi: «Avevo ragione io, non si fermeranno, mi vogliono in galera e fuori dal Parlamento».
E il partito è una miccia accesa pronta a esplodere.
Lui la infiamma con un’intervista a Panorama e in serata un bellicoso Angelino Alfano – nonostante la fumata bianca in corso e l’attesa generale per l’apparizione del nuovo Pontefice, Francesco I – in una nota attacca: «Il Pdl è determinato a reagire con tutte le forze contro questo disegno di inaudita gravità ».
Timore neanche tanto velato del Cavaliere è che Pd e grillini si preparino all’«agguato» in caso di richiesta di arresto da Napoli (tanto più dopo la sortita di Migliavacca), nonostante le smentite di quella procura.
Il problema non è solo Napoli ma anche Milano.
Ieri il Tribunale del processo Ruby ha riconosciuto i problemi di salute dell’imputato Berlusconi.
Ma le nuove udienze sono state fissate per lunedì e poi a ritmo serrato il 20, il 21 e il 25 marzo.
La difesa di Ghedini e Longo bolla il calendario come «cosa fuori dal sistema», «grave», comunque in rotta con quanto «auspicato» da Napolitano.
Giorni che in via dell’Umiltà riconoscono come cruciali per le consultazini e le trattative sul nuovo governo.
Come se non bastasse, in una dichiarazione congiunta consiglieri togati e laici vicini al Pd del Csm si sono schierati coi magistrati dei processi a Berlusconi.
Le «gravi vicende accadute nel Palazzo di giustizia di Milano – scrivono – pongono a rischio l’indipendenza dei giudici nelle decisioni che solo a loro spetta assumere ». Clima da scontro frontale, istituzionale, finale.
Beppe Grillo, dal suo blog, ci mette del suo: «Povero Paese, dove un presidente della Repubblica invece di andare in prima serata in televisione a condannare un atto eversivo di portata enorme come la triste sfilata di parlamentari negli uffici giudiziari, riceve Alfano al Quirinale il giorno dopo ».
E in questo clima si inserisce l’intervista concessa da Berlusconi a Panorama, anticipata giusto ieri.
«I ripetuti comportamenti di parte della magistratura non sono più tollerabili – è l’affondo – Si è trasformata da ordine dello Stato in potere assoluto, onnipotente e
irresponsabile».
E ancora: «Corre voce che nel palazzo di giustizia di Milano si parli senza vergogna di una “operazione Craxi 2”.
Non sono riusciti a eliminarmi con le elezioni, ci riprovano con l’uso della giustizia a fini politici».
E se «questo sistema non cambia», rincara in serata il segretario Alfano al termine di una giornata calda, «difenderemo con maggiore determinazione, in ogni sede legittima, i principi di libertà e il nostro leader Berlusconi».
La promessa di placare i toni, fatta il giorno prima al Colle, è già archiviata.
Alla Camera intanto deputati Pdl in rivolta contro l’ipotesi di Brunetta capogruppo, per volontà del capo, e tornano a ballare i nomi di Lupi e di Capezzone.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
“PRIORITA’ IL LAVORO, IO CORPO ESTRANEO AL PARTITO”
Sulla scrivania del suo ufficio a Palazzo Vecchio, accanto alla stanza di Leone X, Matteo Renzi gioca con i pennarelli e sfoglia le foto dei cardinali in conclave.
È reduce da una discussione in famiglia sul nuovo papa, il sindaco di Firenze, cattolico praticante, lo vorrebbe aperto sulle questioni etiche, un papa “rottamatore”. Ma in politica depone la sua antica bandiera: «Rottamazione non comunica speranza. Ora è il momento di dire un’altra parola: lavoro. È meno sexy, ma incrocia la vita degli italiani. Insieme a una radicale riforma della politica ».
Renzi si butta a sinistra, in vista della futura corsa elettorale. Che il sindaco vede sempre più vicina.
Cosa rischia l’Italia in queste settimane?
«C’è un clima pericoloso. Da giorni discutiamo dei presidenti delle Camere, intanto lo spread con la Spagna si riduce, se la Pubblica amministrazione non paga i debiti ci saranno 300-500 mila disoccupati in più nei prossimi mesi. E la politica sottovaluta l’emergenza. La notizia della settimana è Bridgestone che chiude a Bari, non Grillo che chiude a Bersani. Si può fare con un mese di ritardo un governo che affronti la crisi. Oppure nominare in 48 ore un governo che vivacchia. Il punto è: un governo per fare cosa?».
Cosa metterebbe nell’agenda Renzi?
«Al primo posto, il lavoro. Ci sono tre milioni di disoccupati, il 40 per cento di giovani. Sto preparando un Job Act: un piano per il lavoro. Sarà innovativo. Noi ci siamo divisi tra la Cgil e Ichino e abbiamo dimenticato cose molto concrete: 20 mila cantieri fermi, lo 0,7 per cento del Pil, bloccati dal patto di stabilità , lo ricorda il presidente dell’Anci Graziano Del Rio. Investimenti sull’innovazione digitale, sull’agroalimentare, progetti per gli investitori stranieri. Al Job Act stanno lavorando imprenditori, docenti, manager, neo-parlamentari: un volume corposo, lo presenteremo tra aprile e maggio…».
Che caso: giusto in tempo per la campagna elettorale
«Io spero che sia in tempo per un governo che queste cose le faccia. Partendo dalle esperienze di chi vive in queste realtà , non dal pensiero di un funzionario di partito chiuso in un centro studi che immagina come deve funzionare il mondo. La sfida del Pd è questa: essere il partito del lavoro».
Bersani ha fatto tutta la campagna elettorale sul lavoro. Risultato: i disoccupati ma anche gli operai hanno votato per Grillo.
«Non si vince con il programma, ma con la speranza. Molti dicono: al Pd è mancata la tecnologia di Grillo. Non è vero, è mancata la passione che una parte di quel mondo esprime. Abbiamo parlato molto di giaguari da smacchiare e poco di asili nido. Otto milioni di cittadini non hanno votato Grillo perchè avevano letto il libro di Casaleggio sulla guerra mondiale, ma perchè trasmette un cambiamento. E trovo singolare che il Pd non riesca a comunicare che i suoi nuovi parlamentari, giovani e donne, sono più interessanti del fenomeno di colore dei deputati di 5 Stelle. Sono quasi tutti bersaniani: perchè non li valorizzano? Sono migliori del Pd che va in televisione».
Sul tentativo di Bersani di fare un governo lei si mostra più che scettico: è ancora l’uomo giusto per gestire questa fase?
«Prendo atto della strategia di Bersani di aprire a Grillo. Gli ho detto: in bocca al lupo, faccio il tifo per te. Ma mi sembra improbabile che ci riesca. O Grillo cambia idea o noi cambiamo strategia».
In che direzione?
«Ah no, le formule non mi riguardano. Faccia Bersani. Accanto al lavoro serve una riforma della politica che comprenda la nuova legge elettorale, la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle province e del finanziamento dei partiti».
Grillo chiede a Bersani di non accettare i rimborsi elettorali, in Rete gira l’apposito modulo: Bersani dovrebbe firmarlo?
«Più inseguiamo Grillo più gioca la sua partita. Bersani dovrebbe abolire il finanziamento, non firmare il foglio di Grillo che sarebbe un nuovo cedimento. Non servirà a fare la pace con Grillo, ma almeno faremo la pace con gli italiani. La mia proposta di abolizione aiuta Bersani…».
Per fortuna! Nel Pd la accusano di aver organizzato un dossier contro i dirigenti: stipendi, segreterie, emolumenti…
«L’unico dossier che sto preparando è il Job Act. Ci sono parole che mi fanno schifo. Le cose le dico in faccia, perfino troppo, mai alle spalle. Chi parla di dossieraggio tradisce le proprie usanze».
Altra accusa: Renzi è come Grillo, anche lui vuole nuove elezioni subito, vuole governare sulle macerie, gioca al sabotaggio…
«Ogni volta che dico qualcosa arrivano tonnellate di fango, il giornale del mio partito mi ha dato del fascistoide. Hanno anche detto che sono schiavo dei poteri forti e amico della finanza, io che sono uno scout di periferia cresciuto con le parole del cardinale Martini e che devo pagare un mutuo trentennale. Ho ingoiato tutto per dimostrare la mia lealtà a Bersani».
L’immagine più difficile da superare: Renzi il filo-berlusconiano, la quinta colonna del nemico, un corpo estraneo nel Pd.
«Penso di essere un corpo estraneo a questo gruppo dirigente del Pd. Ed è interesse di tutti che lo rimanga se vogliamo prendere voti anche fuori dal nostro elettorato. Non ho difficoltà con i volontari delle feste, nelle regioni rosse prendo più voti di tutti. Ho un problema con una parte di gruppo dirigente perchè chiedo un cambio netto. Dopo le primarie ho rifiutato ogni compensazione, ho fatto la campagna elettorale girando per l’Italia a spese mie. Cos’altro dovevo fare?».
Potevano utilizzarla di più e meglio?
«Ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto. Ma non avremmo vinto le elezioni con tre comizi in più di Renzi, ma forse se Bersani avesse promesso l’abolizione del finanziamento ai partiti e di tutti i vitalizi, come gli ho chiesto alle primarie, sì».
Alle elezioni ha “non-vinto” Bersani? O, come ha detto Alessandro Baricco, è finito un modello di partito. Va rottamato l’intero Pd?
«Il partito solido non si muove. È un partito fermo, in terra. Un partito in cui si fanno primarie dove il responsabile organizzazione Nico Stumpo, il mio serial killer di fiducia, come lo chiamo scherzando, chiede la giustificazione a Margherita Hack per votare. È un modello che non funziona. Io spero che le prossime primarie, si facciano tra un mese o tra un anno, siano davvero aperte. Senza scomodare Calvino, la leggerezza non è evanescenza, è la capacità di vivere tempi diversi rispetto al passato. Sono per un’Italia leggera, non posso pensare a un partito pesante. Io però non faccio politica per cambiare il partito, ma per cambiare il Paese».
Tra dieci giorni ci sarà un governo Bersani? Un governo del presidente? O torneremo a votare?
«Non mi sostituisco al capo dello Stato. Credo che sarà una legislatura breve, mi auguro che almeno si riesca a scrivere una buona legge elettorale. Il mio modello è il sindaco d’Italia. Solo da noi il vincitore è oggetto di interpretazione: se alla Sistina si votasse con il Porcellum sarebbero eletti in quattro. E ora a venti giorni dal voto stiamo per infilarci nel rito nobile delle consultazioni. Ci mettono meno a fare il papa che il presidente della Camera!».
Se alla fine salta tutto e si va alle elezioni Renzi si candida a premier o no?
«Pensavo di sì. Da quando ho letto che anche Fioroni mi appoggerebbe mi è venuto qualche dubbio…».
In tanti che fin qui l’hanno contrastata ora la invocano come il salvatore della patria.
«Mettiamola così: se ci fossero le condizioni ci starei. Nonostante Fioroni. E senza Fioroni».
Marco Damilano
(da “l’Espresso“)
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Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO INSISTE SUL GOVERNO CON I CINQUESTELLE, MA NEL PD C’E’ FRANCESCHINI IN POLE PER MONTECITORIO… IPOTESI APPOGGIO DELLA LEGA A UN ESECUTIVO GUIDATO DAL PD
Bersani resta aggrappato all’idea di un’intesa con Grillo. 
Ma già domani il voto sulle presidenze delle Camere segnerà il suo destino.
Al segretario del Pd non è andato giù il diktat di Mario Monti: niente Grillo, al paese servono le larghe intese.
Confermando ciò che aveva detto al leader democratico nel loro incontro a quattr’occhi a palazzo Chigi: «Io ti sostengo Pierluigi, ma è difficile unire i nostri voti a quelli di chi vuole uscire dall’euro ».
Adesso che la posizione del Professore è ufficiale, Bersani è costretto a registrare un problema in più: «Il ragionamento di Monti non semplifica il cammino della legislatura».
Oltretutto anche nel suo partito stanno cambiando gli equilibri faticosamente stabiliti appena una settimana fa in direzione.
Oggi il Pd riunisce i gruppi di Camera e Senato.
Lì Bersani dovrà indicare ai suoi parlamentari i nomi da votare il giorno successivo a Montecitorio e Palazzo Madama.
Se non ci saranno aperture inaspettate da parte dei 5stelle, molti deputati sono pronti a mettere in minoranza l’eventuale indicazione di un presidente della Camera grillino.
I democratici hanno un nome per quel posto: Dario Franceschini.
E in queste ore si sta saldando un asse interno che punta a questa soluzione. Senza se e senza ma.
A Largo del Nazareno stanno prendendo atto di essere stretti nella morsa tra Grillo e Scelta civica.
I montiani, dopo le dichiarazioni del premier, sono diventati improvvisamente una variabile incontrollabile e al Senato potrebbero convergere i loro voti su un candidato Pdl se il Pd non mollasse definitivamente il sogno a 5stelle.
I nomi su cui si potrebbe costruire un’intesa tra Scelta Civica e Pdl?
Gaetano Quagliariello, che però ha l’handicap di aver partecipato alla “marcia” anti-pm fin dentro il Tribunale di Milano.
Oppure Renato Schifani, una conferma.
A questo punto, il Pd è chiamato a sciogliere il nodo nel giro di ore, minuti.
La tenaglia può alla fine premiare la scelta più semplice, la strada maestra.
«Votare alla Camera e al Senato due dei nostri », dicono ora a Largo del Nazareno.
I candidati sono in pista da giorni: Franceschini e Anna Finocchiaro.
Sicuramente, aiuterebbe l’orgoglio del Pd, dopo la vittoria dimezzata. È un sentimento che si è avvertito forte e chiaro durante l’assemblea degli eletti, lunedì. Anche Matteo Renzi, che oggi riunirà all’hotel Cavour i suoi cinquanta parlamentari, continua a martellare contro Beppe Grillo e “tifa” per non lasciare Montecitorio nelle mani del M5S.
Se da una parte il segretario Pd continua in pubblico a puntare unicamente sulla carta Grillo, il tam tam romano rilancia l’ipotesi di una nuova, clamorosa, sponda.
E proprio nel giorno dell’incontro tra gli sherpa del Pd e quelli del Carroccio.
La possibilità cioè di un’apertura alla Lega in vista del voto di fiducia.
«Loro – spiega una fonte democratica – sono interessati a far partire la legislatura ed evitare nuove elezioni a breve. A Maroni serve tempo per consolidare il suo progetto di trasformare il Carroccio in un partito come la Csu bavarese».
Per questo i leghisti, senza rompere con Berlusconi, potrebbero concedere una fiducia “tecnica” a Bersani per iniziare il suo cammino a palazzo Chigi.
Ipotesi quasi fantascientifica, ma che rende bene la dimensione della difficoltà che incontra il segretario nel suo tentativo. §
Chi ha parlato con Bersani lo descrive sempre più pessimista, ma determinato comunque a provarci e a chiedere a Napolitano un «mandato pieno» per potersi presentare in Parlamento e ricevere un voto.
Consapevole della “mission impossible” che si è caricato sulle spalle, il leader del Pd è già pronto comunque a passare la mano.
Ma prima ha in mente di «proiettare il film fotogramma per fotogramma: tutti i passaggi di questa vicenda dovranno essere giudicati dagli italiani ».
E se dovesse fallire ha in mente un’ultima mossa per aiutare il suo successore a formare una maggioranza, «lasciando una porta aperta alle larghe intese per chi verrà dopo di me».
Insomma sarebbe proprio Bersani a certificare l’impossibilità di coinvolgere i grillini in un progetto di governo e a orientare la bussola del partito in un’altra direzione. Verso Monti e, necessariamente, il Pdl.
Nel Pd, nel caso il segretario dovesse gettare la spugna, si ipotizza un incarico ad un altro esponente del partito, uno dei due presidenti delle Camere: Anna Finocchiaro o Dario Franceschini.
Mentre l’idea di affidare di nuovo palazzo Chigi a un tecnico – si fanno i nomi di Fabrizio Saccomanni (Banca d’Italia) o Pier Carlo Padoan (Ocse) – non trova alcun consenso. «Già ci siamo dissanguati con Monti – dicono al Nazareno – il governo dei tecnici ha fatto il suo tempo».
Ma alla fine di una giornata complicata, i fedelissimi di Bersani non smettono di guardare al Movimento.
Hanno seguito con il fiato sospeso la riunione dei grillini tenuta al Senato, soprattutto la sua durata. È stata molto lunga.
«Non significa che andrà in porto il nostro tentativo – dice un bersaniano – . Ma significa che c’è una discussione aperta nei 5stelle, un confronto vero ».
E che se al voto sulle Camere mancano solo 24 ore, per l’inizio delle consultazioni al Quirinale ci sono ancora quattro giorni.
È uno spiraglio.
Francesco Bei e Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
FRANCESCO AVRA’ DUE MISSIONI: IL SUDAMERICA E LA CURIA
Mi scuso di cominciare con un episodio personale.
Ma, come si vedrà , sullo sfondo c’è un problema molto grave che riguarda la Chiesa intera e con il quale, dunque, Francesco dovrà confrontarsi in modo prioritario.
Spero dunque mi sia perdonato l’apparente personalismo.
Nel mese trascorso dalla fatidica ricorrenza di Nostra Signora di Lourdes, l’11 febbraio, innumerevoli colleghi sia italiani sia stranieri mi hanno chiesto una previsione sul cardinale che i confratelli avrebbero eletto come successore di Benedetto XVI.
Sempre, senza eccezione, mi sono schermito, a nessuno ho risposto, ricordando che a un cristiano non è lecito tentare di rubare il mestiere allo Spirito Santo; e rievocando episodi, vissuti di persona nella redazione dei giornali, in cui le indicazioni dei papabili da parte degli esperti erano state regolarmente smentite.
Per questo motivo, pur scusandomi, non ho partecipato a quella sorta di divertissement dei colleghi del Corriere che, sorridendo, hanno indicato ciascuno una loro terna.
Ho fatto una sola eccezione al riserbo che mi era imposto con un collega – che è anche un vecchio amico e col quale ho scritto un libro sulla fede – Michele Brambilla, ora a La Stampa ma formatosi in questo nostro quotidiano e buon conoscitore dei problemi religiosi.
Chiedendogli di tenere per sè la cosa, sino a Conclave concluso, gli ho proposto scherzosamente di farmi da notaio e gli ho affidato un nome, uno soltanto: Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires.
L’amico collega mi ha telefonato anche ieri, sotto il diluvio di piazza San Pietro dove attendeva la fumata e mi ha ricordato quella previsione, chiedendomi se la confermavo: gli ho detto che mi sembrava di poterlo fare.
Michele mi ha ricordato che Bergoglio non era tra coloro che la maggioranza dei colleghi dava come papabile: almeno in questo Conclave, mentre in quello che elesse Joseph Ratzinger pare sia stato colui che ebbe il maggior numero di voti dopo l’eletto. Ma otto anni sono passati, il cardinal Bergoglio ha ormai 76 anni, tutti attendevano un Papa nel pieno delle forze.
Un limite che qualcuno aveva fissato sotto i 65 anni.
Tra l’altro, sarebbe stato il primo gesuita a divenire Papa, dignità alla quale la Compagnia non ha mai mirato, secondo la raccomandazione del fondatore Ignazio. Eppure, insistetti su quella candidatura argentina.
Doti da indovino, confidenze del Paraclito, collegamenti occulti con le Sacre Stanze cardinalizie?
Macchè, non facciamola grossa, solo un poco di conoscenza della realtà della Chiesa attuale.
Avevo infatti spiegato all’amico: «In Conclave, dove si conosce la condizione della Chiesa nel mondo intero, si potrebbe decidere per una scelta «geopolitica», come fu per Karol Wojtyla.
Una scelta fortunata: non soltanto si ebbe uno dei migliori pontificati del secolo, ma si gettò nel panico la Nomenklatura dell’Unione Sovietica e di tutto l’Est che prevedeva guai, da un Papa polacco.
Non sbagliava nello spaventarsi.
In effetti, vennero Walesa, Solidarnosc, i cantieri Lenin di Danzica, gli scioperi operai che per la prima volta un regime comunista non osò reprimere nel sangue.
Fu quella la crepa che, allargandosi, alla fine fece cadere tutti i muri dell’Impero.
Ma nulla sarebbe stato possibile senza un Pontefice polacco, e di quale tempra e prestigio!, che sorvegliava e consigliava dal Vaticano».
Ebbene, continuavo nel ragionamento, oggi una scelta geopolitica potrebbe rivolgersi in due direzioni: chiamare alla cattedra di Pietro il primo cinese nella storia che partecipi a un Conclave, l’arcivescovo di Hong Kong, John Tong Hon.
Il panico, stavolta, non sarebbe a Mosca o a Varsavia ma a Pechino, nella capitale della superpotenza del futuro, dove il governo – non potendo estirpare i cattolici, coriacei alle persecuzioni – ha tentato di creare una Chiesa nazionale, staccata da Roma, nominando persino i vescovi.
E i credenti fedeli al Papa sono ridotti alla clandestinità .
Come continuare a tenerli nelle catacombe o nei lager, con uno dei loro divenuto Papa?
Ma la Chiesa non ha mai fretta, giudica secondo i tempi delle «lunghe durate», come dicono gli storici degli Annales, il turno della Cina verrà probabilmente in un prossimo Conclave allorchè, come capita in tutti i regimi totalitari, il sistema comincerà il declino e sarà indebolito, pronto per il colpo di grazia.
E in questo, di Conclave?
In questo, pensavo, c’era spazio per un’altra scelta geopolitica e stavolta davvero urgente, anzi urgentissima, anche se in Europa non si conosce la serietà dell’evento. Succede, cioè, che la Chiesa romana sta per perdere quello che considerava il «Continente della speranza», il Continente cattolico per eccellenza nell’immaginario comune, quello grazie al quale lo spagnolo è la lingua più parlata nella Chiesa.
Il Sudamerica, infatti, abbandona il cattolicesimo al ritmo di migliaia di uomini e donne ogni giorno.
Ci sono cifre che tormentano gli episcopati di quelle terre: dall’inizio degli anni Ottanta ad oggi, l’America Latina ha perso quasi un quarto di fedeli.
Dove vanno? Entrano nelle comunità , sette, chiesuole degli evangelicals, i pentecostali che, inviati e sostenuti da grandi finanziatori nordamericani, stanno realizzando il vecchio sogno del protestantesimo degli Usa: finirla, anche in quel Continente, con la superstizione «papista».
Occorre dire che i grandi mezzi economici di cui quei missionari dispongono attirano i molti diseredati di quelle terre e li inducono a entrare in comunità dove tutti sono sorretti anche economicamente.
Ma c’è pure il fatto che le teologie politiche dei decenni scorsi, predicate da preti e frati divenuti attivisti ideologici, hanno allontanato dal cattolicesimo quelle folle, desiderose di una religiosità viva, colorata, cantata, danzata.
Ed è proprio in questa chiave che il pentecostalismo interpreta il cristianesimo e attira fiumane di transfughi dal cattolicesimo.
Dunque, i padri del Conclave probabilmente avrebbero valutato l’urgenza di un intervento, secondo un programma proposto e gestito da Roma stessa, insediandovi come Papa uno di quel Continente.
Ma l’emorragia riguarda soprattutto il Brasile e l’America delle Ande: perchè, se Papa sudamericano doveva essere, perchè un argentino, un arcivescovo di un Paese meno toccato dalla fuga verso le sette?
Probabilmente ha giocato il fatto che il cardinal Bergoglio (a parte l’alta qualità dell’uomo, la preparazione teologica, l’esperienza) è al contempo iberoamericano ed europeo.
La sua è una famiglia di immigrati recenti dall’astigiano, l’italiano è la sua seconda lingua materna: poichè per la Chiesa non sono urgenti solo i problemi di oltreatlantico ma anche quelli di un riordino energico della Curia, occorreva un uomo che sapesse fronteggiare certe situazioni vaticane. Insomma, non una predizione la mia, un semplice ragionamento.
Molti altri ragionamenti saranno necessari, a cominciare dalla scelta del nome, Francesco, inedito nella storia del papato. Ma l’ora è tarda, il tempo stringe.
Ci sarà tempo per riprendere il discorso.
Vittorio Messori
(da “Il Corriere della Sera“)
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Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
DALLE POLEMICHE PER I SUOI PRESUNTI RAPPORTI COL REGIME DEI GENERALI ALLA PASTORALE MISSIONARIA PER I PIÙ POVERI NELLE FAVELAS
Un gesuita prende il nome di Francesco I ed è il primo segno della Chiesa che vuol cambiare. 
Per otto secoli i discendenti di Pietro non se la sentono di abbracciare una spiritualità nutrita dalla povertà . Insomma, Francesco nome impossibile per il carico di poteri che i secoli hanno costruito sulla cupola vaticana.
Ed ecco che Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, si affaccia al balcone per cambiare la storia dimenticata.
Chi lo conosce sorride disorientato: riuscirà a dormire nel sacro palazzo, marmi e stucchi dorati, quando ha lasciato vuoto il palazzo dell arcivescovado per il lusso che lo disorientava?
Sceglie di vivere, assieme a un monsignore con gli acciacchi dell’età , in un piccolo appartamento, casa come milioni di case.
Chissà con quale scioltezza viaggerà a bordo delle auto ufficiali, severe, blindate, mentre l’abitudine di un sacerdote che ama confondersi con la gente, lo aggrappa alle maniglie degli autobus, in metropolitana, o al manubrio della bicicletta che utilizzava per andare in parrocchia.
E le macchine che lo portano nelle villas miserias, lamiere e baracche, sono auto qualsiasi.
Adesso, chaffeur in livrea.
Fra i nuovi impegni che fanno tremare, l’obbedienza al protocollo metterà a prova l’umiltà nella quale ha preferito nascondersi per dialogare e capire la gente.
Le ombre nella dittatura e la penitenza nel 2000.
76 anni, discende da una famiglia piemontese di Buenos Aires.
Il ragazzo Bergoglio vuol diventare chimico, ma il diploma non gli basta: cerca una strada diversa e la trova nella Compagnia di Gesù. Laurea in filosofia, professore di letteratura e psicologia a Buenos Aires, direttore della facoltà di teologia a San Miguel. Nel 1997 diventa arcivescovo della capitale.
A volte le biografie raccontano parabole esemplari come deve essere la parabola di un papa, quasi sempre trascurando la cornice: anni dell’Argentina dei governi militari e dell’Argentina dell’opulenza che si sbriciola nel default più catastrofico del continente latino.
Bergoglio non accompagna tanti gesuiti nell’appoggio alla Teologia della Liberazione. Insiste per separare politica e solidarietà : si può trasformare la società senza mescolare i fattori che aiutano il progresso.
Insomma, non è d’accordo.
Suscita malumori che forse non hanno ragione di essere. E quando Videla e i suoi governi militari trasformano l’Argentina in un lager — torture e 30 mila desaparecidos — Bergoglio è inseguito dal sospetto di uno strano collaborazionismo.
Mentre gli alti comandi preparano il golpe nell’agonia della presidenza di Isabelita Peron, Bergoglio invita due giovani confratelli impegnati nella solidarietà fra le baracche dove hanno scelto di vivere; li invita ad abbandonare le lamiere per andarsene lontano.
Pochi giorni dopo la presa di potere dei militari i due giovani preti spariscono.
“Il silenzio”, libro di Horacio Verbinsky, scrittore e giornalista argentino, accusa Bergoglio di aver denunciato alla dittatura l’irrequietezza dei giovani gesuiti. Bergoglio risponde di averli voluti allontanare per le voci che li indicavano in pericolo.
Un modo per salvare la loro vita minacciata dalle spie. E si addolora per non essere stato ascoltato. A sua volta diventa sgradito al regime: “Sovversivo come altri preti”. Deve lasciare la poltrona di superiore della congregazione.
Il ritorno alla democrazia.
Tornerà a Buenos Aires quando l’ultimo dittatore si arrende. Poi, nel 2000, farà “indossare” all’intera Chiesa argentina le vesti della pubblica penitenza, per le colpe commesse negli anni della dittatura.
Il ritorno della democrazia non cancella i veleni, anche perchè la Chiesa non ha mai denunciato i delitti della dittatura.
Giovanni Paolo II scopre il dramma dei desaparecidos solo quando le madri dei ragazzi spariti riescono ad avvicinarlo a Roma allungando biglietti con la storia dei figli che non ci sono più.
Bergoglio sparisce nell’ombra mentre il nunzio apostolico Pio Laghi e il cardinale Giovanni Benelli, sostituto segretario di Stato, si dichiarano “soddisfatti per l’atteggiamento assunto dalla nuova giunta di governo per la sua vocazione cristiana e occidentale”.
E applaudono l’insediamento di Videla.
Bergoglio vescovo e Bergoglio cardinale ricostruiscono la memoria delle vittime “per non dimenticare”, come ripete ad ogni occasione.
Anche se fa capire di non aver cambiato idea quando la scelta poteva essere la resistenza armata alla dittatura.
Gli scontri con il neo peronismo.
Ma nell’Argentina che ritrova la libertà non rinunciando a tentazioni pericolose.
Nel 2007 Kirchner appoggia il referendum che nello Stato di Misiones propone una riforma costituzionale: rielezione del governatore a tempo indefinito, primo passo per riconfermare i capi di Stato con la stessa misura. Joquin Pina, vescovo di Iguassù si ribella.
E Bergoglio l’appoggia disarmando Kirchner, strappo alle regole sulla convivenza Chiesa-Stato, strappo esasperato dalla figura di un protagonista della Chiesa dei poveri.
Presidente in difficoltà per la popolarità del primate d’Argentina.
Quasi pontefice nel 2005.
Si gelano i rapporti col Vaticano. Salta l’incontro del presidente con Benedetto XVI mentre il cardinale Bertone rivede la politica di Sodano, segretario di Stato di Giovanni Paolo II.
Le voci del conclave dal quale è appena uscito papa fanno sapere che la diffidenza di Sodano si è arresa solo all’ultimo momento.
Bergoglio aveva sfiorato il pontificato nel conclave che sceglie Ratzinger. Appoggio di Martini. E alla prima votazione Bergoglio insegue Ratzinger che raccoglie 47 voti. Non è facile per il cardinale di Milano sostenere il gesuita argentino al quale trasmette le preferenze che il parkinson gli impedisce di accettare. Secondo scrutinio: Ratzinger 65, Bergoglio 35. Martini si arrende alla terza votazione.
Anche perchè i mormorii di chi non sopporta Bergoglio riguardano le scelte non ortodosse dell’arcivescovo di Buenos Aires in materia sessuale.
“Sopporta” i contraccettivi con un sospiro che fa il giro del vaticano: “Com’è possibile misurare la vita del mondo in un preservativo?”.
Maurizio Chierici
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 14th, 2013 Riccardo Fucile
L’ELEZIONE DELL’ARGENTINO BERGOGLIO AFFONDA LA VECCHIA POLITICA VATICANA
Umano come Michel Piccoli, tranquillo come un missionario, un contemporaneo tra contemporanei, Jorge Bergoglio, il Papa di Buenos Aires, si affaccia su Roma e il mondo, chiedendo ai fedeli di benedirlo prima di benedire a sua volta gli “uomini di buona volontà ”.
E assumendo un nome, che per l’universo cattolico — e ben oltre — ha il significato di un rapporto gioioso, semplice, intenso con l’umanità , la natura e la storia: Francesco. Il nuovo pontefice, che inizia la sua missione con un buona sera, non demonizza gli “ismi” della modernità , ma propone un “cammino di fratellanza, amore e fiducia tra noi”.
Spiega che Roma presiede “nella carità ” tutte le Chiese del mondo cattolico.
E per due volte ha sottolineato dalla Loggia delle Benedizioni il legame tra vescovo e popolo.
Solo quattro votazioni sono bastate per portare la Chiesa a voltare totalmente pagina, spazzando dall’agenda ogni pauroso attaccamento al passato.
Il colpo di teatro, andato in scena nella serata di ieri dinanzi a una folla coinvolta nel rito ancestrale di una rinascita, costituisce un No secco al ritorno di un pontefice italiano, una fuoriuscita dall’orizzonte europeo in cui Benedetto XVI aveva concentrato le sue preoccupazioni, un rifiuto evidente di uomini di Curia o legati agli equilibri curiali.
Sono caduti come birilli i candidati cosiddetti forti, già inseriti in un guscio di potere ecclesiastico. Scola, Scherer, Ouellet.
La storia ci racconterà quanto abbia pesato nel referendum anti-Scola la baldanza dei sostenitori (esilarante il telegramma di auguri della Cei indirizzato ieri per sbaglio ad Angelo Scola “successore di Pietro”) e il suo silenzio pluriennale sull’alleanza tra Vaticano, Cei e Berlusconi, alleanza risultata sempre incomprensibile agli uomini di Chiesa all’estero.
Quanto abbia alienato simpatie a Scherer la difesa d’ufficio della Curia bertoniana nel giorno, in cui i porporati hanno perso la pazienza sulle mezze verità diffuse sull’opaco Ior.
Quanto abbia frenato i consensi per Ouellet il suo appartenere alla Curia selezionata da Ratzinger e il suo far parte (insieme a Scola) di quel vivaio teologico-ideologico, costituitosi intorno alla rivista Communio prediletta e ispirata da Ratzinger e De Lubac per fare barriera contro i supposti eccessi dei riformatori animati dal concilio Vaticano II.
Con l’elezione di Bergoglio, primo papa gesuita della storia, affondano una dottrina di politica vaticana e una scuola teologica.
Essenziale — nello sgombrare il campo dal referendum su Scola e nel mettere da parte gli altri illustri duellanti — dev’essere stata in conclave la rapida convergenza realizzatasi tra il gruppo cardinalizio statunitense guidato dall’arcivescovo di New York Dolan, le teste pensanti dell’area francese capitanata dal cardinale di Parigi Vingt-Trois, i silenziosi riformatori schierati intorno alle posizioni del cardinale Schoenborn, la maggioranza degli indecisi del Terzo Mondo, molto attenti però alle parole del nigeriano Onayekan sulla “non-essenzialità di una banca per la missione del successore di Pietro”.
Ha vinto la voglia enorme di aria nuova, che aleggiava nel corso delle assemblee plenarie dei cardinali durante le quali emergeva come nota costante l’esigenza di un “messaggio positivo” da portare al mondo e la volontà di instaurare un rapporto nuovo tra Santa Sede ed episcopati, aprendo un processo che porti a concretizzare quel principio di collegialità sancito dal Concilio per sottolineare che la Chiesa universale non la guida un monarca solitario.
D’altronde già il Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2012 aveva segnalato che sotto la pelle di una struttura ecclesiastica, formalmente suddita della visione di Benedetto XVI e di un generale conformismo, stava crescendo l’anelito per una Chiesa, che riprendesse a camminare in avanti.
Anche attraverso una rigenerazione dopo tanti scandali sessuali e finanziari.
Si sentirono in quella occasione voci nuove e pressanti affinchè la Chiesa facesse un “esame di coscienza sul modo di vivere la fede”, si rivolgesse alla cultura contemporanea con un “dialogo senza arroganza (e) non in termini di aggressione ideologica”, e avesse il coraggio di indagare su “ombre o fallimenti ai quali bisogna porre fine”.
I semi di allora sono fioriti il 13 marzo 2013.
Con l’elezione di papa Francesco l’America latina irrompe al vertice di Santa Romana Chiesa. Dal continente europeo il testimone passa al Nuovo Mondo.
In prima fila sono proiettati i fedeli e le esperienze di aree, che raggruppano la metà dei cattolici dl pianeta e che rappresentano anche un terzo dei cattolici degli Stati Uniti.
Il nome scelto da papa Bergoglio è simbolo di una speranza, profondamente radicata nelle masse diseredate del Terzo Mondo.
Quando Giovanni Paolo II arrivò in Brasile nel 1980, il dittatore Videla gli “attrezzò” per una visita la favela Vidigal di Rio.
Spuntarono fognature, cabine telefoniche e una chiesa nuova di zecca.
Avrebbe dovuto intitolarsi naturalmente a san Stanislao.
I fedeli del quartiere scelsero a maggioranza schiacciante: san Francesco.
Vincono con l’elezione di Bergoglio i porporati lungimiranti, che nell’episcopato mondiale, ma anche nei settori della Curia rimasti fedeli alla lezione di PaoloVI, si sono battuti per proseguire la strategia dell’internazionalizzazione del papato.
Dopo l’Italia, l’Europa dell’Est e dell’Ovest, è arrivato il momento dell’America latina e il papato concretizza così ancor più la sua dimensione universale nell’era globale.
Va detto peraltro che la rapidità e la genialità della scelta rivela che i vertici della Chiesa cattolica — quel “Senato” cardinalizio, erede della romanità — mostrano tuttora una capacità di governo e di “visione”, che molti organismi secolari non hanno (a cominciare dall’Italia) e sono stati in grado reagire alla crisi violenta delle dimissioni di Benedetto XVI con un salto verso il futuro.
A sua volta papa Ratzinger, uscendo di scena, ha mostrato di avere intuito lucidamente che una fortissimascossa era necessaria per salvare la Chiesa dalla palude in cui era scivolata e che la tempesta di Vatileaks aveva reso lampante.
Costituisce una lezione della storia — e un segno dello stato d’animo profondo e nascosto del corpo episcopale — il fatto che sia stato portato al trono papale l’uomo che nel 2005 aveva convogliato su di sè i quaranta voti della minoranza riformatrice, ispirata al cardinale Martini e contrapposta alla candidatura di Joseph Ratzinger. L’elezione di papa Francesco mette tra parentesi l’e-sperimento ideologico ratzingeriano, basato sulla salvaguardia ossessiva di identità , tradizione e sospetto nei confronti del riformismo conciliare.
Bergoglio non è un progressista, anzi negli anni Settanta fu in conflitto con i suoi confratelli più legati alla teologia della liberazione.
Ma è un moderato nel senso positivo del termine. Un uomo di equilibrio, sereno, che insiste sulla parola “cammino”, pronto — sembra — a favorire un’evoluzione della Chiesa.
“Sono emozionato, mi piace perchè è vero”, ha esclamato a caldo un fedele in piazza San Pietro.
Alla fine ha vinto quel cardinale che aveva predetto o auspicato: “Un papa extra-europeo, fuori dalle cordate di Curia, un uomo di centro, ragionevole e aperto, che non si chiuda in un monologo”.
Da qui si può ripartire.
Marco Politi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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