Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
“DA MESI DICE CHE SI VUOLE DIMETTERE, MA NON LO FA”…”LA BASE E’ IN SUBBUGLIO, LA PAROLA VA MANTENUTA”
Umberto Bossi usa parole dure contro il segretario della Lega e neo governatore della Lombardia.
Parlando con i giornalisti alla Camera, il senature afferma che “Maroni da sei mesi dice ‘mi dimetto'”, dopo l’elezione alla presidenza della regione, “poi, all’ultimo momento, si è accorto di avere il culo molto più largo, per poter stare su molte poltrone”.
Ma, osserva Bossi, “la Lega è in subbuglio, perchè è sempre stata abituata ad avere un segretario che mantiene la parola. Bisogna sempre mantenere la parola”.
“La strategia di Maroni è quella di non dare importanza a Roma e di darla solo al nord. Ma come fai se Roma un importanza la ha?”.
Il senatur ha parlato anche della legislatura: “Stando così le cose si andrà al voto molto presto. Mi sembra che possa durare poco, difficilmente arriverà a giugno”.
Sul governo possibile, Bossi è stato ancora più categorico: “Appoggiare un governo targato Pd sarebbe passare da traditori rispetto a Berlusconi”.
“Il Cavaliere ha fatto vincere Maroni in Lombardia – sottolinea Bossi – e allora come si fa” ad appoggiare un governo del Pd, visto che poi “siamo assieme anche in Veneto… Come si fa…”.
Detto questo, per Bossi “se un governo si mette in piedi poi non c’è più niente che lo butta giù…”.
“Se Berlusconi non è contrario, a fare un governo con il Pd, lo faccia lui… Non tocca a noi fare il primo passo”.
E sui processi a Berlusconi, il senatur non usa mezze parole: C’è un accanimento giudiziario nei sui confronti? a prima vista sembrerebbe di sì”.
Su Grillo, infine, il giudizio di Bossi è netto: “Grillo farà fatica a far entrare il suo schema in Parlamento: lui non vuole essere parlamentarizzato, ma alla fine sarà costretto a fare dei cambiamenti”.
(da “La Repubblica“)
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Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
FINISCE LO SCUDO PER COSENTINO, DE GREGORIO, TEDESCO … A RISCHIO ANCHE NESPOLI
Primo giorno di scuola per molti, ultimo giorno di libertà per alcuni. 
La prima seduta del nuovo Parlamento, con la curiosità per l’arrivo di moltissimi giovani volti nuovi, primi fra tutti gli oltre 160 eletti nelle liste del Movimento 5 Stelle, coincide anche con la fine dell’immunità parlamentare dei diversi deputati e senatori uscenti non rieletti che nel corso della passata legislatura erano stati colpiti da un ordine di custodia cautelare.
L’esaurirsi dello scudo offerto da Palazzo Madama e Moncetitorio ha portato all’immediata esecuzione di ben tre mandati di cattura.
Il primo a finire nella rete della giustizia è stato l’ex senatore Alberto Tedesco (gruppo Misto, ex Pd), rinviato a giudizio per associazione per delinquere, concussione, corruzione, falso e turbativa d’asta.
I carabinieri hanno eseguito due misure cautelari a carico dell’ex assessore alla sanità pugliese, notificandogli gli arresti domiciliari.
Poco dopo è stata la volta dell’ex sottosegretario all’Economia del Pdl, Nicola Cosentino, che anzichè essere prelevato ha preferito costituirsi, presentandosi al carcere di Secondigliano (Napoli) accompagnato dal suo difensore di fiducia, Stefano Montone.
Anche contro di lui gli ordini di arresto sono ben due: il primo emesso nel 2009 e il secondo nel 2011 per i reati di concorso esterno in associazione camorristica, reimpiego di capitali illeciti e corruzione.
Ha scelto di costituirsi anche Sergio De Gregorio.
L’ex senatore Pdl, al centro in questi giorni anche dell’inchiesta sulla compravendita di voti che coinvolge Silvio Berlusconi, si è presentato in tribunale a Roma, per poi essere trasferito nel suo appartameno ai Parioli.
Nel suo caso l’indagine alla base del provvedimento cautelare è quello che lo vede indagato sull’appropriazione indebita di 20 milioni di euro di finanziamenti al quotidiano L’Avanti!.
Ultime ore di liberà oggi anche per Vincenzo Nespoli (Pdl), sindaco in carica di Afragola (Napoli), accusato di bancarotta e riciclaggio: si tratta di due ordinanze agli arresti domiciliari, una delle quali è stata modificata ieri in obbligo di dimora nel comune di Afragola.
Per l’altro provvedimento, i suoi legali avrebbero presentato un’istanza urgente per la revoca o l’attenuazione della misura al Gip Paola Scadona
(da “La Repubblica“)
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Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
SU GOVERNO E QUIRINALE MARONI PRONTO A TUTTO PER SCONGIURARE LE URNE
Un blitz. Per conquistare la presidenza del Senato al ballottaggio con i voti non solo della Lega, ma anche quelli di Monti.
Incoronando Pietro Ichino oppure di nuovo Renato Schifani, ma probabilmente più il primo che il secondo, destinato a quanto pare a diventare capogruppo Pdl.
È questo il progetto del Popolo della libertà , intenzionato a sfruttare a proprio vantaggio lo stallo in cui sta navigando il Pd che, soprattutto al Senato, difficilmente si tradurrà in un accordo di maggioranza per eleggere un candidato condiviso.
Anche dai grillini.
Per studiare come raggiungere tecnicamente l’obiettivo, ieri è entrato in campo Roberto Calderoli dopo aver ricevuto da Roberto Maroni un’indicazione precisa: qualsiasi compromesso dovrà essere considerato utile pur di non tornare rapidamente al voto.
E se questo vorrà dire dover appoggiare anche un governo Pd, nessuno se ne dovrà fare un problema, casomai i mal di pancia potranno averlo al Nazareno, non certo in via Bellerio.
Di questo, Maroni ha parlato a lungo a Berlusconi durante la visita dell’altro giorno al San Raffaele, perchè gli obiettivi dei due leader al momento non coincidono affatto.
Il Cavaliere, è noto, preme per tornare alle urne il prima possibile e su questo sta pianificando la campagna elettorale già a partire dalle prossime settimane, con la manifestazione del 23 a piazza del Popolo a Roma.
Maroni, al contrario, ha visto dimezzarsi i voti della Lega e un ritorno alle urne ora, con la Lombardia ancora in bilico per la formazione del suo governo (peraltro, il leader del Carroccio non è stato ancora proclamato presidente) significherebbe veder evaporare anche quei pochi voti rimasti al nord.
Ecco perchè, avrebbe spiegato Maroni a Berlusconi, la priorità è far nascere comunque un governo, se serve anche con il Pd.
Ne è nata una discussione che ha convinto il Cavaliere ad appoggiare, almeno al momento, la strategia della Lega del “minor male”.
Perchè in fondo, ragionava ieri Denis Verdini in visita con una folta delegazione del partito al San Raffaele, se i voti della Lega dovessero essere fondamentali per la nascita del governo, “l’esecutivo resterebbe in qualche modo nelle nostre disponibilità ; saremmo sempre noi a decidere quando farlo cadere tornando a votare; Maroni in Lombardia governa con noi…”.
Ora, però, per Berlusconi è fondamentale giocare con grande attenzione la partita delle cariche istituzionali.
Puntare alla presidenza della Repubblica è l’obiettivo primario, ma conquistare quella del Senato solo per incapacità del Pd a stringere un accordo con Monti e con i grillini, in fondo è “quasi un gioco da ragazzi”.
I conti sono presto fatti.
Al ballottaggio, cioè dalla quarta votazione, viene eletto chi prende più voti.
Se i montiani vengono convinti a votare per un loro candidato, con l’appoggio del centrodestra, poi il Pdl avrà un ruolo prioritario nella partita del Quirinale e anche in quella del governo, rimettendo in gioco il partito.
Spiega un esponente di spicco del Pdl: “Al momento delle consultazioni, il mandato esplorativo viene dato dal Capo dello Stato prima al presidente del Senato, poi a quello della Camera, dunque noi avremo una sorta di diritto di prelazione sulla formazione del nuovo governo. E poi, al momento della trattativa per la presidenza della Repubblica, potremo contare sull’appoggio dei montiani sulla convergenza verso un candidato del centro-destra che garantisca Berlusconi come ha fatto Napolitano”. Ecco, appunto, Napolitano, in questi giorni molto teso non solo per la situazione generale, ma anche perchè la Cassazione ha bloccato la distruzione dei nastri sulla trattativa Stato-mafia che lo riguardano.
Un elemento più per convincere Berlusconi ad abbassare i toni dello scontro con la magistratura proprio per far vedere al Capo dello Stato la sua “vicinanza” di “vittima” vessata (in fondo proprio come lui) dalle procure.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
TUTTI I PASSAGGI RICHIESTI PER ELEGGERE I PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO
Con la prima convocazione di Camera e Senato, oggi si apre la diciassettesima legislatura. 
Come si comincia?
La Camera è convocata per le 10,30 di stamattina. All’ordine del giorno la costituzione dell’ufficio provvisorio di presidenza, la costituzione della Giunta delle elezioni provvisoria e la proclamazione dei deputati subentranti, e infine l’atto più importante, l’elezione del presidente. Per questo primo giorno l’assemblea è presieduta dal più anziano per elezione tra i vicepresidenti della legislatura precedente: in questo caso sarà il deputato del Pdl Antonio Leone. A Palazzo Madama i senatori sono convocati per le 11, con lo stesso ordine del giorno. A presiedere la seduta sarà il senatore a vita più anziano, Emilio Colombo.
Come si elegge il presidente della Camera?
Il presidente di Montecitorio si elegge a scrutinio segreto. Quale sia il «quorum» necessario lo spiega il regolamento interno: per essere eletti al primo scrutinio serve la maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea. Dal secondo scrutinio la maggioranza è sempre dei due terzi, computando tra i voti anche le schede bianche. Dopo il terzo è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti.
Come sono gli equilibri di voti a Montecitorio?
Alla Camera la coalizione che ha la maggioranza assoluta dei voti è quella guidata da Bersani, con circa 345 deputati. Sui 125 sono gli scranni della coalizione di centrodestra, 109 invece i deputati del Movimento 5 Stelle. 47 quelli dello schieramento che presentava come candidato premier Mario Monti. La coalizione di centrosinistra avrebbe i voti per eleggere, al terzo scrutinio, un nome di suo gradimento. Colloqui e incontri sono in corso però tra i gruppi per vedere se sia possibile arrivare a una figura condivisa.
Qual è il compito del presidente della Camera?
Si tratta di una figura al di sopra delle parti che, oltre a presiedere le sedute, dirigendo la discussione e dando la parola ai deputati, decide dell’ammissibilità dei progetti di legge, degli emendamenti, ordini del giorno, mozioni, interrogazioni e interpellanze. Cura l’organizzazione dei lavori convocando la conferenza dei capigruppo e nomina i componenti degli organi interni di garanzia istituzionale, la Giunta per il regolamento, la Giunta delle elezioni e la Giunta per le autorizzazioni.
Chi è stato il più giovane presidente della Camera?
Irene Pivetti, della Lega, eletta a 31 anni il 16 aprile 1994, presidente nella dodicesima legislatura. Rimase in carica fino all’8 maggio 1996.
Quante presidenti della Camera donne sono state elette?
Dal 1948 a oggi solo due: Nilde Iotti, dal ’79 all’83 e poi ancora dall’83 all’87 e dall’87 al 1992 (ottava, nona e decima legislatura), e, appunto, Irene Pivetti.
Come è composto l’Ufficio di presidenza della Camera?
Accanto al presidente, l’assemblea dovrà poi eleggere un Ufficio di presidenza, composto da quattro vicepresidenti, tre questori, almeno otto segretari (possono essere anche di più, per consentire la presenza nell’Ufficio di presidenza di tutti i gruppi parlamentari). All’Ufficio sono attribuite varie competenze, tra cui i ricorsi sulla costituzione dei gruppi parlamentari e la composizione delle Commissioni, la ripartizione dei rimborsi elettorali e la deliberazione del bilancio della Camera (da sottoporre all’approvazione dell’assemblea).
Come si elegge il presidente del Senato?
Anche al Senato lo scrutinio per l’elezione del presidente è segreto. Per essere eletti al primo scrutinio, serve la maggioranza assoluta dei voti dei componenti (160 voti, essendo i senatori eletti 315 più quattro senatori a vita). Se non si raggiunge questo numero nemmeno al secondo scrutinio, si rinvia al giorno successivo, e nella terza votazione basta la maggioranza assoluta dei presenti, contando anche le schede bianche. Se non si arriva all’elezione, si procede al ballottaggio tra i due candidati più votati nello scrutinio precedente. In caso di parità di voti è eletto o va al ballottaggio il più anziano d’età .
Come sono gli equilibri al Senato?
La situazione dei numeri è più complicata. La coalizione di centrodestra ha 117 voti sicuri, quella di centrosinistra circa 120. Il Movimento 5 Stelle ha portato 54 senatori, la Lista Monti 19, più Mario Monti stesso, che è senatore a vita. Nessuno ha la maggioranza assoluta che possa garantire un’elezione certa.
Qual è il compito del presidente del Senato?
Il presidente rappresenta il Senato e regola l’attività di tutti i suoi organi, spiega il regolamento interno. Dirige la discussione, mantiene l’ordine, giudica la ricevibilità dei testi, sovrintende alla funzioni attribuite ai questori e ai segretari. A lui si affianca il Consiglio di presidenza: 4 vicepresidenti, 3 questori e un numero di segretari che garantisca la rappresentanza di tutti i gruppi.
C’è mai stata una presidente donna?
No, la carica di presidente del Senato, seconda carica dello Stato, al pari della prima (presidente della Repubblica) non è mai stata ricoperta da una donna.
Francesca Schianchi
(da “La Stampa”)
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Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
I CINQUESTELLE FANNO MURO, IL PD GUADAGNA UN GIORNO DI TRATTATIVE CON LA SCHEDA BIANCA
Il Parlamento riapre in stato confusionale.
Nessuno ha idea di come potrà nascere il governo, condizione per non tornare alle urne.
Ma senza proiettare lo sguardo avanti (se ne occuperà Napolitano dalla prossima settimana), una fitta nebbia avvolge i passaggi più immediati, che consistono nella scelta dei presidenti di Camera e Senato.
Bersani sperava di intavolare con Grillo qualche forma di negoziato, concedendo per esempio lo scranno più alto di Montecitorio al M5S in cambio di un appoggio grillino al candidato Pd per Palazzo Madama (in pole position la Finocchiaro).
Ci contava perchè da cosa potrebbe nascere cosa, se il confronto decolla chissà dove può portare… Invece niente.
Da Grillo zero aperture, semmai qualche ulteriore provocazione. Come la sfida a tagliare gli stipendi dei parlamentari Pd, massimo 2500 euro netti al mese (più benefit) come hanno già fatto quelli a Cinque stelle.
Di trattare non se ne parla, tantomeno sulle poltrone.
Pare che ben cinque volte il telefono del capogruppo Crimi sia suonato, e per altrettante volte il vicesegretario Pd Letta si sia sentito rispondere che uno scambio sulle presidenze «sarebbe un suicidio».
A sera, Grillo ha messo sul suo blog un intervento del costituzionalista Becchi, il quale esorta a «non ascoltare le sirene Pd». piuttosto «meglio un salto nel buio».
Il guaio è che questo salto non viene gradito in Europa, dove condividono la nostra sorte.
Il tedesco Spiegel addita in Grillo «l’uomo più pericoloso» per l’Ue, tanto più dopo l’intervista al quotidiano Handelsblatt dove Beppe ha dichiarato «siamo già fuori dall’euro».
Pur con tutto il bene che può volergli in questo momento, Bersani è costretto a metterci un freno: «Andarlo a dichiarare proprio a un giornale tedesco, non è il massimo della trovata. Vuol dire che andiamo nel Mediterraneo con della carta straccia in tasca e un disastro di proporzioni cosmiche per questa fase».
Certe posizioni anti-euro, il Pd non le regge.
Se poi il Grillo non fa nemmeno lo sforzo di dialogare…
Ecco dunque come si annuncia la giornata odierna: le Camere si riuniscono già sapendo che le prime votazioni saranno un nulla di fatto. il M5S presenterà i propri candidati, scelti attraverso votazioni interne (Fico per Montecitorio, Orellana per Palazzo Madama); il Pd esprimerà scheda bianca in attesa che qualcosa maturi.
Dalle parti del Nazareno si sosteneva che, come gesto nobile e lungimirante, sarebbe stato bene concedere la presidenza della Camera al grillino, perfino senza nulla in cambio…
Però la prospettiva di rinunciare gratis allo scranno che fu di Fini provoca mugugni nel partito.
Franceschini (candidato numero uno per quella posizione) non si troverebbe d’accordo.
Renzi ha riunito i suoi in una logica che un tempo si sarebbe definita di corrente, mettendo sul chi vive Bersani.
Per farla breve: il cadeau della presidenza ai grillini non è ancora stato consegnato. Una riunione serale tra le delegazioni è stata disdetta. Per ricucire in teoria c’è tempo fino a stasera, in quanto domani di riffa o di raffa i due presidenti andranno per forza eletti.
Al Senato il regolamento prevede che, dopo la terza votazione, scatti il ballottaggio tra i candidati più votati.
Questo ballottaggio si terrà domani sera, e qualcuno mette in giro la voce che alla Camera andranno a rilento per vedere come finisce nell’altro ramo, e regolarsi di conseguenza.
L’unica buona notizia per le istituzioni repubblicane è che il Pdl non farà l’annunciato Aventino.
Decisivo nel far recedere Berlusconi è stato Napolitano, unitamente alla Lega che dà l’impressione di smarcarsi da Silvio, e addirittura potrebbe regalare qualche sorpresa nelle votazioni.
Si vocifera di contatti in corso tra montiani e Pdl, nella eventualità che il Prof possa diventare presidente del Senato e magari, tra un mese, della Repubblica.
In cambio Monti spinge perchè il centrodestra non venga tagliato fuori dai giochi (condizione per proporre se stesso come ago della bilancia).
Il Cavaliere scettico sta a guardare.
Per il momento ha dato ordine ai suoi di votare pure loro scheda bianca, poi a seconda della convenienza si vedrà .
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
INTESA TRA SODANO,BERTONE E DOLAN… CONTRO SCOLA I LOMBARDI… IL RUOLO DI MARTINO, PER 15 ANNI RAPPRESENTANTE VATICANO ALL’ONU
Nella messa «pro ecclesia» celebrata nella Cappella Sistina alla presenza dei 114 cardinali
elettori, al momento dello scambio della pace, papa Francesco abbraccia affettuoso il cardinale Giovanni Battista Re, che in Conclave ha fatto le veci di decano, e il segretario di Stato Tarcisio Bertone.
È il fermo-immagine di come sono andate le cose durante le votazioni ventiquattrore prima, sempre sotto la volta del Giudizio Universale, dipinta da Michelangelo.
Alla quinta votazione, rapidamente, si è arrivati a oltre 90 consensi su un collegio di 115 cardinali.
Il cardinale elettore irlandese Sean Brady l’ha detto chiaramente: «Sono rimasto sorpreso che il consenso tra i cardinali sia stato raggiunto così presto».
Così presto e così massicciamente.
Comunque, ben oltre la soglia dei 77 voti fissati dalla riforma di papa Benedetto XVI per dare maggiore coesione e unità alla scelta del Pontefice (corrispondente ai due terzi degli elettori).
Soglia superata la quale è scattato l’applauso per il nuovo Papa. È andata così. E la Chiesa e il mondo hanno avuto il loro papa Francesco, che dalle Americhe ripercorrerà al contrario le rotte della prima evangelizzazione del Nuovo Mondo. Questo almeno raccontano le voci di dentro e non solo, il giorno dopo il Conclave più social e condiviso che la storia ricordi.
Ma con quali accordi e schieramenti e pacchetti di voti di Grandi Elettori si è raggiunta la scelta del cardinal Bergoglio?
Sinteticamente e, necessariamente, un po’ brutalmente, il nuovo Papa è il frutto di un accordo tra il Decano del Sacro Collegio, anche se non elettore, cardinal Angelo Sodano, il cardinale Giovan Battista Re, la Curia dell’attuale segretario di Stato, Tarcisio Bertone (che aveva puntato su Odilo Scherer ma che dopo le critiche di Scherer al cardinale Re nelle Congregazioni generali ha dovuto «ritirare» il suo candidato), e cardinali statunitensi.
Il timbro degli americani sull’elezione, che ottengono un Papa delle Americhe, l’ha messo subito, due ore dopo l’apparizione del nuovo Papa dalla Loggia delle Benedizioni, il cardinale di New York Timothy Dolan.
«Siamo stati molto felici del risultato. Sono emozioni molto grandi», ha detto, e in un comunicato ufficiale ha parlato di «pietra miliare per la nostra chiesa».
Italiani uniti solo nell’escludere il cardinale di Milano Angelo Scola (persino i cardinali lombardi gli hanno votato contro).
Un ruolo di tessitore nei giorni scorsi l’ha svolto nelle Congregazioni generali il cardinale non elettore, Raffaele Martino, che per 15 anni è stato il rappresentante Vaticano all’Onu, conosce benissimo l’episcopato americano e come ex presidente del Pontificio Consilio Justitia et Pax è sempre stato molto presente su tutte le questioni sociali più calde.
Oppositore di Ratzinger e a favore di Bergoglio già nel Conclave del 2005.
Ma per la teologia cattolica non è lo Spirito Santo che sceglie il Papa?
Una volta, molti anni fa, lo chiesero all’allora cardinale Ratzinger, che di mestiere faceva il Prefetto per la dottrina della fede ed era il Guardiano dell’ortodossia.
Non rinunciando nel finale a una certa ironia, rispose così: «Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo (…), il suo ruolo dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico (…), probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata».
È la stessa ironia di papa Francesco.
Ai cardinali, dopo l’accettazione, ha detto: «Cari fratelli, che Dio vi perdoni».
M.Antonietta Calabrò
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Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
VECCHI RANCORI E IL LEGAME CON CL: COSI’ E’ MATURATA LA SVOLTA
Che per il super-favorito Scola le cose potessero complicarsi lo si era già visto martedì. Pochi istanti dopo l’extra omnes e la meditazione in Sistina, a sorpresa Bergoglio aveva ottenuto subito il maggior numero di voti.
Però al primo scrutinio i consensi erano troppo sparpagliati per delineare un quadro realmente indicativo.
Si trattava comunque di un campanello d’allarme per l’arcivescovo di Milano, accreditato di tali chance di vittoria che ieri, a pochi minuti dall’annuncio del protodiacono, uno sfortunato comunicato del segretario generale della Cei esprimeva «i sentimenti dell’intera Chiesa italiana nell’accogliere la notizia dell’elezione del cardinale Angelo Scola a Successore di Pietro».
A sbarrare a Scola la strada verso il Sacro Soglio è stata la confluenza di due cordate e di due ordini di valutazioni nettamente distinte: quella extraeuropea (e soprattutto sudamericana) intenzionata a portare per la prima volta il papato fuori dal Vecchio continente e quella curiale dei nemici-alleati Bertone e Sodano irriducibilmente ostili a Scola.
«Per antiche invidie e rivalità », commentano nelle Sacre Stanze.
A Bertone non è mai andato giù il consiglio di Scola al Papa in un incontro a Castel Gandolfo durante la bufera per la grazia al vescovo negazionista Williamson: la sua sostituzione alla guida della Segreteria di Stato.
Da parte sua, invece, Sodano si è trovato su opposte barriere rispetto a Scola in varie partite di potere per il controllo di istituzioni cattoliche.
Lo stesso Ruini, pur stimando Scola, non ha dato indicazioni di voto a suo favore ai conclavisti come l’australiano Pell che hanno chiesto di potergli fare visita prima del conclave.
Insomma, i 28 elettori italiani non hanno remato tutti nella stessa direzione e così hanno vanificato la possibilità di riportare un loro connazionale sul Soglio di Pietro 35 anni dopo Luciani.
Neppure tra gli arcivescovi residenziali italiani c’è stata totalità di consensi per Scola, al quale perciò non potevano più bastare i consensi di numerosi elettori europei.
Inoltre i conclavisti vicini alla comunità di Sant’Egidio (per esempio, Sepe) non vedevano di buon’occhio la vicinanza di Scola a un movimento distante dalla loro impostazione come Comunione e Liberazione.
Nelle ultime ore non erano mancati segnali che la candidatura fortissima di Scola fosse un gigante dai piedi d’argilla.
A parole tutti riconoscevano la sua eccezionale statura di vescovo e intellettuale, però poi, a scavare un po’ oltre le frasi di circostanza, affioravano distinguo e riserve.
E soprattutto prendeva sempre maggior campo quella suggestione per il “volo oltre oceano” che faceva vacillare l’opportunità di ripiegarsi su un pontificato italiano mentre la gran parte della sua crescita la Chiesa la sta sperimentando in Sud America, Africa, Asia.
«Non può esserci sempre il pastore a monte e il gregge a valle», sintetizzò un porporato africano in congregazione.
Inoltre poco prima dell’avvio del conclave, il sodaniano Lajolo aveva pubblicamente dato voce al fastidio della Curia per il protagonismo della pattuglia statunitense e pochi vi colsero il gradimento del partito del decano per uno stile più sobrio.
Proprio la cifra di basso profilo, l’etichetta rispettata da Bergoglio per l’intera durata della sede vacante.
Pochissima esposizione, uscite pubbliche ridotte al minimo e congregazioni generali vissute alla stregua degli altri peones del collegio cardinalizio malgrado nel 2005 avesse ottenuto nell’elezione pontificia più consensi di chiunque altro ad eccezione di Ratzinger. E Benedetto XVI non ha mai fatto mistero della sua considerazione per l’austero gesuita che ha «purificato» la Chiesa argentina dalle compromissioni con il regime militare.
Per Bergoglio ora come otto anni fa il luogo fatale è stata Santa Marta. Ma stavolta con risultato opposto.
Ciò che è accaduto ieri alle 13,30 nella Domus conta più dei primi scrutini senza esito nella Sistina.
Alle fumate nere, infatti, sono seguiti i conciliaboli domestici nella residenza degli elettori. Bertone e Re hanno parlato con Bergoglio garantendogli il loro sostegno.
Prima i conclavisti mangiavano e dormivano nella cappella affrescata da Michelangelo, dal 2005 rientrano (in navetta o a piedi) per i pasti e il pernottamento nell’albergo fatto ristrutturare da Giovanni Paolo II.
Durante i pranzi e le cene i cardinali discutono liberamente ed entrano in azione i pontieri che offrono una possibile conciliazione tra le diverse fazioni.
Otto anni fa, fu proprio nel refettorio di Santa Marta che la partita si chiuse a favore di Ratzinger. «Dall’ultima cena in poi, nella Chiesa le cose importanti vengono decise a tavola», spiega sorridendo un elettore di Ratzinger.
Nel conclave del 2005, dopo le prime tre votazioni, Bergoglio si rivolse ai commensali con un discorso destinato a cambiare immediatamente le sorti di quella elezione pontificia.
Chiese espressamente ai suoi quaranta sostenitori di smettere di votarlo.
Insomma davanti a un piatto di pasta al sugo o a un digestivo si è deciso anche stavolta chi si dovesse affacciarsi vestito di bianco dal balcone di San Pietro.
Le ore trascorse a Santa Marta, tra salottini, confessionali e cappella interna, hanno offerto occasioni per concordare informalmente l’uscita di scena dei candidati con minori consensi, a tutto vantaggio del papabile che nei primi tre scrutini avevano ottenuto più voti.
Abboccamenti in extremis che, nello stallo delle votazioni, sono risultati determinanti.
I dubbi sono diventati scomposizione di cordate e l’appannamento della stella di Scola si è tramutato nella polarizzazione attorno al mite Bergoglio.
Giacomo Galeazzi
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Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
NELLE INTERCETTAZIONI POLLINA E LUPINACCI DISCUTONO DI UN INCONTRO CON MUSSARI: “VERRAI A PRENDERTI LA BENEDIZIONE”
Nella primavera del 2009 Silvio Berlusconi organizzò riunioni ad Arcore per designare i
membri del Consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi in quota Pdl.
E almeno in un’occasione a quegli incontri partecipò il faccendiere Luigi Bisignani che sponsorizzava un avvocato suo amico.
Si tratta di Sergio Lupinacci, già comparso nelle inchieste sulla cosiddetta P4 e sugli appalti per i «Grandi Eventi» per «i suoi rapporti di conoscenza e di cointeressenza con numerosi personaggi di spicco dell’ambiente politico, istituzionale, economico e religioso», come viene sottolineato in un’informativa dalla Guardia di Finanza.
Sono le telefonate intercettate dai magistrati di Napoli nell’ambito di un’inchiesta su alcuni affari che coinvolgevano esponenti della criminalità organizzata con imprenditori locali a rivelare che cosa accadde pochi mesi dopo l’acquisizione di Antonveneta da parte della banca senese.
La spartizione politica potrebbe aver pesato sulle decisioni dei vertici finiti sotto inchiesta per le spericolate operazioni finanziarie e speculative che hanno causato una voragine nei conti dell’istituto di credito e per questo è stata disposta la trasmissione dell’informativa della Guardia di Finanza ai colleghi toscani.
Il sottosegretario e la suora
I contatti tra Lupinacci e i suoi sponsor diventano frenetici agli inizi di maggio, quando viene accreditata la possibilità che i membri del Cda di Mps passino da dieci a dodici.
Così gli investigatori della Finanza ricostruiscono quanto emerge dalle sue telefonate: «Per l’ottenimento della nomina Lupinacci aveva interessato Angelo Pollina, parlamentare di Forza Italia, e Deborah Bergamini, anche lei eletta nello stesso partito, in qualità di interlocutori politici. Quest’ultima in particolare avrebbe dovuto interessare direttamente, su consiglio di Pollina, il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta; il professor Pellegrino Capaldo, banchiere economista e politico italiano, definito dallo stesso Lupinacci «il riferimento tecnico»; Madre Tekla, badessa generale dell’Ordine del SS. Salvatore di santa Brigida con sede a Roma, in piazza Farnese, affinchè con una lettera intercedesse presso il senatore Giulio Andreotti».
Lupinacci non ottiene l’incarico, perchè alla fine il numero dei componenti rimane immutato.
È la stessa suora a comunicare l’esito negativo leggendo a Lupinacci «una lettera di Letta al “Presidente” Andreotti nella quale pur manifestando apprezzamento per la sua figura» spiega che non ci sarà un aumento dei consiglieri.
Subito dopo l’avvocato viene proposto dai suoi stessi referenti per una nomina in un’altra banca controllata da Mps. E quanto accade in quel periodo svela, secondo l’accusa, il «sistema» utilizzato per le designazioni.
L’incontro con Mussari
In una telefonata intercettata l’8 maggio 2009 Pollina e Lupinacci discutono di un incontro che avranno quattro giorni dopo con Giuseppe Mussari, all’epoca presidente di Mps: «Verrai a prenderti la benedizione».
E dopo l’appuntamento è proprio Lupinacci a riferire a Bergamini quanto accaduto.
Annotano i finanzieri: «Ha detto: io ho un debito morale con Bergamini e Pollina. Ha preso l’impegno formalmente, ha detto oggi non voglio fare le nomine perchè sennò assumono una veste politica… Siccome io non ho niente a che fare con la politica, sono il presidente della banca, voglio fare le nomine che siano utili alla banca non utili alla politica… Mi stanno arrivando decine di curricula».
Poco dopo è Pollina a riferire alla Bergamini la «promessa» che gli avrebbe fatto Mussari: «Ha detto che per loro sono il suo uomo che andrà alla Fondazione, ha fatto un passaggio anche su Verdini che noi non possiamo escluderlo nel momento della Fondazione».
Tremonti e Unicredit
Il presidente alla fine segue evidentemente le indicazioni della politica, che arrivano direttamente dai vertici del Pdl.
Scrivono gli investigatori della Finanza nell’informativa: «Dal contenuto delle conversazioni intercettate emergono due elementi importanti. Il primo riguarda l’interessamento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi alla definizione dei membri del Cda».
In una telefonata viene spiegato esplicitamente che «stasera si decide tutto a Milano dove si trova il presidente del Consiglio».
«A tal proposito – è scritto nell’informativa – Deborah Bergamini avrebbe dovuto consegnare al Presidente Berlusconi (ad Arcore) il curriculum di Lupinacci che invece non si sarebbe trovato quando Bisignani si recò ad Arcore per proporlo per quella carica».
Ma l’ascolto dei colloqui rivela anche «il disinteresse in merito da parte del ministro dell’Economia Giulio Tremonti».
È Pollina, parlando con Lupinacci l’8 maggio 2009, a riferirgli quanto gli avrebbe raccontato Mussari nei giorni precedenti.
Il contenuto della conversazione è riportato nel brogliaccio di quel giorno.
Annotano i finanzieri: «Pollina precisa che il presidente del Monte dei Paschi gli ha riferito cose estremamente importanti, tra l’altro affermando che “il ministro Tremonti su Siena non ha messo bocca perchè lui si è preso Unicredit”».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 15th, 2013 Riccardo Fucile
RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO PER 67 PERSONE E 2 SOCIETA’, IPOTIZZATI I REATI DI BANCAROTTA E TRUFFA…CONCESSI FINANZIAMENTI E PRESTITI SENZA GARANZIA ANCHE AL SENATORE PDL
Il pm di Firenze hanno chiesto il rinvio a giudizio per il coordinatore del Pdl Denis Verdini e per Marcello dell’Utri per il procedimento sulla gestione della Banca Credito Cooperativo Fiorentino.
Le richieste di rinvio a giudizio riguardano 67 persone e due società . Fra i reati ipotizzati nell’inchiesta, la bancarotta e la truffa.
Secondo le indagini preliminari, chiuse nell’ottobre 2011, finanziamenti e crediti milionari sarebbero stati concessi senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie.
Soldi che, per la Procura di Firenze venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”.
Come il fratello Ettore, la nipote Serena, il presidente della Serravalle e avvocato fiorentino Marzio Agnoloni.
A guidare il tutto, secondo l’accusa sostenuta dai sostituti procuratori Giuseppina Mione, Luca Turco e Giulio Monferini, c’era lui, Verdini: il politico-banchiere “dirigeva e organizzava l’associazione” mentre Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei “ideavano e realizzavano le strategie societarie e bancarie finalizzate ad ottenere l’erogazione del denaro da parte del Credito cooperativo fiorentino”.
In totale, secondo la magistratura il volume d’affari, ricostruito dai carabinieri dei Ros di Firenze, sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal Cda del Credito i cui membri, secondo la notifica della chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”.
In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”.
In alcuni casi poi provvedeva “in favore di se stesso e della coniuge Simonetta Fossombroni”, anche lei raggiunta dall’avviso di garanzia.
A dare il via a questa nuova indagine, la relazione dei commissari di Bankitalia che in 1.500 pagine, allegati compresi, avevano riassunto lo stato di salute della banca di Verdini.
E le anomalie riscontrate.
Dell’Utri in particolare sarebbe riuscito a ottenere, nonostante una situazione di “sofferenza” bancaria, un affidamento nella forma dello scoperto bancario di 250mila euro, diventati in appena 7 mesi ben 2.800.000, per poi lievitare a 3.200.000.
Questo, per l’accusa, era avvenuto senza garanzie.
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