Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
A 24 ORE DALLA DECADENZA DI BERLUSCONI I COMPONENTI DI GOVERNO FEDELI AL CAVALIERE SONO ANCORA ALL’INTERNO DELL’ESECUTIVO…C’E’ CHI LASCERA’ (SANTELLI E MICCICHE’) E CHI RINUNCIA ALL’INCARICO NEL PARTITO. GLI ALTRI? NON SI SA
Forza Italia è ancora al governo, a due giorni dallo strappo di Silvio Berlusconi e all’indomani della
decadenza del Cavaliere da senatore.
I ministri, come si sa, sono tutti con il vicepresidente Angelino Alfano.
Ma cosa fanno ancora lì viceministri e sottosegretari?
Qualcuno ha già deciso: la sottosegretaria al Lavoro Jole Santelli ha già dato le dimissioni: “Le ho consegnate a Berlusconi e al partito, al fine di consentire che siano loro a scegliere il momento opportuno che la delegazione di sottosegretari di Forza Italia le rassegni inviandole alla sede istituzionalmente corretta”.
Scelta opposta quella di Rocco Girlanda, sottosegretario ai Trasporti che ha scelto di restare nella squadra di governo e di abbandonare l’incarico di coordinatore regionale in Umbria di Forza Italia.
Insomma: se da una parte i berlusconiani fedelissimi accusano gli ex colleghi di partito di aver fatto una scissione solo per rimanere attaccati alle poltrone, ora la critica viene respinta al mittente.
“Cugini, chi sono i poltronisti?” si chiede Roberto Formigoni su Twitter. ”Fino a due ore fa — segnalava lo stesso Alfano in una conferenza stampa della mattinata — mi risulta che nessuno dei vice ministri e sottosegretari, ma neanche nessuno dei presidenti di commissione ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico”.
E infine lo stesso capo del governo Enrico Letta invitava a trarre “le conseguenze”. La delegazione di Forza Italia è al Quirinale e probabilmente qualche risposta arriverà da lì.
Ma ad oggi quelle di Santelli e Girlanda sono le uniche posizioni definite. In scia di Girlanda c’è Cosimo Ferri, ex segretario di Magistratura Indipendente e sottosegretario alla Giustizia: “Sono un tecnico”. Quindi, niente dimissioni. Gianfranco Miccichè, eletto con Grande Sud e sottosegretario alla Pubblica Amministrazione ha detto stasera che si dimetterà . Nessune notizie da Walter Ferrazza, aderente al Mir di Gianpiero Samorì e sottosegretario agli Affari regionali, e Bruno Archi, viceministro agli Esteri.
Ma non ci sono solo i componenti dell’esecutivo.
I posti di presidente di commissione fanno certo gola. Alcuni, come quelli della Affari Costituzionali e della Finanze della Camera occupati rispettivamente da Francesco Paolo Sisto e Daniele Capezzone sono anche di un certo peso.
A farsi sotto — per gli uni e per gli altri incarichi — è stata subito Scelta civica, con il senatore Gianluca Susta che fuori dai denti ha spiegato: “Se ci fossero posti che si rendono liberi è giusto che anche una nostra rappresentanza venga presa in considerazione”.
Tra le altre commissioni guidate da Forza Italia ci sono al Senato la Lavori pubblici (Altero Matteoli) e la Giustizia (Francesco Nitto Palma) e alla Camera la Difesa (Elio Vito) e la Cultura (Giancarlo Galan).
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
SONO 115 I RISCONTRI A CARICO DEL GOVERNATORE DEL PIEMONTE NELL’INCHIESTA SUI RIMBORSI REGIONALI GONFIATI
Piccole spese politiche del governatore del Piemonte.
Spremuta e Pall Mall azzurre. Tre coperti da Celestina, ai Parioli di Roma, il 14 aprile 2011. Sei coperti al ristorante al Duello, lo stesso giorno, ancora Roma. Quattro chili di pasticceria per 126 euro a Torino. Cynar, grappa e coppa mista di gelato, una domenica notte. Due degustazioni di tartufi da Eataly. Quattro pacchi di Pall Mall azzurre. Un libro antico da 200 euro. Un regalo di nozze da 380 euro «per rappresentanza», all’assessore Michele Coppola. Poi cravatte, argenteria, un caricabatterie. Deodorante, spazzolino, Marlboro da 20. Una cornice. Una valigia. Un dvd. Cipster, taralli, M&M’s, arachidi. Quattro coperti al Legal Sea Food di Boston, 110 euro alla taverna Antico Agnello di Novara. Ventidue coperti da Celestina ai Parioli, con cinque ricevute diverse nello stesso giorno.
E poi, il 20 aprile 2011: nove pasti con tre scontrini, fra Roma, Torino e un bar dell’aeroporto. Totale: 25.410 euro non giustificabili.
La storia è tutta qui.
Il governatore Roberto Cota è furibondo, grida al complotto. Vuole denunciare i giornali per la fuga di notizie. Era già indignato per il fatto di essere stato iscritto nel registro degli indagati.
Ma forse proprio durante il suo secondo interrogatorio, quello accompagnato da un avvocato, ha commesso l’errore più grave.
Nel verbale del 16 aprile, davanti al procuratore capo Gian Carlo Caselli, afferma: «Mi viene chiesto se le ricevute in contestazione siano tutte mie ed io dichiaro che nella stragrande maggioranza erano ricevute mie. Io davo gli scontrini alla mia segretaria. Lei confrontava tali scontrini con la mia agenda e scartava le spese che non avevano a che fare con la mia attività politica. Quando dico che non tutti gli scontrini potrebbero essere miei, non dichiaro che ho presentato scontrini di altri, ma solo che nel costo indicato vi sono compresi i costi sostenuti da me a vantaggio di altri, collaboratori o personale della scorta».
Ecco lo snodo. Tutte spese fatte dal governatore, tutte spese legate alla sua attività politica.
Il nucleo della polizia tributaria della Guardia di Finanza – il gruppo per la tutela della spesa pubblica – si è messo al lavoro per verificare questa duplice affermazione.
Siamo a maggio. Mette a confronto i tabulati telefonici delle due utenze intestate al governatore e gli scontrini.
Cerca, cioè, un riscontro oggettivo per ogni singola spesa: luoghi, orari, presenza di Cota.
Ed ecco le conclusioni a cui arriva, nell’annotazione consegnata in procura l’11 luglio 2012: «Su un totale di 592 report, in 115 casi non vi è corrispondenza fra quanto segnalato dalla cella relativa, alternativamente, alle utenze 335/…. e 348/…, e l’unificazione dell’esercizio commerciale indicato sulle fatture e ricevute consuntive del consigliere Cota….».
In 115 casi Cota non era lì dove si è registrata la spesa per cui ha chiesto il rimborso. Di più. «Dall’incrocio dei dati a disposizione, è stato possibile rilevare alcuni elementi di discordanza fra quanto asserito da Cota in sede di memoria difensiva e i dati emersi dall’analisi del traffico telefonico».
I telefoni smentiscono le parole stesse del governatore.
Gli investigatori della Guardia di Finanza evidenziano quattro casi.
In data 11 giugno 2011 la cella telefonica segnala per tutto il giorno Cota in diverse località della Lombardia: «Mentre il politico presenta a rimborso la ricevuta fiscale emessa dal ristorante “Queendici” di Torino, per l’importo di 282,40 euro». Così come il 18 giugno, il 7 luglio e il 9 ottobre: il governatore chiede rimborsi per ristoranti dove lui non c’era, pur avendo affermato di esserci. Un doppio scarto. Un doppio sprofondo.
Cota chiama in causa la sua segretaria: «Dichiaro che poi alle volte non ho chiesto io il rimborso di costi da me sostenuti, ma è stata la mia segretaria ad attingere denaro del gruppo per fare gli acquisti per me».
La segretaria del Governatore si chiama Michela Carossa. È la figlia del consigliere regionale della Lega Nord Mario Carossa, un nome che insieme ad altri, all’inizio della legislatura, aveva alimentato lo scandalo politico alla voce «parentopoli».
Eccola segretaria a verbale: «Il presidente Cota, a scadenze temporali variabili, mi consegnava una cartellina contenente tutta la documentazione fiscale relativa a tutte le sue spese, senza distinzione. Aprivo la prima cartellina e facevo una prima cernita, peraltro sollecitata dallo stesso presidente». Qualcosa non ha funzionato.
Tutto adesso stride con quanto Roberto Cota aveva dichiarato l’11 gennaio 2013 ai magistrati, sentito in qualità di testimone: «Nella mia vita non ho mai inteso la politica come strumento di arricchimento. Potete guardare la mia situazione patrimoniale ed estratti conto che sono perennemente in rosso. Tengo molto al vostro giudizio perchè fare il presidente della Regione con un’ombra non è, a mio avviso, concepibile».
Ombre sul governo della Regione Piemonte.
Le 13 mila pagine dell’inchiesta non raccontano altro. Parlano di quasi 1 milione e 800 mila euro di denaro pubblico speso illecitamente. Un elenco di piccoli capitoli personali. Non solo ristoranti, viaggi, alberghi, cibo e chilometri gonfiati per ottenere più rimborsi.
Ci sono i libri scolastici e le ricariche telefoniche alla figlia del consigliere Antonello Angeleri. 4 mila euro per il Telepass del leghista De Magistris. Fiori, giochi, cd, il noleggio di un traghetto e i «complementi d’arredo» dell’assessore Massimo Giordano.
Il servizio catering con gelato per la festa della Lega Nord a Moriglione, chiesto e ottenuto dal consigliere Federico Gregorio. I 344 euro in gioielleria, più la macchina fotografica e il televisiore Lcd dell’assessore Elena Maccanti.
Ancora giocattoli e stampe antiche per Michele Marinello. Le ricariche telefoniche, che il consigliere Paolo Tiramani assicurava alla moglie.
E ancora: la manutenzione dell’auto di famiglia. Saranno anche piccole spese, ma fanno una certa impressione se messe a confronto con la busta paga dei diretti interessati.
Per dire, il consigliere Franco Maria Botta di Fratelli d’Italia, quello dei 41 mila euro di ristoranti, dei 12 mila euro in vestiti da Olympic e 2 mila euro in profumeria, quello che ha scatenato la rissa di ieri in consiglio regionale, per il suo incarico politico nel solo mese di giugno 2010 ha ricevuto 10.861 euro netti di stipendio.
Maurizio Tropeano
(da “la Stampa”)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DE “IL GIORNALE” SI SCAGLIA CONTRO L’EX PRESDIENTE DEL SENATO, DEFINITO “IL PIU’ INFIDO DEI TRADITORI”… SCHIFANI: “DIFFAMATORE, TI QUERELO”
Nonostante gli annunci di pace all’indomani della scissione del Pdl, continuano le bordate tra Forza Italia e
Nuovo Centrodestra.
L’ultimo attacco arriva da Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi: oggetto nella nuova offensiva dei “falchi” è Renato Schifani, accusato di avere fatto una “ipocrita difesa” del Cavaliere in occasione della sua decadenza da senatore.
E ancora, il giornalista apostrofa l’ex presidente del Senato con il termine di “uomo d’onore”.
Un appellativo che fa andare su tutte le furie l’interessato, che annuncia querela per diffamazione.
Ormai la “separazione consensuale” del Popolo della Libertà , la “scissione morbida” è solo un lontano ricordo.
Al Consiglio nazionale che aveva sancito la fine del movimento, Silvio Berlusconi aveva parlato del transfugo Angelino Alfano come di “un figlio”, mentre la platea gli dava del traditore.
Da parte sua, il vicepremier aveva riconosciuto il ruolo di padre politico che il Cavaliere aveva ricoperto nei suoi confronti. Ma, nonostante questo commovente quadretto familiare, gli scontri tra le due anime del centrodestra sono proseguiti, senza soluzione di continuità , prima e dopo la scissione.
Lo stesso Sallusti si era già scagliato contro Fabrizio Cicchitto, cui aveva dato del “vigliacco” durante la trasmissione Ballarò, venendo poi apostrofato come “picchiatore” e “stalinista”.
Ora, l’ennesimo affondo contro gli alfaniani è lanciato direttamente dalle colonne de Il Giornale.
Sallusti fa l’elenco dei “piccoli uomini” protagonisti della decadenza di Berlusconi: il “coniglio” Giorgio Napolitano, il “suo servitore” Pietro Grasso e poi lui, “il più infido tra i traditori di Forza Italia”.
”Nei suoi mielosi interventi dentro e fuori l’aula”, scrive il direttore, Schifani “ha detto di sentire un dovere morale. Dichiarazione fuorviante perchè potrebbe fare credere ai più distratti che lui sappia che cosa sia la morale”. E poi, l’affondo finale: “Meglio avrebbe fatto a dire: faccio così perchè sono ‘uomo d’onore’”.
Non si fa attendere la replica dell’interessato.
“Ritengo gravemente diffamatorie le frasi che mi riguardano contenute nell’articolo di Alessandro Sallusti”, ha fatto sapere in un comunicato Renato Schifani.
“Per tale ragione, ho dato mandato ai miei legali di presentare, per mio conto, querela presso l’autorità giudiziaria competente”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
“COSI’ IL PRESIDENTE PUO’ LAVORARE PER L’ITALIA”
“Io, Antonio Razzi, sono disposto ad andare in carcere al posto di Berlusconi, a fare il cambio con lui, tanto ormai in galera si dice che c’è anche la televisione. Così il presidente può lavorare per il bene dell’Italia. Ci andrei volentieri”.
E’ l’appello singolare lanciato dal senatore di Forza Italia, Antonio Razzi, ai microfoni di “Un giorno da pecora”, su Radio Due.
Il parlamentare esordisce manifestando il suo apprezzamento per l’imitazione di Maurizio Crozza e raccontando il suo ultimo incontro con Berlusconi: “Con tanto umore ed allegria ci ha detto: ‘Se vado a San Vittore, spero che mi verrete a trovare’. E io gli ho risposto: ‘Ci mancherebbe altro’“.
Tra le risatine in sottofondo di Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Razzi si rende protagonista di un serrato botta e risposta coi conduttori Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro.
E, prima di congedarsi per un importante incontro in Abruzzo con l’ambasciatore del Vietnam, si esprime sul porcellum: “Sono sicuro che nessuno lo vuole cambiare. E’ inutile che dicono cazzate“
Gisella Ruccia
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
FORMIGONI HA BUON GIOCO: “ECCO CHI SONO I VERI POLTRONISTI”
All’indomani della decadenza di Silvio Berlusconi, e la conseguente andata all’opposizione di Forza Italia,
sorgeva il dilemma: dove andranno i suoi che ancora hanno ruoli di responsabilità nell’esecutivo Letta?
Per ora sembrano restare al loro posto.
I SEI – Sono sei i berlusconiani doc con incarichi di governo: si tratta del viceministro agli Esteri Bruno Archi; i sottosegretari al Lavoro, Jole Santelli, e alle Infrastrutture Rocco Girlanda ; alla Pubblica amministrazione, Gianfranco Miccichè (eletto con Grande Sud, rimasto con Berlusconi); agli Affari regionali, Walter Ferrazza (aderente al Mir, anch’esso vicino al Cavaliereì). Oltre a Cosimo Ferri, il tecnico di area centrodestra, Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia.
FORMIGONI: «POLTRONISTI» – Se Santelli e Miccichè hanno annunciato di aver consegnato la lettera di dimissioni al partito e di aspettare che sia il Cavaliere a decidere il momento del loro abbandono, dagli altri silenzio.
Come conferma Angelino Alfano “Ho avuto una riunione a palazzo Chigi e nessuno dei sottosegretari di Forza Italia si è dimesso, nè tanto meno i presidenti di commissione di Camera e Senato di Forza Italia».
Mentre l’ex Formigoni attacca: «Ecco chi sono i veri poltronisti»,
Romani, capogruppo di Fi al Senato, annuncia imbarazzato : «Penso si dimetteranno in serata». Il caso è aperto.
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
IN QUELLI CHE HANNO AUMENTATO LE ALIQUOTE LA META’ DELL’EXTRAGETTITO DOVRA’ ESSERE PAGATO DAI CONTRIBUENTI… ECCO CHI SONO E QUANTO SI DOVRA’ PAGARE
Una mini-stangata da 42 euro in arrivo di rientro dalle festività natalizie per i residenti in Comuni che nel 2013 hanno deciso aumenti di aliquote Imu.
Potrebbe essere questo l’esito della decisione del governo di far ricadere sui contribuenti il pagamento del 50% di quelle risorse aggiuntive, con saldo previsto il prossimo 16 gennaio.
Nonostante lo stop alla seconda rata dell’Imposta sulla casa, infatti, allo stato attuale non ci sono coperture sufficienti per garantire anche quel “pezzetto” di gettito in più che gli enti locali si volevano garantire alzando le aliquote sulla prima casa rispetto al livello standard del 4 per mille.
Ad oggi, si tratta di 873 Comuni e tra questi ci sono 11 città capoluogo.
Ma la platea potrebbe ampliarsi, visto che la scadenza per fissare i livelli d’imposizione a valere sul bilancio di previsione 2013 è il 9 dicembre.
I conti nelle principali città .
Gli esempi principali sono presto detti: a Milano l’aliquota è passata dal 4 al 6 per mille; a Bologna dal 4 al 5 per mille; a Napoli dal 5 al 6 per mille; a Genova dal 5 al 5,8 per mille; ad Ancona dal 5,5 al 6 per mille; a Verona dal 4 al 5 per mille.
E così, secondo i calcoli della UIL – Servizio Politiche Territoriali il conto a Milano è di 73 euro medi, a fronte dei 292 euro medi pagati lo scorso anno.
Un netto miglioramento, come ha sottolineato il viceministro dell’Economia, Luigi Casero, che ha detto: “Ieri abbiamo mantenuto le promesse con i cittadini italiani, rimanendo all’interno dei vincoli di finanza pubblica”. Ma non un’abolizione completa.
A Bologna si parla di 40 euro medi a fronte dei 321 euro dello scorso anno; a Napoli 38 euro a fronte di 379 euro di sconto; a Genova 31 euro a fronte di 372 euro del 2012; ad Ancona di 21 euro medi a fronte dei 341 euro dello scorso anno; a Verona 35 euro a fronte dei 281 euro dello scorso anno.
Si tratta dell’elenco dei contribuenti, 3 milioni e 400mila prime case, che si aggiungono ai 44.785 possessori di una prima casa di lusso (rientrante cioè nelle categorie A/1, A/8 e A/9), i quali già da previsioni dovranno versare il saldo il 16 dicembre.
Il caso di Milano.
Il problema è ben rappresentato dalla situazione di Milano, dove la giunta Pisapia ha deliberato un incremento dallo 0,4 allo 0,6% dell’aliquota sulle abitazioni principali. Per il bilancio del capoluogo lombardo significa un’entrata maggiore per 110 milioni. Dividendo semplicemente per due questo carico, tra la quota coperta dallo Stato e quella che resta sulle spalle dei cittadini, i milanesi dovranno quindi saldare circa 55 milioni a metà gennaio.
Venendo all’esempio pratico, su un’abitazione da 90mila euro di valore catastale risulta da coprire lo 0,2% che Milano ha aggiunto all’aliquota base: 180 euro, 90 dei quali dovrebbero ricadere sulle spalle del cittadino.
La situazione diventa paradossale se si considera che nel 2012, sfruttando le detrazioni fino a 200 euro e quelle da 50 euro per figlio, le case di minor valore catastale pagarono poco o nulla di Imu e ora si troverebbero a versare una cifra maggiore, con effetti di impatto tutt’altro che progressivi.
Il tutto in attesa dei prossimi chiarimenti, che potrebbero ad esempio modificare il quadro ripartendo l’onere su tutti i Comuni e non solo su quelli che hanno previsto un extra-gettito.
Ha comunque buon gioco il presidente dell’Anci, Piero Fassino, a chiedere che “il Governo faccia rapidamente chiarezza e onori gli impegni assunti con i contribuenti e i Comuni italiani. I sindaci hanno dimostrato ampiamente responsabilità e spirito propositivo, ma non si può abusare della loro pazienza e tanto meno si può abusare della pazienza dei cittadini”.
(da “La Repubblica“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
IL LEADER DI FORZA ITALIA POTREBBE ESSERE ELETTO AL PARLAMENTO EUROPEO SE A CANDIDARLO FOSSE UN ALTRO PAESE IN CUI NON ESISTE UNA NORMA SULL’INCANDIDABILITA’ DEI CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA… MA RIMANE ANCHE IL RISCHIO DI ESSERE ARRESTATO
Un seggio in Europa per il Cavaliere? La possibilità che Silvio Berlusconi possa essere eletto al Parlamento
europeo è remotissima, anche perchè a candidarlo dovrebbe essere un altro paese, in cui non esiste una norma sulla incandidabilità dei condannati in via definitiva.
Ma in teoria questa possibilità c’è.
Come c’è quella che l’ex premier possa essere oggetto di misura cautelare, per esempio gli arresti domiciliari
Anche perchè se la maggior parte dei procedimenti in corso ma non conclusi — da Bari e Napoli in primis — sono per così dire cristallizzati, in arrivo c’è l’inchiesta Ruby ter.
Indagine ancora non aperta, ma pericolosissima per Berlusconi: che il reato contestato sia “intralcio alla giustizia”, “induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria” oppure “corruzione in atti giudiziari” o ancora “subornazione di testimoni” per il pagamento dei testi dei processi Ruby e Ruby bis in teoria un giudice potrebbe valutare che l’ex premier sia in grado di inquinare le prove, di reiterare il reato e in considerazione del suo reddito (nonchè amicizie) fuggire.
La legge blocca la candidatura anche nelle circoscrizioni.
Dalle 17,43 di ieri, 27 novembre, il leader di Forza Italia è senza lo scudo dell’immunità parlamentare.
La legge Severino non gli lascia spazi in Italia: non solo Berlusconi è decaduto dal suo scranno di senatore “immediatamente, con il voto del Parlamento”, come spiega il professore Carlo Federico Grosso, docente di diritto penale e avvocato; ma, “a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza Mediaset, è incandidabile per sei anni”.
Una tagliola che gli preclude tutto (Parlamento, governo, cariche nelle regioni e nei comuni): “Non potrà nemmeno fare il consigliere circoscrizionale”, sintetizza il professore.
E non può sperare nemmeno in una candidatura in Italia all’assemblea della Ue.
Ma il discorso cambierebbe se fosse un altro Stato a offrirgli un posto in lista: “Penso che possa essere candidato al Parlamento europeo da un altro Paese, che non abbia una norma sull’incandidabilità come quella italiana”.
Infatti l’articolo 4 della legge prevede l’incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, ma non in un altro paese: “Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di membro del Parlamento europeo spettante all’Italia coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità ”.
Che un italiano, anche se il caso non è neanche lontanamente paragonabile all’affaire Berlusconi, fosse candidato alle europee su mandato di un altro paese è già successo nel 2009: Giulietto Chiesa, incensurato, fu candidato in Estonia per il partito a difesa della minoranza russa.
L’istanza di revisione non incide su decadenza e incompatibilità .
La sola richiesta di revisione del processo Mediaset, la cui condanna definitiva ha fatto scattare la legge Severino, non basterebbe invece a salvare il Cavaliere: “Non cambierebbe nulla su decadenza e incompatibilità ”.
Lo scenario sarebbe un altro, solo se venisse accolta “ma nella stragrande maggioranza dei casi le Corti d’appello dichiarano inammissibili le istanze di revisione, che devono basarsi su fatti nuovi non considerati nei precedenti gradi di giudizio e decisivi a ribaltare la sentenza”.
E se soprattutto alla fine la condanna fosse effettivamente sostituita da un’assoluzione definitiva. “Se tutto questo avvenisse nel corso di questa legislatura Berlusconi dovrebbe verosimilmente riottenere il suo scranno di senatore”, sostiene Grosso.
Ma bisogna ricorda che i legali, Franco Coppi e Niccolò Ghedini, l’istanza la stanno ancora valutando e hanno spiegato che ci vorranno mesi per essere pronti a depositare la documentazione.
Sarà il magistrato di sorveglianza a decidere se potrà continuare l’attività politica.
Fuori dal Parlamento Berlusconi potrebbe continuare a fare comunque attività politica, ma tutto dipenderà dalle decisioni del magistrato di sorveglianza sulla sua richiesta di scontare la pena del processo Mediaset con l’affidamento in prova ai servizi sociali.
Nel caso di un sì — una decisione piuttosto probabile — “sicuramente Berlusconi potrebbe fare attività politica in senso lato, nei limiti consentiti dalle prescrizioni dell’autorità giudiziaria, che ha comunque un’ampia discrezionalità nello stabilire gli obblighi di chi è affidato ai servizi sociali”. Limiti che “diventerebbero molto più stringenti” se al leader di Forza Italia venissero dati gli arresti domiciliari.
Perquisizioni, intercettazioni e anche misure cautelari con perdita status.
Ma gli effetti più pesanti derivanti dalla perdita dello status di parlamentare per il Cavaliere potrebbero essere di tipo giudiziario: “Con la decadenza da senatore cade l’immunità parlamentare. E cioè il divieto di procedere a misure cautelari o a provvedimenti di perquisizione, sequestro e intercettazioni senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza. Qualsiasi procura e qualsiasi gip potrebbero richiedere — ragiona Grosso — o emettere un’ordinanza di custodia cautelare, ovviamente in presenza delle condizioni previste dalla legge e purchè si tratti di reati per i quali è prevista la custodia cautelare”.
La situazione si aggraverebbe ulteriormente se a Berlusconi arrivasse un’altra condanna definitiva, magari per il processo Ruby.
“Salterebbe l’indulto e, se la nuova pena superasse i tre anni, gli verrebbe revocato l’affidamento ai servizi sociali, nel caso gli fosse stato concesso.
A quel punto il giudice dovrebbe decidere se dargli la detenzione in carcere o i domiciliari in ragione dell’età . Età che non è comunque un elemento decisivo”.
La prova di ciò è il precedente che riguarda Callisto Tanzi: “era ultrasettantenne al momento di scontare la condanna per il crac Parmalat ma non gli furono concessi i domiciliari, nonostante i suoi legali avessero motivato la richiesta con le sue gravi condizioni di salute”.
Quindi la paura non può che esserci. “Vedrete che qualche pm tenterà di fare il colpo del secolo e mi arresterà . Ma alla fine la verità verrà fuori” diceva a Palazzo Grazioli poco prima di salire sul palco per la manifestazione anti-decadenza.
D’altra parte lo dice il diritto, ma vista da questo punto di vista, l’incandidabilità rischia di essere l’ultimo dei problemi per il Cavaliere.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
LA FIDANZATA DEL CAVALIERE: “VOLEVO CHIEDERE IO LA GRAZIA, I FIGLI ERANO D’ACCORDO, MA AL QUIRINALE AVREI TROVATO PORTE CHIUSE”
Sostiene che «il voto del Senato è un colpo di Stato, come altro vogliamo chiamarlo?». Anzi, «una manovra eversiva», insiste Francesca Pascale.
Poi, quando la conversazione approda al tema della grazia, la fidanzata del Cavaliere dice: «Lancio un appello a papa Francesco. Un appello affinchè mi riceva e ascolti la storia di Berlusconi. La grazia? Avevo pensato di scriverla io, la lettera. Anche i figli erano d’accordo. Avevo pensato di andare al Quirinale da Napolitano. Poi ho capito che avrei trovato le porte chiuse».
E nel caso in cui non fossero chiuse, le porte del Colle? «Se quelle porte non fossero chiuse ci andrei, a parlare col capo dello Stato»
Palazzo Grazioli, interno giorno.
Mentre al Senato è in corso il dibattito sulla decadenza del suo fidanzato, Francesca Pascale guarda dalla finestra i manifestanti con le bandiere di Forza Italia.
«Fatico a parlare. Le parole sono ghiacciate. Vorrei portarmelo via, allontanare il mio uomo da chi lo odia, per preservarlo dai colpi e dall’umiliazione ingiusta. Mi rendo conto però che così non sarebbe lui, non si riconoscerebbe guardandosi il mattino allo specchio e non lo riconoscerei neppure io».
I senatori stanno votando la decadenza. Come reagirete?
«Oggi per me è il giorno di un’amarezza indicibile. Lui vela sempre con l’autoironia anche la sua tragedia personale ma io non ci riesco. Non riesco a separare la persona di cui mi sono innamorata dalla sua figura pubblica. Per questo sento un dolore doppio, una ferita al quadrato. Da cittadina libera soffro non solo perchè è calpestato il mio uomo e il mio leader politico, ma anche perchè il Senato ha stracciato la mia scheda. Perchè mi tolgono il voto che è servito a eleggerlo? Quale articolo della Costituzione gli dà il diritto a umiliare la mia volontà ?»
Signorina Pascale, ci sono una sentenza passata in giudicato e una legge – la legge Severino – che anche il Pdl aveva approvato.
«Sono abituata a guardare prima in casa mia. Per questo dico che il primo sbaglio, ancora prima della sinistra, l’ha fatto il Pdl. Maledetto il giorno in cui l’hanno approvata, quella norma. Ci sono dieci milioni di italiani che hanno votato per Berlusconi. Non possono passare tutti per fuorilegge»
Milioni di voti per Berlusconi. Ma anche per un partito che ha subito una scissione. Che cosa pensa di chi, come Alfano, se ne è andato?
«Alfano ha preferito scegliere un’altra strada. E Silvio è la persona che lo ha inventato come politico. Gli sarebbe bastato aspettare e sarebbe stato lui il leader naturale».
Anche Berlusconi pensa di Alfano quello che pensa lei?
«Silvio per fortuna ha un cuore immenso. Riesce sempre a perdonare i suoi figli anche nelle situazioni più critiche».
E che cosa pensa del Nuovo centrodestra?
«Già dal nome, più che un partito, quello di Angelino sembra una società di autonoleggio»
E del governo di Enrico Letta?
«Letta è un democristiano sbiadito. Anzi, l’indole sua e della sinistra è quella dei comunisti. Ma anche sono peggio dei comunisti perchè negano di esserlo»
C’è chi descrive un Berlusconi depresso. E chi lo definisce come pronto a lottare. Qual è la verità ?
«Non è depresso. È arrabbiato, ha la rabbia di chi ha subito una sentenza ingiusta. Palazzo Chigi? Lui non ha bisogno di cariche. Ma ha un sogno, rendere libero questo Paese. E lo realizzerà »
Il Cavaliere insisterà nel rifiuto di presentare la domanda di grazia?
«Sia io che i figli volevamo presentarla. Poi abbiamo capito che per lui sarebbe stata come una violenza, visto che è innocente. Io avevo anche pensato di andare direttamente al Quirinale. Fino a che non ho capito che in realtà quelle porte, per noi, erano chiuse»
E se non lo fossero?
«Ci andrei, a parlare col capo dello Stato. Come andrei di corsa a parlare con papa Francesco del caso Berlusconi»
Come sarà il vostro domani?
«Silvio, ed è la cosa che mi ha fatto innamorare di lui, non è nato per stare solo, per godersi le ricchezze. È contro la sua natura. Per lui la politica è la forma della sua donazione agli altri. Anche quando pensava di mettersene fuori e stava costruendo ospedali per i bambini in Africa, un’università per educare i giovani alla politica della libertà e poi il suo Milan. Con la decisione di oggi pensano di cancellarlo. Invece lo riconsegnano alla lotta per la libertà »
E lei, signorina Pascale?
«Gli sono e gli sarò accanto. In ogni sua scelta».
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
LE VOCI SUI CONTI INTESTATI AI FIGLI E IL PASSAPORTO DI PUTIN
La ritirata ad Arcore, nella sera gelida, è gonfia di angoscia. E paura. ![](http://sphotos-e.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-frc3/1426404_10201592143098017_1202455086_n.jpg)
Gli slogan, l’inno, gli echi della piazza sembrano già lontani e l’atmosfera ora è cupa, sul breve volo – in aereo privato col Biscione in coda – che lo riporta dai figli.
Ha rinunciato al salotto di Vespa. Archiviata la propaganda, Silvio Berlusconi è un ex parlamentare che si prepara a «ogni evenienza», come ripete a familiari e consiglieri. Fedele Confalonieri, raccontano, continua a fargli pesare lo strappo compiuto: «Ora siamo senza ombrello, senza protezione, e lo sei anche tu»
Sullo sfondo, lo spettro dell’arresto imminente si fa sempre più ingombrante, alberga ormai nella sua mente a prescindere dagli avvertimenti dei legali Ghedini e Longo.
Il Cavaliere non ha ancora deciso cosa fare nelle prossime settimane, promette al suo popolo che lui resta qui, continua la battaglia, ma non si lascia preclusa alcuna possibilità .
La politica, il partito, le future elezioni, al di là dei proclami, passano in secondo piano. Le prime mosse sono finalizzate alla gestione nella continuità dell’immenso patrimonio finanziario.
A cominciare dalla procura conferita nelle ultime settimane ai primi due figli Marina e Piersilvio affinchè possano operare in autonomia sui conti correnti e sui fondi di cui il magnate è titolare in cinque diverse banche.
Solo a loro due e non ai tre figli di seconde nozze, spiazzando Barbara, Eleonora e Luigi.
Perchè quella sorta di delega proprio ora, a ridosso della decadenza e della perdita di immunità ?
A quali evenienze l’ex premier pensa di dover far fronte, a che genere di assenze?
La notizia viaggia parallela all’indiscrezione secondo la quale, nel lungo incontro di lunedì notte a Palazzo Grazioli, Vladimir Putin abbia davvero lasciato al padrone di casa e amico di vecchia data un passaporto diplomatico che gli consentirebbe di allontanarsi dall’Italia.
Sebbene il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov due giorni fa abbia bollato come «fesserie» le voci circolate a riguardo.
«Avessi ancora il passaporto me ne andrei ad Antigua, ho sempre casa lì» confidava del resto non più tardi di due settimane fa un Cavaliere sconfortato a pochi intimi. Con loro, da giorni, si abbandona sul divano di Arcore ed elenca quel che si porterebbe in esilio. Sorriso amaro.
«Bene, io vado, vi chiamerò da Mosca» ha scherzato ieri con deputati e senatori venuti a salutarlo dopo il comizio nel “parlamentino” di Palazzo Grazioli.
L’umore era più tetro istanti prima, quando dal Senato è arrivata la notizia della decadenza, il voto finale sul nono ordine del giorno.
Lì sembra abbia accusato il colpo, davanti a Fitto e Gelmini, Verdini e Santanchè, Rossi e Galan, Prestigiacomo e Ronzulli, oltre al medico Zangrillo e alla fidanzata Francesca Pascale ancora con foulard di Forza Italia al collo.
«Vedrete, ci sono dei pm che non vedono l’ora di farsi pubblicità sulla mia pelle per diventare idoli della sinistra» è il primo pensiero nero che esterna ai presenti.
Poi torna a sorridere, «dovrete fare una colletta per portarmi le arance in carcere».
C’è paura, in realtà , e una rabbia che solo in privato sfoga nei confronti del Quirinale. «Allora che dite? Sono stato bravo » chiede il capo rivolto ai deputati dopo il comizio. «No» gli rispondono i più falchi che attendevano l’affondo contro il Colle e contro i «traditori».
«Su Napolitano mi sono imposto di non dire nulla, ma ho fatto uno sforzo» si lascia andare Berlusconi.
Salvo dare mandato loro, prima di imbarcarsi per Arcore, di «far casino » col Quirinale.
I forzisti si riuniscono nella sede di San Lorenzo in Lucina. Ci ragionano su fino a sera inoltrata, qualcuno vorrebbe presidiare il Colle simbolicamente, altri pensano a una fiaccolata.
Alla fine i due capigruppo Romani e Brunetta chiedono di essere ricevuti con una delegazione.
Su “Angelino” invece il Cavaliere glissa.
A chi lo va a trovare in giornata confessa la «delusione: ha chiesto il simbolo a Bocchino, io non lo cito nemmeno, scompariranno come Fini, saranno gli elettori a giudicarli per quel che mi hanno fatto».
Poco dopo, è dalla piazza che lascia salire l’urlo «traditori, traditori», fermandosi ad annuire.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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