Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
TREMILA DIPENDENTI E OLTRE CENTO CONTROLLATE… LE MOSSE CONTABILI PER FAR QUADRARE I BILANCI
Anche se pochi ormai se la ricordano, quella storia Pier Luigi Bersani certo non l’ha dimenticata. Non fosse altro perchè è una delle sconfitte più brucianti che da ministro delle liberalizzazioni abbia dovuto subire ad opera di una lobby.
Due volte ha provato ad abolire il Pubblico registro automobilistico, e due volte è stato respinto con perdite.
La prima, nel 2000; la seconda, sette anni più tardi. Poco importava che i cittadini italiani avrebbero potuto risparmiare un bel po’ di quattrini su ogni passaggio di proprietà , e che dal 1992 il Pra fosse un inutile doppione degli elenchi della Motorizzazione civile.
Prima di Bersani, anche i sostenitori di un referendum promosso nel 1995 da un comitato presieduto dall’ex direttore del Sole24ore Gianni Locatelli e composto da una serie di associazioni e dalla rivista Quattroruote si erano dovuti arrendere.
Le firme vennero raccolte in abbondanza, ma la Corte costituzionale dichiarò il quesito inammissibile. Tanto è misteriosamente potente, la lobby del Pra, da essere sfuggita alle grinfie della spending review, risultando appena sfiorata dal decreto semplificazioni: gli automobilisti non dovranno più comunicare le perdite di possesso e i cambi di residenza, che saranno acquisiti d’ufficio. Troppa grazia…
LA TASSA OCCULTA
Sopravvive così uno degli ultimi residui della normativa fascista, considerato che l’iscrizione dei veicoli al Pra è prevista da un decreto del 1927.
Ma ciò che conta di più, questa tassa occulta da circa 200 milioni l’anno, cifra pari a sei volte e mezzo lo stanziamento 2014 per il dissesto idrogeologico in tutta Italia, rappresenta una formidabile assicurazione sulla vita per un carrozzone chiamato Automobile club d’Italia.
L’unica federazione sportiva dipendente dal Coni che oltre a gestire per legge una funzione statale obbligatoria per i cittadini riscuote pure una imposta: il bollo auto. Ovviamente non gratis.
Per la riscossione di quella tassa ha incassato lo scorso anno 41 milioni, che sommati ai 191 introitati grazie alla gestione del Pubblico registro automobilistico fanno 232 milioni. Somma alla quale vanno aggiunti 14 milioni di ricavi «diversi» dalle amministrazioni statali e dalle Regioni per i servizi di informazione sulla mobilità . Totale del fatturato pubblico, 246 milioni: vale a dire l’84,8 per cento delle entrate complessive, risultate pari a 290 milioni.
Proporzioni che ben descrivono l’anomalia della quale stiamo parlando, ma non dicono proprio tutto.
Perchè se fino a qualche anno fa i soldi comunque giravano, la botta che negli ultimi tempi ha preso il mercato dell’auto, sceso ai livelli di cinquant’anni fa, ha fatto emergere di colpo tutto il peso di una struttura elefantiaca: tremila dipendenti, 106 strutture provinciali e Dio solo sa quante società appese.
L’Aci nazionale controlla innanzitutto la Sara assicurazioni, cui fanno capo altre nove partecipazioni.
C’è il 21% della compagnia turistica Valtur di Carmelo Patti, finita in amministrazione straordinaria. C’è il 10% della società finanziaria Zenit. C’è l’87% della Ala assicurazioni e il 100% della Sara vita. Nonchè una piccola quota in Nomisma, il centro studi bolognese fondato da Romano Prodi.
Ma non è finita di sicuro qui. Nel portafoglio dell’Aci c’è per esempio l’Aci informatica, cui era stata assegnata l’architettura informatica del costosissimo sito turistico nazionale Italia.it, protagonista di innumerevoli disavventure.
E poi una impresa di progettazione, studi e consulenze (Aci Consult), quindi la società proprietaria dell’autodromo di Vallelunga nei pressi di Roma (Aci Vallelunga), una ditta di «assistenza tecnica ai veicoli e assistenza sanitaria alla persona» (Aci Global), una immobiliare (Aci Progei), una società sportiva (Aci sport) e un’agenzia di viaggi (Ventura).
Ciliegina sulla torta, la joint venture al 50 per cento con la casa editrice di Silvio Berlusconi (Aci Mondadori), costituita nel 2000: il bilancio dello scorso anno si è chiuso con una perdita di 257 mila euro. E non è stato il solo buco.
LA BABELE DELLE CONTROLLATE
Senza poi contare il diluvio di controllate e collegate alle Aci provinciali. Trovarle tutte è un lavoro di ricerca estenuante: il loro numero è dell’ordine del centinaio.
C’è di tutto, dall’autodromo di Monza a società immobiliari, a imprese turistiche, ad aziende che gestiscono parcheggi.
Soltanto di «Aci service» se ne contano sedici diverse.
Da questo ai bilanci colabrodo, il passo è breve.
Su Repubblica Antonio Fraschilla ha raccontato l’anno scorso che di quelle 106 associazioni locali ben 57 risultavano in perdita. Dai 6 milioni di Palermo ai 4 di Lecco, ai 5 di Roma, ai 2 di Venezia, al milione di Cagliari, Catanzaro, Padova…
Ma è niente al confronto della voragine dell’Aci nazionale.
E qui attenti ai giochini. Il bilancio 2010 si è chiuso con una perdita di 30,3 milioni, ma sarebbero stati più di 41 senza gli 11 milioni di proventi straordinari: 9,8 di «utilizzo fondi di accantonamento» e un milione di cancellazione di residui passivi. Quello del 2011 è andato in attivo per 26,6.
Attivo puramente contabile, conseguito grazie a plusvalenze per 48,8 milioni. Anch’esse puramente contabili, perchè ottenute con la cessione per quasi 53 milioni di un fabbricato in via delle Perle a Roma alla immobiliare del gruppo Aci Progei. Traduzione, venduto a se stesso.
Azzardiamo: senza quella curiosa partita di giro il bilancio si sarebbe chiuso in rosso per 22 milioni?
Lo schema si è ripetuto nel 2012, con plusvalenze contabili per 7,6 milioni: la vendita delle sedi di Roma e Palermo alla solita Aci Progei e di un terreno alla società , sempre controllata dall’Aci, che ha in gestione l’autodromo di Vallelunga.
Ma stavolta l’«ammuina» non è servita se non a mitigare il drammatico passivo: 28,7 milioni la perdita netta.
Risultato, senza considerare quei singolari proventi straordinari, negli ultimi tre anni nei conti dell’Aci si sarebbe aperta una voragine di un centinaio di milioni. E quest’anno?
Taglia di qua, taglia di là , il preventivo dice che si chiuderà in pareggio. Già .
Ma anche qui con la previsione di una plusvalenza di 8 milioni: visto che ormai si dev’essere raschiato il fondo del barile con gli immobili, ecco che si pensa di cedere una fettina della compagnia di assicurazioni.
Che però nessuno ancora ha comprato.
GLI STIPENDI D’ORO DEI MANAGER
Di fronte a una situazione del genere qualunque governo sarebbe già intervenuto da tempo con la dovuta decisione.
Tanto più dopo le solenni bacchettate della Corte dei conti. Oltre ad evidenziare alcune irregolarità , la magistratura contabile non ha mancato di sottolineare la vistosa entità di certi emolumenti dei vertici.
Il segretario generale Ascanio Rozera, potentissimo factotum da 41 anni dipendente dell’Aci, viaggia intorno ai 300 mila euro annui.
Mentre al presidente Angelo Sticchi Damiani, nominato ai vertici dell’ente come ha raccontato il Fatto quotidiano alla vigilia di una sentenza della stessa Corte dei conti che l’ha condannato in primo grado a pagare 21.986 euro per un presunto danno erariale arrecato proprio all’Aci riguardo alcune sponsorizzazioni per i campionati automobilistici italiani di tanti anni fa, ne toccano 236 mila.
E ai tre vicepresidenti tre? La Corte dei conti dice che ciascuno di loro ha diritto a 105.799 euro l’anno.
Un piccolo obolo, a giudicare dal calibro della terna, nella quale spicca un nome: quello dell’ex potentissimo Pasqualino De Vita, classe 1929.
Da ben 18 anni, ancora prima di essere nominato a capo dell’Unione petrolifera, occupa la poltrona di presidente dell’Automobile club di Roma. Ed è stato anche presidente di Aci informatica e Aci Mondadori, quindi consigliere della Sara.
Un caso tipico, il suo, di come funzionano le cose in quel mondo chiuso e autoreferenziale nel quale gruppi di potere ristretti e intramontabili fanno il bello e cattivo tempo, passando da un incarico di vertice all’altro.
Rosario Alessi, classe 1932, è diventato presidente dell’Aci a cinquant’anni, nel 1982. Dopo 18 primavere, nel 2000, ha passato la mano: «Ritengo di essere un uomo col senso della misura e penso non si possa stare diciott’anni seduto allo stesso posto». Ad aprile scorso, in prossimità dell’ottantunesimo compleanno, è stato confermato alla presidenza della Ala assicurazioni. Nel 2012 era stato nominato presidente della Sara.
Prima ancora Sara Life, Sara immobili, Banca Sara, Holding Banca Sara…
Va detto che talvolta si registra anche qualche spettacolare new entry, come quando all’Aci di Milano arrivò il commissario Massimiliano Ermolli, figlio di quel Bruno Ermolli tra i consiglieri più fidati di Berlusconi.
E come da commissario diventò presidente, ecco sbarcare in consiglio Geronimo La Russa, figlio del ministro Ignazio e già consigliere della Premafin della famiglia di Salvatore Ligresti, insieme a Eros Maggioni: il consorte di Michela Vittoria Brambilla, allora ministro del Turismo.
Del resto, quello che proprio all’Aci non manca sono i posti. Ognuno delle 106 strutture provinciali ha un consiglio di amministrazione, di regola formato da cinque persone (a Milano sono sette), più un collegio di tre revisori. Fate il conto: superare quota 800 poltrone è un attimo.
I governi, dicevamo. Forse anche questo spiega perchè l’Aci sia stato sempre trattato con i guanti. Basta pensare all’ultimo regalino: il decreto ministeriale con il quale sono state graziosamente aumentate le tariffe dovute all’Aci in debito d’ossigeno per la tenuta dell’inutile Pra.
Era il 21 marzo del 2013 e il governo di Mario Monti autore del provvedimento, dimissionario da tre mesi, fremeva per passare il testimone.
Ma se si eccettua la reazione della Unasca, l’associazione delle autoscuole, che fece ricorso al Tar lamentando per i cittadini un salasso ulteriore da almeno 30 milioni (contestato dall’Aci), nel Palazzo nessuno fiatò.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
MILIONI DI EURO IN FIDUCIARIE: LA PISTA DEI FONDI NERI
Una prima risposta la si può rintracciare in una circostanza documentale accertata da Repubblica.
Nel 2007, la Pragmata – di cui Gabbuti e Cassano sono appunto soci occulti – viene retribuita da Atac, di cui Gabbuti e Cassano sono dirigenti “palesi”, per una consulenza che valuti il lavoro dei manager dell’azienda. Roba da codice penale. S
e solo qualcuno se ne accorgesse, o avesse voglia di farlo.
Di più: «Pragmata – riferisce una qualificata fonte interna di Atac – almeno fino al 2010 viene scelta per consulenze di varia natura, per l’organizzazione di convegni ed eventi».
A chi rispondono Gabbuti e Cassano? Con chi dividono le loro fortune?
È un fatto che i due in Atac sono stati e continuano ad essere pagati tanto oro quanto pesano.
Gabbuti, nel 2012, dichiara infatti al Fisco quasi 700mila euro ricevuti dall’azienda e dalle sue controllate. Cassano, invece, “solo” 300mila, e per andarsene chiede ad Atac un milione.
Certo, la moglie di Gabbuti è stata consigliere per le politiche comunitarie di Roberto Maroni quando era ministro dell’Interno.
Certo, in Atac, si favoleggia di feste indimenticabili nella villa a picco sul mare ad Ansedonia acquistata dal manager e del “gran bel mondo” che nel tempo l’ha frequentata. “Le carciofate”, chiamava quelle feste Gabbuti.
Ma è sufficiente? Ancora una fonte dirigenziale qualificata di Atac ricorda: «Quando Gabbuti arrivò, convocò alcuni di noi della dirigenza nel suo ufficio.
Si accese il toscano e guardandoci dritto negli occhi disse: “Voglio sapere qui dentro chi ha l’incarico di portare i soldi all’estero”».
Perchè Gabbuti voleva saperlo? A chi doveva darne conto?
I BISIGNANI BOYS
Gabbuti e Cassano sono ancora in Atac. L’unico straccio fatto volare sin qui dal nuovo ad Danilo Broggi è stato quello di Roberto Sem, dirigente licenziato mercoledì scorso, colpevole forse di essere diventato non solo uno dei testimoni chiave della Procura nell’indagine sui biglietti clonati, ma anche di essere il custode di tutti i documenti riservati di quella faccenda.
Mentre a rivedere le stelle è toccato a Pietro Spirito (direttore centrale operazioni), Vincenzo Saccà (direttore della comunicazione), Roberto Cinquegrani (direttore commerciale), Antonio Abbate (direttore affari legali) e Giuseppe Alfonso Cassino (direttore della divisione superficie), i manager voluti in Atac nel 2011 da Maurizio Basile, l’allora ad di Atac ed ex capo di gabinetto di Alemanno intercettato nell’inchiesta P4 mentre prendeva ordini al telefono da Luigi Bisignani.
SAN MARINO
Una parte ruciale dei segreti di Atac, l’azienda del trasporto pubblico di Roma, è stata custodita a San Marino. Ed è da qui che è possibile tirare il filo che porta alle provviste “nere” garantite dall’amministrazione bipartisan della più dissestata delle aziende di trasporto pubblico d’Europa.
Tra l’aprile del 2007 e l’estate del 2010, due dei manager chiave dell’Azienda, Gioacchino Gabbuti e Antonio Cassano, scelti dalla giunta Veltroni e caricati a bordo da quella Alemanno, hanno depositato contanti e costituito partecipazioni societarie occulte attraverso una finanziaria della Rocca del Titano. Ecco perchè.
UNA LISTA, DUE NOMI
Nel giugno del 2010, la Procura di Roma che indaga sul crac della San Marino Investment (Smi) del conte Enrico Maria Pasquini, ottiene dalle autorità sanmarinesi una rogatoria che elenca i correntisti della controllata Smi bank.
Sono 1.170 nomi. Una variopinta umanità di evasori fiscali, che vengono pubblicati con la semplice anagrafica dal quotidiano “il Giornale”.
Alla lettera “G” è «Gabbuti Gioacchino, di nazionalità italiana, nato a Roma il 12/10/1952».
Alla C, figura «Cassano Antonio, nazionalità italiana, nato a Barletta il 18/11/1958»
In quel momento, Gabbuti, manager legato a doppio filo a Gianni Letta, è ad di Atac patrimonio, dove lo ha voluto Alemanno dopo la sua esperienza di ad di Atac con Veltroni. Antonio Cassano è invece direttore generale.
Ebbene, in Campidoglio non si muove foglia, se non un’interrogazione del consigliere Athos De Luca cui Alemanno non risponderà mai.
Finisce dunque lì. Di quei due conti nessuno sa più nulla. Neppure in Procura, dove la faccenda finisce su un binario morto.
Del resto, Gabbuti si guarda bene dal dover spiegare ciò che non gli viene chiesto. Mentre Cassano sostiene in quei giorni di non essere lui quello della lista. Perchè – dice – «È vero che mi chiamo Antonio Cassano, è vero che sono a nato a Barletta proprio il 18 novembre, ma non del ’58, bensì del ’68»
CONTANTI E SOCI OCCULTI
Accade però che la magistratura di San Marino, già in quel 2010, abbia trasmesso alle autorità italiane informazioni cruciali su quei due conti. E che ora fonti inquirenti sanmarinesi spieghino di cosa si tratti. Si scopre infatti che, alla Smi bank di San Marino, Gioacchino Gabbuti ha trasferito oltre un milione e mezzo di euro e ha costruito uno schermo fiduciario per coprire la sua partecipazione nelle società “Edilgroup”, “Navigando”, “Pragmata”, “G. A.” e “Orizzonti”. Non è tutto.
Purtroppo per Antonio Cassano, gli inquirenti del Titano accertano che è proprio lui “l’omonimo” di San Marino.
Nell’aprile del 2007, infatti, non solo ha depositato contanti per oltre 100mila euro, ma,contestualmente a Gabbuti, che lo ha voluto in Atac nel 2005, portandolo con sè da Bari, Cassano risulta partecipare allo stesso schema fiduciario che deve dissimulare la sua partecipazione occulta in almeno tre delle società di cui è azionista altrettanto occulto proprio il suo mentore Gabbuti: la“Pragmata”, la “Edilgoup” e la “G. A.”.
A cosa servono queste partecipazioni societarie occulte?
Daniele Autieri e Carlo Bonini
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
GLI ENTI CHE TUTTI (FINGENDO) VOGLIONO ABOLIRE HANNO 3.324 AUTO TRA BLU E GRIGE PER UNA SPESA DI OLTRE 100 MILIONI
Accorpate, rinnovate o eliminate. I governi non sanno dove infilare le 107 province, non sanno come smontare un potere debole e pesante, ma sanno che da Carbonia-Iglesias a Barletta- Andria-Trapani vantano 3.324 auto tra blu (con autista) e grige.
E soltanto queste macchine di rappresentanza o di servizio valgono circa 100 milioni di euro, anzi sono un risparmio mancato di 100 milioni di euro subito e una spesa che s’ingrossa ogni anno.
Il commissario Carlo Cottarelli, esperto di sprechi, ingaggiato per scovare 2 punti di prodotto interno lordo, non faticherà a tagliare. Se vuole.
Ecco, se cercate un primato, la provincia più spendacciona o la provincia più parsimoniosa, non è semplice.
Perchè i primati sono tanti, diversi. Ci sono quelli che abbondano di autisti e quelli che dispongono (si crede) di un parcheggio enorme.
La provincia di Genova merita di essere citata perchè batte la concorrenza con 93 macchine, ma va distinta con le 106 sorelle perchè 90 sono a noleggio.
Scorrere la cartina geografia è divertente, e soprattutto curioso.
I politici locali siciliani sono famosi per lo sperpero collettivo. Allora con le dita puoi indicare Enna, il distretto più piccino con 172.000 abitanti in totale compreso il capoluogo. Sorpresa: ci sono soltanto 7 automobili.
Attenzione, però: ci sono anche 7 autisti.
Ma se volete evidenziare lo squilibrio più clamoroso, dovete tornare su: in Molise, a Isernia. Una provincia da 86.000 cittadini, la penultima in assoluto, più popolata solo di Ogliastra (Sardegna).
L’Amministrazione di Isernia può contare su 32 macchine e 12 autisti.
Per avere una sensazione generale, per trovare la tendenza che non cambia, perdonate la corsa tra il Centro e il Sud d’Italia, torniamo in Sicilia.
E Catania non delude, mai: 36 automobili e 34 autisti. I catanesi sono rivali dei vicini messinesi, sconfitti in questa competizione che non aiuta le casse pubbliche.
A Messina ci sono 42 macchine e 24 autisti.
A Ragusa preferiscono la qualità : 3 Bmw di imponente cilindrata e 9 guidatori assunti. Potremmo lasciare la Sicilia e scalare ancora l’Italia.
Ma va chiesto: e Palermo, dov’è? Vi stupirete, però, la capitale isolana ha dichiarato la modestia di 13 autovetture.
Quasi un terzo di Catania. In Calabria, senza andare troppo al Nord, Cosenza ha la supremazia: 27 macchine e 17 autisti.
Il particolare gustoso lo regala Catanzaro: avevano bisogno di una Smart, agile per le metropoli, e l’hanno comprata.
La Campania è il mondo capovolto: la Provincia con meno macchine è quella di Napoli (9), stravince Avellino con 20.
Il Lazio va studiato. La provincia di Roma non ha ricollocato gli autisti, che sono 18, ma ha ridotto le automobili a 50.
Direte: sarà l’ente laziale più esoso. Errore. Perchè a Frosinone di macchine ne hanno 52, a Viterbo 61.
Anche in Toscana va di moda la medesima eccezione: Firenze che si ferma a quota 18, Pisa che svetta a 84 macchine.
Chissà con che criterio vengono acquistate le automobili. No, i luoghi comuni sono inutili. Perchè al Nord le abitudini non mutano.
Per la provincia di Pavia sono necessarie 66 automobili, a Milano ne sono sufficienti 72: c’è una differenza di 2,5 milioni di abitanti.
Anche Cuneo fa peggio (o meglio) di Torino con 86 macchine a 83.
Ma fa sorridere che a Torino, (patria Fiat, la marca più utilizzata ovunque), in garage ci siano ben 8 esemplari di Daihatsu, la casa giapponese che da quest’anno non vende più in Europa.
Da segnalare Lecce, che ha snobbato Agnelli e Marchionne, e s’è presa 13 Opel e 11 Fiat su 40 macchine. Restiamo in Puglia.
Perchè il buon esempio arriva da Bat, sigla che sta per Barletta- Andria-Trani: una macchina una. E Macerata, 6.
Però a Pesaro-Urbino ne vogliono 63, almeno.
Non va inserita nell’elenco perchè autonoma, ma la Provincia di Bolzano è senz’altro fra le più ricche: 12 macchine tra Bmw, Audi e Mercedes ed esattamente 12 autisti. Cottarelli dice che vuole fare come l’Inghilterra: auto blu solo al ministro.
Siccome le province resistono e fatturano; siccome non possono viaggiare a piedi, Cottarelli può fare una domanda: perchè a Viterbo occorrono 61 macchine, mentre a Napoli ne bastano 9?
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
ALL’ERGIFE ASSENTI D’ALEMA, VELTRONI, BINDI E BERSANI
Gianni Pittella punzecchia il ‘rivale’ nelle circoscrizioni del Meridione Massimo D’Alema: “Io i voti li prendo al sud e li ho presi con le europee, non con le liste bloccate”. Matteo Renzi ce l’ha ancora con Pierluigi Bersani: “Il punto più basso nel Pd è stata la manifestazione contro la povertà : ma contro la povertà non si manifesta, si agisce”.
Pippo Civati stuzzica a destra e manca.
Gianni Cuperlo vola alto al di sopra dei big di ogni parte e, seduto in prima fila, certe volte, si stringe un po’ nelle spalle: in imbarazzo.
Il punto è che all’Ergife, dove è riunita la convenzione del Pd che proclama i candidati alle primarie dell’8 dicembre, di big non ce n’è nemmeno l’ombra.
Quella di oggi a Roma è la prima riunione democratica senza i soci fondatori della ‘ditta’.
Assente Massimo D’Alema, non c’è Walter Veltroni, manca all’appello anche Pierluigi Bersani e poi Rosi Bindi, Anna Finocchiaro e mettiamoci anche l’assenza di Beppe Fioroni.
In prima fila, poco distante dalla ‘batteria’ dei candidati — in ordine Cuperlo, Renzi, Civati e l’escluso Pittella — c’è Dario Franceschini, matrice governativa eppur sostenitore del sindaco toscano con l’ambizione di fare l’ago della bilancia tra Palazzo Vecchio e Palazzo Chigi.
C’è il giovane capogruppo Roberto Speranza in prima fila di fianco alla dalemiana Barbara Pollastrini. C’è Paolo Gentiloni, sostenitore di Renzi.
Ma, diciamolo, la ‘nomenklatura’ non c’è.
“Qui c’è il nuovo Pd”. I delegati defluiscono verso l’uscita: i renziani si guardano intorno con aria soddisfatta: “E’ il Pd dei quarantenni. Cuperlo è il più grande che accompagna tutti verso il futuro”. Visione quasi romantica.
Naturalmente la realtà non è così melensa, per fortuna. Cuperlo lo ha lasciato capire nel suo intervento che in queste due restanti settimane di campagna elettorale ha intenzione di toccare palla.
Renzi sarà anche il futuro, ma Cuperlo non gliela perdona quell’idea di partito di amministratori e sindaci.
“Militanti”, scandisce quasi, attingendo a piene mani dal vocabolario del 900. “E’ facile fare un partito con un nome e un simbolo. Non con i militanti, che crescono solo nel tempo. Togliere gli iscritti a un partito è come togliere le gambe a un tavolo…”.
L’assenza dei big che sono allo stesso tempo rivali storici del tessuto storico del Pd agevola comunque un clima di unione quasi domenicale nel partito.
Per un giorno è quasi “comunità ”, termine non a caso evocato dall’altro grande assente per ruolo istituzionale, Enrico Letta, il quale preferisce inviare un messaggio all’assemblea.
Per dire anche che, sì, ci andrà a votare alle primarie.
Ma quella dell’Ergife è una comunità che avverte il premier: della serie, il Pd non donerà più sangue alle larghe intese, caso Cancellieri docet.
Un messaggio ‘obbligato’ per le prossime due settimane che sono di campagna congressuale. Ma non è escluso che valga anche per il futuro, perchè le europee sono vicine e sarà un problema per tutti prendere quei voti di cui parla Pittella.
Tutti, non solo Renzi, cioè il prossimo segretario probabilmente.
“Il governo usi le nostre idee”, dice il sindaco di Firenze all’indirizzo di Palazzo Chigi. Ma i suoi fanno notare che parte del messaggio sulla legge elettorale è per Giorgio Napolitano: serve un sistema che renda “chiaro chi vince e chi vince governa per 5 anni”.
Per dire: il modello richiesto dai renziani, quello del ‘sindaco d’Italia’, prevede alternanza e stabilità .
Della serie, quest’ultima non è un valore solo al Colle. A più stretto giro la partita però è sulla ‘casa’ della nuova legge elettorale. Renzi vuole trasferire la discussione alla Camera “dove abbiamo la maggioranza”, “basta coi giochetti improduttivi del Senato…”.
Anna Finocchiaro, per dire, presidente della commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, non è dello stesso avviso.
L’ala governista del Pd ha da tenere a bada gli alfaniani che vorrebbero un sistema proporzionale. Renzi rilancia: “E’ stato un errore non votare l’ordine del giorno Giachetti sul ritorno al Mattarellum”.
Cuperlo si stringe nelle spalle. I big non ci sono più, la casa è libera, il Pd dei quarantenni dovrà barcamenarsi tra responsabilità e…voglia di party, mettiamola così.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
RINVIATA AL 2015 LA TASSAZIONE DELLE SIGARETTE ELETTRONICHE
L’accordo sul cuneo fiscale c’è. Sulla casa ancora no.
La Commissione Bilancio del Senato ieri ha votato l’emendamento Pd che assicura uno sconto più sostanzioso in busta paga, ma non per tutti.
Mentre la nuova Trise, la tassa su servizi e rifiuti, attende la quadra politica e contabile sulle coperture.
Essenziali, a questo punto, per introdurre detrazioni fisse, come per l’Imu, e ammorbidire così il prelievo.
La notizia politica di ieri però è tutta nell’astensione dei quattro senatori di Forza Italia che al Senato equivale al no. Il partito di Berlusconi è dunque passato all’opposizione, con l’intento di rallentare i lavori della legge di Stabilità . I relatori Santini (Pd) e D’Alì (Nuovo centrodestra) puntano invece ad una maratona per approvare il testo entro stanotte, al massimo domani mattina.
E consegnarlo così all’Aula per essere licenziato prima della votazione di mercoledì sulla decadenza di Berlusconi
GLI SCONTI
La Commissione dunque ieri ha rimodulato gli sconti fiscali, concentrando l’aumento delle detrazioni sui redditi da lavoro fino ai 32 mila euro (dai 55 mila originari).
Il beneficio sarà massimo per i redditi tra 15 e 20 mila euro lordi annui e toccherà una punta di 225 euro, quasi 19 euro al mese. Più dei dieci preventivati.
Sulla casa, «si pagherà di meno», assicura Giovanni Legnini, sottosegretario di Palazzo Chigi. Quanto non si sa.
Intanto sempre ieri sono stati depositati gli emendamenti del governo e dei relatori. Tra i primi non compare nè cuneo nè casa. In compenso, molte “piccole” misure predisposte dall’esecutivo Letta.
A partire da 25 milioni in più stanziati per il Fondo non autosufficienza, Sla inclusa.
Altri 20 milioni nel triennio per Lampedusa.
La proroga di Equitalia come riscossore per gli enti locali fino al 31 dicembre 2014. Un’ora in più per i seggi elettorali: si voterà in un solo giorno, domenica dalle 7 alle 23 (e su schede più piccole).
Il prelievo fiscale sui prodotti da fumo, e-cigarette incluse, slitta al 2015. L’imposta sulle attività finanziarie all’estero sale dall’1,5 al 2 per mille
LE ACCISE
Accise su benzina e gasolio più alte, ma nel 2017 e 2018 (220 e 199 milioni, il gettito atteso). Cinque milioni stanziati per il vertice europeo del prossimo anno, in Italia, sulla disoccupazione giovanile.
E un generoso impegno finanziario a favore dei policlinici universitari gestiti da università non statali: 50 milioni nel 2014. E 30 milioni per il Bambin Gesù.
Poi 35 milioni annui dal 2015 al 2024. Mentre vengono abrogati regimi fiscali di vantaggio per le imprese estere che investono in Italia, per i distretti, per le plusvalenze investite nelle start up. Cancellato pure il credito d’imposta a favore delle Pmi che investono in ricerca scientifica.
I CONTI CORRENTI
Nel pacchetto dei relatori, spunta la portabilità dei conti correnti: il cliente può trasferirlo in massimo 14 giorni — mandati di pagamento inclusi — senza spese aggiuntive.
E ancora la vendita o la rottamazione dei veicoli sequestrati o in fermo amministrativo (causa multa), custoditi da oltre due anni e mai reclamati.
Più di 32 milioni fino al 2018 per le celebrazioni legate al centenario della Prima guerra mondiale. Persino 5 milioni per il 2014 utili a contrastare la Xylella fastidiosa, che fa disseccare gli ulivi del Salento.
Ma anche la proroga dei contratti a termini dei dipendenti delle Province che lavorano nei Centri per l’impiego, così da attuare la “garanzia per i giovani”.
Non ancora definito, nè votato, l’emendamento del governo sugli stadi. Una versione riscritta ha cancellato la norma più discussa: la possibilità di edificare nuovi quartieri anche lontano dagli stadi. Ancora da definire anche la misura definitiva sulla vendita ai privati delle spiagge.
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
PIU’ LA TIRANO SU, PIU’ CI BUTTANO GIU’… TASSA SULLA BENZINA AUMENTATA DEL 16%
Il governo si prepara a far quadrare i conti con il solito aumento delle accise sui carburanti.
La benzina e il gasolio costeranno in Italia sempre più cari, e a forza di salassi il malato starà sempre peggio.
Perchè in Italia la benzina costa più cara?
Per le tasse. Il prezzo industriale di un litro di benzina verde (dati del 18 novembre scorso) in Italia è di 0,666 euro, in Spagna 0,685. Solo che in Italia si aggiungono 0,728 euro di accisa, e 0,307 euro di Iva (che tassa anche l’accisa, per cui aumenti una e cresce l’altra).
Il risultato lo vedete nella tabella: il litro di verde costa in Italia, prima delle tasse, due centesimi meno che in Spagna, ma 32 centesimi in più dopo le tasse.
È vero che con la crisi sono calati i consumi?
Nel 2007, prima della crisi, l’Italia ha consumato 84 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi. Nel 2012 il consumo è stato di 64 milioni. Nel 2007 abbiamo bruciato 12 milioni di tonnellate di benzina, nel 2012 8,4 milioni: meno 30 per cento.
Per il gasolio autotrazione il calo è da 26 a 23 milioni di tonnellate (-11 per cento, analogo al calo del prodotto interno lordo).
Sta cambiando la vita degli italiani?
Confrontando i dati di benzina e gasolio si deduce che si consuma meno gasolio perchè si produce meno. E si consuma molto meno benzina perchè si consuma molto meno.
La benzina è il carburante del trasporto privato.
Se nei cinque anni 2007-2012 il consumo è sceso del 30 per cento, nei primi dieci mesi del 2013 la flessione è del 5 per cento rispetto ai primi dieci mesi del 2012. A ottobre scorso è stata del 3,5 per cento.
La diminuzione rallenta, probabilmente perchè ci stiamo avvicinando al fondo: si usa meno l’auto perchè mancano i soldi, ma più di tanto non si può tagliare.
Chi può andare al lavoro con il mezzo pubblico ha già cominciato a farlo, chi ha a disposizione servizi pubblici inverecondi taglia altre spese.
Quanto spendono per la benzina le famiglie?
Per avere un’idea, la Coldiretti stima che nel 2012 ogni famiglia ha speso in media 111 euro al mese per comprare carne. La cifra equivale a 64 litri di benzina. Chi vive lontano dal posto di lavoro e non dispone di servizi pubblici spende più per la benzina che per mangiare.
Il calo dei consumi non abbatte il gettito fiscale?
Certo che no. Nel 2011 Silvio Berlusconi ha aumentato le accise quattro volte: per finanziare il Fondo spettacolo, per la guerra in Libia, di nuovo per lo spettacolo, per l’alluvione in Liguria e Toscana.
Il 4 dicembre 2011 il colpo finale l’ha dato il decreto Salvaitalia di Mario Monti.
In tutto le accise sono cresciute del 25 per cento.
Così, se nel 2007 il gettito fiscale da petrolio era stato 36 miliardi, nel 2012 è salito a 42 miliardi. I consumi sono scesi del 24 per cento, le tasse incassate sono salite del 16 per cento. O, se preferite, il gettito è salito da 428 a 656 euro a tonnellata.
Adesso con un nuovo aumento delle accise ci sarà un ulteriore calo dei consumi, del prodotto interno lordo e della competitività .
Una strategia lungimirante.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
EPIFANI CONFERMA LA LINEA DEL PD: “DAL CAVALIERE FRASI SGANGHERATE”
«Non partecipiamo alla manifestazione. Guardiamo al futuro e non siamo coinvolti». Angelino Alfano sceglie “L’Arena” di Massimo Giletti per sancire, anche nei fatti, lo strappo con Forza Italia.
«Noi teniamo un atteggiamento molto lineare e coerente: non riteniamo che a seguito della decadenza di Berlusconi si possa lasciare il Paese di fronte a una crisi al buio, sfasciando tutto e lasciando il Paese senza una prospettiva. Pensiamo che l’Italia in questo momento abbia bisogno di un governo», dice il vicepremier.
Certo, «penso che un uomo con la carriera e la biografia di Silvio Berlusconi meriterebbe di non essere sottoposto ai servizi sociali e meriterebbe la grazia», anche se non l’ha richiesta, prosegue l’ex delfino di Silvio.
La scissione «non sarà una finzione. È purtroppo tutto molto vero e lo dimostreranno i prossimi giorni quando con molta probabilità le strade si separeranno su un punto fondamentale: il sostegno al governo».
Nella testa di Angelino c’è un accordo con il Pd.
«Propongo un patto al Parlamento, al governo e anche a Matteo Renzi: riforma elettorale restituendo il diritto di scelta ai cittadini e superamento del bicameralismo perfetto» spiega.
Nella proposta anche taglio spesa pubblica per meno tasse e intervenire su salari. «A fine 2014» poi faremo il punto.
Insomma, la decadenza tiene banco.
La frase di Silvio Berlusconi sul colpo di Stato? «È al di là del bene e del male, una frase totalmente sgangherata. Mi stupisco che l’abbia potuta pronunciare» taglia corto ì il segretario del Pd, Guglielmo Epifani.
Silvio Berlusconi ha fatto un «ragionamento del tutto incomprensibile sugli interventi di grazia del presidente Repubblica» ha proseguito Epifani. «Berlusconi non ha nè la forza nè la ragione, sta creando un clima pesante, inutilmente, che finirà per non fare bene nè a lui nè al Paese».
(da “La Stampa”)
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Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
RENZI NEL MIRINO… PRONTA LA ROTTURA COL GOVERNO, IL GELO DEL QUIRINALE
Il Cavaliere ai suoi lo dice chiaro che ormai non ha più niente da perdere, scontato l’esito del voto, la sua espulsione dal Senato.
Ormai compromesso, archiviato, il rapporto con il Quirinale.
L’affondo dal palco – dopo i tanti consumati in questi mesi nel chiuso di Arcore e Palazzo Grazioli – è la mossa della disperazione. «Non si aspetta certo che Napolitano, rimasto inerte dal primo agosto, faccia qualcosa alla vigilia della decadenza» spiega uno dei parlamentari venuto ad applaudirlo tra i giovani di Annagrazia Calabria.
Al Colle, l’accoglienza della sortita dell’ex premier è a dir poco gelida.
Nelle stanze del Quirinale fanno notare come il provvedimento di clemenza – la grazia mai nominata esplicitamente dal Cavaliere – per essere esaminata, prima ancora che concessa, deve essere richiesta.
Proprio quel passaggio che Berlusconi si è sempre rifiutato di consumare, «per dignità ». Ma è quello e solo quello il presupposto fondamentale per l’avvio di qualsiasi iter. Non esiste, insomma, la grazia in versione motu proprio, da lui sognata. Il presidente Napolitano lo aveva già sottolineato fin dalla nota del 13 agosto.
Per non aggiungere il fatto che per il capo dello Stato sarebbe impensabile interferire con l’imminente voto parlamentare sulla decadenza.
Ma alla sua espulsione dal Senato il leader di Forza Italia non si rassegna, lo dice dal palco come subito dopo ai pochi dirigenti del partito venuti a salutarlo. C’è rabbia e nessuna rassegnazione.
Berlusconi guarda oltre, si sente ancora «in campo» sebbene decaduto, minaccia «armi segrete» contro Renzi, come se potesse davvero sfidarlo in campagna elettorale.
E l’arma sembra non sia una delle figlie da schierare contro.
«Una ricerca sul sindaco il presidente l’ha fatta fare, non sappiamo cosa abbia ricavato» racconta uno dei deputati più vicini al leader.
E «qualcosa» sembra sia stata consegnata nelle sue mani da collaboratori fidati. Nel centrosinistra il sospetto diffuso è che la «macchina del fango» si sia già messa in moto contro il segretario ancora prima dell’insediamento.
Il Cavaliere sogna di giocarsela domenica 8 dicembre quando, in concomitanza con le primarie pd del trionfo renziano, lui terrà a battesimo a Milano i club Forza Silvio.
Ma prima di allora c’è la «cacciata» dal Senato da consumare, con annessa uscita dalla maggioranza.
La Polverini e Gasparri, la Bergamini e la Ronzulli, Giro e la Rizzoli, Maria Rosaria Rossi col figlio, sono tutti lì per applaudire, incoraggiare il “presidente” dopo l’ora e passa di intervento in maglioncino blu sotto giacca in tinta.
Francesca Pascale è sempre al fianco del fidanzato. La sensazione che hanno è che l’ex premier sia già in formato campagna elettorale. Che quello di ieri sia stato il primo comizio del nuovo battage, nella speranza di un voto ravvicinato.
L’abbraccio col pupillo di un tempo, Gianfranco Miccichè, al mattino a Palazzo Grazioli, la confluenza del Grande Sud in Forza Italia, va in quella direzione. Acerrimo nemico di Alfano, il sottosegretario ritornato a casa. Non a caso solo ora.
Il Cavaliere resta a Roma questa domenica, niente Arcore, il momento è cruciale. Domani riunisce i gruppi parlamentari per decidere sul ritiro del sostegno al governo, si vota contro la manovra.
I senatori si stanno già astenendo in commissione, del resto. «Non resteremo un minuto di più con i carnefici» va ripetendo a tutti.
Dal palco Berlusconi ripete a più riprese «questo governo», a rimarcare un distacco ormai abissale. Come distante sente l’ex delfino Alfano.
Nel dopo-comizio, su di lui e la manifestazione mattutina del Nuovo centrodestra si lascia andare. «Avete sentito? Si definiscono nuovi, ma Angelino parla già come un vecchio politico. E ci ha pure rubato l’idea dei circoli».
I due si sentono (raccontano sia il vicepremier a chiamare ancora con cadenza quotidiana) ma per il Cavaliere è già acqua passata.
A ridosso dell’assemblea coi parlamentari, Berlusconi terrà anche la conferenza stampa già annunciata ieri dalla kermesse, quella sulle carte americane relative ad Agrama e alla condanna sui diritti tv.
Il famoso “asso nella manica” di cui si vanta da giorni per capovolgere la sentenza. Ne parlerà anche in aula mercoledì, nella sua “arringa” difensiva.
Mentre fuori da Palazzo Madama, nello stesso pomeriggio, Denis Verdini chiama a raccolta con una lettera tutti i dirigenti e i parlamentari forzisti.
Appuntamento davanti Palazzo Grazioli, ma non viene escluso che – pur se l’autorizzazione prefettizia è limitata a via del Plebiscito – il corteo poi possa muovere verso il Senato, nel momento clou e drammatico del discorso del leader e del voto.
Ormai è un Cavaliere disposto a tutto, «non pensino che non reagiremo al colpo di Stato».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Novembre 24th, 2013 Riccardo Fucile
MOBILITATE LE TV MEDIASET…CONVOCATI I GRUPPI PARLAMENTARI PER OPPORSI ALLA LEGGE DI STABILITA’…. MANIFESTAZIONE IN PIAZZA MERCOLEDI A ROMA
È già all’opposizione. A prescindere da quando sarà votata una legge di stabilità che considera una “schifezza”.
Tanto che per la prima volta si è fatto scappare parole dure verso Alfano: “Ha esagerato. Dopo mercoledì vedremo”.
Eccola, l’escalation di Silvio Berlusconi nella settimana della decadenza, appena iniziato con gli strali lanciati dal palco del Palacongressi.
È Napolitano il bersaglio grosso: “Non chiederò mai la grazia. Dovrebbe darmela il capo dello Stato”. È lui responsabile per non aver evitato “l’omicidio politico” per avendone gli strumenti.
Ed è proprio su questo che Berlusconi immagina un crescendo. Non è un caso che resterà a Roma anche nella giornata di domenica per limare i dettagli con i fedelissimi, a partire da Deborah Bergamini, diventata l’ombra del capo sulla comunicazione.
A lei il compito di organizzare la seconda tappa dell’escalation.
È prevista per lunedì la conferenza stampa per mostrare quella che il Cavaliere chiama“l’arma segreta”: le famose carte di Franck Agrama che certificherebbero la necessità di rivedere il processo.
E lunedì pomeriggio il Cavaliere le vuole sventolare di fronte a telecamere e taccuini. Nella war room vige il più stretto riserbo, riguardo i contenuti. Dovrebbero essere la documentazione fiscale arrivata dall’America riguardo il contratto tra la Paramount e Agrama.
È sulla base di queste carte che si proclamerà “innocente”. Anzi che costruirà su questo urlo di dolore l’ultimo atto di accusa verso tutti, alla vigilia del voto di decadenza.
Già allertati i direttori delle testate Mediaset, con un’unica regola di ingaggio: scatenare l’inferno su quelle carte, far girare l’informazione come in campagna elettorale.
L’escalation, appunto. È in un clima arroventato che Silvio Berlusconi pensa al grande ritorno all’opposizione, seconda tappa del “hot monday” del Cavaliere.
Convocati i gruppi in serata per sancire la rottura con la maggioranza e col governo. Non è un caso che nel corso della sua arringa ai giovani di Forza Italia Berlusconi non ha mai nominato la parola “governo”.
È come se ormai fosse completamente indifferente al tema. È oltre.
Perchè ormai il l’ex premier si muove a prescindere. Recita una spartito di opposizione, incita le piazze e alla reazione dura ed eclatante, attacca il capo dello Stato e la magistratura: è già all’opposizione.
E lunedì arriverà la formalizzazione ufficiale della decisione.
A “prescindere” — appunto — da quando sarà calendarizzata la legge di stabilità , se prima o dopo la decadenza. Anche perchè, se poi si entra nel merito del provvedimento, la rabbia dei berluscones è tangibile: “Siamo stati tenuti all’oscuro di tutto — è il ritornello dei fedelissimi — da Letta. Siamo al prendere o lasciare. E allora lasciamo”.
Il gran finale è mercoledì, il D- day, nel senso di giorno della Decadenza.
Un giorno diventato un’ossessione nella mente del Cavaliere insonne. Già ne prefigura ogni attimo. E già pensa che l’Aula del Senato sarà una bolgia.
La macchina del discorso è avviata. Ma nell’inner circle c’è chi ha consigliato al Cavaliere di evitare perchè c’è il rischio che in Aula venga sbeffeggiato.
La risposta è stata la richiesta di convocare una manifestazione a Piazza del Plebiscito, proprio il 27. Le contestazioni bastano dentro.
Ed ecco che da San Lorenzo in Lucina è partita l’organizzazione dei pullman.
(da “Huffingtonpost“)
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