Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
IN DISCUSSIONE LE SCELTE DI COLLABORATORI, TROPPI I PARENTI ED EX CANDIDATI RICICLATI… E ANCORA NON E’ STATO PUBBLICATO UN ELENCO COMPLETO
C’è chi parla di «parentopoli», chi invece liquida il caso come una questione di mancata
trasparenza condita con un pizzico di «inopportunità politica».
Sta di fatto che una nuova faglia, un nuovo tormentone si sta aprendo all’interno dei parlamentari Cinque Stelle.
Un problema che sarà già affrontato in assemblea lunedì, all’ordine del giorno alla voce «trasparenza dei rapporti tra collaboratori e senatori».
Nell’occhio del ciclone partner, figli di compagni e amici di amici assunti da alcuni esponenti – con regolare contratto – come collaboratori.
Casi balzati in primo piano dopo le accuse – velate, ma non troppo – sollevate durante l’incontro tra i parlamentari e Beppe Grillo.
Sarebbe stata Laura Bignami a mettere in discussione con il leader le assunzioni «sospette».
Non una novità (si tratta di una battaglia che la senatrice da qualche mese porta avanti, ndr), ma stavolta voci e malumori si sono ingigantiti al punto da far esplodere la discussione. E a calendarizzarla in tempi rapidissimi.
Lei, Bignami, non commenta e si limita a controbattere: «Non ho detto tutto quello che è stato riportato dai media».
Intanto, però, è partita la conta dei casi.
Si parla della figlia del compagno di una senatrice pugliese o del convivente di un’altra esponente campana.
«Parliamo di tre casi a Palazzo Madama e di qualche caso analogo alla Camera», ribadisce un parlamentare del Movimento.
«Numeri da verificare», sottolinea un altro. «Ne parleremo presto: ma a questo punto bisogna chiedersi cosa è legittimo e opportuno».
E, infatti, tra i collaboratori del Movimento spuntano sorprese di tutt’altra risma.
In questi mesi, a Roma, a fianco di deputati e senatori si sono alternati anche ex candidati (non ammessi) alle Parlamentarie, ex collaboratori di personalità espulse dal Movimento (come Giovanni Favia) e anche attivisti diffidati via blog dallo stesso Grillo.
«Le regole del Senato impediscono che si possano assumere parenti o affini», puntualizza Vito Crimi.
Secondo l’ex capogruppo a Palazzo Madama, «i parlamentari hanno assunto del personale seguendo le loro necessità : profili diversi secondo esigenze diverse»
Intanto, la vicenda degli assistenti parlamentari travalica i confini del Parlamento e diventa oggetto di discussione tra i meet-up.
In quello romano addirittura se ne discute online: «Info ed elenco collaboratori dei nostri portavoce», è il titolo di uno dei temi del forum. Molte le voci critiche.
«Dopo più di 4 settimane di discussioni e varie aperture e chiusure del thread (del processo di comunicazione, ndr ) ancora non riusciamo ad avere una lista completa di collaboratori dei gruppi e dei singoli parlamentari – accusa tribvno –. Mi sembra davvero che si voglia coprire qualcosa di molto torvo».
«Qui si torna al vizio che ha accompagnato la fase pre-elettorale: un numero definito di persone buono per tutte le stagioni e tutti compiti (portavoce, amministratore, organizer, moderatore, collaboratore parlamentare), per giunta contestualmente per più di uno di tali ruoli», afferma Bruno Bellocchio.
C’è chi esprime disagio per la scelta della deputata Federica Daga di scegliere come collaboratrice Veronica Mammì, consigliera al VI Municipio capitolino.
E c’è anche chi si difende come Massimo Lazzari, attivista alle dipendenze della deputata Carla Ruocco.
Molti i nomi nel mirino per una battaglia (interna) che si preannuncia infuocata.
Emanuele Buzzi
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
SOLO IL CLIMA DI RISSA PUO’ RICOMPATTARE IL PDL, ECCO PERCHE’ QUALCUNO LO ALIMENTA….COME GRILLO AIUTERA’ BERLUSCONI
Il grande battutista Berlusconi è diventato vittima delle barzellette altrui, in qualche caso davvero crudeli.
Tra le cosiddette «colombe» furoreggia, ad esempio, quella del cane Silvio che vorrebbe raggiungere la ciotola del cibo ma la catena è corta per cui non ci arriva; eppure insiste, ringhia, prende fiato e poi ricomincia…
L’immagine fa ridere? Ai dissidenti tantissimo, a lui molto meno.
Realmente il Cavaliere vorrebbe tornare alle urne, convinto poi di vincere, però in Senato non ha voti a sufficienza per provocare la crisi, il 2 ottobre scorso se n’è accorto suo malgrado.
E tuttavia non demorde, con minacce e lusinghe ritorna alla carica nei confronti di colui che considera l’anello debole, cioè Alfano.
Se cedesse Angelino, nel fronte della dissidenza resterebbero 5-6 senatori non di più, e per il governo Letta scorrerebbero i titoli di coda.
Dunque l’altra sera nuovo match con il figlioccio ribelle. Berlusconi l’aveva invitato a pranzo o a cena, quello invece è arrivato a sera con Lupi senza sedersi a tavola.
Per prenderlo all’amo, come esca il Cav gli ha fatto balenare la nomina a vice-presidente di Forza Italia, che vorrebbe dire numero due a tutti gli effetti.
Secondo la versione alfaniana, Berlusconi si sarebbe perfino sbilanciato sulla durata del governo, «non è vero che voglio farlo cadere a ogni costo».
Ma siccome Angelino ormai non si fida più ciecamente come una volta, ha chiesto garanzie. Per non cadere preda dei «falchi» in agguato, ha posto la condizione seguente: tanto nello statuto di Forza Italia, quanto nella sua gerarchia interna, si dovrà prendere atto che ormai convivono due anime, una di «lealisti» berlusconiani e l’altra di «innovatori» facenti capo ad Alfano.
Se Berlusconi accetta, niente più scissione… Il solo parlare di correnti, a Berlusconi causa sfoghi di orticaria.
Comunque il personaggio ha traccheggiato, «rivediamoci la prossima settimana» ha detto.
I più smaliziati tra gli avversari interni non credono affatto che Silvio sia diventato improvvisamente buono.
Ritengono semmai che stia provando ad allungare la catena. Una volta agganciato Alfano, scommettono, il personaggio ritenterà la crisi.
Oppure, ecco la variante, mentre Berlusconi sta negoziando, i suoi «bravi» provvedono a riportare le pecorelle all’ovile, col risultato di far tornare i conti al Senato e lì causare la crisi.
Possibile? Certo, tutto può essere.
Ma poi bisogna prendere in mano il calendario, e vedere quanto tempo rimane al Cav per spezzare la sua catena.
Il Pd, secondo le ultime voci, pare orientato a non precipitare i tempi della decadenza di Berlusconi. Si voterebbe in questo caso dopo la legge di stabilità , in calendario dal 18 al 22 novembre.
Per cui l’ex premier verrà a trovarsi davanti a un bivio: se voterà contro la legge di stabilità , come Brunetta e Bondi minacciano ogni giorno, le 30 «colombe» in Senato prenderanno il volo e Forza Italia trascorrerà un periodo più o meno lungo all’opposizione.
Ma se la prospettiva di essere tagliato fuori da tutto a Berlusconi non fa gola, come potrà mandare tutto all’aria sulla decadenza, cioè appena due giorni dopo avere votato la fiducia al governo sulla legge di stabilità ?
La gente proprio non capirebbe. Per cui, paradossalmente, l’unico soccorso ai piani del Cavaliere potrebbe giungere dai grillini casomai, con l’avallo del presidente del Senato Grasso, volessero bruciare i tempi sulla decadenza, mettendola ai voti prima della legge di stabilità : Palazzo Madama si trasformerebbe in un’arena, Alfano e i suoi sarebbero messi nella condizione di piegarsi o di farsi marchiare a vita come «traditori».
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
L’EUROPA DEVE PRENDERE LE DISTANZE DALL’ALLEANZA ATLANTICA
Forse non tutto il male vien per nuocere. 
Chissà che il Datagate non apra finalmente gli occhi all’Europa, non le faccia capire che gli Stati Uniti, oggi, non sono più il nostro maggior alleato ma, oltre che un competitor economico sleale, un nemico e forse il principale.
Per la verità è da tempo, da quasi un quarto di secolo, che avremmo dovuto prendere le distanze dall’“amico americano”, dal 1989 quando si dissolse l’Unione Sovietica.
Fino ad allora questa alleanza sperequata con gli Stati Uniti, simboleggiata e concretizzata dalla Nato, era stata obbligata perchè solo gli americani avevano il deterrente atomico per dissuadere “l’orso russo” dal tentare avventure militari in Europa Ovest.
Era chiaro, o almeno appariva tale, che se l’Urss avesse osato sganciare la Bomba su Berlino o su Parigi o su Roma missili sarebbero partiti dall’America in direzione di Mosca.
Per la verità la cosa non era poi così scontata. Almeno da quando a metà degli anni Ottanta Ronald Reagan, in un momento di brutale franchezza o di inizio di Alzheimer, si lasciò sfuggire che “l’Europa potrebbe essere teatro di una guerra atomica limitata”. Comunque sia, l’Alleanza Atlantica è stata per quasi settant’anni lo strumento con cui gli americani hanno tenuto l’Europa in stato di sudditanza, militare, politica, economica, culturale e psicologica.
Avevamo, è vero, anche un debito di riconoscenza verso di loro: ci avevano liberati dal nazifascismo.
Ma, come ha detto la Littizzetto, “quando scade il mutuo?”.
Sono passati settant’anni. Il mutuo è scaduto.
Il pericolo russo non esiste più, anzi la Russia (se si ingoia il rospo del genocidio ceceno, e non è poco) si presenta oggi come un alleato più credibile degli attuali Stati Uniti
In fondo la Russia, almeno nella sua parte al di qua degli Urali, è culturalmente (Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Gogol, Puskin) più vicina all’Europa dell’America.
E i nostri interessi di europei non solo non coincidono più con quelli americani, ma divergono.
Noi non possiamo avere la stessa politica aggressiva nei confronti del mondo arabo-musulmano. Se non altro perchè questa gente ce l’abbiamo sull’uscio di casa e non a diecimila chilometri di distanza.
Qualche cauto tentativo di sfilarsi dall’abbraccio dell’“amico americano” da parte di alcuni Paesi europei c’è stato.
La Germania non è andata in Iraq, la Spagna di Zapatero si è ritirata.
Noi italiani invece ci siamo andati, in “missione di pace” naturalmente e i nostri militari, credendo alle menzogne dei nostri politici, hanno piazzato il loro quartier generale quasi nel centro di Nassiriya con le tragiche conseguenze che conosciamo.
Mentre olandesi, canadesi, francesi, polacchi se ne sono andati o se ne stanno andando dall’Afghanistan, noi italiani ci restiamo.
Alleati fedeli, fedeli come solo possono esserlo i cani, ma nello stesso tempo sleali perchè non combattiamo e paghiamo i Talebani perchè non ci attacchino e persino ci proteggano. Spendendo così inutilmente 800 milioni di euro che potremmo utilizzare meglio dalle nostre parti.
Ma lasciamo perdere l’Italia, un Paese senza, svuotato di tutto, che geopoliticamente non conta più nulla perchè ha perso il suo ruolo di terra di confine fra Est e Ovest.
È l’Europa nel suo insieme che, approfittando anche del Datagate, deve prendere le distanze dall’Alleanza Atlantica.
Anzi liberarsene al più presto.
E che gli americani continuino pure a spiarci, ma almeno da nemici e non, beffardamente, da alleati.
Massimo Fini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
UNO SCRITTO DEL 1975 DI ESTREMA ATTUALITA’, UN MESE PRIMA DELLA SUA TRAGICA MORTE
Il processo che lo scrittore, poeta, regista, intellettuale Pier Paolo Pasolini chiedeva nei confronti del potere, era un processo metaforico: l’immagine di Andreotti, Fanfani, Gava o Restivo ammanettato in mezzo ai carabinieri sarebbe stata, per il paese e per gli italiani, un’immagine dal forte significato metaforico.
Eppure, Pasolini nei suoi articoli di giornale sul Corriere (raccolti in Lettere Luterane) continuava a chiedere questo processo, nei confronti dei pezzi grossi del partito che per 30 anni aveva governato il paese.
Come con Papadopoulos in Grecia, i vertici della DC erano «accusati di una quantità sterminata di reati, che io enuncio solo moralmente […]: indegnità , disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna […], distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani […], responsabilità della condizione, come suol dirsi, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono ‘selvaggio’ delle campagne…».
Perchè questo processo? Lo spiega nell’articolo del 28 settembre 1975, poco più di un mese prima della sua morte, per il pestaggio feroce a Ostia, nella notte del 2 novembre:
Cari colleghi della «Stampa», «il Processo» avete scritto in un fondo del 14 settembre «e poi?». Bene, se i prossimi dieci anni della nostra vita contano (sono, cioè storia) poi si sarà saputo qualcosa. Se invece quelli che contano sono i prossimi diecimila anni (cioè la vita del mondo), poi tutto è pleonastico e vano. Io, per me, tendo a dare infinitamente maggiore importanza ai prossimi diecimila anni che ai prossimi dieci: e, se mi interesso ai prossimi dieci, è per pura filosofia della virtù. Che cosa è necessario sapere, o meglio, che cosa i cittadini italiani vogliono sapere, affinchè i prossimi dieci anni della loro vita non siano loro sottratti (come è stato per gli ultimi dieci )? Ripeterò ancora una volta la litania magari a costo di fare, a dispetto della virtù, del mero esercizio accademico. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perchè in questi dieci anni di cosiddetto benessere si è speso in tutto fuorchè nei servizi pubblici di prima necessità : ospedali, scuole, asili, ospizi, verde pubblico, beni naturali cioè culturali. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perchè in questi dieci anni di cosiddetta tolleranza si è fatta ancora più profonda la divisione tra Italia Settentrionale e Italia Meridionale, rendendo sempre più, i meridionali, cittadini di seconda qualità . I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perchè in questi dieci anni di cosiddetta civiltà tecnologica si siano compiuti così selvaggi disastri edilizi, urbanistici, paesaggistici, ecologici, abbandonando, sempre selvaggiamente, a se stessa la campagna. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perchè in questi dieci anni di cosiddetto progresso la «massa», dal punto di vista umano, si sia così depauperata e degradata. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perchè in questi dieci anni di cosiddetto laicismo l’unico discorso laico sia stato quello, laido, della televisione (che si è unita alla scuola in una forse irriducibile opera di diseducazione della gente). I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perchè in questi dieci anni di cosiddetta democratizzazione (è quasi comico il dirlo: se mai «cultura» è stata più accentatrice che la «cultura» di questi dieci anni) i decentramenti siano serviti unicamente come cinica copertura alle manovre di un vecchio sottogoverno divenuto meramente mafioso. Ho detto e ripetuto la parola «perchè»: gli italiani non vogliono infatti consapevolmente sapere che questi fenomeni oggettivamente esistono, e quali siano gli eventuali rimedi: ma vogliono sapere, appunto, e prima di tutto, perchè esistono. Voi dite, cari colleghi della «Stampa», che a far sapere tutte queste cose agli italiani provvede il gioco democratico, ossia le critiche che i partiti si muovono a vicenda — anche violentemente — e, in specie, le critiche che tutti i partiti muovono alla Democrazia cristiana. No. Non è così. E proprio per la ragione che voi stessi (contraddicendovi) sostenete: e cioè per la ragione che, ognuno in diversa misura e in diverso modo, tutti gli uomini politici e tutti i partiti condividono con la Democrazia cristiana cecità e responsabilità . Dunque, prima di tutto, gli altri partiti non possono muovere critiche oggettive e convincenti alla Democrazia cristiana, dal momento che anch’essi non hanno capito certi problemi o, peggio ancora, anch’essi hanno condiviso certe decisioni. Inoltre su tutta la vita democratica italiana incombe il sospetto di omertà da una parte e di ignoranza dall’altra, per cui nasce — quasi da se stesso — un naturale patto col potere: una tacita diplomazia del silenzio. Un elenco, anche sommario, ma, per quanto è possibile, completo e ragionato, dei fenomeni, cioè delle colpe, non è mai stato fatto. Forse la cosa è considerata insostenibile. Perchè, ai capi di imputazione che ho qui sopra elencato, c’è molto altro da aggiungere — sempre a proposito di ciò che gli italiani vogliono consapevolmente sapere. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo del Sifar. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo del Sid. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo della Cia. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere fino a che punto la Mafia abbia partecipato alle decisioni del governo di Roma o collaborato con esso. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia la realtà dei cosiddetti golpe fascisti. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere da quali menti e in quale sede sia stato varato il progetto della «strategia della tensione» (prima anticomunista e poi antifascista, indifferentemente). Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi ha creato il caso Valpreda. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi sono gli esecutori materiali e i mandanti, connazionali, delle stragi di Milano, di Brescia, di Bologna. Ma gli italiani — e questo è il nodo della questione — vogliono sapere tutte queste cose insieme: einsieme agli altri potenziali reati col cui elenco ho esordito. Fin che non si sapranno tutte queste coseinsieme — e la logica che le connette e le lega in un tutto unico non sarà lasciata alla sola fantasia dei moralisti — la coscienza politica degli italiani non potrà produrre nuova coscienza. Cioè l’Italia non potrà essere governata. Il Processo Penale di cui parlo ha (nella mia fantasia di moralista) la figura, il senso e il valore di una Sintesi. La cacciata e il processo (istruito — dicevo — se non celebrato) di Nixon dovrebbe pur voler dire qualcosa per voi, che credete in questo gioco democratico. Se contro Nixon in America si fosse svolto un gioco democratico, quale sembra esser da voi concepito, Nixon sarebbe ancora lì, e l’America non saprebbe di sè ciò che sa: o almeno non avrebbe avuto la conferma, sia pur formale (ed è importante) della bontà di ciò che essa reputa buono: la propria democrazia. Ma se (come mi pare evidente, con immedicabile mortificazione) l’opinione pubblica italiana — che anche voi rappresentate — non vuole sapere — o si accontenta di sospettare -, il gioco democratico non è formale: è falso. Inoltre se la consapevole volontà di sapere dei cittadini italiani non ha la forza di costringere il potere ad autocriticarsi e a smascherarsi — se non altro secondo il modello americano -, ciò significa che il nostro è un ben povero paese: anzi, diciamo pure, un paese miserabile. Ci sono inoltre delle cose (e a questo punto continuo, più che mai, nel puro spirito della Stoà ) che i cittadini italiani vogliono sapere, pur senza aver formulato con la sufficiente chiarezza, io credo, la loro volontà di sapere: fatto che si verifica là dove il gioco democratico, appunto, è falso; dove tutti giocano con il potere; e dove la cecità dei politici è ormai ben assodata. Gli italiani vogliono dunque sapere ancora cos’è con precisione la «condizione» umana — politica e sociale — in cui sono stati e sono costretti a vivere quasi come da un cataclisma naturale: prima, dalle illusioni nefaste e degradanti del benessere e poi dalle illusioni frustranti, no, non del ritorno della povertà , ma del rientro del benessere. Gli italiani vogliono ancora sapere che cos’è, che limiti ha, che futuro prevede, la «nuova cultura» — in senso antropologico — in cui essi vivono come in sogno: una cultura livellatrice, degradante, volgare (specie nell’ultima generazione). Gli italiani vogliono ancora sapere, soprattutto, che cos’è e come si definisce il «nuovo modo di produzione» (da cui sono nati quel «nuovo potere» e, quindi, quella «nuova cultura»): se per caso tale «nuovo modo di produzione» — introducendo una nuova qualità di merce e perciò una nuova qualità di umanità — non produca, per la prima volta nella storia, «rapporti sociali immodificabili»: ossia sottratti e negati, una volta per sempre, a ogni possibile forma di “alterità ”. Senza sapere che cosa siano questo «nuovo modo di produzione», questo “nuovo potere” e questa «nuova cultura», non si può governare: non si possono prendere decisioni politiche (se non quelle che servono a tirare avanti fino al giorno dopo, come fa Moro). I potenti democristiani che ci hanno governato in questi ultimi dieci anni, non hanno saputo neanche porsi il problema di tale «nuovo modo di produzione», di tale «nuovo potere» e di tale «nuova cultura», se non nei meandri del loro Palazzo. Ciò li ha portati ai tragici scompensi che hanno ridotto il nostro paese in quello stato, che più volte ho paragonato alle macerie del 1945. È questo il vero reato politico di cui i potenti democristiani si sono resi colpevoli: e per cui meriterebbero di essere trascinati in un’aula di tribunale e processati. Non dico, con questo, che anche altri uomini politici non si siano posti i problemi che non si son posti i sacrestani al potere, o che, come loro, non abbiano saputo risolverli. Anche i comunisti hanno per esempio confuso il tenore di vita dell’operaio con la sua vita, e lo sviluppo col progresso. Ma i comunisti hanno compiuto — se hanno compiuto — degli errori teorici. Essi non erano al governo, non detenevano il potere. Essi non derubavano gli italiani. Sono coloro che si sono assunti delle responsabilità che devono pagare, cari colleghi della «Stampa», che, sono certo, siete perfettamente d’accordo con me… Un’ultima osservazione che mi sembra, del resto, capitale. L’inchiesta sui golpe (Tamburino, Vitalone…), l’inchiesta sulla morte di Pinelli, il processo Valpreda, il processo Freda e Ventura,… Perchè non va avanti niente? Perchè tutto è immobile come in un cimitero? È spaventosamente chiaro. Perchè tutte queste inchieste e questi processi, una volta condotti a termine, ad altro non porterebbero che al Processo di cui parlo io. Dunque, al centro e al fondo di tutto, c’è il problema della Magistratura e delle sue scelte politiche. Ma, mentre contro gli uomini politici, tutti noi, cari colleghi della «Stampa», abbiamo coraggio di parlare, perchè in fondo gli uomini politici sono cinici, disponibili, pazienti, furbi, grandi incassatori, e conoscono un sia pur provinciale e grossolano fair play, a proposito dei Magistrati tutti stiamo zitti, civicamente e seriamente zitti. Perchè? Ecco l’ultima atrocità da dire: perchè abbiamo paura.
«Corriere della Sera», 28 settembre 1975
(da “unoenessuno.blogspot.it“)
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Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
IL GUARDASIGILLI RISPONDE ALLE DOMANDE DEI CRONISTI: “DIRITTO A ESSERE UMANA, LO RIFAREI”… “MAI STATA RACCOMANDATA DA NESSUNO IN VITA MIA, CHI LO DICE MENTE”..”INACCETTABILE IL PARAGONE CON IL CASO RUBY, IO SONO MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E HO LA RESPONSABILITA’ DELLE DETENUTE”
“Ho il diritto di essere un essere umano”. Si è chiuso con queste parole — e senza nessun
accenno diretto alla vicenda che la vede coinvolta — l’intervento di Anna Maria Cancellieri al congresso nazionale dei Radicali.
Poi, giù dal palco, alle domande dei giornalisti che le chiedevano se si fosse pentita della telefonata con la compagna di Salvatore Ligresti, la riposta netta: “Lo rifarei, certo che lo rifarei”.
Perchè? “Io ho la responsabilità delle carceri e sono intervenuta con il Dap dicendo attenzione che Giulia Ligresti potrebbe compiere gesti inconsulti. State attenti”.
“Diritto a essere un essere umano”
Una sicurezza, quella del ministro della Giustizia in conferenza stampa a margine del congresso radicale, dimostrata anche sul palco, quando si è trattato di parlare, seppur indirettamente, della polemica di questi giorni.
“Un ministro della Repubblica — ha detto il Guardasigilli — ha il dovere di osservare le leggi dello Stato senza cedimenti e tentennamenti, ma credo che abbia anche il diritto di essere un essere umano”.
Della questione Fonsai e del caso delle sue telefonate, invece, il ministro non ha parlato, spiegando i motivi del suo silenzio: “Non vi racconto della mia questione perchè la spiegherò davanti al Parlamento”; per poi aggiungere: “Vi dico solo che voglio vivere in un paese libero, voglio vivere in un paese che sia libero, dove l’onesta personale sia un patrimonio condiviso”.
Di dimissioni neanche a parlarne. “Ho la coscienza assolutamente limpida e tranquilla — ha detto il Guardasigilli — Poi se dovessi essere un peso, se il Paese non avesse più bisogno di me, allora me ne andrei”.
“Altri 110 interventi simili”
All’agenzia di stampa TmNews, però, la Cancellieri ha raccontato altri particolari interessanti. “Sono intervenuta in almeno 110 casi, segnalando al Dipartimento di amministrazione penitenziaria casi analoghi a quello di Giulia Ligresti, cioè casi di detenuti per i quali c’erano questioni particolarmente delicate di salute o motivi umanitari” ha detto il ministro della Giustizia, specificando di essere intervenuta presso il Dap anche con “note scritte di mio pugno per segnalare situazioni particolarmente delicate dal punto di vista sanitario o umanitario”.
Quello di Giulia Ligresti, arrestata nell’ambito dell’inchiesta Fonsai e poi passata ai domiciliari, quindi, per il titolare della Giustizia non è un caso eccezionale, e il ministro Cancellieri è più che “serena”.
Martedì il ministro riferirà in Senato, “pronta a rispondere a ogni domanda”.
E, a quanto si apprende da via Arenula, al ministero stanno raccogliendo un dossier che documenta le segnalazioni fatte dal ministro al Dap in altri casi di detenuti che si trovavano appunto in condizioni delicate, per motivi di salute o umanitarie.
“Se Giulia Ligresti si fosse uccisa la responsabile sarei stata io”
Anche da questo elemento passerà la difesa del ministro. Che durante la conferenza stampa ha respinto al mittente le accuse di favoritismo nei confronti della figlia di don Salvatore Ligresti.
“Vi ricordate il caso di Marco Biagi? Se Giulia Ligresti — ha detto il ministro — si fosse uccisa, e io ero al corrente delle sue condizioni, non sarei stata responsabile della sua morte, della morte di una madre con dei bambini?”.
Ecco perchè il Guardasigilli ha definito il suo intervento “un dovere, un dovere d’ufficio. Dicono: ma Ligresti era un’amica… E chi se ne frega” ha continuato il Guardasigilli, che ha replicato negativamente a chi le chiedeva se avesse avuto un contatto con il Capo dello Stato in merito a questi ultimi sviluppi.
“Mio intervento solo nell’ambito del Dap. Caso Ruby è tutta un’altra storia”
La titolare di via Arenula, poi, ha spiegato i particolari della sua azione e negato categoricamente ogni parallelismo tra la vicenda che la vede coinvolta e la telefonata di Berlusconi in questura nell’ambito del caso Ruby.
“Il mio intervento è stato solo ed esclusivamente all’interno del Dap. Non sono andata al di là dei miei compiti, lo rifarei” ha detto il ministro, precisando che “se qualcuno ha detto che io sono intervenuta per la scarcerazione ha detto il falso”.
Nel sottolineare che il suo è stato un dovere d’ufficio, la Guardasigilli ha detto anche che “ogni detenuto che si suicida va considerato una sconfitta”.
E non sta in piedi il paragone con la telefonata dell’allora premier Silvio Berlusconi in questura per il caso Ruby perchè “quella è un’altra storia, mentre qui ho fatto il mio dovere: sono il ministro della Giustizia e avevo la responsabilità delle detenute”.
“Mio figlio ragazzo serio, mai intervenuto nel suo lavoro”
Durante la conferenza stampa, inoltre, è stata tirata in ballo anche la figura del figlio del ministro, Piergiorgio Peluso.
Anche in questo caso, la Cancellieri ha tenuto a spiegare la sua totale estraneità nelle polemiche di questi giorni.
“Vorrei che leggeste le carte del processo di Torino. Mio figlio è un ragazzo molto serio. Ha fatto un contratto privato in cui era previsto che alla scadenza ci sarebbe stata una liquidazione” ha detto il ministro della Giustizia, rispondendo a chi le faceva notare la liquidazione percepita dal figlio dalla società del gruppo Ligresti.
”Io non sono mai entrata nella professione e nella professionalità di mio figlio, che nel suo lavoro è bravissimo”.
“Chi lo ha detto… Giulia Ligresti…” ha poi aggiunto a chi la interpellava sui commenti alla professionalità del figlio. Infine, a proposito della buonuscita da lui presa da Fonsai, ha aggiunto: “Se a lei facessero firmare un contratto che le dà diritto ad una buonuscita qualora dovesse andarsene, lei lo firmerebbe?” ha detto rivolgendosi a un giornalista.
“Io raccomandata? Ho fatto tutto grazie alle mie forze”
Infine, tornando alla sua personale situazione, il Guardasigilli ha respinto con sdegno le accuse di esser stata raccomandata nel corso della sua carriera, elemento che emergerebbe dalle intercettazioni telefoniche della compagna di Salvatore Ligresti con la figlia. ”Ho fatto la strada che ho fatto solo grazie alle mie forze” ha detto la Cancellieri, che ha ricordato di essere stata nominata prefetto da Mancino, mentre Maroni la mandò a Vicenza e Pisanu a Bergamo mentre a Brescia la inviò Bianco e a Genova Giuliano Amato.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
ARRIVA PURE UNA DENUNCIA DI UN ESPULSO DEL PD, SOTTO INCHIESTA PER TENTATA ESTORSIONE: “CARO MATTEO…”
Cambi di casacca dell’ultimo minuto e inquinamento del voto ai congressi del Partito Democratico. In Sicilia la corrente di Matteo Renzi, piace a molti. Anche troppi.
E a segnalare il balzo sul carro del sindaco di Firenze arriva anche una nota di Giuseppe Arnone, ex consigliere comunale di Agrigento poi espulso dal Pd.
Il vulcanico avvocato agrigentino è finito indagato dalla procura di Agrigento per tentata estorsione: secondo gli inquirenti avrebbe pressato il senatore Giuseppe Lumia e Rosario Crocetta per ottenere un posto in lista alle ultime elezioni regionali. Una vicenda ancora aperta che però non ha allontanato Arnone dai democratici. Anzi l’avvocato agrigentino, che si definisce un renziano della prima ora, ha preso carta e penna per scrivere al primo cittadino fiorentino.
“Caro Matteo — scrive Arnone — sento il dovere di denunziare con forza quello che sta avvenendo nella mia amata Sicilia e in primo luogo nella mia Agrigento. Altro che rottamazione! Siamo in presenza di un assalto all’arma bianca della peggiore politica che passa disinvoltamente, adesso con la tessera tra le mani del Pd, da An e Berlusconi, appunto a Matteo Renzi”.
L’ex consigliere comunale punta il dito sugli ultimi congressi siciliani per eleggere i segretari cittadini del Pd. “Al seggio elettorale — scrive — domenica scorsa, ho trovato neo iscritti al Partito Democratico quei vice Sindaci berlusconiani, quegli assessori berlusconiani, quei consiglieri berlusconiani con cui mi sono scontrato al Comune di Agrigento, anche tra minacce, denunzie e ombre potenti di collusioni mafiose, per tre lustri”.
L’anomalia principale che Arnone segnala a Renzi è soprattutto una: il passaggio dell’ex vice sindaco di Agrigento Maria Pia Vita nei ranghi del Pd, dopo una lunga militanza in Alleanza Nazionale.
“Maria Pia Vita — scrive l’avvocato — è, da dieci anni, il numero due della corrente di AN adesso azzerata da un’inchiesta regionale su tangenti per affari per decine di milioni di euro che giravano attorno all’imprenditore agrigentino Giacchetto. Giacchetto ed i politici da lui corrotti sono finiti tutti in galera, tra questi l’ex Assessore Regionale Luigi Gentile”.
Il riferimento è allo scandalo sulla Formazione professionale, che quest’estate ha scosso i palazzi del potere siciliano.
Sotto accusa sono finiti diversi ex assessori regionali, considerati nelle disponibilità del pubblicitario Faustino Giacchetto.
Tra i politici coinvolti dall’inchiesta anche l’ex assessore regionale Luigi Gentile, a lungo uomo di punta di Fli in Sicilia.
“La neo iscritta al Pd, Maria Pia Vita — dice Arnone — è stata, per tre lustri e sino alla settimana scorsa, il numero due della corrente di Gentile. Adesso, con il resto della corrente, ha aderito, con parecchi amici, suoi e dell’ex assessore Gentile, alla corrente di Renzi con tanto di tessera del Pd”.
Una pratica diffusa quella segnalata da Arnone. “Da domenica scorsa — aggiunge l’avvocato- hanno la tessera del Pd i consiglieri comunali di Agrigento Alongi, Vita, La Rosa, tutti eletti nelle liste berlusconiane”.
La corrente di Renzi in Sicilia, data per vincente ai congressi, è stata presa d’assalto da politici che fino a poco tempo fa erano distanti anni luce dalle posizioni del sindaco di Firenze. È proprio Agrigento ha visto passare il suo sindaco Marco Zambuto, una vita nell’Udc, tra i rottamatori.
“Zambuto — scrive Arnone — per quasi quindici anni, è stato Consigliere ed Assessore di Totò vasa vasa Cuffaro, oggi in carcere per mafia, rompe con Cuffaro nel 2007 e viene eletto Sindaco con il Centro Sinistra. Diviene Vice Segretario Regionale dell’Udc, ma non ottiene il posto di capolista alle ultime politiche. Questa la ragione della sua conversione al Partito Democratico, portandosi dietro le truppe cammellate dei capi corrente di AN e Berlusconi”.
Domenica scorsa, il nuovo segretario eletto dal Pd ad Agrigento è stato Giuseppe Zambito, sostenuto dal deputato nazionale democratico Tonino Moscatt.
Durante le votazioni, lo stesso Arnone si è reso protagonista di un blitz al congresso per tentare di riottenere la tessera del Pd, senza successo.
Le curiosità principali interne ai democratici agrigentini si sono verificate però in provincia: a Favara il Pd ha eletto come nuovo segretario Carmelo Vitello, anche lui esponente di Futuro e Libertà , già candidato al consiglio comunale dai finiani.
Interessante come a Favara, comune di trentamila abitanti, abbiano votato 630 persone, cento in più rispetto ai dati del capoluogo agrigentino, che conta più del doppio degli elettori.
“In pratica almeno un elettore del Pd ogni 50 abitanti” segnala un quotidiano locale.
Senza considerare che il comune agrigentino non è proprio una roccaforte della sinistra, anzi al contrario, dato le ultime elezioni amministrative hanno visto l’affermazione del centro destra. Sempre che nel frattempo non siano però tutti passati tra i renziani del Pd.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
ARMANDO CUSANI CONDANNATO IN PRIMO GRADO A UN UN ANNO E OTTO MESI CON SOSPENSIONE DELLA PENA PER ABUSO D’UFFICIO… NON POTRA’ PIU’ SVOLGERE IL RUOLO DI PRESIDENTE DELLA PROVINCIA E QUELLO DI CONS. COM. A SPERLONGA
Mentre al Senato si aspetta il voto in Aula sulla decadenza di Silvio Berlusconi, fuori dal
Parlamento la legge Severino continua a mietere le sue vittime.
Se per il Cavaliere ogni appiglio è buono per temporeggiare, in altre sale la norma dell’ex ministro della giustizia è già in applicazione.
Dopo la condanna di primo grado perabuso d’ufficio il presidente della Provincia di Latina Armando Cusani è stato sospeso, in base alla legge Severino, con provvedimento del prefetto di Latina Antonio d’Acunto del 31 ottobre scorso.
La sospensione avrà la durata massima di 18 mesi.
La legge prevede un reintegro delle funzioni se in questo periodo di tempo dal tribunale di secondo grado arriverà una pronuncia che ribalterà la condanna.
La sospensione, uno dei primi casi di applicazione della legge Severino, riguarda sia l’incarico di presidente della Provincia sia quello di consigliere comunale di Sperlonga.
In Provincia le funzioni saranno svolte dal vicepresidente, in consiglio comunale dal primo dei non eletti.
Cusani è stato condannato nei giorni scorsi a un anno e 8 mesi con sospensione della pena per abuso d’ufficio.
Il caso riguarda la rimozione del comandante dei vigili urbani di Sperlonga nel 2003, quando Cusani era sindaco del comune del sud pontino.
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Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
FANNO I DURI SULLA DECADENZA DI BERLUSCONI, MA TRA CINQUESTELLE E PDL IL CONTATTO C’E’ DA TEMPO
Sulla decadenza del Cavaliere i grillini fanno la voce grossa, gli antiberlusconiani puri, sfidano e sfottono il Pd ogni qualvolta sentono puzza di cedimento o inciucio col Pdl.
Come dimostra lo show in Senato di martedì scorso, con Grillo sulle balconate, e i suoi in Aula ad accusare il Pd di voler rinviare.
Ma dietro le quinte, dopo la svolta leghista sui temi dell’immigrazione, al vertice grillino covano ben altri ragionamenti.
«Berlusconi è moderno. Più moderno del Pd», ha spiegato ieri l’ideologo Paolo Becchi alla Stampa. «Ha capito l’aria. Il prossimo scontro elettorale sarà tra il rinnovamento di Grillo e la sua conservazione. Mentre il Pd è morto».
È lo stesso Becchi che ad agosto ricevette una telefonata dal Cavaliere, che voleva incontrare Grillo e Casaleggio. L’incontro non va in porto, ma i due parlano a lungo di mass media e politica, di tv e di Internet. «Avete ragione voi, il futuro è vostro», conclude Berlusconi. «Ma oggi le tv sono ancora più forti».
L’ideologo ammette che il Cavaliere è interessato allo sviluppo del movimento.
Non è un mistero che già dopo le ultime elezioni si sia messo a studiare i comizi di Grillo. «Ho fatto l’esegesi dei suoi discorsi. È la mia brutta copia, ma non è elegante come me», la conclusione di Silvio.
Da allora l’interesse non è sfumato. In agosto il Cav voleva sapere da Becchi quanti fossero i grillini dissidenti pronti a votare la fiducia a Letta.
«Nessuno del movimento sosterrà il governo», era stata la rassicurazione del prof. Ma sul tavolo potrebbe esserci ben altro.
Becchi infatti guida il pool di giuristi incaricati da Grillo e Casaleggio di occuparsi della richiesta di impeachment per Napolitano. Un terreno su cui le intese con i falchi Pdl sono possibili.
Se poi dovesse esserci la scissione, con Silvio e i suoi all’opposizione delle larghe intese, la tentazione di uno sgambetto al Quirinale potrebbe farsi fortissima.
Qualche mese fa era stato il leghista Calderoli a ipotizzare un’alleanza con il m5S. «Insieme potremmo governare».
Ora la tentazione si sta diffondendo nel Pdl. Brunetta l’ha scritto giovedì nel mattinale del Pdl. «Per Grillo il popolo è grullo, un branco di idioti cui far credere di tutto pur di montargli in groppa per il potere. E dire che c’è qualcuno dei nostri che vorrebbe allearsi con lui…»
Le parole di ieri di Becchi sul Berlusconi «moderno» proprio nei giorni della battaglia sulla decadenza, agitano il M5S. Anche perchè l’intervista rivela che l’eliminazione politica del Cavaliere non è affatto in cime all’agenda.
Anzi, la speranza è quella di averlo come competitor diretto alle prossime politiche.
E se vince lui? «Ce ne faremo una ragione», risponde Becchi.
Sta proprio in questa relativa indifferenza al berlusconismo una delle frattura più profonde dentro il mondo grillino. E non a caso, quando qualcuno dei dissidenti, come Luis Orellana, ipotizza un dialogo col Pd proprio per cercare di mettere al’angolo Berlusconi, subito scatta la rappresaglia sul blog. «Sei il nuovo Scilipoti».
Ora è tutto più chiaro.
Non si tratta solo di una diversità di vedute tra colleghi di partito, ma di un punto cardine della strategia dei vertici M5S: «Berlusconi è moderno, il Pd è morto», dice Becchi. Colpisce in particolare il tono bonario verso Silvio e il giudizio durissimo su Renzi: «È il nulla, una figurina, lo zero assoluto»
Becchi annuncia di aver mandato una rettifica alla Stampa, si sente manipolato. Ma il suo attivismo non piace a tutti i grillini.
«Parla a titolo personale, sia nelle interviste che nelle eventuali telefonate con Berlusconi. Non certo a nome del movimento», taglia corto il senatore Luis Orellana. «Il nostro giudizio su Berlusconi è nettissimo, ed è una scandalo che dopo tre mesi non sia ancora decaduto da senatore».
Non è la prima volta che l’ideologo incappa in un incidente. Già a maggio aveva detto che «non è follia pensare che uno possa prendere le armi». Subito era arrivata la scomunica dei gruppi parlamentari: «Non ci rappresenta».
Ma dal giro non è uscito. Anzi, ora è lui a curare il delicatissimo dossier sull’impeachment.
Corre voce che in realtà Becchi sia un depistaggio, i contatti veri li terrebbe Verdini con il guru Casaleggio…
Andrea Carugati
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Novembre 2nd, 2013 Riccardo Fucile
LA SENATRICE CONTRO I GOVERNISTI: “NON C’E’ RICONOSCENZA UMANA”
Nella gran gabbia del Pdl, da cui uscirebbe confuso pure Konrad Lorenz – ormai ci sono vecchi
falchi: Verdini, Ghedini, Brunetta; nuovi falchi: Fitto, Minzolini, Nitto Palma; falchi spennati: Capezzone; colombe: Quagliariello, Lupi, Lorenzin, De Girolamo, Cicchitto; pitonesse: la Santanchè; cani: Dudù – ha fatto ingresso un nuovo esemplare di politico: Manuela Repetti, il cigno (la definizione è di un autorevole senatore del partito, che però preferisce mantenere l’anonimato un po’ per stile e un po’ anche per evitare di dover dare spiegazioni a Sandro Bondi, che alla Repetti è legato sentimentalmente: e sapete che Bondi, il mite Bondi, è anche capacissimo di tremende sfuriate).
Il soprannome, comunque, funziona. Per ragioni puramente estetiche: lei alta, bionda, 46 anni portati magnificamente, non comuni (specie nel Pdl) dosi di sobrietà nell’abbigliamento, una laurea in Lingue e letterature straniere.
Ma anche per ragioni etologiche: animale elegantissimo, il cigno può diventare molto battagliero, fino ad avere imprevisti scatti di aggressivita’.
In effetti, le dichiarazioni rilasciate dall’onorevole Repetti nelle ultime settimane sono sorprendentemente taglienti. La sua difesa del territorio politico di Silvio Berlusconi è diventata – a colpi di comunicati – opera quotidiana e tenace.
Esempi: «Il Pd calpesta la legge»; «Voto palese conferma strategia eliminazione fisica Berlusconi»; «Letta faccia le valige»
Il Cigno all’attacco.
«Beh, visti i soprannomi che circolano ultimamente nel Pdl poteva andarmi anche peggio…»
Cigno, no, non è male davvero
«Ah ah ah! Ora bisognerà vedere cosa ne pensa Sandro…».
Parliamo di politica: lei è diventata, improvvisamente, dura, intransigente.
«Mi sono adeguata al momento. Se penso a ciò che sta accadendo con la legge di Stabilità e con la cosiddetta decadenza di Berlusconi, io credo che da giorni avremmo dovuto trarre le conseguenze politiche necessarie…»
Può essere più esplicita?
«Questo governo è ancora il nostro governo? Possiamo stare seduti allo stesso tavolo del Pd?».
Secondo alcuni colleghi del suo partito, sì
«Quagliariello va in giro sostenendo di avere i numeri… È un mese che si tiene il foglietto in tasca, dal giorno che fu votata la fiducia a Palazzo Madama: è chiaro che si prepara ad andarsene. Ma non è nemmeno questo che mi indigna. Quando guardo Quagliariello e quelli come lui… la Lorenzin, la De Girolamo, Lupi… Sa a cosa penso? Vado oltre la politica, precipito nel sentimento e mi chiedo: ma la riconoscenza? Certi valori condivisi fino a due mesi fa? Possibile che per opportunismo, si possa ignorare il passato?».
E quando invece guarda Alfano?
«Alfano tribola, la sua pancia dev’essere un vulcano. Per come lo conosco, e per quanto è forte e affettuoso il suo rapporto personale con Berlusconi, Alfano sta certamente vivendo giorni di grande sofferenza… E quindi…».
E quindi?
«Mi auguro si accorga che c’è chi lo sta tirando per la giacchetta. Spero rifletta bene, e alla fine decida per il meglio».
(Manuela Repetti si congeda: deve andare di là , in salotto, dal suo Sandro. È un pomeriggio festivo, e di riposo, per entrambi. Certi giorni sono simili ai nostri anche in casa dei politici. Si riordina la libreria, si controlla se in freezer è per caso rimasto un gelato ).
(da “il Corriere della Sera”)
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