Destra di Popolo.net

GRILLO GETTA LA MASCHERA: “DOBBIAMO GUARDARE A DESTRA”

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

AI SUOI CITA UN PRESUNTO SONDAGGIO INTERNO (CHE NON MOSTRA) SU DIRITTI E IMMIGRAZIONE: FORSE GLIELO HA PRESTATO IL SUO AMICO MARONI

Cronaca e teoria, teoria e cronaca.
Gli orizzonti di Grillo si chiariscono in un dato di cronaca, segno dei tempi.
Usciamo da un’era geopolitica in cui la disposizione sul campo di partiti e movimenti era legata ad una massa di saperi vecchi e nuovi, ad una elaborazione collettiva intellettualmente faticosa, ad una o più analisi della realtà .
Grillo, con Berlusconi, crea invece sul campo e passo dopo passo i propri orizzonti: con lui non decade banalmente la modellistica (l’idea di una società  organizzata in questo o in quel modo), decade il pensiero, decade la proiezione del pensiero, e non è poco, per far posto alla pulsionalità  della «pancia», alla soggettività  della «pancia del popolo» che il Movimento deve rappresentare, interpretare, anticipare in uno slancio iper-romantico che abbassa il centro di gravità  delle cose dal vecchio «cuore» all’intestino.
LA VIA TELEVISIVA
È la via televisiva della politica e Grillo la rilancia in quell’ampia trascrizione della seduta che un paio di giorni fa ha messo assieme il Megafono e i suoi parlamentari e di cui ha riferito “Il Fatto”.
Nel corso di questo meeting, Grillo avrebbe detto «Se andiamo a sinistra siamo rovinati». Non è forse tenero in questa dichiarazione così appesa ad un modesto, doloroso, aggiornamento ragionieristico della rotta da seguire?
Quasi un fuori-onda pescato in casa da «Amici», uno di quei laboratori «madre» in cui si confezionano la teoria del percorso e insieme si celebrano i soli «dei» dotati di «pronta cassa»: la Furbizia, l’Opportunità , l’agilità  nell’avvertire il profumo dei tempi, l’orientamento delle relazioni di potere, la palestra in cui si allena la divina Immobilità  del potere.
Grillo ha detto ai suoi che se vanno a sinistra sono rovinati
Era quello che volevano sentirsi dire, dopo che con uno scatto di reni davvero interessante i senatori Cinque Stelle avevano promosso la mozione contro il reato di clandestinità  e lui li aveva fatti a pezzi?
Dubitiamo: una pacca sulla spalla e una raccomandazione di questo genere non possono ricucire lo strappo, anzi.
Il leader padrone si è giustificato; ha raccontato di un sondaggio di cui nessuno sapeva nulla che avrebbe avvisato: il 75% dei votanti grillini vuole il reato di clandestinità . Perfetto: questo sì che si chiama dare pane al pane e vino al vino. Che senso ha parlare di target di civiltà  se la pancia degli elettori spinge in direzione opposta e contraria?
Non si rischia nulla, è l’addome che detta la linea, grazie, e la linea è solo quella che ti garantisce di vincere.
Corretto, Grillo: ma è indecente protestare se poi ti si accosta a Bossi e a Berlusconi, non c’è tendenziosità  in questa sintesi storica che mette assieme i «cadaveri putrefatti» e l’anatomo-patologo che vuole liberarsene prima che sia troppo tardi.
Almeno, ora si comprende la stitichezza di Grillo in materia di «ius soli», al quale, pure, nella stessa riunione concede qualche chance opportunamente «palettata», ma dopo lunghi silenzi e anche brusche virate di sapore leghista.
Ed ecco a cosa gli serve dichiararsi nè di destra nè di sinistra: è, nei suoi calcoli, indispensabile per stare a destra senza giocarsi troppo rapidamente i sostenitori di sinistra; anche se ora sembra disposto a liberarsene perchè deve aver intravvisto fantastici giacimenti di destra sui quali vuole mettere le mani.
Del resto, non ti puoi inventare un centro miracoloso che non collimi con la astuzie di un gioco politico centrista ben più grande e dotato di te.
Grillo è poco, questo il danno; ragiona usando, così come facciamo tutti, con quel poco che abbiamo raccolto tra scuola e strada, ma nessuno di noi dispone del suo potere.
Non si accorge, ad esempio, che quel «poco» urla vendetta anche di fronte ai suoi parlamentari ai quali spiega, ed è pazzesco non si accorga della propria pochezza, che «l’impeachment di Napolitano )che ha issato sulle sue picche più alte, ndr)   è una finzione politica. Non possiamo dire che ha tradito la Costituzione, però….».
Bravo, Grillo, ora anche i suoi sanno di che pasta è fatto il Megafono.
E magari qualcuno gli chiederà  anche una copia del misterioso sondaggio che Grillo ha citato senza mostrarlo e di cui molti cinquestelle pensano sia una patacca dei due capi.

Toni Jop

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IL LIBRO CHE MINACCIA LE FORESTE

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

L’ULTIMA OPERA DI VESPA, UNA TRAGEDIA CHE SI POTEVA EVITARE

Siamo appena all’inizio. Per ora le dichiarazioni di politici italiani tratte dall’ultimo libro di Bruno Vespa si contano sulle dita di una mano: Alfano, Berlusconi, Renzi. Più avanti vedremo se nel poderoso volume comparirà  anche qualche personaggio di sinistra.
In ogni caso lo sapremo presto, perchè il florilegio si protrarrà  per settimane e mesi. Non ci sarà  notizia di cronaca, politica, costume, sport, moda, design, hockey su prato che non sia anticipata dal libro di Bruno Vespa e debitamente recitata in tivù.
Nessun ferito nel tamponamento all’Eur, come anticipato dal libro di Bruno Vespa. Rottura del menisco per il centrocampista del Milan, come anticipato nel libro di Bruno Vespa, e via così.
Tra le tradizioni italiane quella dei libri di Vespa è una delle più nefande e resistenti, il che è un bel segnale di arretratezza per un paese che ha debellato lo scorbuto e la pellagra.
Pur collocati dall’editore in una mediocre collana piena di volumi brutti e noiosi (“Collana I Libri di Bruno Vespa”), l’ultima fatica letteraria di Vespa potrà  contare sul solito indomito battage.
Delle 446 pagine del volume nemmeno una sfuggirà  alla citazione, il che fa almeno 446 spot gratuiti, moltiplicati per tutte le reti nazionali.
Una tragedia che si poteva evitare, soprattutto per il disboscamento delle grandi foreste pluviali (gli indios Tupinambà  si sono estinti dopo che la loro foresta è diventata il libro di Vespa precedente, ora tremano i Baruntu della Nuova Guinea). Una manna, invece, per le redazioni, che da qui a Natale potranno colmare buchi nei notiziari e centimetri quadrati di giornale con righe prese a caso dal libro di Vespa: “Cosa dici, metto pagina 301? O l’ha già  messa TuttoUncinetto?”.
Rimane il mistero su chi, dopo aver sentito recitare per mesi le anticipazioni del libro di Vespa sia così disperato, solo o depresso da leggere veramente il libro di Vespa.
E comunque, non crediate che io intenda sottrarmi al mio dovere: nel caso ancora non lo sappiate è uscito il nuovo libro di Bruno Vespa.
Un po’ scomodo come freesbee, ma vi giuro che come sottopentola funziona.

Alessandro Robecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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DECADENZA, LA BATTAGLIA INFINITA: ECCO COME PUÓ RITORNARE IL VOTO SEGRETO

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

DOMANDE E RISPOSTE TECNICHE SU COSA PUO’ ANCORA ACCADERE AL SENATO SULLA DECADENZA DI BERLUSCONI

Ma alla fine, ‘sto voto in aula al Senato sulla decadenza di Berlusconi da legge Severino sarà  segreto o palese?
Bella domanda, quella su cui arzigogolano gli uomini del Cavaliere, alfaniani o lealisti che siano, pronti a buttare in campo la palla giusta per salvare il loro comunque leader.
Vediamo di addentraci nell’ennesimo labirinto dell’affaire Berlusconi.
Una storia semplice (un senatore condannato in via definitiva a 4 anni) con una legge semplice (la Severino, fuori dalle Camere chi è condannato a più di 2 anni) trasformata invece nel peggiore dei guazzabugli.

La giunta per il Regolamento del Senato ha deciso che il voto su Berlusconi dovrà  essere palese. Si è pure votato su questo ed è finita 7 a 6. Ma abbiamo solo scherzato?
Eh, quel voto in parte vale, e in parte no. Per comprenderlo bisogna fare un passo indietro sulla procedura per portare in aula la proposta di decadenza di un senatore. Come ormai è ben noto, la giunta per le Elezioni e le Immunità  di palazzo Madama – relazione del presidente Dario Stefà no – propone a maggioranza che Silvio lasci la poltrona. Se in aula nessun senatore dovesse eccepire questa decisione, essa passerebbe così com’è stata fatta. E arrivederci a Silvio. Se invece qualcuno si alza, presenta un ordine del giorno, e dice che non è d’accordo, allora si vota. E qui nasce il busillis.

Che cosa può architettare il Pdl, o Forza Italia che sia, per aggirare la decisione della giunta per il Regolamento?
Tutto dipende dal contenuto degli ordini del giorno. Esattamente così ha risposto Francesco Russo, il senatore Pd relatore in giunta, appena uscito vincitore dalla giunta medesima. Confermando che lo spiraglio esiste per il voto segreto. Anzi, più che uno spiffero parrebbe proprio un forte vento di tramontata. Perchè il segreto sta nello scrivere un ordine del giorno che “obblighi” il presidente Grasso a concedere il voto segreto o quanto meno a rivolgersi di nuovo alla giunta per il regolamento.

Che ordine del giorno potrebbe “tradire” il parere votato in giunta?
È ovvio che se l’odg dice solo “siamo contro la proposta di decadenza” in quel caso il voto sarà  palese. Perchè la giunta per il Regolamento ha deciso espressamente che «nei casi di incandidabilità  sopravvenuta, eventuali odg in difformità  dalle conclusioni della giunta delle Elezioni devono essere votati in maniera palese». Quindi, odg puntuale su decadenza, voto palese.

E se invece l’odg tira in ballo importanti articoli della Costituzione?
Allora uno spazio per il voto segreto ci potrebbe stare. Il regolamento del Senato è chiaro, gli articoli della Costituzione dal 13 al 32 (escluso il 23) possono richiedere un voto segreto che 20 senatori possono richiedere. Eccoli i famosi 20 senatori. Non a caso, nel Pdl alfaniano, se ne sono già  appalesati 22. Questi si rivolgono al presidente dell’aula Pietro Grasso e gli chiedono un voto segreto. Qui potremmo essere già  fuori dallo stretto ambito della decadenza e dall’ambito assai circoscritto (troppo?!?!) individuato dalla giunta per il Regolamento.

A questo punto, con gli odg sul tavolo, che fa il presidente Grasso? Decide o rinvia?
Diciamoci la verità , qua nessuno vorrebbe stare nei panni del presidente Grasso e di una decisione a suo modo storica. Egli, assumendosene la piena responsabilità  che gli compete, potrà  fare due cose. Decidere che il voto è segreto perchè l’odg riguarda “comunque” la procedura della decadenza su cui la giunta per il Regolamento si è pronunciata. Oppure potrà  convocare di nuovo la giunta e sentire il suo parere.

I precedenti possono dare supporto a Grasso?
Come dice Francesco Russo un dato è «storico», tabelle riassuntive alla mano: «Alla Camera, dal 2007, in casi come quello di Berlusconi si è votato palese. Al Senato si contano ben 25 casi di voti palesi sulle richieste di autorizzazione a procedere, da Andreotti a Lusi».
Un dato storico che dovrebbe fare giurisprudenza.

Liana Milella
(da “La Repubblica”)

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VENDOLA, IL COMUNISTA DI MONDO

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

LA SUA VALUTAZIONE SBAGLIATA: I RIVA NON ERANO CAPITALISMO ILLUMINATO MA IMPRENDITORI RAPACI… NON SI POSSONO CERCARE COMPROMESSI CON INQUINATORI RECIDIVI

Nichi Vendola definisce l’accusa di concussione mossagli dalla Procura di Taranto per il disastro ambientale dell’Ilva come «la più grande ingiustizia della mia vita». Può darsi. Non sarà  facile alla magistratura dimostrare che il presidente pugliese boicottasse l’operato della sua Agenzia per la protezione ambientale, al fine di favorire i padroni dell’acciaieria; tanto più che a negarlo è lo stesso responsabile dell’Arpa, Giorgio Assennato, cioè il presunto concusso.
Ma il dramma umano di questo dirigente della sinistra impegnato nell’ardua impresa di far coesistere produzione industriale e bonifica del territorio, ben prima dell’indagine giudiziaria si era già  consumato nella sconfitta politica che l’ha preceduta.
Vendola ha sbagliato valutazione sulla natura del suo interlocutore: i Riva non erano capitalismo illuminato, bensì imprenditori rapaci e spregiudicati.
Questo dato di fatto emerge inequivocabile dall’inchiesta tarantina, con i suoi 53 indagati: una ragnatela pervasiva tessuta dai fiduciari di questa famiglia bresciana che dall’Ilva ha tratto profitti miliardari e che con pochi spiccioli addomesticava il consenso dei poteri locali.
Amministratori, sindacalisti, funzionari, parroci indotti a considerare un male minore la violazione delle norme antinquinamento, e a fare pressione per l’ottenimento di sempre nuove deroghe e autorizzazioni benevole.
Cosa c’entra Vendola con tutto questo? Certo non gli si può addebitare il degrado della classe politica tarantina, guidata per anni dal malavitoso Giancarlo Cito e poi da una giunta di destra che ha portato il Comune alla bancarotta.
Ma è stato in quel contesto disastrato che Vendola si è illuso di trovare nella potenza dei Riva, forse nel loro interesse al risanamento degli impianti, una via d’uscita.
Così ai tarantini che cominciavano a ribellarsi, dentro e fuori la grande fabbrica, è parso come se la sua necessità  di mediare con la grande impresa del Nord, e di garantirle la continuità  produttiva, costringesse anche Vendola a tessere relazioni informali col potere aziendale; perfino a dichiararsi infastidito dagli eccessi di severità  della magistratura e dell’Agenzia per la protezione ambientale (Arpa).
Nessuno insinua che fosse mosso da convenienze illecite.
Semmai che sovrastimasse le sue capacità  di relazione, mentre a Taranto le condizioni di vita degeneravano fuori controllo.
La spasmodica ricerca di un compromesso, ai margini della legge, fra garanzia di continuità  produttiva e rispetto delle norme sulle emissioni, concedeva ai Riva una rispettabilità  che i tarantini più avvertiti non potevano più riconoscere loro.
Questo è l’errore che ha isolato Vendola dai movimenti di protesta cresciuti in città  a sostegno dell’azione della magistratura.
E siccome in precedenza un errore simile Vendola lo aveva già  compiuto assegnando a don Luigi Verzè, senza gara pubblica d’appalto, l’incarico di costruire un nuovo ospedale a Taranto, tale reiterazione sollecita un interrogativo: non avrà  pesato nelle sue scelte il bisogno di presentarsi come “comunista di mondo”, capace di intrattenere buoni rapporti con la controparte?
So bene che il suo stile di vita è integerrimo, e che in lui la virtù della gentilezza non si è mai tramutata in mondanità  salottiera.
Ma temo che la reciproca incomprensione fra Vendola e la protesta di Taranto scaturisca proprio da questa esibizione velleitaria di impotenza della sinistra di governo.
Non a caso alle elezioni del febbraio scorso nella città  dell’Ilva sia la destra che i grillini hanno sorpassato il centrosinistra.
La situazione è precipitata quando la magistratura tarantina ha sequestrato l’area a caldo dell’acciaieria e ha imposto la chiusura delle lavorazioni fuorilegge, rifiutando, in nome dell’obbligo costituzionale della tutela della salute, le sollecitazioni a rinviare e a soprassedere che le giungevano dall’alto.
Ricordo il titolo di un giornale di destra, dedicato in quei giorni dell’agosto 2011 alla gip Patrizia Todisco: “La zitella rossa che licenzia 11 mila operai Ilva”.
Sempre allora la direzione aziendale incoraggiò le maestranze a manifestare in difesa degli impianti, esasperando la spaccatura interna ai sindacati così come la lacerazione fra lavoratori impauriti e cittadini ormai consapevoli dell’alto tasso di mortalità  tumorale.
Ma in quel frangente drammatico fu l’intero establishment nazionale a esecrare la Procura di Taranto come un covo di irresponsabili.
Solo perchè applicava la legge.
Tanto che il recente congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati ha denunciato «l’ideologia del mercato quale unica salvezza» con cui si è preteso di calpestare la «effettività  dei diritti».
Sono sicuro che Vendola condivide questa amara constatazione dell’Anm.
Ma allorquando il dilemma si è posto in tutta la sua drammaticità  a Taranto, la sua leadership era già  compromessa.

Gad Lerner

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“HO I NUMERI, FORZA ITALIA E’ MIA”: IL CAVALIERE SFIDA ALFANO

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

CONSIGLIO NAZIONALE ANTICIPATO AL 16 NOVEMBRE E VERDINI LO RASSICURA: “L’80% È CON NOI” (SPERANDO CHE PER UNA VOLTA ABBIA FATTO BENE I CONTI)

Ancora guerra di posizione, in attesa dell’esplosione finale. Con una sola certezza, partorita dalla giornata di ieri.
L’accelerazione impressa da Silvio Berlusconi al consiglio nazionale del Pdl che darà  vita a Forza Italia e alla scissione tra lealisti e governisti.
Non più l’8 dicembre, ma tra due settimane a Roma, probabilmente all’Auditorium di via della Conciliazione.
Sabato 16 novembre, questa la data. Il resto sono riunioni e trattative a oltranza, al di là  di minacce e polemiche tra i due schieramenti.
Il Condannato prima ha visto, all’ora di pranzo, i falchi Verdini, Bondi e Fitto, poi in serata, dopo due giorni di grande gelo, ha ospitato Angelino Alfano, l’ex segretario senza quid.
In mezzo, appunto, c’è stato l’annuncio del consiglio nazionale con il contorno delle solite anticipazioni di alcune dichiarazioni di B. tratte dal prossimo tomo vespiano. Propaganda pura con citazione di De Gregori: “Non c’è niente da capire, con il voto palese la sinistra ha fatto un autogol, ma non è finita, la partita è lontana dal fischio finale e la sentenza sarà  ribaltata”.
IL Cavaliere è un ossimoro di umori: ostenta una disperata sicurezza.
Ad alimentargliela sono stati soprattutto i numeri che gli ha mostrato Verdini a pranzo: “Silvio, abbiamo l’80 per cento dei consiglieri nazionali, il partito è nostro. Guarda qui, regione per regione”.
E giù l’elenco delle adesioni. Di qui la nota berlusconiana diffusa in serata, dal marcato sapore elettorale: “Alle prossime elezioni saremo maggioranza” .
Di conta in conta, al Senato 27 senatori alfaniani hanno chiesto al presidente dell’assemblea Piero Grasso di non tenere conto delle decisioni della giunta per le immunità  sul voto palese.
I lealisti, però, confidano nei centristi montiani anti-Letta e anti-Casini per far fallire il tentativo di governo tra Pd e scissionisti. Scenari, voci, ragionamenti. Che si complicano ancora di più, ascoltando la versione dei ministeriali sulle trattative in corso tra le anime: “Berlusconi non vuole rompere e sa che la decadenza è comunque un processo irreversibile, a prescindere dall’aula. Eppoi se sono così sicuri sui numeri perchè stanno facendo questo pressing per mantenere l’unità ?”.
Ecco, invece, un falco autorevolissimo, a microfoni spenti: “Alfano per rimanere vuole fare il segretario di Forza Italia e arrivare con il governo al 2015: è impossibile”.
Anche per questo, gli ultimatum sulla legge di stabilità  e la tassazione della casa sono il classico specchietto per le allodole.
Tutto si gioca sul destino personale del Condannato e il 16 novembre questa sarà  la partita.
Sempre che non venga anticipata la decadenza nell’aula di Palazzo Madama. A Palazzo Grazioli circola anche questa ipotesi: “Martedì Grasso fa una nuova riunione dei capigruppo e potrebbe indire il voto prima del 22 novembre. La verità  è che Grasso vuole succedere a Letta come premier, a capo di un esecutivo sostenuto da Pd e grillini”.
È chiaro che i falchi spingono per ogni mossa che faccia precipitare la situazione e rivoluzioni gli equilibri della destra padronale del Cavaliere.
Il nodo principale resta sempre la scelta che farà  Alfano. Lascerà  gli scissionisti oppure li guiderà ? In queste ore sono tante le telefonate di alcuni lealisti ai loro ex amici governisti, con una supplica ben precisa: “Cercate di parlare con Angelino, convincetelo a non rompere”.
Le colombe sono convinte di avere un punto di forza: le divisioni nel campo opposto. “Berlusconi non ha un numero due vero. Fitto, per il Cavaliere, non ha i numeri mentre Verdini ha tutti contro”.
Ecco perchè Berlusconi percorre un doppio binario.
Da un lato aumenta la pressione con l’anticipazione del consiglio nazionale. Dall’altro moltiplica e fa moltiplicare gli appelli all’unità .
La scissione c’è ma ancora non si vede. La trattativa è una guerra di posizione che si evolve ora dopo ora.
Senza dimenticare che una spaccatura del Pdl a lungo andare indebolirà  comunque il premier Letta (che ieri ha visto Alfano).
Fronteggiare un’opposizione fatta da Berlusconi, Grillo e renziani non garantisce affatto il traguardo del 2015.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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BERLUSCONI: «SE ALFANO SE NE VA CI FA UN PIACERE»

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

IL CAVALIERE ANTICIPA LA CONTA INTERNA E STUDIA DI TRASFERIRE A BONDI TUTTI I POTERI IN FORZA ITALIA…E BERTOLASO, DELL’UTRI E GALAN ANDRANNO PER BOSCHI

Due partiti, due conte interne, una spaccatura imminente.
Con Berlusconi lanciato a tutta velocità  verso la crisi di governo, il Pdl è vicino all’implosione.
Settantacinque contro venticinque per cento, esultano i falchi.
No, siamo metà  e metà , ribattono gli “innovatori», abbiamo già  raccolto 400 membri del Consiglio nazionale.
Oddio, i calabresi hanno seguito Pino Galati e si sono intruppati tutti con Verdini. Non è vero, Giuseppe Scopelliti è ancora incerto.
Le colombe crescono al Senato: erano ventitre il 2 ottobre e sono diventate ieri ventisette.
Voci, veline, controinformazione, patemi notturni, riunioni carbonare e cene separate, come quella di mercoledì notte tra Verdini, Fitto e Saverio Romano da “Settimio” a via dell’Arancio per pianificare l’offensiva finale contro il ministro dell’Interno. L’ultima mossa del Cavaliere – quella di invitare anche gli alfaniani a convergere sul documento partorito dai falchi “lealisti” nell’ufficio di presidenza della scorsa settimana – di fatto è un ultimatum alle colombe: piegatevi o sarete messi alla porta. «A questo punto – ha detto Berlusconi durante il pranzo di ieri con i falchi – se i ministri se ne vanno in blocco, Alfano compreso, ci fanno un favore».
Gli spazi di trattativa si sono esauriti e lo dimostra il fatto che anche i mediatori – Romani, Gasparri e Matteoli – che finora non avevano firmato il documento dei lealisti, ieri hanno aderito rassegnati al peggio.
Si andrà  dunque a un Consiglio nazionale drammatico, anticipato alla prima metà  di Novembre (esattamente come chiedeva Raffaele Fitto).
E a questo punto non è nemmeno detto che gli “innovatori” di Alfano si presenteranno all’appuntamento, preferendo magari dar vita a un parallelo convegno come Saragat ai tempi della scissione di palazzo Barberini.
Ieri sera il vicepremier, che ormai nei racconti di Berlusconi è diventato «il signor Alfano», si è fatto invitare a palazzo Grazioli per portare una proposta ultimativa: «Siamo tutti con te contro la decadenza, ma il partito è diviso. O c’è una garanzia anche statutaria per la minoranza, oppure è meglio procedere alla creazione di due soggetti politici».
Un’offerta che il Cavaliere non ha preso nemmeno in considerazione, proteso com’è a preparare la via d’uscita dal governo. «Angelino, noi siamo già  all’opposizione, te ne rendi conto? Se questa legge di Stabilità  non cambia profondamente noi non la votiamo. E voi allora che farete?».
Dopo settimane di “stop and go”, di sbandamenti, sembra che il Cavaliere abbia finalmente ritrovato la sua bussola.
La decisione della giunta per il regolamento a favore del voto palese ha reso infatti ai suoi occhi ormai del tutto irrilevante e scontato l’appuntamento con l’aula del Senato e la decadenza.
Da fuori guiderà  la rediviva Forza Italia, di cui sarà  presidente. E proprio per cancellare con un ukase tutte le rivalità  interne, Berlusconi sarebbe in procinto di affidare pieni poteri a Sandro Bondi, coordinatore unico.
«Se Alfano e i suoi riusciranno a tenere in piedi un governicchio, affari loro. Noi intanto andremo all’opposizione. Ma vedrete che si andrà  presto a votare: lo vuole anche Grillo e conviene a Renzi».
Al voto dunque, come capo politico del centrodestra, visto che la condanna gli impedisce la candidatura diretta.
«Le liste – ha anticipato a un amico ricevuto due giorni fa – saranno profondamente rinnovate. Avete visto quanto è stata brava quella renziana, Maria Elena Boschi, a Piazzapulita? Voglio un partito pieno di Boschi».
Il recruiting è affidato a una vecchia conoscenza come Guido Bertolaso, ma a dare una mano ci sono anche Marcello Dell’Utri e Giancarlo Galan.
La voce che corre di bocca in bocca ai piani alti del Pdl riguarda invece la figlia Marina. Al di là  delle smentite di rito, sarebbe proprio la manager 47enne a volersi candidare alla premiership a tutti i costi, mentre il padre resta scettico e vorrebbe tenerla al riparo.
Ma i falchi sono tutti con lei: «Se si vota a marzo Marina non si può tirare indietro, sarà  una campagna elettorale difficilissima».

Francesco Bei
(da “La Repubblica”)

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QUANDO GIULIA LIGRESTI DICEVA: “IL FIGLIO DELLA CANCELLIERI HA DISTRUTTO TUTTO E SI E’ PRESO 5 MILIONI”

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

SULLA BUONUSCITA DI PIERGIORGIO PELLUSO, ANCHE L’INTERCETTAZIONE CON L’EX AMMINISTRATORE DELEGATO DI FONSAI, FAUSTO MARCHIONNI

Uno “messo lì dalle banche”, uno “che ha distrutto tutto”, uno “talmente protetto” che dopo aver incassato “cinque milioni e mezzo” da FonSai “figurati cosa gli daranno in Telecom”.
E’ il ritratto che Giulia Maria Ligresti, ex vice presidente del CdA della società  assicurativa, fa di Piergiorgio Peluso, figlio del ministro Anna Maria Cancellieri, che per 14 mesi di lavoro da direttore generale aveva incassato nell’ottobre dell’anno scorso 3,6 milioni di euro solo di buonuscita.
Chissà  cosa penserà  la Guardasigilli finita nella bufera proprio per essersi messa a disposizione della famiglia siciliana per aiutare Giulia (detenuta e malata ma poi scarcerata) di questa fotografia del figlio.
Certo è che il manager, 45 anni, bocconiano, ora dirigente finanziario Telecom, ha proseguito “a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che di quelle societarie” anche molto dopo il suo addio d’oro. Il report delle Fiamme Gialle in cui si sottolineano questi contatti è del 29 agosto, Giulia viene scarcerata il 28.
Eppure il 19 ottobre dell’anno prima la Ligresti parlava così del figlio della ministra “…omissis… sto Peluso che è entrato da noi un anno, è uscito con cinque   – rivela al telefono a una amica — ieri gli hanno deliberato in consiglio la buona uscita di cinque milioni e mezzo capito? Tutto è stato deciso dalla banche, noi ci fanno il mazzo, infatti c’era lì una persona che lì con mio papà , diceva, se quel nome o quei soldi fossero stati deliberati per te o per me o per Paolo, per qualcuno, il giorno dopo dal consiglio veniva fuori una denuncia, per questo qui che è entrato, ha distrutto tutto eh, è venuto ha avuto il mandato come se tu entri in una azienda svalorizzi tutto, distruggi tutto, fai in modo che, che uno se la può prendere zero, e pi si vedeva che era uno mandato, è uscito appena fatta con cinque milioni e mezzo”.
A inviare Peluso per un tentativo di salvataggio è Unicredit detentrice del 6,6 per cento della compagnia assicurativa.
Una operazione impossibile o quasi visto che lo stesso top manager confessa ai pm che lo chiamano a testimoniare che la compagnia non ha abbastanza riserve.
La fusione con Unipol va avanti nonostante tutto.
Poi Peluso va via con un piccolo tesoretto considerato che la società  aveva 800 milioni di buco.
Sul compenso di Peluso ha qualcosa da dire anche l’ex ad di FonSai, Fausto Marchionni.
Al telefono con Alberto Alderisio, vicino alla famiglia Ligresti, si sfoga raccontandogli che di aver declinato l’invito della trasmissione Report sulle onorificenze. Il cavaliere del Lavoro Marchionni (che ha incassato come buonuscita 10 milioni stando alle cronache dell’epoca, ndr) ha paura che intervenire possa essere boomerang: “E per me verrà  fuori l’azienda ha fatto crack, lui si è messo in tasca questi soldi magari il figlio della ministra se n’è messi in tasca di più di me ma ce lo dimentichiamo e… verrà  fuori qualcuno! Ma te lo faccio sapere! Bah insomma, speriamo, speriamo!”.
L’interlocutore non ha dubbi: “Na sai il figlio della ministra, ma intanto questo lo sanno cani e porci, tanto gliel’ha dati non certo eh….ma glieli ha dati Unpol…eh sì Unipol”.

Giovanna Trinchella
(da “il Fatto Quotidiano“)

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“CONTA SU DI ME”: L’INTERCETTAZIONE DELLA CANCELLIERI CON LA COMPAGNA DI SALVATORE LIGRESTI

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

IL MINISTRO: “MAI INTERFERITO, PRONTA A CHIARIRE IN AULA”, MA IL PUNTO DEBOLE E’ IL FIGLIO IN RAPPORTO D’AFFARI CON I LIGRESTI…. E SI COMINCIA A PARLARE DI DIMISSIONI

“Comunque guarda, qualsiasi cosa io possa fare conta su di me, non lo so cosa possa fare però guarda son veramente dispiaciuta”. Così Annamaria Cancellieri, ministro della Giustizia, si rivolge a Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti.
Un’intercettazione, in possesso dell’Adnkronos, datata 17 luglio scorso a poche ore dall’arresto nei confronti dell’Ingegnere e dei suoi tre figli coinvolti nell’inchiesta della Procura di Torino.
Il Movimento 5 stelle è pronto a presentare una mozione di sfiducia nei confronti della Cancellieri, se non ci sarà  un chiarimento sulla vicenda. Anche dalla Lega Nord arriva una richiesta di chiarimento su una “vicenda torbida”.
Mentre il ministro dell’Interno Angelino Alfano la difende: “Solidarietà  alla Cancellieri, la vicenda è stata strumentalizzata”.
Anche il Pd chiede chiarezza alla Cancellieri: “È opportuno che il ministro Cancellieri – dice Danilo Leva, responsabile giustizia dei democratici -, alla luce di quanto viene riportato da una agenzia di stampa, chiarisca il senso delle parole da lei proferite nel corso di una telefonata con Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti. Si tratta di una vicenda estremamente delicata su cui è necessario garantire la massima trasparenza. Bisogna inoltre fugare ogni dubbio che possano esistere detenuti di serie A e di serie B”.
La compagna di Ligresti: “Cancellieri mia amica da 40 anni”.
“Ho un rapporto di amicizia con Annamaria Cancellieri che dura da oltre quarant’anni”. Così Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti, ha risposto, lo scorso 20 agosto, ai pm di Torino che la sentivano in merito ad alcune telefonate relative a un possibile interessamento del ministro Cancellieri alle condizioni di salute di Giulia Ligresti, all’epoca detenuta.
Secondo Fragni si trattava di una “situazione non regolare, pensavo che su quello il Ministro avrebbe potuto fare qualcosa, anche se non so bene che cosa”.
Il figlio della Cancellieri ancora in contatto col gruppo.
“Dal monitoraggio delle conversazioni telefoniche è emerso che lo stesso ex direttore generale di Fondiaria-Sai”, Piergiorgio Peluso, figlio del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, “continua a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che di quelle societarie”.
Lo scrive il nucleo di polizia tributaria della Gdf di Torino in una annotazione del 29 agosto scorso agli atti dell’inchiesta su Fonsai.
Nell’annotazione del 29 agosto scorso, il giorno dopo la concessione degli arresti domiciliari a Giulia Ligresti, la Gdf spiega le ragioni per cui è necessario ai fini delle indagini captare le conversazioni telefoniche della stessa figlia di Salvatore Ligresti e di Peluso.
Quest’ultimo, scrive la Gdf, “è stato dal mese di giugno 2011 al mese di settembre 2012 direttore generale di Fondiaria-Sai spa, con deleghe strategiche”.
La posizione, si legge ancora nell’atto, “di top manager all’interno della società , ha fatto sì che Piergiorgio Peluso avesse stretti legami con la famiglia Ligresti e altri alti dirigenti del gruppo Fonsai”.
Dalle intercettazioni, spiegano ancora i finanzieri, è emerso che Peluso “continua a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che di quelle societarie”.
Da quel che risulta dall’intercettazione non pare che la Cancellieri vada oltre la cortesia verso un’amica di vecchia data.
Di compromettente non vi è nulla.
Imbarazza il rapporto di affari e di lavoro tra il figlio della Cancellieri e la famiglia Ligresti: questo avrebbe dovuto indurre a maggiore prudenza.

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SBERLE, RICORSI, DENUNCE: E’ IL CONGRESSO PD, BELLEZZE

Novembre 1st, 2013 Riccardo Fucile

TENSIONI DA TORINO A CATANIA, CUPERLO DOPPIA RENZI

Ci sono i circoli in cui è finita a sberle, quelli in cui sono arrivate frotte di «militanti» coi pullman, altri nei quali i parenti di esponenti politici non vengono fatti iscrivere. Cronache dai congressi locali del Pd, che rimbalzano un po’ da tutta Italia.
Il primo, a denunciare possibili problemi, era stato Pippo Civati – uno dei quattro in corsa per la segreteria – che si riferiva al caso Sicilia.
Poi, mano a mano, sono arrivate diverse segnalazioni: tessere gonfiate, irregolarità , veri e propri litigi, ricorsi e denunce.
Una «bufera» che investe anche la Capitale, dove si affrontano Lionello Cosentino, Tommaso Giuntella, Tobia Zevi e Lucia Zabatta.
In un circolo di Roma nord due esponenti locali sono stati portati in ospedale, dopo una discussione molto accesa.
A Monte Mario, alla suocera dell’eurodeputato Roberto Gualtieri è stato impedito di votare: «Ci dispiace, il tesseramento è chiuso», la risposta.
Nelle aziende pubbliche ci sono «movimenti» sospetti: al Cotral (società  regionale dei trasporti) è arrivato un pullman con 60 persone sopra, tutte di fuori Roma, e la segretaria che doveva registrare il voto se n’è andata.
Mentre all’Acea (la multiutility, quotata in Borsa, di acqua e luce) la garante ha interrotto le operazioni di voto.
A Cosenza, i Giovani democratici scrivono a Renzi, denunciando «la compravendita delle tessere».
Ma episodi più o meno analoghi si registrano su e giù per la Penisola: in Puglia, a Milano, a Napoli e dintorni, nel Nord.
Con i soliti «avvistamenti» di file di stranieri, o di anziani, reclutati dai Democratici.
Civati, un po’ sconsolato, assiste: «Adesso, a posteriori, se ne accorgono tutti. Purtroppo questa è una forma mentis, difficile da scalfire».
Lui, l’outsider tra Matteo Renzi e Gianni Cuperlo, lo dice chiaramente: «Con i miei sono stato chiaro: se becco uno che fa queste cose, lo prendo a calci nel sedere… E poi, a che serve?».
Le tessere, in realtà , portano a un risultato: la vittoria nei congressi provinciali. E qualcuno, nelle segreterie dei principali sfidanti, fa già  i conti: per Cuperlo sono 49 (tra questi c’è anche Crisafulli, «disconosciuto» dal candidato segretario), per Renzi 25.
Sempre Civati: «Mi sembra poco elegante questo calcolo. Ma come, non avevamo detto apposta di separare i congressi locali da quello nazionale?».
Il clima è questo, un po’ ovunque: a Catania e Taranto le votazioni sono sospese, in Puglia e Campania ci sono verifiche in corso, anche a Torino ci sono state denunce. Paolo Gentiloni, renziano, vecchio lupo di mare, ne ha viste molte: «Non assolvo, anzi. Per me tolleranza zero. Ma questa deriva non è di oggi, anche se tenere il tesseramento aperto fino all’ultimo è stato un errore. Così si generano mostriciattoli : specie nel Sud, infatti, prevalgono i notabilati locali».
Non è la prima volta, non sarà  l’ultima: capitò anche con le primarie per il sindaco di Roma, quando vinse Marino, con le foto dei rom in fila ai gazebo.
E i due principali sfidanti? Secondo Cuperlo «la metà  dei votanti è con me».
Per Renzi «deciderà  il voto nei gazebo l’8 dicembre: sceglieranno i cittadini».
Nicola Zingaretti si chiama fuori da future corse a premier: «Da anni mi candidano a tutto, ma io faccio le mie scelte da solo, spesso contro i capicorrente del Pd. Faccio il presidente della Regione Lazio, la mia attività  politica e tutto il mio tempo sono concentrati su questo impegno. Quando lo avrò portato a termine valuterò. In autonomia e senza padrini politici».
Massimo D’Alema ripete di «non sostenere alcun candidato premier del centrosinistra, anche perchè le elezioni politiche non ci sono. Ed è probabile e auspicabile che non vi siano per un periodo prolungato, dato che siamo tutti interessati alla stabilità  del governo guidato da Enrico Letta, che deve completare la sua missione realizzando gli obiettivi di riforme che si è dato. Quando verrà  il momento chi vorrà  candidarsi lo farà  e ognuno valuterà  le candidature in campo. In questo momento l’unica candidatura che sostengo è quella di Cuperlo alla segreteria del Pd».
Renzi intanto pensa alla sua «rivoluzioncina»: «Terminata l’era berlusconiana – dice il sindaco di Firenze – è l’ora di una radicale riforma della giustizia che disciplini la responsabilità  civile dei magistrati».
Altra carne sul fuoco, nella corsa alla segreteria.

Ernesto Menicucci
(da “il Corriere della Sera”)

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