Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
EDITORE E FONDATORE DIVISI SUL SINDACO
Come sempre nelle grandi occasioni, Carlo De Benedetti ha fatto il suo endorsement dalle colonne del Corriere della Sera, in una solenne intervista firmata da Alan Friedman: “Alle primarie del Pd voterò per Matteo Renzi”.
I lettori del suo giornale, laRepubblica, si sono invece beccati l’omelia domenicale del fondatore Eugenio Scalfari, di segno opposto.
Partita con il tono lieve di un sorprendente confronto tra due pensatori contemporanei come il sindaco di Firenze e lo scrittore e showman Fabio Volo, è sfociata in una autentica invettiva: “Il talento glielo riconosco ed è anche simpatico quando si ha l’occasione di incontrarlo, ma non credo che lo voterò alle primarie del Pd per la semplice ragione che, avendo promesso tutto, la sua eventuale riuscita politica rappresenta un’imprevedibile avventura e in politica le avventure possono giovare all’avventuriero ma quasi mai al paese che rappresenta”.
E per rimarcare meglio la bocciatura, Scalfari gli contrappone la santificazione dell’intellettuale bresciano: “Ricorda Balzac quando esordì scrivendo feuilleton sui giornali popolari dell’epoca. Poi entrò in forza nella letteratura e ne fu uno dei massimi esponenti. Auguro a Volo di fare altrettanto”.
Mai la divergenza tra il quasi ottantenne editore e il quasi novantenne fondatore fu così esplicita. De Benedetti chiama in causa l’elemento anagrafico, ovviamente non a carico dei più anziani, ma di quella generazione di mezzo che, nonostante i ripetuti e solenni incoraggiamenti dell’ingegnere di Ivrea (come lo chiamavano quando tifava per Achille Occhetto), ha fallito: “Ormai la nostra speranza è legata a chi oggi ha meno di quarant’anni”.
De Benedetti ammette con disinvoltura di aver cambiato idea rispetto alla precedente intervista al Corriere , quando liquidò Renzi dicendo che “di Berlusconi ne abbiamo già avuto uno”. Immediata la protesta di Gianni Cuperlo, avversario di Renzi e membro della generazione perduta bocciata da De Benedetti.
Da molti anni ripete le accuse al partito di Repubblica di ingerirsi negli equilibri interni del suo partito.
Il giornale diretto da Ezio Mauro è considerato dai cuperliani sdraiato sul sostegno a Renzi.
E così anche stavolta Scalfari è isolato, come nell’estate 2012, quando difese l’intangibilità del Quirinale (nella vicenda dell’intercettazione Napolitano-Mancino) contro editorialisti del calibro di Franco Cordero, Barbara Spinelli e Gustavo Zagrebelsky.
Quest’ultimo presidente onorario di Libertà e Giustizia, l’associazione voluta da Carlo De Benedetti.
Giorgio Meletti
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Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
“BENE CUPERLO, IL PD DEVE AVERE UN’IDENTITA”… “SE SI MORTIFICANO GLI ISCRITTI POI CHI LI SMONTA I GAZEBO, FLAVIO BRIATORE?”
D’Alema, dai primi dati del voto degli iscritti risulta che Renzi e Cuperlo sono testa a testa. Ha davvero speranza che il suo candidato ce la faccia?
«Credo che il voto degli iscritti sarà più equilibrato. Però osservo che il congresso avviene con regole assurde e in un clima di totale mancanza di par condicio. C’è una campagna martellante a favore di Renzi ai limiti del ridicolo»
Anche De Benedetti si è schierato con il sindaco. Un altro segnale, non trova?
«Quella scelta è del tutto coerente con la linea del suo giornale. C’è uno schieramento del potere economico e dei mass media a favore di Renzi che è impressionante. Basta sfogliare i giornali, guardare le tv. Ma vedo, con ammirazione, che c’è una parte notevole di iscritti al Pd che reagisce e resiste»
Però, ci sarà un motivo se l’establishment preferisce Renzi. Non sarà che è più convincente?
«Convergono su Renzi diverse valutazioni. C’è chi ritiene che sia la persona giusta per liquidare ciò che resta della sinistra italiana, che certi poteri hanno sempre guardato con avversione. E poi c’è chi ritiene che Renzi vada bene perchè ci fa vincere. Ma ci fa vincere che cosa? C’è un equivoco di fondo: non stiamo andando alle elezioni, non scegliamo il candidato premier».
Ma insomma non c’è una cosa che le vada bene del sindaco di Firenze?
«Ma no, lui è una risorsa per il Pd. Ha una straordinaria capacità di comunicazione. Però sui contenuti vedo ancora risposte elusive. Se uno ti domanda perchè sei andato ad Arcore da Berlusconi non puoi rispondere che se il presidente del consiglio chiama il sindaco di Firenze va. Perchè il sindaco di Firenze, quando il presidente del consiglio chiama, va a Palazzo Chigi. Renzi sarà pur bravo a battere sulla tastiera del computer con dieci dita, come fanno notare tutti i giornali, ma il fascino delle dieci dita ha cancellato ogni contenuto. Stiamo eleggendo un segretario, non un bravo dattilografo»
Eppure lui dice che vuole fare il segretario e il sindaco insieme proprio per i contenuti, per stare più vicino ai cittadini…
«Certo, ma il segretario del Pd deve stare tra i cittadini italiani e non solo tra quelli di Firenze. Non è esclusivamente un problema di tempi dei due impegni. C’è anche un delicato problema di conflitto di interessi: un segretario di partito deve superare gli interessi di una città , deve essere capace di fare scelte che incidano e parlino a tutti. C’è il rischio che Renzi si trovi costretto a venire meno ai suoi impegni, o con il Pd o con i cittadini di Firenze»
Qualcuno obietta che anche tra i ruoli di parlamentare e segretario c’è un conflitto. Non è così?
«Questo è il segno di un’inquietante ignoranza costituzionale. Il parlamentare, come dice la Carta, rappresenta la nazione. Mentre il sindaco di Firenze rappresenta solo i cittadini di Firenze».
La partita del congresso è già chiusa o no? Renzi vince di sicuro?
«Non lo credo. Anzi, si è dimostrata una grande vitalità nell’andare contro corrente. C’è una parte significativa del Pd e in essa tanti giovani che sostiene Cuperlo con passione e che non si è piegata a questa campagna mediatica. E comunque, se Renzi dovesse diventare segretario, si troverà a gestire un partito che in buona parte dovrà convincere. Non potrà pensare di impadronirsi di un partito che in una certa misura lo osteggia. Dovrà avere la saggezza di rappresentare un mondo più vasto e guadagnarsi il consenso di chi non è con lui e non solo dei suoi seguaci o di qualche editore. Per questo è importante che il risultato non sia plebiscitario. Altrimenti può esserci il rischio che una parte del Pd non si senta più nelle condizioni di viverci dentro. Sarebbe la cosa peggiore».
Vede addirittura il rischio di una scissione?
«Ma no, nessuna scissione. La gente se ne può andare a casa anche silenziosamente. E se questo accade, se ci sarà un’emorragia di iscritti, sarebbe un problema serio. Poi i gazebo chi li smonta, Flavio Briatore?».
Eppure con le tessere gonfiate il Pd non ha dato una bella immagine di sè…
«Non è che le tessere sono state gonfiate. È accaduto che si è adottata una regola sbagliata, quella di potersi iscrivere fino al momento del voto. Non succede in nessun partito al mondo. Perchè da noi sì? Perchè, sotto la pressione esterna, sembrava volessimo compiere un atto di chiusura. Diciamo la verità , siamo sotto il bombardamento di chi ci impone comportamenti strampalati, è come se non bastasse mai e ci venisse chiesto un continuo striptease. Ma è proprio così che trionfa il partito dei notabili e degli eletti e si incentiva un tesseramento forzoso e strumentale. Le cosiddette primarie aperte si offrono a deformazioni di questo tipo al quadrato, anzi al cubo. Per prevenire questi abusi dobbiamo evitare il meccanismo di primarie selvagge, che infatti negli Usa non ci sono. Lì vota solo chi si è iscritto all’elenco degli elettori democratici, ma preventivamente, non al momento del voto».
Cuperlo sostiene che la sinistra deve fare la sinistra e non essere il volto buono della destra. Non si sente chiamato in causa?
«Assolutamente no. Condivido la preoccupazione. Si è teorizzato che il Pd potesse essere un partito programmatico con un’identità debole. È una visione sbagliata, perchè l’identità per un partito moderno è un elemento fondamentale. La destra ha una forte identità , esprime una serie di valori. Ora, contrapporre a forze così marcatamente identitarie l’idea di una sinistra programmatica a mio parere non funziona. Il Pd ha bisogno di recuperare una propria forte identità . Prenda il caso di New York. In quella città Di Blasio ha vinto proprio perchè ha presentato una forza progressista con valori chiari»
E quale è oggi il cuore dell’identità della sinistra?
«Il grande tema di oggi è la lotta contro la disuguaglianza. Mi è parso che Renzi sia invece affascinato da una sorta di tardo blairismo. Ma quella è una stagione conclusa e per la verità anche con risultati molto discutibili. Oggi la crisi profonda della dottrina neoliberale è del tutto evidente. Non mi pare che il tema nostro sia introdurre elementi liberali nella cultura della sinistra. Persino Clinton dice, in modo autocritico, che è stato un errore demonizzare il ruolo dello Stato»
Lei parla di un’identità chiara della sinistra, ma poi sul tema dei rapporti tra Pd e Pse è scoppiato il putiferio. Non è surreale?
«Certo, ritengo che quel rapporto sia obbligato. E questo non significa snaturare il Pd, che ha una sua peculiarità nello scenario europeo e non può diventare un partito socialdemocratico. Spero che si possa arrivare a una definizione del Pse come partito dei socialisti e dei democratici e che ci sia un riconoscimento dell’apporto specifico del Pd. Ma non possiamo dimenticare che siamo in un’Europa bipolare e il Pse, in vista delle elezioni europee, esprimerà una candidatura, quella di Martin Schulz, per la guida della Commissione. Noi che facciamo, sosteniamo la candidatura dei conservatori? Il Pd deve compiere una scelta di campo di natura politica».
Prodi ha detto che non voterà alle primarie. Come giudica la sua scelta?
«La valuto negativamente. Non riesco a capire: diversi di noi hanno posizioni critiche o ragioni di amarezza personale, ma non credo che questo giustifichi il fatto di non andare a votare per il proprio partito
Con Renzi segretario il governo Letta sarà davvero a rischio?
«Spero di no. Auspico che non si creino tensioni, non si può dare man forte a Berlusconi per far cadere il governo. Ma sono anche convinto che il Pd debba far sentire in modo più significativo la sua voce sulle scelte di governo. La voce del centrodestra si è sentita, spesso e anche in modo fastidioso».
E su quali temi il Pd deve alzare la voce?
«C’è poco da fare, noi abbiamo pagato un prezzo alto alle promesse elettorali del centrodestra. Abbiamo ridotto la tassazione sul patrimonio e poi invece siamo intervenuti sul cuneo fiscale mettendo in campo risorse ridotte. Si trattava di una scelta che poteva sostenere il lavoro e le imprese. Questo ha scatenato la protesta delle forze sociali sulla legge di Stabilità . Non è una posizione semplice per il Pd. Ecco, piuttosto che polemizzare con i sindacati avrei valorizzato questo aspetto: un’alleanza delle forze produttive che spinge in una certa direzione per promuovere la crescita.
Sulla legge elettorale sta emergendo l’ipotesi di un ritorno al Mattarellum. Dopo la bocciatura del doppio turno, la sostiene Cuperlo e anche Renzi pare disponibile. Pensa sia la strada giusta?
«Non sono un fan della legge Mattarella, tuttavia non possiamo negare che questa legge ha promosso il bipolarismo in Italia. D’altro canto, dal lungo dibattito alla ricerca di una soluzione alternativa per ora non è emerso nulla di concreto. Allora, questa proposta ha almeno il vantaggio di evitare il rischio di fronte al quale ci troviamo: il puro e semplice ritorno al proporzionale, che sarebbe un passo indietro inaccettabile»
Alle prossime primarie per il candidato premier sarà sfida tra Letta e Renzi?
«Siamo specialisti per le discussioni campate in aria. Non sappiamo in quale contesto si svolgeranno quelle primarie. Nel frattempo potremmo scoprire, in qualche circolo o in qualche amministrazione locale, che Superman è un militante del Pd. Potremo escluderlo dalle primarie? Quando sarà il momento credo che i competitori interni ed esterni al Pd saranno più di uno, come è sempre accaduto.
Pietro Spataro
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Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
LA CARICA DEI “FALCHETTI” SCATENA L’IRA DEI GIOVANI PDL, PROTESTA DEI MILITANTI: “SE VOLETE ENTRARE NEL MOVIMENTO SAPPIATE CHE LA POLITICA E’ SACRIFICIO”
«E comunque, presidente Berlusconi, è inutile che il Pd faccia le primarie l’8 dicembre. Un candidato alla segreteria ce l’hanno già . Si chiama Angelino Alfano».
Quando martedì sera prende la parola di fronte all’esercito di ragazzi radunati da Daniela Santanchè, Andrea Zappacosta – che all’appuntamento col Cavaliere ci è arrivato grazie a un contatto via Facebook col figlio della «pitonessa» – ha già collezionato interviste in radio e tv.
Sa che la sua presenza sulla scena ha già scatenato le ire del movimento giovanile.
Sa anche, forse, che tra gli juniores forzisti è noto come «Zappanchè» o «Pitonesso».
Ma non immagina che il Cavaliere, di fronte al fendente diretto al vicepremier, reagirà come una statua di sale.
Con Annagrazia Calabria, leader dei giovani forzisti, che giocherà la carta di invitare l’improvvisato auditorio post-adolescenziale a un appassionato bagno di realtà .
«Se volete entrare nel movimento giovanile siete i benvenuti. Ma sappiate che la politica è soprattutto sacrificio e militanza».
La «guerra dei giovani» che sta tormentando Berlusconi e seminando il panico tra gli stessi lealisti raggiunge il punto massimo con loro. Con i «falchetti».
E tutto a causa del «dopocena» che la pattuglia condivide col Cavaliere martedì notte.
Si presentano ben vestiti, alcuni accompagnati dai genitori, altri da un mazzo di fiori per la Santanchè, molti di loro frequentano le università private della Capitale, tutti si sottopongono al rito simil-discotecaro della selezione all’ingresso.
«Sei in lista? Il nome? Prego». Una liturgia che verrà vissuta come un dramma dall’intero movimento giovanile ufficiale.
Il coordinatore dei giovani del Pdl della Lombardia, Marco Bestetti, scrive una nota per difendere i suoi militanti, che «hanno provato profondo imbarazzo vedendo ragazzini senza alcuna esperienza mandati in tv per rappresentare a mala pena se stessi».
Il suo pari grado romano, Michelangelo Chinni, ricorderà che Zappacosta è uno che «nemmeno avevamo messo in lista per le elezioni universitarie alla Lumsa».
Ma è soltanto la punta di un iceberg. Dietro la rivolta dei «giovani» c’è una guerra dei «vecchi» che Berlusconi non si aspettava.
Non si aspettava che la sua richiesta di trovare «facce nuove» generasse una ressa a chi ne portava di più.
Come dimostrano i bastoni che un pezzo del gruppo dirigente, a cominciare dal tandem Santanchè-Verdini, avrebbe messo tra le ruote di Marcello Dell’Utri non appena si è saputo che anche il fondatore di Publitalia era impegnato nella ricerca di «nuove leve».
«Io sto cercando decisamente un altro tipo di persone diverso rispetto a questi che vengono chiamati «falchetti». “Amministratori, imprenditori…», scandisce l’ex senatore.
E quando gli si chiede un giudizio sui Santanchè boys, lo stesso Dell’Utri risponde con un sorriso beffardo: «Diciamo che già questa parola, «falchetti», non mi piace…».
Per non parlare della reazione di Simone Furlan, animatore dell’«Esercito di Silvio», un altro a cui il Cavaliere aveva chiesto una mano per le selezioni: «Credo che sia arrivato il momento di fare spazio soprattutto a chi si sta facendo un mazzo così…».
Adesso Berlusconi proverà a fermare la girandola che si è innescata tra i suoi.
Tra i punti fermi c’è la partecipazione alla convention «Noi, la Forza dell’Italia», che Annagrazia Calabria ha organizzato per il 23 novembre a Roma e che ha già raccolto 2500 adesioni.
E anche gli appuntamenti di Villa Gernetto con le persone reclutate da Dell’Utri, che cominceranno lunedì.
L’importante è arrestare la maledizione che si abbatte su Forza Italia ogniqualvolta l’ex premier decide di reclutare facce nuove. Raccontano che il Cavaliere viva ancora come un incubo il ricordo di quando, nel 2005, aveva affidato all’ex coordinatore della Croce Rossa Maurizio Scelli il compito di «metter su un movimento di giovani cattolici» da affiancare ai suoi.
Alla convention inaugurale, al Mandela Forum di Firenze, c’era talmente poca gente che l’allora premier fu costretto a rifugiarsi in Prefettura nella (vana) attesa che il Palasport si riempisse.
Per non parlare, ma questa è un’altra storia, del dimenticatoio in cui è finito Andrea Di Teodoro, che del movimento dei «Giovani Azzurri» era stato il fondatore.
Scaricato dopo appena una legislatura da deputato.
A quell’epoca non c’era Facebook. Il pioniere dei giovani berlusconiani, è la leggenda che ancora circola nel partito, era arrivato a «Silvio» con vie più tradizionali.
Non foss’altro perchè era vicino di casa di mamma Rosa, amata e compianta genitrice del Capo.
E anche per questo, forse, aveva fatto meno rumore dei «falchetti».
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
ERA STATO MINISTRO DAL 2008 AL 2011, HA UNA CONDANNA IN PRIMO GRADO PER TANGENTI
Vuole prendersi il partito, guidare lui la nuova Forza Italia, in tandem con Verdini, senza l’ingombrante presenza di Alfano.
Raffaele Fitto tutti i giorni è nella nuova sede del partito, in piazza San Lorenzo in Lucina, laddove osano solo i falchi.
Chissà se il suo lucido disegno politico gli riuscirà , se Berlusconi lo consentirà , anche nel caso Angelino dovesse arrivare alla scissione e togliere il disturbo, lasciando campo libero ai suoi nemici.
Raffaele è un caterpillar, va dritto verso l’obiettivo Da quando è diventato il leader dell’agguerrita corrente dei lealisti, Raffaele Fitto non veste più le noiose grisaglie ministeriali di uomo del Sud, usa gli spezzati e le camice button down.
Forse è merito di sua moglie che lo accompagna in tutte le trasmissioni televisive, dove però l’ex governatore della Puglia non sfodera quel tipo di eloquio che manda in sollucchero Berlusconi.
Anche per questo il Cavaliere non lo ama particolarmente, ma in questi ultimi tempi lo ascolta molto.
Raffaele rimane legnoso, non è brillante, sorride poco, non va dritto al punto, ma fuori dallo schermo è un organizzatore da ira di Dio.
Cura maniacale del territorio pugliese, non lascia spazio a nessuno, o con lui o contro. Quagliariello è dovuto emigrare in Abruzzo per candidarsi. L’ex sottosegretario Mantovano è stato triturato.
Quando si è con lui, allora Raffaele diventa inclusivo. Il gruppo di lealisti viene sempre informato di tutto. Non fa un passo senza avere prima riunito Gelmini, Carfagna, Bernini, Polverini, Romano, Bergamini con la quale si consulta per la strategia comunicativa.
Non fa un passo nemmeno senza avere consultare i falchi: i suoi avversari alfaniani sostengono che il 43enne Fefè, con la sua faccia di eterno ragazzo perbene, è la maschera dietro cui si nascondono Verdini e Santanchè, il «meno impresentabile tra gli impresentabili».
Cattiverie, veleni a mai finire tra fazioni che si contendono il comando di Forza Italia e si scontrano sulla sopravvivenza del governo.
È tra questi due capisaldi che sta giocando la sua partita contro Alfano, inserendosi nella frattura con Silvio con un tempismo alla Messi.
I due si erano tanto amati, si fa per dire. Comunque erano in grande sintonia per comuni origini democristiane, generazione, approdo nel fantastico mondo di Silvio, che li ha fatti crescere, diventare parlamentari, ministri.
Nel 2000, a 31 anni, Raffaele viene eletto presidente della Puglia. Poi perde per una manciata di voti la sfida con Vendola, arrivano le inchieste giudiziarie, da alcune esce vivo e pulito, in un’altra condannato in primo grado per corruzione e finanziamento illecito.
Sembra imboccare prematuramente la via del tramonto proprio mentre Angelino crescere nel cuore di Berlusconi fino a diventare segretario del Pdl, vicepremier e ministro dell’Interno. Raffaele invece nell’ombra.
Poi la prima riscossa alle ultime elezioni: strappa nella sua Puglia il premio di maggioranza alla sinistra, consentendo a Berlusconi un pareggio al Senato.
Ma quando si forma il governo non viene consultato, non perchè volesse fare il ministro, ma un politico di rango deve sempre essere ragguagliato.
Invece niente, escluso da giro buono, anche quando si decide il capogruppo alla Camera. La spunta Brunetta per volontà di Berlusconi. Angelino non muove un dito per Raffaele che rimane zitto. Mai un’intervista polemica, una parola fuori posto.
Fino a quando decide che è arrivato il momento della rivincita, inventando i «lealisti».
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”“)
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Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI ABUSO D’UFFICIO: SOLLEVO’ LA GIORNALISTA DALL’INCARICO E LA LASCIO’ INATTIVA PER UN ANNO
Augusto Minzolini a processo. L’ex direttore del Tg1, e attuale senatore del Pdl, è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, ”per aver rimosso dalla conduzione del telegiornale la giornalista Tiziana Ferrario“. Il processo è stato fissato per l’8aprile e si terrà davanti alla IV sezione penale. ”Rimango allibito, mi sento un perseguitato”, questa la prima reazione di Minzolini.
Il gup di Roma, Rosalba Liso, ha accolto la proposta di processo avanzata dalla Procura.
Per il pm Sergio Colaiocco, titolare del fascicolo aperto nel 2011, il direttore dopo aver tolto dalla conduzione del tg la Ferrario, che ha mansioni di caporedattore, non l’ha ricollocata nell’attività redazionale per circa un anno.
“Io quando sono arrivato al Tg1 — ha detto l’ex direttore, presente in aula — ho assunto 18 precari senza tener conto del loro orientamento politico. Non li avevo certo messi io, ma i direttori che mi avevano preceduto”.
Se tornasse indietro, rifarebbe tutto, “ma la realtà è che in questo Paese espressioni del tipo largo ai giovani o diamo una chance ai giovani non hanno senso e fondamento”.
“Spero che questa decisione serva a tutti i colleghi della Rai. Quanto è accaduto al Tg1 non deve ripetersi”, queste invece le prime parole della Ferrario, pronunciate all’uscita del tribunale di Roma dove il gup ha deciso per il rinvio a giudizio di Minzolini.
“Un tg del servizio pubblico — spiega la giornalista — ha il dovere di informare rispettando il pluralismo e tutte le notizie devono essere date in maniera completa”.
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Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
TOTO RIINA LO VORREBBE MORTO, LE ISTITUZIONI GLI HANNO PROPOSTO IL TRASFERIMENTO PER SICUREZZA, MA LUI REPLICA: “LA GENTE DA ME VUOLE LA VERITA'”
«Io ci sono», sorride gentile Nino Di Matteo. «E continuo a fare come ogni giorno il mio lavoro», rassicura con una stretta di mano energica.
Il magistrato che Totò Riina vorrebbe morto per le sue indagini vive ormai da vent’anni sotto scorta. E gli ultimi mesi sono stati i più pesanti. Prima una lettera anonima che annunciava: “I pm della trattativa sono pedinati e spiati. Tutte le informazioni confluiscono a Roma”.
Poi, un’altra lettera che metteva in guardia da un attentato al tritolo, «deliberato con l’assenso di Riina e dei suoi amici romani», così scriveva l’anonimo dopo aver elencato con una precisione inquietante i luoghi più frequentati dal pm del processo trattativa.
Dottor Di Matteo, all’ultimo comitato per l’ordine e la sicurezza si è anche ventilata una soluzione estrema, un suo allontanamento da Palermo, per qualche tempo, verso una località segreta. E’ un’ipotesi che ha preso in considerazione?
«Per il momento non ho alcuna intenzione di lasciare la mia città , so che nella mia terra tanti semplici cittadini condividono un sogno di giustizia e di verità ».
Ritiene che le istituzioni stiano facendo tutto il possibile per la sua protezione?
«Mi fido delle istituzioni che si stanno prendendo cura della mia sicurezza. Ringrazio soprattutto i carabinieri che curano da tempo la mia scorta».
La settimana scorsa, alcuni giovani che partecipavano a un convegno in cui lei era relatore, alla facoltà di Giurisprudenza, hanno proposto di istituire una scorta civica per proteggere i magistrati del pool trattativa. Cosa ne pensa?
«Rimango sempre colpito dalla grande voglia di partecipazione che incontro nelle scuole e nelle università : i giovani esprimono con tutta la loro passione civile la stessa voglia di verità che deve sempre animare gli sforzi della magistratura».
Quanto è difficile cercare la verità dentro i misteri del nostro Paese?
«La ricerca della verità deve riguardare tutti i cittadini e tutte le istituzioni, senza distinzioni e reticenze. Questo è il più grande sostegno che si può dare ai magistrati e alle forze dell’ordine che si trovano in prima linea. Bisogna tendere tutti alla verità senza paure e infingimenti».
Nino Di Matteo si allontana per i corridoi del palazzo di giustizia, circondato dai nove carabinieri della scorta.
Lo attende l’ennesima riunione nella stanza del procuratore aggiunto Teresi, con i colleghi del pool, Del Bene e Tartaglia.
La prossima udienza del processo trattativa è già alle porte: il 21, la Procura chiamerà a testimoniare l’ex padrino della Cupola Antonino Giuffrè, che fra il 1992 e il 1993 era uno dei consiglieri più fidati di Bernardo Provenzano.
In questi giorni, Di Matteo è impegnato anche su un altro fronte processuale molto delicato, l’appello contro la sentenza che ha assolto l’ex comandante del Ros Mario Mario e il colonnello Mauro Obinu dall’accusa di aver favorito la latitanza di Provenzano.
E, intanto, va avanti un’indagine bis della Procura sulla trattativa, che resta segretissima.
s.p.
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Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO DI TOTO’ RIINA DAL CARCERE DI OPERA
Nel lungo sfogo di Totò Riina in carcere, ascoltato di nascosto nei giorni scorsi da un agente della Penitenziaria, non ci sono solo le minacce al pm Nino Di Matteo e ai magistrati del pool “trattativa”.
Il capo di Cosa nostra si vanta anche delle sue gesta criminali più eclatanti, le stragi del 1992.
E in modo sprezzante parla del giudice Giovanni Falcone: «Voleva andare a vedere la mattanza dei tonni, ma la mattanza gliel’ho fatta io».
Questo ha detto Totò Riina a un compagno del carcere milanese di Opera. E poi è tornato a minacciare Di Matteo: «Gli faccio fare la fine del tonno, come a Falcone».
Le parole di Riina preoccupano parecchio il procuratore di Palermo Francesco Messineo. «Siamo profondamente allarmati – dice – queste minacce sembrano una chiamata alle armi che il boss fa ai suoi contro i magistrati dell’inchiesta sulla trattativa, che sono visti come ostili». Messineo avanza anche un’altra ipotesi, ancora più inquietante: forse, le parole di Riina non erano destinate all’interno dell’organizzazione.
«Quelle espressioni – dice il magistrato – sembrano un assist ideale a soggetti esterni a Cosa nostra. Perchè dopo ciò, in caso di un’azione violenta, le investigazioni si orienterebbero sulla mafia, lasciando fuori la responsabilità di altri soggetti».
Sono parole pesanti quelle del procuratore di Palermo, che arriva anche ad ipotizzare la possibilità di nuovi attentati contro i magistrati che indagano sulla trattativa mafia-Stato.
«Il passato ci ha insegnato qualcosa – dice – e poichè non vogliamo ripetere le esperienze negative degli anni scorsi abbiamo ritenuto di esplicitare questo allarme».
Così, di gran fretta, lunedì è stato convocato il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto Francesca Cannizzo.
E ieri mattina Messineo è stato a lungo in riunione con Nino Di Matteo e tutti gli altri magistrati del pool, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, e i sostituti Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Oggetto della discussione, ancora una volta in questi ultimi giorni, le esternazioni del capo di Cosa nostra.
Messineo aggiunge: «Non dico che Riina consapevolmente abbia voluto dare una mano a qualcuno, ma la sua potrebbe essere una copertura ideale di azioni criminali commesse da altri o da altri collaboratori di Cosa nostra».
Il procuratore di Palermo non vuole aggiungere di più, anche perchè sulle parole di Riina c’è adesso anche un’indagine della Procura di Caltanissetta, competente ad occuparsi delle minacce ricevute dai pubblici ministeri di Palermo.
«Quei magistrati sono soli», denuncia l’ex coordinatore del pool trattativa Antonio Ingroia, oggi leader di “Azione civile”: «Ecco perchè Riina può impunemente minacciarli». Ingroia chiede al presidente dell’Antimafia Rosi Bindi di aprire una sessione speciale della commissione sulla stagione delle stragi e della trattativa: «Ai lavori dovranno partecipare anche i rappresentanti delle associazioni antimafia e dei familiari delle vittime – dice l’ex pm – se così non avverrà , raccoglieremo le firme per una legge che istituisca quel comitato d’inchiesta».
A Nino Di Matteo e ai suoi colleghi sono arrivati messaggi di solidarietà anche dal presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta, dal consigliere laico del Csm Bartolomeo Romano e da un gruppo di deputati del Pd, fra cui il presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti.
L’associazione nazionale magistrati lancia un appello, «perchè venga adottata ogni cautela idonea a garantire l’incolumità personale di Nino Di Matteo e degli altri magistrati della Procura di Palermo».
È un appello rilanciato dal senatore Giuseppe Lumia, componente della commissione antimafia, che avverte: «Riina non è un vecchio solo in carcere.
Nonostante i colpi subiti, Cosa nostra è viva. Con in testa Riina e il latitante Matteo Messina Denaro c’è da aspettarsi di tutto, come azioni violente verso i rappresentanti dello Stato».
Salvo Palazzolo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
PARTITO DIVISO, SI LITIGA SU TUTTO
Si avvicina il giorno del giudizio, ma il Pdl resta quanto mai frantumato.
Ormai la sfida tra “lealisti” e “innovatori”, che si contendono il favore del Cavaliere, sfocia in guerra aperta, con Berlusconi che in vista del Consiglio nazionale di sabato cerca di evitare la scissione.
L’ex premier vuole tenere il partito unito, gli serve per difendersi in vista della decadenza, ma non dà garanzie sul governo ad Alfano e alle altre colombe.
Angelino e i suoi “innovatori” premono invece perchè il Cn venga rimandato, ma Fitto e i falchi picchiano duro cercando l’escalation che li porterebbe ad impadronirsi della nuova Forza Italia. Berlusconi vede tutti, a pranzo i falchi e i pontieri, nel pomeriggio Nunzia De Girolamo, il ministro più riluttante a rompere, e a cena Alfano, che poco prima ha riunito i suoi per fare il punto.
Il tempo stringe, sono ore bollenti e decisive. Il Cavaliere da un lato conferma l’appuntamento di sabato, dall’altro però promette che per non dare fuoco alle polveri non parlerà di governo.
Alfano prova a suturare, lo fa in una intervista al Corriere e poi parlando a Canale 5, dove invoca «unità ».
Dice di sperare che «esistano le condizioni per presentarsi al Consiglio nazionale» e spiega che se lui e i suoi si presenteranno non lo faranno «per rovinare la festa, anzi Berlusconi merita una bella festa».
Fitto gli risponde: «La festa a Berlusconi la volete fare voi». La giornata va così, in una serie infinita di botta e risposta tra falchi e colombe di ogni livello.
Alfano definisce «inaccettabile» il paragone di Berlusconi tra lui e Fini («tra me e il presidente c’è un rapporto di affetto non paragonabile »), ribadisce la «lealtà » al Cavaliere ma ripete che sarebbe sbagliato buttare giù il governo dopo «l’ingiusta decadenza» perchè «sarebbe peggio, o si formerebbe un governo di sinistra-sinistra o si andrebbe al voto senza il nostro campione, che sarà incandidabile».
Allude alla possibilità che restando in maggioranza Berlusconi possa invece venire riabilitato e correre nel 2015.
Per sabato Angelino non vuole uno scontro come quello storico del “che fai, mi cacci?” tra Berlusconi e Fini: «Evitiamo che il Consiglio nazionale si trasformi in un filmato da Youtube ». Nella riunione serale Alfano viene pressato dai suoi affinchè chieda al Cavaliere di rinviare la riunione di sabato. Un Alfano che tra le facce amiche si sfoga, accusa i falchi di «attaccare a suon di offese» ogni volta che lui e il Capo cercano di ricucire. Poi cerca la sponda europea, chiama Daul, nuovo presidente del Ppe, perchè continui a pressare il Cavaliere sul governo. Ma anche tra le colombe c’è chi spinge, Giovanardi invoca la scissione, Augello dice che se al Cn parlerà solo Berlusconi lui non ci andrà . Quagliariello chiede «condizioni minime» aderire a Forza Italia.
Dai falchi arrivano bordate. Minzolini si lancia in una polemica contro Formigoni, che a sua volta gli dà del camerata.
Fitto dà dell’ipocrita ad Alfano perchè «elude i temi di fondo, spende lacrime di coccodrillo sulla decadenza ma chiede di sostenere il governo a prescindere ».
Lo accusa di usare «parole dolci per Berlusconi ma di mettere in campo atti ostili nei suoi confronti». Costa difende Angelino dicendo che Fitto «vuole scavare un solco tra Alfano e Berlusconi».
La Biancofiore invita il vicepremier a lasciare il governo appena arriverà l’ordine del Cavaliere, la Gelmini dice che gli innovatori «saranno archiviati dagli elettori».
Intanto scoppia una nuova polemica su Saccomanni: Libero pubblica la lettera di un lettore che racconta di avere visto il ministro pranzare in un ristorante insieme ad amici e deridere con loro ad alta voce Berlusconi e la Pascale.
Il Pdl parte all’attacco, Brunetta presenta un’interrogazione parlamentare, ma Saccomanni nel primo pomeriggio smentisce tutto.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Novembre 14th, 2013 Riccardo Fucile
IERI SERA ENNESIMO FACCIA A FACCIA CON ALFANO, CHE RIBADISCE: “IL GOVERNO NON DEVE DECADERE”…. E I MINISTERIALI: “È ANGELINO IL VERO FALCO, HA GIà€ DECISO DI ROMPERE”
Barzellette. A tutto spiano. Le barzellette raccontate ai falchetti radunati dalla Santanchè, martedì sera.
E la farsa sul consiglio nazionale che diventa una barzelletta.
Si rinvia, anzi no, però non si vota il documento, sì che si vota ma il Cavaliere non parlerà del governo.
Dove si va? Boh!
La verità è che dopo mesi trascorsi a muovere i fili di falchi e colombe, e a usare gli uni contro le altre, Silvio Berlusconi è rimasto il solo a credere e professare l’unità del Pdl.
Due scene.
La prima. Raffaele Fitto e Daniela Santanchè che escono da Palazzo Grazioli, nel primo pomeriggio. Anche a loro, nonostante i duri proclami sulla decadenza, B. avrebbe ripetuto che vuole mantenere unito il Pdl, senza la temuta scissione delle colombe di governo.
Dopo che per tutto il giorno, falchi e lealisti si sono esercitati al tiro all’Alfano, colpevole di aver rilasciato un’intervista al Corsera: “Il governo va avanti anche se B. decade. E il consiglio nazionale deve essere una festa per Berlusconi, se la merita”.
Il solito Fitto, banalmente perfido: “Alfano vuole fare la festa al Cavaliere”.
Seconda scena, qualche ora più tardi. Intorno alle diciannove, al civico 55 di via delle Mercede, iniziano ad arrivare gli alfaniani per una riunione di corrente. Formigoni, con tanto di scorta, è assertivo: “I falchi continuano a insultarci, la direzione della scissione è obbligata”.
L’ex governatore lombardo è tra i governisti che sabato vorrebbe andare e contarsi.
Ma tra le colombe prevale la tesi del rinvio da chiedere al Condannato. Altrimenti è rottura. Il protagonista è Alfano, che poi al termine andrà a Palazzo Grazioli per l’ultimo faccia a faccia con Berlusconi.
L’ex segretario del Pdl, ufficialmente lavora per l’unità , ma a microfoni spenti dicono di lui: “Angelino è il vero falco, ormai ha deciso”.
Alfano rivendica comunque il merito di aver fatto slittare la decadenza dasettembre a novembre (e Franceschini del Pd, ieri, ha sgombrato voci su altri slittamenti: “Il 27 novembre si vota”).
Gli alfaniani chiedono un’intesa prima del consiglio nazionale. In ogni caso, con o senza il rinvio. Altrimenti è diserzione.
Il punto cruciale resta però sempre lo stesso: cosa succederà dopo la decadenza di B.? Si può anche continuare a prendere tempo, escogitare soluzione regolamentari e sancire una finta unità per ratificare il passaggio a Forza Italia, ma poi? Quando Berlusconi abbandonerà il Senato? Alfano ribadisce: “Il governo non deve decadere”.
La svolta può arrivare solo dal Condannato, se accetta l’umiliazione senza scossoni, al contrario delle minacce consegnate ai baby-falchetti martedì sera: “Se decado i ministri del Pdl come possono stare con i miei carnefici?”.
È la domanda che assilla il Condannato dall’estate. Al raduno dei falchi ventenni, Berlusconi è tornato di nuovo barzellettiere ma agli stessi ragazzi è apparso “un po’ moscio”.
Del resto anche le storielle raccontate sono riciclate. Una è questa: “Su un aereo viaggiano Obama, Berlusconi, il Papa e un boy scout. Dopo un’ora di viaggio scoppia un incendio, ma ci sono solo tre paracadute disponibili. Subito Obama esclama: io devo per forza salvarmi, in America hanno bisogno di me. Berlusconi a sua volta esclama: io sono l’uomo più intelligente d’Italia! Prende il paracadute e si butta. Restano il Papa e il boy scout. A quel punto, il Papa si rivolge al giovane: prendilo pure, io sono vecchio e tu hai tutta la vita davanti. Pronta la risposta del boy scout: no, Santità , non si preoccupi, l’uomo più intelligente d’Italia si è preso il mio sacco a pelo”.
Dello stesso tenore la seconda: “Berlusconi e i suoi figli sono su un elicottero e passano su una manifestazione dei sindacati. Un figlio gli dice: papà se butti un assegno da 10 mila euro ne fai contento uno. Interviene un altro figlio: no papà , fanne due di assegni, così ne accontenti due. E così via. Alla fine interviene il pilota: presidente se si butta lei li fa contenti tutti”.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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