Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
REGOLE DA STATO DI POLIZIA, EPURAZIONI, TESSERE STRACCIATE, NOMINE CALATE DALL’ALTO: UN PARTITO ORMAI SENZA GUIDA…E I FEDELISSIMI DI MARONI STANNO TRAMANDO PER AFFOSSARE SALVINI, CANDIDATO DI BOBO
“Bossi rappresenta la storia della Lega”. Maroni prova a dire la sua. Ma il fu barbaro sognante non ha più seguito nel partito.
Manca poco più di un mese al congresso del Carroccio, che si celebrerà il 14 e 15 dicembre, ma la candidatura ufficializzata ieri dal vecchio Senatùr, per quanto annunciata, ha risvegliato lo scontro mai sopito nel partito.
Con un fronte nuovo: molti degli ex fedelissimi di Maroni, che ne hanno sostenuto e guidato l’ascesa in via Bellerio, hanno preso le distanze dall’ex ministro, delusi dalla gestione sia del partito (affidato nelle mani della portavoce Isabella Votino da Montesarchio) sia della Regione Lombardia, in cui consulenze e nomine sono state affidate e distribuite secondo logiche non condivise da tutti.
Lo scontro si consumerà al congresso di dicembre convocato per eleggere il nuovo segretario al posto di Maroni.
I candidati sono di fatto a oggi quattro: Bossi, Matteo Salvini, Gianluca Pini e Manes Bernardini.
Sul nome di quest’ultimo, giovane consigliere del Carroccio in Emilia, si stanno concentrando le attenzioni (e le forze) degli ex maroniani che potrebbero ora convogliare su Pini.
Il vice capogruppo alla Camera ha sciolte le riserve solo ieri.
E di certo non è “il nostro Renzi” di cui Maroni ha detto di aspettare l’arrivo.
Non lo è neanche Salvini, che fino a pochi giorni fa sembrava destinato a guidare via Bellerio, ora appare a molti come lo sconfitto certo.
Ed è forse un bene perchè cosa c’è ancora da rottamare nella Lega?
Misteri padani.
“Serve gente seria e preparata, il giro di boa vero per noi saranno le elezioni europee: lì si vedrà se la Lega è morta e sepolta o se invece può riprendere un cammino costruttivo per il Nord, per questo non possiamo lasciare nulla al caso e siamo pronti a correggere gli errori commessi”.
Un colonnello storico di Maroni sintetizza così la situazione. “Ci sono problemi tra lombardi e veneti per beghe mai risolte, così abbiamo deciso di puntare su un giovane emiliano, bravo, preparato, capace e soprattutto disponibile a confrontarsi”, confida.
Che Maroni abbia contezza dei malumori è evidente dalle regole stabilite per il congresso.
Dopo aver stilato il nuovo statuto che relega Bossi ai margini; effettuato massicce epurazioni; gestito le liste elettorali (per il Parlamento e per la Regione Lombardia) con soli fedelissimi (di Maroni e dei suoi colonnelli) ora anche le regole del congresso sembrano create ad hoc per tutelare le posizioni di potere conquistate.
E tentare di far vincere il presunto giovane Salvini, delfino dell’ex ministro dell’Interno.
Non solo i militanti ma anche alcuni dei vertici definiscono il regolamento come “fuffa, regole da Stato di Polizia”.
L’articolo più contestato è quello relativo alla presentazione delle candidature. Chi vuole diventare segretario, infatti, deve presentare tra le 1000 e le 1500 sottoscrizioni alla propria mozione.
Ma, cosa mai vista in nessun partito politico, non è il singolo candidato che raccoglie le firme e le consegna alla segreteria federale ma chi vuole sostenerlo deve presentarsi alla segreteria provinciale e dichiarare chi vuole votare.
“Vogliono schedarci tutti”, è la critica più diffusa dei bossiani e anche di molti ex maroniani che delusi, come detto, hanno intenzione di evitare l’ascesa di Salvini.
In pratica una sorta di voto palese, prima ancora del congresso.
Congresso che fra l’altro, sempre stando al regolamento, appare totalmente inutile.
Per due motivi: perchè il 7 dicembre ci saranno le primarie per decidere il candidato unico e perchè la due giorni al Lingotto di Torino servirà esclusivamente a nominarlo. Senza neanche un minimo di dibattito o confronto.
Recita infatti il regolamento che “tutti i militanti in regola con il tesseramento 2013 parteciperanno senza diritto di voto nè di parola”.
Infine molti criticano anche le modalità dello scrutinio delle primarie: tutti i militanti il 7 dicembre voteranno il proprio candidato ma lo spoglio non avverrà nelle singole sezioni perchè le urne saranno portate nel fortino di via Bellerio, dove rimarranno custodite per una settimana e da qui portate al Lingotto di Torino dove saranno aperte. Alla faccia della trasparenza tanto sbandierata da Maroni.
Lontano dal quartier generale padano i militanti hanno cominciato a stracciare le tessere.
A Mantova, per dire, sono state chiuse numerose sezioni per protesta contro i presunti brogli nell’elezione del segretario provinciale Cedrik Pasetti, ritenuto vicino all’assessore regionale Gianni Fava.
Nel veronese, le indagini che hanno recentemente sfiorato Flavio Tosi, hanno risvegliato i bossiani che stanno organizzando una manifestazione per il 13 novembre davanti al Comune.
E ancora: in Lombardia, lungo l’asse Bergamo-Milano-Varese, ogni giorno ci sono incontri quasi carbonari, cui partecipano con frequenza sia assessori regionali sia componenti della segreteria federale del Carroccio, per sostenere Bernardini solo per affondare Salvini.
Una fronda che si è già palesata la settimana scorsa quando, insieme a Daniele Belotti, molti hanno costretto Maroni ad aumentare il numero di sezioni in cui votare per le primarie.
Solo lunedì prossimo si saprà chi correrà per la segreteria.
Al momento solamente Bossi ha ufficializzato la sua candidatura.
Ieri si è aggiunto anche Pini, mentre altri parlamentari da settimane tentato di convincere Giancarlo Giorgetti a presentarsi.
Già segretario nazionale, braccio destro del Senatùr, capogruppo alla Camera, saggio tra i saggi di Giorgio Napolitano, Giorgetti è indicato da molti come l’uomo ideale per far ripartire la Lega.
O almeno tentare, sempre che possa esserci un’altra occasione.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
“SI SPECCHI NEI SUOI FARI E GUARDI COME SI E’ LAUREATA”…”PATETICO E IPERTROFICO”…. “LEI E’ QUELLA DEI NEURINI DEL GRAN SASSO”
Scontro al cardiopalmo tra Aldo Busi e Mariastella Gelmini nel corso del talk show di
approfondimento “Piazzapulita”, su La7.
La miccia della polemica: i guai giudiziari del Cavaliere.
L’ex ministro dell’Istruzione prima polemizza col conduttore Corrado Formigli, accusato di essere parziale, poi apre le cateratte della sua filippica pro-Berlusconi e sottolinea: “Non ce la caviamo con la ‘legge uguale per tutti’, perchè poi vediamo che non è così“.
Insorge Busi, che rammenta: “Non si può andare oltre la legge uguale per tutti, l’articolo 3 della Costituzione è fondamentale. Lei non può dire queste cose. Berlusconi è condannato con sentenza definitiva? Se ne vada fuori dai coglioni il più presto possibile. E con lui i suoi coriferi. Via! Solo così il Paese ha speranza di rinascere. Lei non può andare contro la Costituzione. Non glielo permetto. Taccia. Ne ho sentite abbastanza stasera”.
Le parole dello scrittore sono accompagnate da applausi scroscianti del pubblico, ma la Gelmini ribatte: “Lei non ha neanche compreso cosa io ho detto. E’ sempre così ipertrofico e quindi quando non attira l’attenzione, non è contento”.
“Io ho un pensiero” — replica Busi — “non sono un’eroina barocca del Lago di Garda come lei“. “Guardi, non faccia lo Sgarbi” — afferma l’esponente del Pdl — “perchè non le viene neanche bene. Quindi, stia buono”.
“Io sono Aldo Busi e ho un pensiero” — rincara lo scrittore — “lei si specchi nei suoi fari. Non guardi me. Guardi come si è laureata“.
Ancora un’altra “standing ovation” del pubblico e nuova replica della Gelmini: “Mi sono laureata con 100 su 110, lavorando. Lei è veramente patetico”.
“Lei è quella dei neurini del Gran Sasso” — osserva Busi — “ministro della Cultura… ma vada a lavorare, che è meglio“
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
DAI 400.000 EURO DEI COMMESSI AI 136.000 DEGLI ELETTRICISTI… DIMINUISCE LA DISTANZA TRA DIRIGENTI E BASE
I conti li ha fatti «United for a fair economy», organizzazione che da Boston si batte contro la diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza.
Dice una loro ricerca che se nel 1940 un amministratore delegato guadagnava 14 volte un lavoratore medio, oggi la proporzione è salita a 531 contro 1.
E ci sono casi dove la distanza tra la base e il vertice di un’azienda è ancora maggiore: come per la Fiat, dove Sergio Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente medio. Un’esagerazione, la naturale evoluzione del capitalismo, oppure la giusta distanza?
In ogni caso l’esatto opposto di quello che viene fuori sfogliando le tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati, in questi giorni all’esame dall’Aula.
La distanza fra base e vertice è minima, la piramide delle busta paga si schiaccia come nemmeno negli Stati Uniti del 1940.
E non perchè la retribuzione dei vertici sia bassa, ma perchè quella della base è molto elevata
Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione.
Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato.
Gli operatori tecnici – categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio – vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno.
Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.
Una piramide schiacciata verso l’alto, appunto. E una fotografia che ha davvero poco a che fare con le busta paga del resto dei lavoratori, sia del settore privato che di quello pubblico.
Per capire: il reddito medio degli italiani, al netto della nostra evasione fiscale record, si ferma di poco sotto i 20 mila euro lordi l’anno.
Quasi la metà di un centralinista della Camera dei deputati ad inizio carriera.
E di esempi possibili ce ne sono altri ancora.
Gli oltre 400 assistenti parlamentari, cioè i commessi di Montecitorio, guadagnano in media come il direttore di una filiale di banca, eppure in generale non svolgono compiti molto diversi dagli uscieri di altri simili uffici pubblici.
Inoltre, sono numerosissimi: 0,7 per ogni deputato, dopo il taglio voluto dall’attuale segretario generale, mentre dieci anni fa il rapporto era addirittura 1 a 1.
La busta paga degli oltre 170 «consiglieri parlamentari» ha in media lo stesso peso di quella di un primario ospedaliero, ma a fine carriera supera i 350 mila euro l’anno.
Mentre il primario ha la responsabilità di un reparto, i consiglieri si limitano a svolgere attività di studio e ricerca, o di assistenza giuridico legale e amministrativa.
Tutto bene così
In realtà a complicare i conteggi c’è anche quella selva di indennità che si aggiungono allo stipendio minimo e che riguardano tutti i livelli dell’amministrazione: dai 662 euro netti mensili riservati al segretario generale giù fino ai 108,97 euro, sempre netti e al mese, per gli autisti parcheggiatori, passando per gli 85 riservati a chi lavora in cucina e per i 108 incassati dagli addetti al recapito della corrispondenza
Ma, pur con la sua piramide schiacciata verso l’alto, la Camera almeno un merito ce l’ha. L’approvazione del bilancio arriva dopo che già quest’estate i dati sugli stipendi dei dipendenti erano stati resi pubblici: un file scaricabile direttamente dal sito internet conferma quelli che per anni erano stati solo sussurri e pettegolezzi.
Un’operazione trasparenza, che al Senato non si è ancora vista.
Da settimane si dice che gli stessi dati dovrebbero essere pubblicati a breve da Palazzo Madama. Anche quella è una piramide schiacciata, anche quella verso l’alto, probabilmente un po’ più in alto rispetto alla Camera.
Ma per il momento bisogna accontentarsi di qualche vecchio dato e di qualche nuovo sussurro.
Lorenzo Salvia
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
UN LIBRO RICOSTRUISCE GLI ULTIMI GIORNI DA LEADER DEI DEMOCRAT..E FA I NOMI DEI MANDANTI
Come insegnano i grandi giallisti, per individuare l’assassino bisogna innanzitutto capire chi
ha il movente”.
Semplificando, l’assassinio (politico) è quello di Pier Luigi Bersani, i giallisti sono due fedelissimi dell’ex segretario del Pd, Stefano Di Traglia, ex portavoce e spin doctor, e Chiara Geloni, direttrice di You Dem e gli indiziati principali, oltre a un partito infido e assente, soprattutto due: Matteo Renzi e Massimo D’Alema.
Giorni Bugiardi in libreria da domani, è un resoconto dichiaratamente parziale che va dalle primarie 2012, alle elezioni, alla partita del Quirinale
Il filo rosso del racconto rimane uno: le gesta di Bersani sono state dettate sostanzialmente da lungimiranza e generosità politica, chi non è stato al-l’altezza delle aspettative è il Pd.
Geloni e Di Traglia ricostruiscono comportamenti ambigui, disseminano indizi. Riflette Bersani: “È l’unanimità che carica la molla del tradimento. Si accumulano ammaccature e ombre, e alla prima occasione… Io ho avuto l’unanimità quasi sempre, pur non chiedendola mai: non so bene perchè”.
E allora, a proposito di unanimità , ecco la mattina del Capranica e l’ovazione con cui si arrivò alla candidatura di Prodi al Colle (mentre nelle intenzioni del segretario si sarebbe dovuta svolgere una conta tra lui e D’Alema), momento clou di una serie di eventi, che vanno dalla sera in cui venne proposto Marini a quella in cui si dimise Bersani.
L’opposizione dell’ex Rottamatore alla candidatura di Marini viene così chiosata: “A tanto zelo antimariniano non corrisponde però un’analoga indignazione verso la possibilità che il nome su cui si finisca per convergere sia invece quella di un altro bersaglio storico della rottamazione…. Massimo D’Alema… Ma da tempo tra il sindaco e l’ex premier qualcosa sta cambiando”.
Ecco riportate le considerazioni di Luigi Zanda poco prima che inizi la riunione al Capranica: “Ma se parte l’applauso quando tu dici…’. Bersani è irremovibile: ‘Si vota lo stesso’. ‘I renziani ci mandano emissari a dire che loro vogliono acclamare…’, insiste timidamente Zanda. Bersani scrolla le spalle”.
Le primarie non si fanno perchè i grandi elettori acclamano Prodi, con il renziano Marcucci “che si distingue per foga”.
E D’Alema? Raccontano gli autori che il suo nome non venne mai fatto, nelle trattative con il Pdl, ma anche che lui era convinto che avrebbe avuto la maggioranza tra i grandi elettori.
Altro passaggio chiave: “Perchè i dalemiani non chiedono il voto segreto nell’assemblea che acclama Prodi? Perchè alzano la mano a favore di Prodi quando Bersani chiede che ci sia almeno un voto palese Il motivo è forse lo stesso per il quale noi non sappiamo a chi fare queste domande: in tutta questa vicenda nessuno s’intesta la battaglia di D’Alema al Quirinale”.
Il libro è un atto di accusa continuo: verso Sel, che si sfila appena può, verso Beppe Grillo, che si racconta inseguito nella fase del governo del cambiamento in tutti i modi possibili, incluso suo dentista come intermediario (“In Liguria si cercano contatti a tutto campo… anche Renzo Piano è della partita”), verso il Pd, verso i media, accusati di non capire e di non sostenere (Repubblica “il 27 febbraio mette letteralmente alla porta Bersani”).
Non mancano ricostruzioni inedite. Come le lettere segrete in cui Napolitano avrebbe ribadito di non avere alcuna intenzione di accettare un reincarico.
L’artefice della rielezione di Re Giorgio (dipinto non come un amico, ma neanche come un nemico) nel libro è ancora Bersani: “Io stasera mi dimetto e domattina vado da Napolitano a chiedergli di restare”, dice l’ex segretario un minuto prima di andarsene.
Nessun veleno all’indirizzo di Enrico Letta
Solo un anedotto in cui si sottolinea la sua vicinanza calcistica a Berlusconi: “Il Cavaliere durante le trattative per il Colle rivela a Bersani e Letta di essere sul punto di sostituire Seedorf….’ mi sembrò che Enrico fosse preoccupato’, rise Bersani”.
Su tutte l’interpretazione di Migliavacca sui 101: “C’era chi voleva chiudere l’esperienza Bersani e c’era chi riteneva irrealistico il governo di cambiamento e voleva il governissimo”.
In questo racconto di parte l’autocritica è al minimo, il rimpianto al massimo. Come in quell’immagine, rimasta nel mondo dei sogni: “Pochi giorni dopo questi fatti, il 12 maggio, si svolge a Piacenza il Raduno nazionale degli alpini: immaginiamo il palco d’onore col presidente della Repubblica, Franco Marini, la piuma sul cappello degli alpini di Barisciano e la pipa spenta, e accanto a lui il nuovo presidente del Consiglio, alla prima uscita pubblica, proprio nella sua città … Scherzi della fantasia, cose da non pensare”.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
“MAI FATTO PRESSIONI O INGERENZE, FIDUCIA PIENA O ME NE VADO”… “SONO UNA PERSONA LIBERA, NELLA MIA CARRIERA MAI STATA INFLUENZATA DA NULLA E NESSUNO, SFIDO CHIUNQUE A DIMOSTRARE IL CONTRARIO”
Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha risposto poco fa in Senato dell’accusa di aver favorito Giulia Ligresti, arrestata il 17 luglio nell’ambito dell’inchiesta torinese su Fonsai, per l’ottenimento dei domiciliari.
Il ministro Cancellieri è arrivata a Palazzo Madama insieme al presidente del Consiglio, Enrico Letta, al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, e al viceministro allo Sviluppo, Antonio Catricalà , con i quali si è riunita per una breve riunione nella Sala del Governo prima di riferire in Parlamento. Il ministro Cancellieri ha ripercorso nei dettagli in Aula tutta la vicenda giudiziaria di Giulia Ligresti.
«La ricostruzione dei fatti dovrebbe far spazio ad una riflessione seria e pacata sulla mia condotta, la scarcerazione non è avvenuta a seguito di una mia pressione. Non ho mai sollecitato nei confronti di organi competenti la scarcerazione di Giulia Ligresti e non ho mai indotto altri ad agire in tal senso. La decisione della magistratura è stata indipendente e non sono mai intervenuta sul caso di Jonella Ligresti”.
«FIDUCIA DECISIVA»
Per il ministro Cancellieri «la fiducia è decisiva per andare avanti nell’incarico di ministro della Giustizia»: «Se dovessi essere d’intralcio a questo Governo sono pronta a fare un passo indietro».
Nel corso del suo intervento la Cancellieri ha ribadito di essere e essere stata «amica di Antonino Ligresti», ma «in nessun modo la mia carriera è stata influenzata da rapporti personali» con questi o con altri.
Il ministro ha poi spiegato che il medico del carcere di Vercelli il 12 agosto aveva rilevato la gravità del caso di Giulia Ligresti e il 14 lo segnalò alla procura.
«Le mie segnalazioni, invece, sono del 19, cinque giorni dopo».
Nella telefonata con Gabriella Fragni, ha proseguito il Guardasigilli,«esprimevo un sentimento di vicinanza e mi rendo conto che qualche espressione possa aver ingenerato dubbi, mi dispiace e mi rammarico di avere fatto prevalere i miei sentimenti sul distacco che il ruolo del ministro mi dovevano imporre», ma «mai ho derogato dal mio dovere».
Le «segnalazioni sulle condizioni di salute dei detenuti – continua il ministro – possono venire o dall’interno della struttura carceraria, dall’esterno, dalle associazioni», risponde «ad un dato di realtà , che con le segnalazione di aventi critici, si è abbassato il tasso dei suicidi e di eventi critici nelle carceri. Ho dedicato parte rilevante del mio ruolo da Guardasigilli a cercare soluzioni per migliorare la situazione delle carceri».
ACCUSE INFONDATE
Nel caso di Giulia Ligresti, ha proseguito la Cancellieri, «se non fossi intervenuta sarei venuta meno a miei doveri di ufficio».
Poi il ministro ha aggiunto:«È vero, non tutti hanno la possibilità di bussare alla porta del ministro della Giustizia, non tutti hanno un diretto contatto. Ma posso garantire che nessuno più di me avverte questa disparità in tutta la sua dolorosa ingiustizia. È difficile essere vicini a tutti i detenuti».
“Finalmente possiamo dire che in Italia ogni tanto c’è un ministro con le palle”. Lo ha detto Mario Ferrara (Gal) concludendo in aula il suo intervento dopo l’informativa del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri sul caso Fonsai.
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Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
PRIMA SARA’ VOTATA LA FINANZIARIA, SOTTRAENDOLA ALLE IMBOSCATE PARLAMENTARI… SOLITO SCONTRO CON IL PDL CHE VORREBBE POSTICIPARE E CINQUESTELLE CHE VORREBBERO ANTICIPARE
Pietro Grasso l’aveva promesso: “Appena la giunta per il Regolamento stabilirà le modalità
del voto della decadenza di Silvio Berlusconi, convocherò la capigruppo per fissare la data”.
Detto, fatto.
Archiviato il voto palese, oggi il presidente del Senato ha riunito i presidenti dei gruppi di Palazzo Madama, che hanno fissato per il 26 o il 27 (a seconda di come procederanno i lavori dell’aula) il redde rationem per il Cavaliere.
Una decisione arrivata non senza scossoni.
Maurizio Gasparri e Renato Schifani hanno tirato bruscamente il freno a mano: “Presidente – sono subito intervenuti – al voto non si può procedere senza aver prima verivicato la legittimità dei lavori della giunta delle Elezioni, la cui segretezza è stata violata dai post su Facebook del senatore Vito Crimi”.
Un’evidente tattica delatoria da parte degli azzurri, che, persa la battaglia sul voto segreto, stanno provando a riaprire una questione che sembrava essere stata archiviata.
Vivaci le proteste di Loredana De Petris e Di Paola Taverna, in rappresentanza rispettivamente di Sel e del M5s.
“Non mi capacito – è sbottata quest’ultima – facciamo un passo avanti e tre indietro”.
Gli stellati hanno ribadito le proprie posizioni: “C’è spazio per votare prima del 15 novembre, prima, cioè, della settimana dedicata esclusivamente alle legge di stabilità “.
Ma l’orientamento della maggioranza è tutt’altro.
“Prima c’è da mettere in sicurezza la manovra, altrimenti l’aula sarebbe ingestibile e le imboscate dietro ogni angolo”, ragionavano nell’entourage di Grasso.
Così niente accordo.
Senza l’unanimità , il calendario dovrà essere votato oggi pomeriggio dall’Aula
(da “Huffington Post”)
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Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
VILMA MORONESE E BARBA R LEZZI HANNO ASSUNTO CONE ASSISTENTI RISPETTIVAMENTE PARTNER E FIGLIA DEL COMPAGNO
Urla, lacrime, lanci (reciproci) di accuse: è un’assemblea decisamente agitata quella tra i senatori del Movimento 5 Stelle in merito alla cosiddetta «parentopoli grillina».
Una vera e propria polveriera lunga tre ore (e ancora in corso).
A lanciare la scintilla l’agguerrita Laura Bignami nell’incontro, la scorsa settimana, con Beppe Grillo e poi rimbalzata nei meetup di tutta Italia.
Lunedì Bignami ha disertato la riunione, ma sul tavolo è finita comunque l’assunzione di collaboratori da parte di alcuni parlamentari: in alcuni casi – è l’accusa avanzata – non sarebbero mancate corsie preferenziali per parenti, partner e «amici di».
Due delle senatrici finite sul banco degli imputati -Vilma Moronese e Barbara Lezzi, accusate di aver assunto rispettivamente partner e figlia del compagno – hanno rigettato gli attacchi, assicurando di avere la coscienza pulita: «Abbiamo rispettato le regole -hanno sostenuto- perchè i partner in questione non sono conviventi».
Ma su questo punto molte le repliche piccate di chi è sposato: «Allora devo divorziare per poter assumere anch’io la mia compagna?», ha chiesto sarcastico un senatore 5 stelle.
ACCUSE E OFFESE
C’è chi, come Vilma Moronese, lascia (in lacrime) l’aula nel corso dell’assemblea. Ma le polemiche non si placano, anzi.
Qualcuno denuncia «il clima disgustoso e avvilente che c’è qui dentro, clima vessatorio e ricattatorio. à‰ vergognoso».
Volano parole grosse anche contro i «sospettati»: «Siamo finiti sui giornali per colpa tua», grida una senatrice attaccando un collega.
Il capogruppo Paola Taverna si allontana dalla riunione sbuffando, il senatore Giovanni Endrizzi tuona richiamando all’ordine i colleghi: «Domani (martedì, ndr) in aula c’è la Cancellieri e stiamo perdendo tempo su questo».
Intanto la riunione va avanti e la tensione non scema.
Una senatrice torna sulla rendicontazione delle spese e accusa: «Come si possono spendere 1.800 euro per capi d’abbigliamento? Le regole non erano queste».
Polemica poi per la mail in cui Claudio Messora, a capo della comunicazione M5S del Senato, comunica ai parlamentari che la riunione non verrà trasmessa in streaming per evitare boomerang mediatici.
NIENTE STREAMING
L’assemblea ha dibattuto per due ore sull’opportunità di andare in diretta streaming.
«Un tempo queste decisioni venivano votate dall’assemblea -lamenta un senatore sbattendo la porta – ora vengono calate dall’altro come un tris di assi».
«Cerchiamo di non farci del male -invita alla calma un altro senatore grillino – qui ci stiamo suicidando».
Qualcuno alza la mano e chiede a gran voce regole chiare sulla vicenda collaboratori: «Solo così si evitano nuovi casi e si danno risposte chiare alla base».
Ma l’assemblea non ha assunto decisioni in merito: al momento non sono previste votazioni e non ha deciso come comportarsi in futuro per evitare nuovi casi di «parentopoli» anche se qualcuno aveva chiesto regole certe per evitare nuove discussioni. Il dibattito, quindi, resta aperto.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
ATTACCO DI GERONTOFOBIA A “TRAMONTO DORATO”: NICK IL NERO, RESPONSABILE COMUNICAZIONE AL SENATO, VUOLE TOGLIERE IL DIRITTO DI VOTO AGLI ANZIANI
Arginare il diritto al voto degli anziani è una delle priorità politiche di Nik il Nero (al secolo
Nicola Virzì, camionista, videomaker e responsabile della comunicazione dei grillini al Senato).
“C’è un’età minima per votare… – ha scritto Nik sul suo profilo Facebook – per quella massima che si fa?”.
Vale a dire: sarà il caso di impedire agli italiani di una certa età di partecipare al voto? Il camionista con la passione delle handycam è evidentemente terrorizzato dall’idea che le sorti del Paese possano essere decise da persone con troppi capelli bianchi in testa.
Ma la provocazione non piace al suo pubblico. ” Niente, dato che non esiste un’età massima per godere dei diritti civili e politici” è la prima – e più educata – risposta che gli arriva.
“Ci sono ottantenni che sono molto più’ intelligenti di te”, osserva pungente un altro utente.
“Vergognati”, stigmatizza in maniera laconica un altro ancora.
Tra i pochi che si spendono per sostenere l’idea di Nik il Nero, spicca Dario Pattacini, giornalista un tempo vicino all’Idv, ora nell’orbita del Movimento 5 stelle e della sua web tv la Cosa.
“Da almeno 10 anni – scrive Pattacini – sostengo che arrivati a 70 anni, non si debba piu’ avere il diritto di voto. Un ultra settantenne – chiede – perchè deve condizionare la vita delle future generazioni?”.
Ecco, Beppe Grillo di anni ne ha 65.
Forse Virzì e Pattacini, in fondo in fondo, stanno pensando a lui…
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Novembre 5th, 2013 Riccardo Fucile
ANGELINO: “PDL DI NUOVO UNITO, DA BERLUSCONI FIDUCIA LA GOVERNO”… MA IL CAVALIERE VUOLE CHE LA LEGGE DI STABILITA’ SIA CAMBIATA
È il momento dell’ultima disperata mediazione prima del Consiglio nazionale.
Il momento più delicato che deciderà la fine o meno del rapporto tra Berlusconi e Alfano. I due si sono visti ieri ad Arcore e hanno parlato anche di legge di stabilità , con il Cavaliere che ha avvertito il vicepremier: «Questa legge di stabilità è una schifezza. O ci saranno forti cambiamenti, soprattutto sulla casa, o noi non la voteremo».
Due sere fa, sempre a Villa Martino, incontrando il direttore del Giornale Sallusti, Santanchè e Biancofiore, aveva rincarato la dose. Aveva detto che questa manovra economica non è riformabile, è da buttare nel cestino. Aggiungendo che la cosa migliore sarebbe far cadere il governo.
Ma è proprio su questo punto che Alfano è irremovibile e sembra che la sua visita al Quirinale sia servita per assicurare il capo dello Stato che la grande coalizione reggerà .
È necessario però, avrebbe aggiunto, una significativa modifica delle legge di stabilità nella parti che riguardano le tasse, quelle sulla casa in testa.
L’altro tema caldissimo, il partito.
Berlusconi e Alfano hanno cercato un accordo per evitare la scissione.
L’ex segretario del Pdl chiede garanzie statutarie per la sua componente. «Gli amici di Angelino devono poter stare in Forza Italia senza essere uccisi», spiega con schiettezza Cicchitto.
Garanzie statutarie e due coordinatori, uno scelto dalle colombe e l’altro da falchi e lealisti, che rappresentino il patto della convivenza.
Soprattutto quando si tratterà di compilare le liste elettorali.
La risposta del Cavaliere non è stata di chiusura. Si rende conto di quanto deleteria sia la rottura, un’altra nel campo del centrodestra. E quanto gli scontri stiano infastidendo l’elettorato di questo schieramento.
Tuttavia l’ex premier vuole prima sentire cosa ne pensano Fitto e coloro che lo seguono.
Con l’ex governatore della Puglia si vedrà oggi a Roma, ma Fitto già mette le mani avanti. Boccia l’ipotesi di accordo.
No ai due coordinatori e alla parità nelle future liste elettorali («noi abbiamo la maggioranza, siamo il 70% del partito»).
Fitto continua a parlare di azzeramento di tutte le cariche e di chiarimento sul ruolo di Berlusconi come vero e unico leader: nessuna leadership duale, non può essere Alfano l’altra faccia della medaglia di una Forza Italia rinata.
Non può essere lui, sostiene Fitto, perchè il 2 ottobre ha cercato di delegittimare Berlusconi organizzando quei 23 senatori pronti a staccarsi dal Pdl e votare la fiducia a Letta.
Ma l’ex premier non vuole arrivare al Consiglio nazionale per una conta all’ultimo sangue. Sa che Alfano a quel Consiglio nazionale non si presenterà , se questa dovrà essere la prospettiva.
Allora tenta l’ultima disperata mediazione.
Lo stesso incontro di ieri a Villa San Martino è iniziato sotto i peggiori auspici, con il cannoneggiamento contro le primarie lanciate dal vicepremier.
Ma lo stesso Alfano cerca di minimizzare. Ha derubricato questa uscita come un’anticipazione messa in giro ad arte da Bruno Vespa per fare pubblicità al suo ultimo libro.
E per fare ancora più clamore il conduttore di Porta a Porta l’ha messa in contrapposizione a un’altra intervista (sempre contenuta nel libro «Sale, zucchero e caffè») di Fitto («sarà sempre Berlusconi a decidere cosa si farà »).
Insomma, per Alfano non si tratta di una provocazione a poche ore dall’incontro con Berlusconi.
E poi, non è stato lo stesso Berlusconi in un video del 2012 a dire che le primarie sono uno strumento democratico da utilizzare?
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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