Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
LE SUE TRUPPE SONO DIVISE IN TRE ORIENTAMENTI: ECCO QUALI
Quante ‘divisioni’ ha Angelino Alfano? Se non direttamente Berlusconi, certamente i suoi ‘falchi’ — i vari Verdini, Santanchè e, anche, Raffaele Fitto, cioè i ‘lealisti’ – si stanno facendo, in queste ore, la stessa domanda che, nel 1948, si fece Josif Stalin (“Ma quante divisioni ha, questo Papa?”) con una domanda retorica che, all’epoca, voleva suonare come irriverente.
Dunque, vediamo. Innanzitutto, ‘chi sono’ gli alfaniani e, soprattutto, come sono ‘divisi’ al loro interno?
Eh sì, perchè gli alfaniani o ‘realisti’ tutto sono tranne che un blocco unico, una compatta falange macedone, come, invece, sono i ‘lealisti’, il cui motto è molto semplice: “con Silvio, sempre, comunque e ovunque” (perinde ac cadaver, dicevano i gesuiti).
Tre le categorie.
La prima è quella delle cosiddette ‘colombe già volate (via)’.
‘Volate via’ nel senso che, Pdl o Forza Italia che sarà , spingono a più non posso per la definitiva ‘scissione’ dagli oltranzisti e lealisti berluscones e rappresentano, ormai, un problema politico grosso come una casa anche per lo stesso Alfano perchè, quando questi va a parlare e trattare col Cav, si ritrova a vedersi additare e imputare le loro gesta alla voce ‘traditori’.
Ne fanno parte alcuni esponenti ‘storici’ del Pdl, ma anche espressione di cd. culture ‘minori’ del centrodestra.
Le guida, infatti, l’ex capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, di rocciosa tradizione socialista (lombardiana prima, craxiana poi) che, a Montecitorio, conta sul suo fedele ‘operativo’ Sergio Pizzolante, e che ‘controlla’ grazie a lui pezzi di Lazio e di Puglia, e, al Senato, l’ex governatore della Lombardia, Roberto Formigoni.
Ex-dc ma anche ex-Cdu, ex-Ccd, ex-Fi, il ‘Celeste’, come lo chiamavano quando faceva il bello e il cattivo tempo al Pirellone, è soprattutto un ciellino doc.
Ci sarebbero anche, sempre al Senato, altri cattolici ex-Cdu-Ccd-Fi-Pdl come Carlo Giovanardi (modenese) o ex socialisti laici convertiti teo-con come Maurizio Sacconi (trevigiano), ma privi di fatto di truppe al seguito.
Senza truppe al seguito, ma in importanti postazioni di potere e di governo sono anche due ministri della Repubblica: Gaetano Quagliariello (Puglia) alle Riforme istituzionali e Beatrice Lorenzin (Lazio), titolare alla Salute.
Entrambi ritenuti, dai ‘lealisti’, “ministri ‘di’ Napolitano, non certo nostri”, hanno grande influenza presso gli ‘scissionisti’ — che, di fatto, dirigono — ma scarse truppe sui territori.
Certo è che, giudicando la ‘nuova’ FI alla stregua di una ‘neo-Alba Dorata’ o peggio difficilmente vi entreranno mai.
La seconda categoria è quelle delle ‘colombe con artigli’.
Guidate dallo stesso Alfano, intendono dare battaglia dentro il partito nuovo che nascerà , stanno raccogliendo centinaia di firme, a spron battuto, su tutti i territori, in vista del Consiglio nazionale del prossimo 16 novembre, ma sono pure i più fedeli e ortodossi assertori della necessità di continuare nell’esperienza del governo delle larghe intese nè accetteranno mai alcuna crisi del governo Letta, anche se a volerlo fare fosse Berlusconi in persona.
Sono ‘colombe’, come si diceva, non solo arruolate tra ‘ufficiali’ del Pdl, ma anche dotate di ‘truppe’.
Truppe che hanno, in abbondanza, sia il capogruppo al Senato, Renato Schifani, che ‘controlla’ (con Alfano) la Sicilia e quasi tutti i parlamentari lì eletti; il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, i cui sei (fedelissimi) senatori fecero da ago della bilancia (contro la sfiducia), lo scorso 2 di ottobre; i ciellini ortodossi propaggine del super-ciellino (e ministro) Maurizio Lupi, dal lombardo Raffaello Vignali al toscano Gabriele Toccafondi; il gruppone di ex-An passati armi &bagagli con Alfano e forti in Lazio (Barbara Saltamartini), ma anche in altre parti d’Italia; e, infine, i ‘forzisti’ della seconda ora (creati, come quelli della prima, da Berlusconi in persona) ma che si sono fatti subito ‘convertire’ sulla strada dell’alfanismo, da Enrico Costa (Piemonte) a Giorgio Lainati (Lazio), deputati del Nord come del Sud.
Terza, e ultima, categoria, quella delle ‘colombe che (ancora) svolazzano a casa Arcore e a palazzo Grazioli’.
Si tratta di una (esile) categoria di parlamentari e/o sottosegretari (Jole Santelli, al Welfare, calabrese) e/o ministri (Nunzia De Girolamo, all’Agricoltura, campana) che non solo hanno — ancora — ‘libero accesso’ alle residenze private del Cavaliere (palazzo Grazioli a Roma e villa San Martino ad Arcore), ma che, quando parlano, Berlusconi ‘ascolta’ con attenzione e trepidazione.
Gli ultimi — o, meglio, le ‘ultime’ perchè sono in pratica tutte donne — che potrebbero, insieme ad Alfano, fermare Berlusconi sulla strada del finale da tregenda o da cupio dissolvi, quello del ‘muoia Sansone con i Filistei’.
(da “Huffington Post“)
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Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
BILANCIO DOPO 4 GIUNTE DI CENTROSINISTRA: INCHIESTE IN SERIE SU CHIAMPARINO & C., SPRECHI E BUCO DA 3,5 MILIARDI PER FASSINO… FINE DI UN SISTEMA
Le tessere del Pd raddoppiano come per incanto, sotto la Mole: da 12 a 26 mila in un anno. Ma non è l’unico cruccio del partito e del sistema di potere che da vent’anni governa Torino.
Ci sono preoccupazioni peggiori, ombre più inquietanti, se è vero che Sergio Chiamparino, che è stato il sindaco più amato d’Italia, oggi è torchiato dai magistrati per uno scandaletto e assediato da altri cento affari del passato.
Anche qui è finito il ventennio: non berlusconiano, perchè tra il Po e la Dora i semi di Silvio Berlusconi non hanno mai attecchito; ma il ventennio del “sistema Torino”, che ha avuto in Chiamparino il suo campione.
Ha ricevuto un avviso di garanzia per abuso d’ufficio ed è stato interrogato a lungo a palazzo di giustizia.
L’indagine riguarda le concessioni ai locali dei Murazzi, le arcate sulla riva del Po trasformate in templi della movida.
C’è la firma di Chiamparino, sulle delibere che, secondo l’ipotesi d’accusa, avrebbero favorito gli esercenti con sanatorie e sconti sugli affitti.
L’ex sindaco, che è stato primo nelle classifiche dei primi cittadini italiani, con un gradimento del 75 per cento, ha intanto lasciato il posto di primo cittadino a Piero Fassino, compagno di partito con cui non ha un gran feeling, e si è sistemato ai vertici della Compagnia Sanpaolo, la fondazione che è primo azionista di banca Intesa Sanpaolo. È andato davanti al Consiglio generale della Compagnia a presentare le sue dimissioni da presidente: rifiutate al-l’unanimità .
Tutto finito, dunque? No.
Intanto perchè l’inchiesta sui Murazzi continua. E poi perchè ci sono tante altre brutte storie del periodo in cui è stato sindaco (2001-2011) che tornano d’attualità .
La più pesante riguarda lo Csea, il consorzio di formazione professionale che era arrivato ad avere 300 dipendenti, molti provenienti dal mondo sindacale, e che è fallito dopo aver bruciato 40 milioni di euro.
Anche sullo scomodo crac di quello che era conosciuto come il centro di formazione professionale della sinistra torinese, l’inchiesta è in corso.
Un dirigente è stato arrestato, non è invece neppure indagato il deus ex machina del consorzio, quel Tom Dealessandri che dal 2006 è stato il vicesindaco di Chiamparino, poi di Fassino e ora è approdato nel consiglio d’amministrazione di Iren, la multiutility dei Comuni di Torino, Genova e Reggio Emilia.
Fallito anche il progetto Lumiq, una società promossa dal Comune che voleva creare una piccola Cinecittà in riva al Po, per far diventare Torino una capitale dell’industria del cinema.
Sogno tramontato, non senza spreco di soldi pubblici e gran montare di polemiche. Sotto indagine anche il city manager di Chiamparino, Cesare Vaciago (ora direttore a Milano del Padiglione Italia di Expo), rinviato a giudizio per un concorso per dirigenti comunali che la procura di Torino ritiene sia stato truccato.
Tra i miracolati di quella magica gara c’è anche Angela Larotella, che era diventa dirigente nel settore cultura del Comune, guidato da Anna Martina, figura centrale negli anni d’oro di Chiamparino, quanto Torino, persa la centralità della Fiat, cerca di riciclarsi come città della cultura e dell’entertainment.
Tutto in famiglia: il marito di Martina, Walter Barberis, ha curato la mostra torinese sui 150 anni dell’Unità d’Italia; e il figlio, Marco Barberis, ha ricevuto incarichi ben remunerati per la sua società Punto Rec; in un caso, la delibera che gli affidava i lavori era firmata direttamente dalla madre.
Troppo o troppo poco, per la morale rigorosa e la cultura un po’ giansenista di Torino?
C’è un accumulo di fatti e intrecci, inchieste e scandali che rischiano di far saltare il “sistema”.
Che dire, per esempio, dei 16,5 milioni di euro buttati al vento dal Comune per realizzare il progetto (firmato dall’ottimo architetto Mario Bellini) di una Biblioteca civica che non si costruirà mai?
E che cosa pensare dei 6 milioni di metri quadrati di aree ex industriali riempiti di cemento, un diluvio di edilizia residenziale in una città che ha 50mila appartamenti sfitti? “Se quartieri come la Spina 3 l’avesse fatto la Dc”, commenta un vecchio comunista dei tempi del sindaco Diego Novelli, “il Pci avrebbe fatto la rivoluzione. Invece l’abbiamo costruito noi, e va bene così”.
Va bene anche l’edificazione del grattacielo di Intesa Sanpaolo, tirato su per dare l’illusione alla città di aver conservato la sua banca, il cui comando si è invece trasferito a Milano.
E tirato su in un giardino trasformato in un attimo in area edificabile: “Se l’avesse fatto la destra, ci saremmo incatenati agli alberi”.
Ci sono anche episodi più brucianti.
Quando fu ipotizzato un finanziamento illecito durante la prima campagna elettorale di Chiamparino, nel 2001, saltò subito su Gioacchino Sa-da, vecchio partigiano comunista, che si prese la colpa di aver raccolto da alcuni imprenditori una colletta di 25 milioni di lire per il partito, e tutto finì lì. Storie vecchie.
Più nuova la vicenda di Giorgio Ardito, ultimo segretario torinese del Pci e primo del Pds, che ha appena incassato in primo grado una pena di 1 anno e 5 mesi per aver ricevuto 115mila euro da BrunoBinasco, braccio destro del-l’imprenditore di strade e autostrade Marcellino Gavio. Ardito ha sostenuto che era la buonuscita (in nero) per il suo lavoro in una società del gruppo Gavio, la Sitav.
I giudici non gli hanno creduto e gli hanno inflitto una condanna, per quei soldi ballerini intascati nel 2010, proprio nei mesi in cui si stava preparando la campagna elettorale per Fassino sindaco.
Con Fassino, il cerchio si chiude. E tramonta il ventennio iniziato nel 1993 con l’elezione a sindaco di Valentino Castellani: un professore del Politecnico individuato dalla Santa Alleanza tra la Torino borghese e intellettuale che ha il suo rappresentante più attivo nel banchiere del Sanpaolo Enrico Salza, e la Torino comunista e operaia del Pci, non senza il beneplacito della Fiat della famiglia Agnelli, il cui declino non era ancora evidente. Due mandati Castellani e poi due mandati Chiamparino, e il ventennio è fatto.
È in questi due decenni che nella città senza berlusconismo e senza vera opposizione si blinda il “sistema Torino”, una macchina di potere che prova a governare l’uscita dal fordismo, la transizione dalla città operaia a una nuova metropoli dalla vocazione più variegata, città della cultura, del cinema, dell’intrattenimento.
Il professor Silvano Belligni, scienziato politico dell’Università di Torino, ha creato un modello per rappresentare quel sistema e ha scoperto che 120 persone in questi due decenni si sono incrociate nei posti di comando nella politica, nell’amministrazione, nelle università , nelle banche.
Provengono tutte dalle quattro famiglie che hanno stretto la Santa Alleanza per eleggere Castellani e poi Chiamparino: gli ex comunisti del Pci-Pds-Ds-Pd; le fondazioni bancarie e le banche (Sanpaolo, Cassa di risparmio); il mondo Fiat (da Evelina Christillin a Piero Gastaldo); il Politecnico e l’università (da cui vengono Castellani, Mercedes Bresso, Elsa Fornero…).
I 120 uomini d’oro del “sistema Torino” si sono incrociati nei posti di comando senza che fossero un ostacolo le differenti provenienze culturali: ex comunisti, cattolici cislini, liberali, massoni.
Dal profilo “tecnico” della prima giunta Castellani sono passati al ritorno della politica con il secondo mandato, per poi arrivare al culmine dell’era d’oro di Torino con la prima giunta Chiamparino, che ha raccolto i risultati del predecessore e ha incassato il successo delle Olimpiadi 2006, con tanti soldi arrivati e la città rinata e tirata a lucido.
Poi il declino. Fino all’oggi, con Chiamparino sotto accusa per i cento piccoli pasticci del suo regno e Fassino a gestire di mala voglia un’eredità pesante, con il buco più clamoroso d’Italia, 3,5 miliardi di debito su un bilancio di 1 miliardo e mezzo.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
ALFANO PROPONE UNA “SCISSIONE CONSENSUALE” O “DISERTO IL CONGRESSO”… IL RISCHIO E’ CHE LA PROPOSTA DI PASSARE DAL PDL A FORZA ITALIA NON RAGGIUNGA LA MAGGIORANZA DEI DUE TERZI DEGLI AVENTI DIRITTO E VENGA COSI’ BOCCIATA
Evitare la scissione. Riprendersi il partito, tutto, con le colombe dentro.
Mettendo sul piatto la rassicurazione sul governo e la rinuncia alla crisi. Anche dopo la decadenza.
E’ questo lo scambio che Silvio Berlusconi mette sul piatto di Alfano, quando il vicepremier arriva a cena a palazzo Grazioli: “Voglio rilanciare Forza Italia all’insegna dell’unità e dell’assenza di correnti. Questa storia della conta non va bene. Il documento che ti chiedo di firmare non è dei falchi, è il mio”.
È l’inizio della trattativa. Dura. Perchè stavolta Angelino fa sul serio: senza un accordo serio, spiega, le colombe sono anche disposte a non partecipare al Consiglio nazionale.
Il vicepremier si sente forte dei numeri. Sostiene che il “suo” documento ha in calce 311 firme. Blindate (pari al 39%) Più ci sono 70 incerti. Su un totale di 800 aventi diritto al voto.
Sono numeri “farlocchi” per Verdini, ( che sostiene di aver 600 firme, paro al 75%) un “bluff” per spaventare il Cavaliere. Per Alfano sono buoni a far saltare l’operazione del Capo.
Perchè per tornare a Forza Italia servono due terzi dei membri del Consiglio nazionale.
Due terzi non dei presenti, ma degli aventi diritto.
E la manovra studiata nella riunione pomeridiana nello studio di Quagliariello prevede di giocare con gli assenti. Tra quelli pilotati e quelli fisiologici, ragionano, è possibile.
Ecco perchè Alfano stavolta mette la pistola sul tavola. O accordo su tutto, partito e governo, oppure è pronto alla scissione come chiedono in molti dei suoi.
È la “separazione consensuale” la proposta del vicepremier: “E’ la soluzione migliore per tutti — dice — con due partiti, Forza Italia e Pdl che si riconoscono nella tua leadership”.
Due partiti. Uno berlusconiano di lotta l’altro “diversamente” berlusconiano di governo.
Perchè a questo punto è chiaro che l’odio scorre tra falchi e colombe. E che la convivenza è diventata impossibile.
Le parole tra compagni di partito sono aguzze come pietre, i rapporti personali logori. Parlamentari e senatori delle due fazioni si salutano a stento.
È una proposta che Berlusconi stronca sul nascere: “Di dividerci non se ne parla. Non col mio consenso”.
Forte della proprietà del marchio Pdl non ha alcuna intenzione di lasciarlo ad Alfano, anche se il marchio tira poco.
E soprattutto bolla come perfettamente inutile la prospettiva di due partiti che si riconoscono nello stesso leader ma che sono uno al governo e l’altro all’opposizione.
È un lavoro sull’unità del partito quello che Berlusconi chiede ad Alfano.
Insofferente per le minacce delle colombe più agguerrite come Cicchitto.
Infastidito dall’organizzazione di una conta interna che neanche nella prima Repubblica: “Angelino, il documento su Forza Italia non è dei falchi. È il mio. E tu dovresti firmarlo”.
Senza tanti se e ma. E senza richieste di “garanzie” su organigrammi e liste.
Ecco perchè il Cavaliere propone il grande scambio: il governo in cambio del partito. Il governo Letta può non essere più in discussione. È possibile mettere il silenziatore ai falchi sia sulla legge di stabilità sia sulla decadenza. Ma su Forza Italia non ci sono margini.
Di “riconoscimento” delle componenti non se ne parla. Nè di documenti contrapposti.
Perchè Forza Italia è un movimento del leader, non un partito, deve dare l’idea di novità ed essere in sintonia con la domanda di antipolitica che si leva dal paese: “A me il partito — è il senso del ragionamento di Berlusconi — a te il governo. Con l’assicurazione che lo sosterrò”. Ma niente conta. Perchè una roba del genere non si è mai vista all’interno di un partito di Berlusconi. Neanche Fini arrivò a tanto.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
TUTTI INVOCANO L’UNITA’, MA ORMAI E’ GUERRA APERTA… FORMIGONI ANNUNCIA: “PIOVONO ADESIONI”
“All’interno del centrodestra c’è un confronto incisivo, sta girando un documento per il governo e sul partito”. Fabrizio Cicchitto conferma le turbolenze che stanno attraversando il Pdl dopo la fiducia incassata dal governo il 2 ottobre.
Il leader Pdl si mostra perplesso davanti la decisione di anticipare il Consiglio Nazionale al 16 Novembre; non sa perchè sia stato anticipato – “andate a chiederlo a chi lo ha deciso” è il commento – ma sottolinea: “se veramente si vuole un accordo, prima si cerca l’intesa, e poi si chiama il consiglio”.
A chi gli chiede se entrerà in Forza Italia, il deputato Pdl risponde “è uno pseudo concetto”, per poi precisare: “Non c’è interesse in un partito estremista e solidario nei confronti del leader. La nostra idea vede invece un partito collegiale e collaborativo”. Cicchitto spende anche parole per l’esecutivo: “Dovremmo fare le riforme, invece che far precipitare il governo nella crisi, una crisi che ci vedrebbe in forte svantaggio: Eventuali elezioni anticipate farebbero un favore al Pd”.
Cicchitto teme poi che i richiami di Napolitano alla riforma della legge elettorale possano fare approdare la crisi in un nuovo governo di scopo, con il Pdl spettatore. “No – conclude – evitiamo di cacciarci in un ginepraio che sa di autogol”.
Roberto Formigoni ha assicurato che stanno arrivando molte firme sotto il documento dei ‘governativi’ del Pdl e ha chiesto che il voto al consiglio nazionale del 16 novembre sia segreto. “Il nostro documento è ufficiale e le firme (tante!) stanno arrivando”, ha scritto su Twitter.
“Ovviamente si dovrà votare a scrutinio segreto”, ha aggiunto.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
ALFANO PREPARA LA SFIDA FINALE: AL PUNTO 6 DEL SUO DOCUMENTO LA STABILITA’ DEL GOVERNO ANCHE IN CASO DI DECADENZA DEL CAVALIERE
«Noi sottoscritti consiglieri nazionali ci riconosciamo nella leadership di Silvio Berlusconi», si legge al primo degli otto punti.
E, si chiarisce al punto due, «abbiamo testa, cuore ed entrambi i piedi ben piantati nel centrodestra».
Ma il punto decisivo, quello su cui si consumerà la sfida tra l’ala governativa di Angelino Alfano e i lealisti e falchi berlusconiani, lo stesso che potrebbe ridisegnare la storia del centrodestra italiano, è al punto sei.
Nelle righe in cui si legge che «disattendere le istanze di stabilità » – e cioè staccare la spina al governo anche in caso di decadenza di Silvio Berlusconi – significherebbe «tradire l’Italia, marginalizzare il centrodestra e allontanare la prospettiva di governo del Paese a tutto vantaggio della sinistra».
Il testo è stato confezionato nella notte tra martedì e mercoledì nella riunione degli Innovatori andata in scena a Palazzo Marini, un edificio della Camera dei deputati, alla quale hanno partecipato anche gli altri ministri del Pdl, da Gaetano Quagliariello a Nunzia De Girolamo. Probabilmente sarà limato, forse leggermente corretto, ma la sostanza rimarrà quella.
Chi stacca la spina al governo «tradisce l’Italia».
Tatticamente, rispetto al documento della presidenza del partito su cui Raffaele Fitto e Denis Verdini stanno già raccogliendo le firme, «non dovrà essere visto come alternativo», s’è premurato di specificare Alfano durante la riunione.
Nel senso che «anche chi ha già sottoscritto quello può firmare il nostro».
Fuori dalle liturgie della politica, però, rimane la realtà .
Tutti i componenti del Consiglio nazionale del Pdl che firmeranno la mozione degli innovatori, di fatto, si associano alla richiesta di tenere in vita il governo Letta anche dopo il voto sulla decadenza di Berlusconi.
E anche a quella di ridisegnare l’ossatura della nuova Forza Italia a cominciare non da uno, ma da due coordinatori nazionali (uno per corrente). Altrimenti, è l’inconfessabile spettro che anche l’altra notte sarebbe stato evocato, la scissione arriverebbe a un passo.
Per capire quanti degli ottocento membri del Consiglio nazionale del partito potrebbero firmare il documento di Alfano e dei ministri, però, bisogna fare un altro passo indietro.
A lunedì sera.
Prima di varcare il cancello di Arcore per l’ennesimo faccia a faccia con Berlusconi, il vicepremier sente Maurizio Lupi, Gaetano Quagliariello e Roberto Formigoni.
La base di partenza, e cioè il numero di firme potenziali che sarebbero «già sicure», sarebbe fissata a «312».
A queste andrebbero aggiunte «altre 90», archiviate alla voce «probabili».
È l’ultima stima prima che l’ennesimo tentativo di armistizio col Cavaliere naufraghi sotto il forcing dei lealisti e dei falchi, che continuano a raccogliere le loro adesioni.
Martedì notte la storia cambia.
La riunione di Palazzo Marini porta al documento in cui, oltre al sostegno a oltranza al governo, viene inserito anche un principio sui meccanismi di democrazia interni del nuovo partito.
Che rimanda – testualmente – «all’introduzione di criteri di meritocrazia, di democraticità , di libertà delle opinioni e di dibattito».
Il tutto pronto perchè, da oggi, la raccolta di firme possa partire.
Il vicepremier e i suoi sentono di avere la maggioranza dei consiglieri nazionali di almeno sei Regioni.
In Lombardia, la tenaglia ciellina del tandem Lupi-Formigoni, unita alla rete del potente senatore ex socialista Ciccio Colucci, ha già prodotto decine di adesioni.
Lo stesso vale per il Piemonte, dove con gli innovatori sono schierati Enrico Costa, l’ex governatore Enzo Ghigo e l’europarlamentare Vito Bonsignore.
In vantaggio anche in Abruzzo e Basilicata, l’esercito di Alfano ha la maggioranza bulgara dei delegati della Sicilia, dove resistono di fatto soltanto Saverio Romano e Stefania Prestigiacomo. E anche di quelli della Calabria, dove il vicepremier e i ministri possono contare sulle firme portate in dote dal governatore Giuseppe Scopelliti e del senatore cosentino Antonio Gentile, che anni fa ebbe il suo quarto d’ora di celebrità nazionale per aver avanzato la candidatura di Silvio Berlusconi a premio Nobel per la Pace (adesso, più modestamente, lo definisce «come il Fernet Branca, un patrimonio di tutti»).
Non essendoci il criterio dei «grandi elettori», ovviamente, il computo regionale conta poco. Conta però che metà delle Regioni che a sorpresa alle ultime elezioni hanno fermato la corsa del centrosinistra verso la maggioranza al Senato, e cioè Sicilia e Calabria, stiano con i governisti. Le altre due, Puglia e Campania, hanno maggioranza lealiste.
Ma la partita è soltanto all’inizio.
Anzi, più precisamente, comincia oggi.
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
UN NUOVO MOVIMENTO DI DEMOCRAZIA PARTECIPATA CONTRO OGNI FORMA DI STATALISMO E POPULISMO PER UN’ITALIA LIBERA E LIBERATA
L’Italia è nel profondo di una crisi non solo economica ma politica, di sistema, sociale e culturale.
Noi siamo persone che non si rassegnano, che pretendono un futuro migliore per il proprio Paese.
Un sincero spirito di cittadinanza, la volontà di partecipare, di demolire e di ricostruire, ispirano e animano la nostra associazione.
La nostra proposta politica si riassume per grandi linee nel nostro Manifesto ma abbiamo l’intenzione di far procedere dal basso, dall’attività e dall’ingegno dei nostri aderenti, dalle proposte programmatiche e dalla declinazione dei principi basilari espressi anche nello Statuto.
L’obbiettivo politico primario risiede nella possibilità di dar vita ad una nuova e grande formazione politica che superi la nostra stessa Associazione e sia capace di costruire una promessa politica alternativa a vetusti statalismi e a populismi di ogni sorta.
Il nostro impegno è culturale e politico ad un tempo.
Siamo convinti che una “rivoluzione” culturale sia tanto necessaria quanto una ricostruzione del sistema politico e istituzionale italiano. Per questo pensiamo lecito definirci anche come Movimento.
La nostra Associazione pone le proprie radici organizzative sulla costituzione di Comitati Locali, frutto di uno spontaneo aggregarsi di elementi della società civile che già ad oggi ci manifestano sicuro interesse, sull’iscrizione individuale e sulla semplice adesione al Manifesto, on-line e off-line, di chiunque si senta interessato a percorrere con noi una strada partecipativa verso un Italia migliore.
La nostra Sede principale (oltre a quella fisica di Via Sardegna a Roma) sarà un potente sito Web che verrà inaugurato a giorni e dove, attraverso la centralità del Forum, tutti gli aderenti e gli iscritti potranno confrontarsi e proporre idee, osservazioni e proposte.
Il sito offrirà informazioni sulle attività territoriali nazionali e locali; informerà , con notizie e articoli d’opinione, su tutti gli sviluppi della politica italiana europea e mondiale.
Nel sito si troveranno anche tutte le utilità per le attività sul territorio, quali moduli e documenti.
Utilizzeremo con grande sforzo i Social network come veicolo di propaganda e affermazione delle idee.
In un prossimo futuro abbiamo intenzione di organizzarci sia a livello locale che nazionale per proporre piattaforme di e-dem (Airesis o Liquid Feedback) con l’intento di incamminarci verso una democrazia interna partecipativa e persino deliberativa).
Se il mondo è grigio, l’alternativa è blu.
Comitati “Blu per l’Italia”
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Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
“DIETRO BERLUSCONI NON C’ERA NIENTE, SIAMO IL VUOTO, SIAMO IL NULLA”… “ALMENO FINI E CASINI HANNO AVUTO IL CORAGGIO DI AFFRONTARLO NEGLI ANNI MIGLIORI, NON COME QUELLI DI OGGI…”
Rassegnato e dimesso. È questo l’umore di Sandro Bondi fotografato da un colloquio con il quotidiano il Foglio, all’indomani dell’annuncio che la grande conta nel partito di Silvio Berlusconi, ovvero il consiglio nazionale, si terrà il prossimo 16 novembre. Notizia che il giornale diretto da Giuliano Ferrara sintetizza con tre parole dai toni foschi che ricordano il film “il Padrino”: “Pdl ai materassi”.
Bondi, da sempre fedelissimo del Cavaliere, fa un’analisi impietosa del partito e dei governisti.
Senza disdegnare un po’ di autocritica.
“Questa storia è finita, dietro Berlusconi non c’era niente. In questi anni non abbiamo costruito nulla di umanamente e politicamente solido o autentico. Finisce male”.
E da queste parole si sprigiona l’avversione per il presente e la nostalgia del passato, per le occasioni perdute, l’idea del declino, lo spettro del tradimento e dell’ingratitudine che per Bondi oggi ha i volti di Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello “e di tutti gli altri che senza Berlusconi non sarebbero stati niente”, dice, “soltanto delle rape. Almeno Fini e Casini avevano il coraggio di affrontare il Dottore nel fulgore dei suoi anni migliori, oggi è facile… Ma si illudono, spariranno anche loro, spariremo tutti”.
“Al Cavaliere adesso restano soltanto i suoi voti. Ma gli toglieranno anche quelli se diremo di sì alla Legge di stabilità , ci alieneremo i nostri sostenitori. E poi, a quel punto, a Berlusconi potranno togliere neanche il resto, facilmente: lo scranno di senatore, la dignità , la libertà . Ecco, se per il Dottore va bene, rispetterò il suo martirio. Ma io non ci sto. La Legge di stabilità non la voto, e se Berlusconi dovesse decadere andrò all’opposizione”.
“Ce lo meritiamo quello che sta succedendo. Siamo il vuoto, siamo il nulla, non abbiamo saputo costruire niente di solido, capace di resistere al declino di Berlusconi”.
La colpa è del Cavaliere, che un po’ lo ha sempre pensato: dopo di me il diluvio.
“E allora fanno bene Bindi, Cuperlo e Grasso a tirarci ceffoni. Siamo soltanto una palla da prendere a calci. A sinistra c’è Matteo Renzi, noi cosa abbiamo prodotto?”. “Tra qualche tempo sarò fuori dal Parlamento, fuori da queste miserie, come un sopravvissuto, il randagio di una storia finita male”
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
CONGRESSI SEMPRE PIU’ NEL CAOS: UN TERZO PRESENTEREBBERO IRREGOLARITA’
Il Pd prende atto del caos e blocca il tesseramento.
Boom di iscritti albanesi a Asti; tessere gonfiate e neo iscritti fantasma a Rovigo, Frosinone, Caserta, Avellino, Piacenza, Trapani, Siracusa; autosospensione dei candidati a Cosenza. Epifani spiega che sono questi i casi “attenzionati”, i più gravi, e assicura che si farà chiarezza: «Ci sarà rigore assoluto. Laddove si rilevano violazioni, si annulleranno i congressi locali, si rifaranno, e ci saranno sanzioni». Ma non basta.
Così in una riunione della segreteria carica di tensione, che inizia al mattino e viene aggiornata nel pomeriggio, il segretario taglia la testa al toro: stop al tesseramento da lunedì.
Le Convenzioni provinciali (dal 10 al 17) in vista di quella nazionale (a Roma il 24 novembre) non saranno ulteriormente inquinate.
L’aveva chiesto Gianni Cuperlo, lo sfidante del superfavorito Matteo Renzi, che si era invece opposto a cambiare le regole in corsa.
Però alla fine è lo stesso sindaco “rottamatore” a mettere fine a una polemica che sembra attorcigliarsi su se stessa e non avere fine, come se ai cittadini importasse della macchina burocratica del Pd: «Vogliono bloccare il tesseramento come propone Cuperlo? Lo blocchino, nessun problema. Accetto le proposte altrui, le decisioni altrui, le regole altrui. L’importante è che il Pd torni finalmente a discutere di cose concrete».
Il via libera di Renzi non è tuttavia sufficiente. Anche gli altri due candidati alla segreteria nazionale, Pippo Civati e Gianni Pittella devono dare l’ok, perchè solo l’unanimità può cambiare una decisione già presa.
E i due per ora dicono che no, non ci stanno affatto.
«Fermare il tesseramento è una proposta tardiva e insufficiente, la toppa è peggiore del buco: le irregolarità si sono già consumate in 34 federazioni su 118 — replica Civati — c’è da annullare un congresso su tre. Ci sono infatti altri casi eclatanti come Reggio Calabria dove gli iscritti non certificati sono il 315%, Matera il 304%…».
E ironizza: «Cuperlo vince in Asia, Renzi tra altre etnie».
Battute che non alleggeriscono un clima pesante, perchè lo stesso Epifani ammette di essere «molto preoccupato, dal momento che così si alimenta la sfiducia dei nostri elettori».
Il rischio è che le primarie dell’8 dicembre vedano una caduta della partecipazione.
Anche Pittella critica: «Epifani doveva svegliarsi prima».
Entrambi, Civati e Pittella, puntano a ottenere che alle primarie vadano tutti e quattro i candidati, mentre per Statuto sono solo tre gli ammessi. Epifani insiste: «Conviene a tutti lo stop».
Del resto il “lodo” del segretario prevede che si fermino le nuove iscrizioni non i rinnovi delle vecchie tessere.
Comunque il leader dovrà convincere Civati e Pittella entro stasera, quando si riunisce la commissione per il congresso. Scontri e lacerazioni.
Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds, attacca primarie e relative regole: «Anche un delinquente. Anche un evasore, un truffatore, un pedofilo, il primo che passa con due euro potrà votare…». I renziani chiedono al segretario che prenda provvedimenti: «Il congresso non sia una rissa da saloon. Sposetti è uscito di senno». Poi lui rettifica.
Duro botta e risposta in segreteria tra il renziano Antonio Funiciello e il cuperliano Alfredo D’Attorre. Oggetto della contesa la campagna di manifesti per le primarie che per D’Attorre si deve modificare: sembra invitare a votare il premier, non il segretario del Pd. Funiciello è irremovibile: così è, e così resta.
Beppe Fioroni, leader dei Popolari, lancia il sito “infiltratiprimarie.it” che raccoglierà le foto sulle irregolarità nei circoli: «Noi democratici stiamo rovinando tutto».
Da Epifani l’appello è a rasserenare il clima. E Renzi scrive un editoriale dedicato a Firenze su Italianieuropei, la rivista della Fondazione di Massimo D’Alema, che è il principale sponsor di Cuperlo. «Un paese si guida se si ama», è il manifesto del sindaco fiorentino.
Nei circoli per ora è un sostanziale testa a testa tra cuperliani e renziani.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Novembre 7th, 2013 Riccardo Fucile
“IL PDL NON E’ UN PARTITO, MA UN BORDELLO”…”NON SI PUO’ GUIDARE UN AEREO SEDUTI NEL SALOTTO DI CASA: BERLUSCONI DAI SERVIZI SOCIALI NON POTRA’ PIU FARE QUELLO CHE FA ADESSO”
Scontro in più atti durante il contenitore mattutino “Omnibus”, su La7, tra Vittorio Feltri e il deputato Pdl Jole Santelli.
L’argomento del dibattito è il Pdl, sul quale l’ex direttore de “Il Giornale” esprime critiche al vetriolo: “Pdl, Forza Italia.. qui non si capisce niente. Come si chiama? Il famoso giorno della fiducia al governo Letta sono successe cose addirittura comiche nel Pdl. Chi ha assistito a questo, tra le dichiarazioni di Brunetta e il dietro front di Berlusconi, ha pensato che il Pdl non è un partito, ma un bordello“.
E afferma che ormai Berlusconi è arrivato al capolinea: “Quando uno è agli arresti domiciliari o ai servizi sociali non può disporre, a proprio piacimento, del telefono, non può ricevere chi vuole, deve sempre ottenere il permesso del magistrato di sorveglianza. Come si può guidare un partito in quelle condizioni? Sarebbe come pilotare un aereo stando seduto nel salotto di casa“.
Non è d’accordo la Santelli, che replica: “Può fare quello che vuole se è ai servizi sociali. Berlusconi può fare con sicurezza il capo di un partito”.
“Ma dai, non scherziamo” — insorge Feltri, che ricorda gli altri processi in cui è coinvolto il Cavaliere, come quello di Napoli e quello Ruby.
La bagarre esplode quando il sottosegretario ribadisce che Forza Italia è l’incarnazione di Berlusconi: “Tutti coloro che sono cresciuti in quel partito e hanno condiviso tutte quelle battaglie, non possono tradire quelle stesse battaglie“.
“Ma quali battaglie avete fatto?” — sbotta Feltri — “Non avete combinato niente. Dovevate fare la rivoluzione liberale e non siete neanche riusciti ad abolire gli ordini professionali. Tre euro costava. Non siete neanche riusciti ad uniformare la legge italiana a quella europea per non mandare in galera i giornalisti, che non è neanche elegante. Neanche quello avete fatto. Siete inetti“.
La Santelli rivendica le battaglie del Pdl sulla giustizia, ma la polemica continua anche sulla successione del Cavaliere. “L’ipotesi Marina e altro sono cose assurde” — afferma l’editorialista de “Il Giornale” — “ci dev’essere una selezione democratica e naturale all’interno del partito. Non ci può essere il papa che fa vescovo Alfano o qualcun’altro. Macchè primarie, facciano dei congressi e si diano una struttura di partito, che non c’è. Non c’è niente. Anche sul territorio non c’è niente”.
“C’è una struttura a macchia di leopardo“, osserva la Santelli.
“Ma che vuol dire? Mi sa di Bersani, la macchia, il leopardo…“, ribatte Feltri
(da “il Fatto Quotidiano”)
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