Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
DAL PIEMONTE IN GIÙ, LE SPESE DEI CONSIGLIERI REGIONALI: LIBRI PER L’ORGASMO, FRIGORIFERI E LIMOUSINE
Era di luglio quando i consiglieri regionali dell’Emilia Romagna Marco Monari e Roberto Montanari, cuore nella sinistra Pd, si trovarono abbagliati dallo splendore del clima partenopeo lasciandosi andare a scelte ardite.
Dovevano partecipare a un congresso di Areadem, questo è vero, ma per espletare le funzioni precipue i due decisero di godere almeno un po’ della bellezza indigena: per spostarsi da Napoli ad Amalfi prenotarono una comoda auto con conducente, un “servizio limousine” certamente piacevole per rimirare il paesaggio dal finestrino.
Poi, all’arrivo, il soggiorno all’Hotel Bussola: “In riva al mare e a pochi passi dalla Piazza del Duomo di Amalfi, l’Hotel La Bussola vi offre un panorama privilegiato in una scenografia di ineguagliabile bellezza in cui si fondono armonicamente terra e mare” recita il claim dell’albergo.
Gelido, ieri, il commento del Montanari: “Non sono mai salito su una limousine. Chi mi conosce sa che non è il mio modo di vivere e di operare. Sono andato su un’auto a noleggio con conducente. La cifra riportata dagli organi di informazione (900 euro) non la conosco. Sono certo che le indagini sapranno chiarire ogni questione”.
Sta di fatto che gli 800 euro di albergo e i 900 di automobile non sono piaciuti ai magistrati di Bologna, impegnati a spulciare i resoconti delle spese consiliari.
Perchè il dubbio è: per gestire i cittadini emiliani e romagnoli, serviva andare alla convention di partito spendendo soldi pubblici?
Non deve provvedere il Pd ai raduni Pd?
Il tema diventa superfluo quando si passa alla contabilità della Regione Sardegna.
Qui i consiglieri Pdl si sono concessi 27 personal computer, 50 notebook, 53 stampanti, 23 monitor, 45 attrezzature speciali, 106 fra telefonini e tablet, 27 televisori, 490 accessori vari.
E il Trony di Cagliari ha battuto scontrino: il televisore meno caro è un Lcd da 40 pollici costato 499 euro, gli altri sono al plasma e grandi fino a 50 pollici, comprati a prezzi tra i 649 e i 1368 euro.
La cosa strana è che solo il megascreen s’è visto appeso nello studio di Onorio Petrini, consigliere-odontotecnico del Pdl, già noto alle cronache per aver restituito sua sponte una certa quantità di coppe d’argento acquistate — giura lui — con l’intenzione di regalarle ai suoi elettori.
Ecco la mutazione genetica. Un tempo il politico veniva omaggiato di oggetti preziosi, ora è lui a donarli pur di perpetuare il ruolo.
Per non dire di quel consigliere marchigiano dell’Udc che ha messo in nota spese 750 euro per i suoi esercizi spirituali: Luca Marconi, inventore della casta ultraterrena.
Più carnale il collega comunista Raffaele Bucciarelli che s’è fatto rimborsare 16,80 euro per il volume “Il segreto delle donne, viaggio nel cuore del piacere”.
Il suo ufficio stampa ha poi comunicato che “il consigliere è da sempre impegnato per le pari opportunità tra uomo e donna, pertanto l’acquisto di tale pubblicazione è da considerarsi utile ai fini dell’aggiornamento sulle questioni di genere”.
Pura galanteria, invece, i 164 euro destinati all’acquisto di mimose per l’8 marzo del Pd, cui si aggiungono prosaici 3.300 euro per ristoranti e caffè.
Pratico infine l’approccio di Dino Latini, Api: 150 euro per un frigo e 2.100 per le coppe del torneo di calcio, mentre il suo gruppo ha rendicontato 8.500 euro per penne e matite.
Il procuratore di Ancona, Elisabetta Melotti, ha confermato ieri la notizia di quattro indagati per quel milione buttato in un anno di spese allegre.
Roba da ridere, come il convegno sulla “Disorganizzazione della Sanità regionale” organizzato da Erminio Marinelli, elemento unico e solitario del gruppo Per le Marche. Quando? Il 31 dicembre 2012. Quant’è costato ai marchigiani? Solo 1.530 euro, un affare considerati i prezzi dei locali a San Silvestro.
E in Piemonte non sono certo rimasti a guardare.
Se Cota s’è fatto beccare col videogame, il Pdl ha pestato duro sul look: Valerio Cattaneo tra Louis Vuitton et similia ha raggiunto quota 6.100 euro; Roberto Boniperti, maestro di eleganza, si è elevato a 7.000 euro.
Nessuno però può battere Marco Botta, che oltre a Hermes (3.500 euro) ha messo in conto parrucchiere e doccia solare. Che stile.
Chiara Paolin
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IN CARCERE LO SFOGO DEL BOSS CONTRO I PM DI PALERMO: “GLI MACINEREI LE OSSA”
“Questi cornuti… (i pm di Palermo, ndr), se fossi fuori gli macinerei le ossa”. Totò Riina si guarda intorno, volta le spalle ai sorveglianti, si piega verso il suo interlocutore, poi bisbiglia: “Sono stati capaci di portarsi pure Napolitano”.
Il boss è seduto su una panchina: accanto a lui c’è Alberto Lorusso, personaggio di spicco della Sacra corona unita, la mafia pugliese, un uomo rispettoso che sa ascoltare.
Lorusso tace, Riina parla: “Berlusconi? A quello carcere non gliene fanno fare… Ci vuole solo che gli concedano la grazia”. E poi: “Io sono sempre stato un potentoso… e se fossi libero, saprei cosa fare, non perderei un minuto”.
L’immagine catturata dalla micro-telecamera nascosta è nitida e la voce registrata dalle cimici piazzate nel cortile del carcere di Opera arriva agli uomini della Dia forte e chiara: dopo vent’anni trascorsi in carcere al 41-bis, nel più assoluto silenzio, il capo dei capi non si trattiene più.
La sua camera di decompressione, il suo sfogatoio, è l’ora d’aria: ricorda, commenta, si sfoga, chiacchiera a ruota libera di Berlusconi, cita Napolitano, critica il suo complice Bernardo Provenzano, giudicandolo poco coraggioso, e per la prima volta rivendica la piena paternità delle stragi di Capaci e via D’Amelio, gonfiandosi d’orgoglio: “Quello venne per i tonni — dice alludendo a Falcone che nel maggio del ’92 era stato invitato a Favignana ad assistere alla mattanza — e gli ho fatto fare la fine del tonno”.
“Che bella la mia stagione delle stragi”
Riina “il purosangue” (così lo ha definito il pentito Nino Giuffrè, alludendo alla sua fama di irriducibile all’interno di Cosa Nostra) perde l’autocontrollo che sfoggia nelle aule giudiziarie e appare come un fiume in piena, vomitando tutta la sua rabbia per il processo sulla trattativa Stato-mafia. Dice: “Mi fa impazzire”. E ancora: “Questi pm mi fanno impazzire”.
Ce l’ha in particolare con Nino Di Matteo: “Ma che vuole questo? Perchè mi guarda? A questo devo fargli fare la fine degli altri”. Di Matteo è il suo chiodo fisso. È uno che “fa parlare i pentiti, gli tira le cose di bocca”, uno “troppo accanito”
È una svolta epocale. Per la prima volta, i pm di Palermo e gli investigatori della Dia ascoltano in presa diretta la storia di un ventennio di stragi attraverso i ricordi dello stratega mafioso più sfrenato.
Quando parla di Rocco Chinnici, il magistrato assassinato con un’autobomba in via Pi-pitone Federico nel luglio del-l’83, Riina è compiaciuto: “A quello l’ho fatto volare in aria, saltò in aria e poi tornò per terra, fece un volo”.
Quando parla di Falcone e Borsellino, quasi si commuove al pensiero di quanto fosse gloriosa quella stagione di sangue. “Io sono sempre stato un potentoso, deciso, non ho mai perso tempo”. Il pugliese Lorusso, a questo punto, lo lusinga: “Che bella stagione quella, peccato che sia finita”.
E Riina: “Se fossi fuori, non starei a perdere tempo, a questi cornuti gli macinerei le ossa”.
“Dovevamo continuare con le bombe in Sicilia”
I magistrati della procura palermitana hanno raccolto centinaia di pagine di trascrizioni, e altre decine di ore di conversazioni non sono state ancora trascritte. Riina si descrive come il capo assoluto dell’organizzazione che ha sfidato lo Stato. Con il rammarico, persino, di non aver potuto proseguire i piani sanguinari, stoppati il 15 gennaio ’93 dall’arresto sulla Circonvallazione di Palermo. E se avesse potuto, avrebbe continuato a colpire in Sicilia: “Io avrei continuato a fare stragi in Sicilia, piuttosto che queste cose in Continente, cose ambigue… dovevamo continuare qui”. Lo stragismo, insomma, è il suo pallino.
E Riina, depositario di tutti i segreti, parlando con Lorusso, fa capire che ci sono alcuni “misteri fittissimi”, che riguardano soprattutto la strage di Capaci: “Queste cose i picciotti di Cosa Nostra non dovranno saperle mai”. Alcuni di questi misteri Riina dice di averli condivisi solo con un altro uomo d’onore, il boss poi pentito Totò Cancemi, il capo-mandamento di Porta Nuova che prese il posto di Pippo Calò, il “cassiere” della mafia, morto nel 2011.
L’assenso dal 41-bis per un attentato a Di Matteo
Sono intercettazioni che per la prima volta hanno monitorato tutte le esternazioni del boss in ogni momento della sua vita carceraria: dai colloqui con i familiari, dove Riina è sempre perfettamente vigile e auto-controllato, alla cosiddetta socialità , che si svolge in un ambiente interno del carcere, dove resta prudente, e si rivolge a Lorusso solo per parlare di calcio e di argomenti “neutri”.
Ma quando arriva l’ora d’aria, il momento di maggiore libertà di un detenuto al 41-bis, che si svolge all’aperto e regala l’illusione di essere irraggiungibile da occhi e orecchie indiscreti, si assiste — secondo gli analisti dell’intelligence antimafia — all’incredibile metamorfosi del capo dei capi.
Riina esce sul cortile a fianco del pugliese, si allontana con lui fino a spostarsi nell’angolo più distante dal portico dove stazionano i sorveglianti, si siede sulla panchina, si guarda intorno e alle spalle, e poi abbassando la voce comincia a discutere liberamente, elaborando le sue analisi, commentando le notizie apprese in tv, o semplicemente abbandonandosi ai ricordi.
La sua voce si abbassa fino al bisbiglio, ma le cimici piazzate con grande perizia dagli uomini della Dia captano, sullo sfondo del cinguettio degli uccelli, ogni sussurro del boss.
L’idea di intercettare Riina, nella primavera scorsa, viene dall’anonimo che con una lettera avverte la Procura di Palermo che Riina dal carcere, attraverso il figlio, ha dato l’assenso a un attentato contro il pm Nino Di Matteo: il Corvo, secondo gli inquirenti che ne hanno tracciato il profilo psicologico, è probabilmente un uomo delle istituzioni.
A giugno, in coincidenza con l’avvio del processo sulla trattativa, i pm chiedono di piazzare microspie e telecamere nel carcere di Opera per scoprire se Riina reagisce con qualche commento interessante.
La risposta è superiore a ogni aspettativa.
Una chiamata alle armi per i picciotti?
Sono messaggi o è la voce della rabbia covata in carcere per venti anni? L’analisi in queste ore ruota attorno a questa domanda: le conversazioni intercettate — fanno notare gli investigatori — sembrano rivelare per la prima volta i lati più oscuri della personalità del capo della mafia stragista. Per questo l’improvvisa loquacità del superboss in questo momento per gli 007 antimafia è un’autentica sciarada. Perchè Riina parla tanto? Facile leggere le esternazioni del super-boss come una “chiamata alle armi”. La prima, e la più immediata lettura è quella di un messaggio rivolto alla manovalanza mafiosa in libertà , perchè si attivi e metta in pratica le minacce a Di Matteo e ai pm della trattativa.
Una lettura corretta dal procuratore Francesco Messineo secondo cui le dichiarazioni bellicose di Riina potrebbero fornire copertura a eventuali entità esterne a Cosa Nostra, fornendo — così ha detto Messineo — “l’alibi perfetto” per una nuova azione violenta a Palermo.
Ma perchè, si domandano gli inquirenti, il boss dovrebbe prestarsi a una simile messinscena?
È possibile — è un’altra tesi diffusa tra chi indaga — che Riina parli spontaneamente, senza sapere di essere intercettato. E che le sue dichiarazioni siano assolutamente genuine. Ma perchè il processo sulla trattativa, che fino a questo momento non ha fatto emergere nulla di particolare nei suoi confronti, lo fa “impazzire”?
Il ruolo del mafioso nella Trattativa Stato-mafia
Una risposta possibile riguarda gli sviluppi futuri dell’indagine: secondo chi indaga, Riina forse teme che prima o poi dall’aula bunker possa venire fuori qualcosa che provi pienamente la sua collaborazione con parti deviate dello Stato, che avrebbero usato lui e Cosa Nostra per portare avanti la strategia della tensione; e che alla fine avrebbero distrutto l’organizzazione mafiosa , uscita devastata dalla stagione delle stragi.
Oggi, insomma, il boss, potrebbe avere paura: il processo sulla trattativa, fanno notare gli inquirenti, è per lui come “una spada di Damocle”.
Perchè se alla fine il processo proverà che Riina ha trattato, che si è fatto utilizzare, che ha esposto i suoi soldati alla rovina, la sua fama di “purosangue” sarebbe definitivamente oscurata.
Con una grave perdita di prestigio tra gli affiliati di Cosa Nostra.
Lo Bianco e Rizza
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
VIAGGIATORI CON GLI OMBRELLI APERTI SUL PISA-AULLA… DOPO I VAGONI STIPATI E I RITARDI, ORA ANCHE IL TETTO CHE FA ACQUA
Persone con l’ombrello aperto dentro a un treno, viaggiatori spersi che si riparano dalla pioggia e si guardano tra loro, poi si guardano da soli, specchiandosi nei finestrini scassati, mentre il regionale sferraglia tra Pisa e Aulla passando per il litorale della Versilia, Massa, Sarzana e su verso le terre ombrose e ghiacce della Lunigiana.
Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, piazza forse una battuta involontaria quando osserva che «Trenitalia fa acqua da tutte le parti».
Ma viene subito da pensare alle Frecce, l’orgoglio delle ferrovie italiane, treni rapidi come pallottole che volano sui binari dell’alta velocità .
Mentre là fuori il mondo scorre a 250 all’ora, ai businessmen in viaggio d’affari, agli stimati professionisti con un appuntamento a Roma o Milano, a tutti i viaggiatori della prima classe insomma vengono offerti quotidiani e riviste, bibite, prosecco, snack salati e biscottini.
Sui regionali invece non si riesce a offrire il rispetto. E sui regionali viaggiano le persone che tengono in piedi il Paese.
Che ogni giorno si svegliano troppo presto e vanno a lavorare nel solito posto, e magari prendono il treno perchè risparmiano, perchè non devono trovare parcheggio, perchè così evitano di impestare ulteriormente l’aria infilando un’altra automobile nel traffico.
Queste sono le persone che spingono di forza se stesse e la nazione.
Da anni costrette a convivere con ritardi oceanici, strizzate in piedi nei vagoni stipati, abituate a non avere mai un posto dove sedersi, adesso devono pure prendersi la pioggia perchè non c’è nemmeno un tetto che le ripara.
Una condizione che sarebbe inadatta a un treno merci, che in un carro bestiame porterebbe all’insurrezione degli animalisti.
Biscottini, stuzzichini e prosecco sono lo sfizio di una giornata prestigiosa, sono iltrionfo dell’esclusività , ma «esclusivo» deriva da «escludere», e per ottenerlo basta che se lo possano permettere in pochi, è solo questione di prezzi.
Il rispetto invece, e la dignità , prendono forza dalle radici più profonde dell’essere umano, e la loro mancanza è un buco enorme nel tetto di un Paese.
E non esiste ombrello che ci possa riparare da questa pioggia di meschinità .
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
HANNO SCELTO DI TRASCORRERE L’ULTIMA NOTTE IN UN ALBERGO DI LUSSO DELLA CAPITALE… IL GIORNO DOPO I CAMERIERI LI HANNO TROVATI IN STANZA SENZA VITA
La notizia è di quelle che suscitano non solo un’umana pietà , ma anche una vera simpatia, proprio nel senso etimologico di «soffrire insieme».
E il fatto che sia così (giustamente) scarna lascia ancora più spazio alla commozione: di più non sapremo e, francamente, di più nemmeno vogliamo sapere.
Quella che è stata raccontata da fonti della polizia di Parigi è la storia di due anziani coniugi, entrambi ottantaseienni, che hanno deciso di farla finita dopo aver trascorso, insieme, la loro ultima notte.
In grande stile: marito e moglie si sono uccisi in un albergo di lusso del sesto arrondissement, rive gauche, la più dissennatamente romantica della capitale.
Li hanno trovati ieri mattina, morti nello stesso letto.
Avevano lasciato una lettera e, pensiero di eleganza davvero estrema, l’ordinazione fuori dall’uscio per la colazione in camera, «senza dubbio per farsi ritrovare dal personale dell’hotel l’indomani», hanno raccontato i poliziotti (la mente corre subito a un altro maestro di stile, Luigi II di Baviera, guarda caso anche lui morto suicida. Costretto a dichiarare alla Francia, nel 1870, una guerra che non aveva nessuna voglia di fare, resistette finchè potè. Poi lasciò un biglietto fuori dalla porta dei suoi appartamenti, proprio come una «commande» per il breakfast, in tono scocciato e – suprema ironia – in francese: «Eh bien, que l’on fasse cette guerre dètestable», ebbene, fate pure questa guerra detestabile).
Tornando ai due vecchietti, di più non si sa.
Non si se se fossero malati, se avessero delle preoccupazioni, se, oltre alla morte, avessero passato la vita insieme, se si siano andati di là abbracciati e come abbiano deciso di fare il grande passo.
Non sappiamo niente. Tranne il fatto che due ottantaseienni che decidono di andarsene insieme dopo aver trascorso insieme l’ultima notte a Parigi ci ispirano un’irresistibile simpatia.
E questa volta nel senso corrente del termine.
Giulietta e Romeo adolescenti commuovono per la loro fragilità ; Giulietta e Romeo anziani, per la loro fedeltà .
Al di là di ogni considerazione morale e magari moralistica, la loro è un’uscita di scena in grande stile.
Anche questo è importante.
Come dice Molière, «si muore una volta sola, e per tanto tempo!».
Alberto Mattioli
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER: QUELLA DI ALFANO E’ SOLO UNA CARINERIA TARDIVA
È la vigilia della settimana campale. Li chiama tutti a raccolta nelle prime linee del fronte, la permanenza in maggioranza ha le ore contate, come la sua in Parlamento d’altronde.
«Ci riuniremo lunedì e decideremo» comunica a chi va a trovarlo, da Carfagna a Prestigiacomo, da Bergamini alla Mussolini, dalla Polverini a Rotondi.
Il dado dunque è tratto.
Da ieri sera i senatori forzisti hanno indossato l’elmetto: astensioni a raffica sulla manovra, in commissione Bilancio.
Una linea che del resto il Cavaliere aveva adombrato nella lunga notte precedente trascorsa in relax con la ventina di giovani del partito, quelli ufficiali, portati dalla responsabile Annagrazia Calabria in vista della kermesse di oggi della Giovane Italia alla quale il leader ha confermato la sua presenza.
Ma è nel salotto di Palazzo Grazioli, dove si è intrattenuto fino alle 2.30, che si è abbandonato alle confessioni più amare sul momento.
«Vedrete che mi arresteranno, farò la fine di Yulia Timoshenko», paventa la persecuzione di qualche «procura impazzita» pronta a spiccare il mandato di cattura dopo il 27 novembre. Magari per l’ipotesi di corruzione di testimoni del Ruby ter che stanno per imputargli.
A dir poco avvilito dalla prospettiva. «La prima settimana mi saranno tutti vicini, la seconda solo la metà , la terza non avrò più nessuno intorno».
È il Berlusconi vittima, il ruolo in sceneggiatura che gli è sempre riuscito meglio. E che tornerà a interpretare in tv, forse da Vespa, difficile a questo punto prima della decadenza, probabile subito dopo.
Intenzionato comunque a non mollare la presa dal 27, o quando avverrà l’espulsione dal Parlamento.
Da lì partirà la sua campagna per i club “Forza Silvio”. Già in cantiere una convention a Milano per l’8 dicembre, per fare da contraltare alle primarie Pd, il Renzi day.
L’ordine di scuderia alla squadra di 60 senatori è di dare battaglia sulla legge di stabilità , per allungare il più possibile i tempi e rinviare il voto sulla decadenza di mercoledì prossimo, nonostante la conferma del presidente del Senato Grasso.
Voto palese, ma l’ultima spiaggia sarà tentare il voto segreto sui molteplici ordini del giorno che i forzisti produrranno contro il pronunciamento pro-espulsione della giunta.
Volpi d’aula come Donato Bruno e Lucio Malan sono al lavoro.
Come al lavoro è Berlusconi stesso sul suo discorso che pronuncerà in aula nel giorno clou.
Di certo non si dimetterà un momento prima, avverte. Preannuncia un discorso «alto, non astioso», conciso. «Mi state consegnando ai magistrati, ma sappiate che presto le toghe si scateneranno contro di voi» è un passaggio anticipato agli ospiti di ieri.
Per il momento la mobilitazione di quel pomeriggio sotto Palazzo Grazioli è confermata, come la sua partecipazione.
Angelino Alfano sembra che abbia voluto comunicare di persona al Cavaliere la decisione di non sostenere la richiesta di fiducia del governo e la battaglia per posticipare la decadenza rispetto alla manovra.
Per Berlusconi, stando a quanto ha riferito poi ai suoi interlocutori, sono solo «tatticismi ». Quella del vicepremier una «carineria tardiva: hanno voluto spaccare il partito e non riesco a spiegarmi ancora le ragioni, se non la voglia di restare incollati alle poltrone».
Il sospetto che alberga dentro Forza Italia è che in realtà “Angelino” lavori in pieno accordo col premier Letta. Pronto a «scaricare» una volta per tutte l’ex leader subito dopo il via libera alla stabilità .
Sprezzante, nei toni, il Berlusconi che ha commentato ancora coi suoi lo strappo: «Avete visto? Altro che 7-10 per cento, non hanno più del 3,6, non vanno da nessuna parte».
Alfano riunisce i suoi trenta senatori che eleggono Maurizio Sacconi capogruppo e conferma la linea della «responsabilità » nei confronti dell’esecutivo per marcare le distanze dagli “ex”.
Non avrebbe causato questo terremoto, diversamente. E lì si concede dell’ironia sulle liti esplose dentro Forza Italia perfino per l’elezione del capogruppo.
«Noto che il metodo Berlusconi mette tutti d’accordo, per troppa democrazia non riescono nemmeno a scegliere il sostituto di Schifani, noi lo abbiamo eletto in cinque minuti ».
Questa mattina la prima uscita pubblica, a Roma, con la presentazione dei 58 parlamentari nazionali, i 7 europei, gli 86 consiglieri regionali (12 assessori), un governatore (Scopelliti in Calabria), stando al censimento dell’uomo dei numeri del Ncd, Dore Misuraca.
Perchè la partita grossa si gioca ora sui territori. Anche se Schifani e Quagliariello ce la stanno mettendo tutta, raccontano nel partito, per convincere 4-5 senatori forzisti a passare con Alfano.
È l’ultima remora che frena ancora Berlusconi dall’ufficializzare il passaggio all’opposizione, il timore di un altro smottamento imminente.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
VERSO GLI AVVISI DI COMPARIZIONE: SOSPETTI DI FALSO PER LE OLGETTINE
Non servono indiscrezioni, sono soltanto le carte sin qui note e le procedure ad annunciare un (molto probabile) nuovo invito a comparire per Silvio Berlusconi.
Il neo leader della neo Forza Italia, sostengono dal suo entourage, quasi sente il «tintinnare delle manette».
Eppure non è dell’arresto che dovrebbe aver più paura, quanto del normale corso dei processi: la miscela di quelli che erano stati bloccati per anni e ormai stanno avanzando tutti insieme, più il Ruby-ter che si staglia sull’orizzonte. Come?
Con due i titoli di reato. Uno è la corruzione giudiziaria: reato che scatta quando io pago qualcuno perchè «trucchi» le deposizioni, le depisti, le inquini. Concorre chi paga e chi riceve.
La pena non è bassa: va dai 4 a 10 anni (la legge Severino, votata dagli stessi berlusconiani, l’ha appena aumentata, era 3 al minimo e 8 al massimo).
L’altro reato è la falsa testimonianza: scatta quando uno, pagato o no, va in aula e racconta panzane: pena dai 2 a 7 anni.
Ovviamente, segue la confisca dei beni — in questo caso, i bonifici, i gioielli, i contanti — come pena accessoria.
Questo nascente Ruby-ter ha come pilastri le testimonianze, che le fedelissime del bunga bunga (e non solo) hanno reso davanti ai giudici sia del processo Ruby-Silvio (concussione e prostituzione minorile), sia del processo Ruby-Fede- Mora-Minetti (sfruttamento della prostituzione).
Per i giudici sono senza ombra di dubbio false e «smentite».
Alla procura milanese tocca muovere alcuni passi obbligati. Eccoli.
Ieri il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati ha ricevuto le 336 pagine delle motivazioni sul processo Ruby-Silvio.
A giorni, l’alto magistrato milanese riceverà i verbali d’udienza che i giudici della quarta sezione ritengono sospetti e bisognosi d’indagine.
Riguardano ragazze del bunga bunga e parlamentari, Carlo Rossella e Mariano Apicella, in tutto 32 persone
Non succederà ancora niente di pubblico e pubblicabile, solo perchè nei primi giorni di dicembre arrivano, sempre in procura, altre motivazioni ansiogene per i berlusconiani: quelle della sentenza firmata da presidente Anna Maria Gatto, che ha inflitto sette anni di carcere anche a Emilio Fede e Lele Mora, e cinque a Nicole Minetti.
Anche in questo caso «la trasmissione degli atti (…) in relazione agli indizi di reità (…) con particolare riguardo a quanto accaduto il 6-7 ottobre 2010, il 15 gennaio 2011» è sicura.
Coinvolge gli avvocati Niccolò Ghedini, Pietro Longo e Luca Giuliante. Solo a questo punto, quando tutti i documenti sono sul tavolo, la Procura iscriverà nel registro degli indagati Berlusconi e una trentina di persone.
Aprirà un fascicolo. E poi.
Qui l’ansia politico-mediatica è destinata a salire.
In teoria, possono partire perquisizioni, acquisizioni di documenti e persino richieste d’arresto? Sì, anche per Berlusconi.
Ma in pratica, difficile che accada. Lo stile milanese è diverso.
Se viene ritenuto sufficiente provato che alcuni testi abbiano mentito, e che Silvio Berlusconi abbia pagato i testi, le indagini possono autolimitarsi, e di molto.
E il procuratore aggiunto Ilda Boccassini può spedire gli inviti a comparire, per un interrogatorio finale.
Se gli indagati non si presentano, o non convincono, decolla la richiesta al gup di giudizio immediato. Quando? Può accadere anche prima di Natale.
Berlusconi, oggi settantasettenne, deve attualmente scontare un anno di carcere (frode Mediaset).
Nel frattempo, forse entro l’estate, la condanna a sette anni del Ruby-Silvio arriverà in corte d’appello. Poi ci sarà la cassazione. Se tutto resta così com’è oggi, Berlusconi è destinato a perdere i tre anni di sconto per l’indulto (frode Mediaset), che vanno aggiunti ai sette di Ruby: e fanno dieci.
È su questi dieci anni di carcere che si va a innestare il Ruby-ter.
E cioè, inchiesta e processo, in estrema sintesi, riguardano la «rete protettiva» e la «capacità a delinquere» di Berlusconi, dimostrata dalla sua «attività sistematica d’inquinamento probatorio » (parole della sentenza).
Inquinamento che ha lasciato tracce evidenti in un interrogatorio di Ruby Rubacuori a Milano, il 6 ottobre, a scandalo non scoppiato, e organizzato dagli avvocati, ma rimasto senza traccia, senza verbali, e «beccato » grazie alle intercettazioni.
E anche in una riunione delle frequentatrici di Arcore a Villa San Martino «per salvare» (testuale) Berlusconi.
Agli estranei al cerchio magico di Arcore sin dall’inizio era sembrata un macroscopico errore la linea difensiva che tentava una contrapposizione numerica delle testimonianze sul «puttanaio».
Perchè è vero che in tanti parlano a favore della versione «cene eleganti», ma è ancor più vero che le sei ragazze su cui si poggia l’accusa sono apparse in aula ancora scosse (Ambra Battilana), amareggiate (Imane Fadil), ferite (Chiara Danese), innervosite (Melania Tumini), stupite (Natascia Teotino, Maria Magdoum).
E hanno raccontato tutte, con qualche variante, lo stesso schema di serate: non si conoscevano.
Le loro voci s’intrecciano alle intercettazioni e alle indagini, che la difesa non ha scalfito, avvalorandole.
Quindi, sei ragazze per il collegio giudicante sono «oltremodo attendibili».
Le altre, invece, si trovino un avvocato sembra suggerire il Ruby ter — e vadano in Procura, perchè la storia non è finita.
Piero Colaprico
(da “La Repubblica“)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
PER ANDARE AL CONVEGNO DI AREADEM DUE CONSIGLIERI REGIONALI PD NON HANNO BADATO A SPESE, IN CONTO ANCHE 800 EURO DI ALBERGO
Novecento euro per percorrere 75 chilometri più ritorno.
Tutti questi soldi – 6 euro a chilometro – li hanno spesi due consiglieri del Pd dell’Emilia- Romagna, Marco Monari e Roberto Montanari, il primo fino a un paio di settimane fa capogruppo nell’assemblea regionale, dimessosi dopo l’onda d’urto dell’inchiesta della procura che sta sconvolgendo il mondo politico della “regione rossa”.
I due consiglieri regionali dovevano andare da Napoli ad Amalfi, dove dal 28 al 31 luglio 2011 era in programma una convention estiva di AreaDem, la corrente di Dario Franceschini.
Gli organizzatori si erano preoccupati di far spendere poco e avevano allegato al programma politico una scheda: da Salerno ad Amalfi potete arrivarci spendendo 7 euro di traghetto.
Per chi arrivava da Napoli era più complicato: treno più bus, ma costi ugualmente popolari.
Se uno avesse voluto spendere di più e fare un viaggio molto comodo, con 100-120 euro all’aeroporto di Capodichino poteva prenotare un’auto con conducente che lo portava fin sotto l’albergo di Amalfi. Stessa cifra al ritorno.
Certo, sarebbe stato molto più di 7 euro, ma molto meno dei 900 riportati sulla fattura dell’autonoleggio che all’aeroporto di Napoli ha messo a disposizione del tandem democratico in trasferta un’auto blu, con l’indicazione “servizio limousine”. «Significa semplicemente – dice il titolare dell’azienda che ha fatto il contratto – auto privata con conducente. A Milano dicono taxi blu. Le auto blu per noi sono quelle ministeriali. Se questi signori hanno speso 900 euro significa che la macchina l’hanno tenuta più giorni. Con 120 euro l’autista li portava ad Amalfi e arrivederci. Ma evidentemente l’autista è rimasto a loro disposizione»
Il titolare non ricorda l’auto che Monari e Montanari hanno noleggiato, nè se l’hanno presa direttamente all’aeroporto o tramite agenzia: «C’è la privacy. Comunque abbiamo applicato le tariffe nazionali. Sono d’accordo che queste inchieste sui gruppi consiliari vengano fatte, ma noi dobbiamo pure lavorare. C’è di peggio».
Nell’inchiesta per peculato portata avanti da quattro magistrati, i pm Morena Plazzi e Antonella Scandellari e i vertici Roberto Alfonso e Valter Giovannini, le Fiamme Gialle hanno spulciato oltre 35 mila scontrini.
Per la trasferta ad Amalfi, contestabile perchè ha poco a che fare con il lavoro di un gruppo consiliare, Monari e Montanari, già si sa, avevano anche speso 800 euro per due notti all’albergo La Bussola, a quattro stelle.
Luigi Spezia
(da “La Repubblica”)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE IN LOTTA CONTRO “ROMA LADRONA” ACCUSATO DI PECULATO PER AVER USATO 25.000 EURO PER FINI PERSONALI
«Non posso restare Presidente anche solo con l’ombra di un avviso di garanzia ». Pronunciava queste parole, lapidarie, il governatore del Piemonte, Roberto Cota, ai pm di Torino che lo ascoltavano nell’inchiesta sulle spese pazze della Regione.
Era l’11 gennaio 2013. Da allora sono passati più di 11 mesi.
E nonostante sia stata raggiunto da ben due provvedimenti, avviso di garanzia e chiusura indagini, è ancora oggi alla guida del governo piemontese.
È accusato di peculato per aver indebitamente speso oltre 25 mila euro dei fondi destinati ai rimborsi del Gruppo del Carroccio.
Tra i suoi scontrini ci sono conti per cene e pranzi al ristorante, caffè e hamburger al fast food, ma anche una valigia, un pacchetto di sigarette, libri, cravatte, dvd e custodie per ipad.
Tutte gli vengono contestate come spese personali e non attribuibili alla sua attività politica.
Cota per due volte ha scelto di andare in procura, chiedendo di farsi interrogare con il suo avvocato di fiducia (fedelissimo di Maroni) Domenico Aiello, temendo le conseguenze della nuovissima legge Severino.
“ECONOMICAMENTE CI HO RIMESSO”
Davanti ai sostituti procuratori Enrica Gabetta, Giancarlo Avenati Bassi e all’aggiunto Andrea Beconi Cota ha sostenuto di aver speso di tasca propria spesso e volentieri, di aver mantenuto l’attività politica quasi in perdita fino ad arrivare a dichiarare, come risulta dai verbali di interrogatorio: «Per fortuna mia moglie lavora, altrimenti saremmo in bancarotta».
Le sue note spese a carico della collettività ammontano a 32 mila euro di scontrini e fatture varie per due anni e mezzo di lavoro. Di questi, secondo i magistrati, 25.416 euro sarebbero illegittimi.
IL PRIMO VERBALE
Cota l’11 gennaio, in procura come semplice testimone, ha cercato di “dirigere i lavori”. Ha guidato gli inquirenti nell’intricata rete della normativa regionale su rimborsi e indennità .
Contro lui non pesavano ancora accuse specifiche eppure si è affannato a spiegare quanto si era speso per la riduzione dei costi della politica, dal 2010 al 2013, facendola passare da 44 a 10 milioni di euro.
«Se ci sono dei collaboratori o degli amministratori locali, non è giusto farli pagare — ha quindi fatto mettere a verbale — così come i pasti della scorta che io ho dal 2008». Ha ribadito nozioni e informazioni sul funzionamento della “sua” Regione, ma soprattutto ha puntato su quante volte aveva dovuto pagare di tasca propria, come quel corso di inglese a Boston che, ha detto, «Ho pagato io».
LE ACCUSE
Non è però servito il tentativo di giocare d’anticipo. Poche settimane dopo la procura gli ha comunque contestato di aver fatto acquisti personali: 3190 euro in consumazioni, 450 euro di alberghi, regali per 1577 euro, quasi 9 mila euro per cene in ristoranti piemontesi e altrettanti nel resto d’Italia, oltre a 1500 euro per oggettistica.
Lui, nell’interrogatorio del 16 aprile, ha confermato un conto di 779 euro al ristorante: ricordava bene di essere andato da “Celestina” il 23 giugno 2010, pagando 110 euro un menù completo, insieme a un giornalista Rai e a un portavoce.
È STATA LA SEGRETARIA
Ha “scaricato” più volte la responsabilità sulla sua segretaria. «Che attingeva talvolta denaro dal gruppo», ha detto come per il regalo di matrimonio all’assessore alla cultura del Pdl, Michele Coppola, oppure per gli scontrini relativi alle spese sostenute in Liguria.
Quando la procura gli contesta di aver speso 250 euro in generi alimentari, il 16 e il 17 maggio 2011, Cota risponde: «Erano per un cuoco che aveva lavorato gratis per una cena di presentazione a base di prodotti tipici al ministero dell’Economia». Sul dvd «Fair game — Caccia alla spia» si è difeso: «È stato un errore, ho restituito il denaro». E ai pm che gli chiedevano come mai avesse messo in note spese persino un pacchetto di sigarette, ha replicato: «Non sono io, non fumo quella marca».
Ottavia Giustetti e Sarah Martinenghi
(da “La Repubblica“)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
L’ACCORDO PREVEDE CHE IL DEFICIT DI 8,3 MILIONI SIA COPERTO PER META’ DAL COMUNE (CHE COSI’ TAGLIERA’ I SERVIZI SOCIALI PER I MENO ABBIENTI) E PER META’ DA VAGHE “RIORGANIZZAZIONI INTERNE”, OVVERO TAGLIO DI LINEE E PENALIZZAZIONE DEI SERVIZI IN COLLINA…ESCLUSO INCIDERE SU RETRIBUZIONI, ORARI E RIPOSI
Poco fa l’assemblea dei lavoratori dell’Amt, riunita per ore alla sala Chiamata del porto, ha approvato l’accordo firmato nella notte in Prefettura sulla vertenza che ha portato a cinque giorni consecutivi di sciopero del trasporto pubblico locale nel capoluogo ligure.
Il voto, espresso in modo palese (favorevoli e contrari sono stati divisi in due zone del salone e poi contati), è stato duramente contestato dai numerosi autisti che si erano espressi per la prosecuzione dello sciopero: in assemblea si sono vissuti momenti di tensione e si è sfiorata la rissa.
Insulti sono stati rivolti ad alcuni rappresentanti sindacali che hanno condotto la trattativa e al momento il risultato è “ufficioso”, visto che i “no” hanno chiesto di ripetere il voto.
LA BOZZA DI ACCORDO
Secondo quanto riferito dai sindacati a conclusione della trattativa, l’accordo prevede, in primo luogo, che l’Amt rimanga pubblica. La Regione si impegna a finanziare l’acquisto in tempi brevi di 15 nuovi mezzi attraverso una riprogrammazione di risorse già impegnate e, nel quadriennio 2014-2017, di altre 200 vetture, con finanziamenti da fondi europei e nazionali.
La Regione, poi, si impegna ad accelerare il percorso di costituzione dell’Agenzia unica per il Tpl entro marzo del 2014 in modo che operi a regime entro la fine dell’anno.
I sindacati hanno riferito, poi, che, per ripianare il disavanzo di Amt, calcolato in 8,3 milioni di euro nel 2014, il Comune si è impegnato a ripatrimonalizzare l’azienda con un investimento pari a 4,3 milioni di euro.
I restanti 4 milioni saranno invece recuperati attraverso riorganizzazioni aziendali che non toccheranno nè le retribuzioni, nè l’orario di lavoro, nè i riposi dei dipendenti.
In particolare, secondo quanto riferito, tra gli interventi di riorganizzazione è prevista l’esternalizzazione di quote di attività che verranno affidate in appalto (come i servizi sulle linee collinari).
Dopo l’eventuale firma definitiva dell’accordo si avvierà una trattativa aziendale per stabilire quante e quali linee appaltare.
Questa misura dovrebbe consentire un risparmio per l’azienda pari a 2 milioni di euro.
Per recuperare i restanti 2 milioni di disavanzo, l’accordo prevede altre riorganizzazioni interne, che dovranno essere individuate entro il 31 dicembre di quest’anno in modo da essere realizzate a partire da gennaio del 2014.
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Vediamo di approfondire i termini di questo accordo patacca.
Avevamo ragione a sostenere che il problema non è mai stata la presunta privatizzazione, ma esclusivamente i quattrini.
Anche perchè nessun privato “vero” e sano di mente butterebbe soldi in una azienda sgangherata che, unica nel suo genere al mondo, può permettersi che un terzo dei dipendenti non sia al volante, ma altrove.
I sedicenti privati sarebbero stati alla fine società collegate alle Ferrovie dello Stato se non la Cassa depositi e Prestiti, quindi evitiamo di spacciare per investitori privati chi non lo è nella sostanza.
Torniamo all’unico problema vero: gli 8,2 milioni di debiti chi li paga?
Cominciamo a dire qualche verità : Amt , nonostante veda coperto il proprio passivo per due terzi dallo Stato, nonostante il Comune di Genova versi a fondo perso 30 milioni l’anno, perde altri 8 milioni l’anno.
Nel 2013 questo passivo è stato tamponato con il concorso di un taglio delle retribuzioni dei dipendenti, nel 2014 i lavoratori si sono rifiutati.
La bozza di accordo patacca prevede che 4,2 milioni ce li metta il Comune di Genova che, non siamo fessi, a questo punto taglierà i servizi sociali, l’unica voce “elastica” su cui potrà agire.
Quindi alla fine pagheranno come sempre i meno abbienti.
Degli altri 4 milioni, due deriverebbero dalla “esternalizzazione” del servizio di alcune linee collinari”: fuori dal politichese vuol dire che le linee saranno tagliate e i bus passerranno ogni morte di papa, poche balle.
Quindi altra misura che penalizzerà i cittadini.
Gli altri due milioni poi deriverebbero da “riorganizzazioni interne” ancora da individuare: e dato che non si potranno tagliare retribuzioni, orari e riposi, sa tanto di presa per i fondelli per prendere tempo.
Nessun accenno a parcheggi di interscambio, tariffe differenziate, biglietto elettronico per far pagare quel 5% che sale a bordo da portoghese, cancellazione del biglietto integrato bus-treno, corsie gialle, chiusure al traffico privato di aree del centro città .
Provvedimenti che farebbero aumentare i ricavi, non solo chiacchiere e tasse.
Quelle che piacciono alla Giunta, ai sindacati e ai novelli sciacalli che scendono a fianco dei lavoratori ma che non hanno mai preso un bus in vita loro perchè viaggiavano in Ferrari.
Governare è altra cosa, è rappresentare tutta la città , non solo chi urla di più.
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