Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
IL COMANDANTE DI EUNAVFOR MED: “LA NOSTRA PRESENZA HA PERMESSO DI SALVARE 6.000 PROFUGHI, DI ARRESTARE 43 TRAFFICANTI E RIDURRE LE PARTENZE”
Le coste libiche, quel tratto di mare davanti a Zuwarah, 60 km dal confine tunisino, dove operano gli “scafisti” non sono più “terra di nessuno”.
Dal limite delle acque internazionali, 12 miglia, navi e uomini della missione navale Eunavfor Med, dalla fine di giugno a comando italiano affidato all’ammiraglio Enrico Credendino, non sembrano esservi più segreti nell’attività dei trafficanti monitorata ogni giorno e documentata, pronta per essere inviata alla magistratura italiana.
Ammiraglio Credendino, non passa giorno che non si verifichi una tragedia di migranti ma le rotte dalla Libia sembrano meno battute che nel passato, Come mai?
Anche il nostro lavoro ha contribuito a ridurre il fenomeno. La missione voluta dall’Europa per contrastare l’attività degli scafisti è stata lanciata alla fine del giugno e in pochi mesi abbiamo fatto arrestare 43 trafficanti e sottratto agli scafisti 54 imbarcazioni. Pur non essendo previsto tra i nostri compiti il salvataggio abbiamo anche salvato più di 6mila migranti.
Quanti sono i Paesi che partecipano alla missione e con quante navi?
Dei 28 Paesi Ue partecipano in 22. In totale lavorano alla missione quasi 1.400 uomini di cui 160 al Quartier generale di Roma e 60 sulla nave comando “Garibaldi”. Sono impiegate attualmente, oltre alla “Garibaldi”, altre cinque unità : due tedesche, una spagnola, una inglese e un pattugliatore sloveno. Dal cielo controllano il mare tre aerei da pattugliamento tra cui uno del Lussemburgo molto efficace, due elicotteri a bordo della “Garibaldi” e un altro elicottero a bordo della nave spagnola.
Si deve a questo dispositivo se ormai le rotte dei migranti seguono più spesso le rotte verso Est?
Fino a sei mesi fa la rotta da Sud, dalla Libia e quella da Est ossia dalla Turchia pesavano percentualmente al 50%. Negli ultimi sei mesi si è passati a una percentuale dell’80% da Est e del 20% da Sud. Contano molti fattori: la guerra in Siria, il fatto che le partenze dalla Libia sono quelle più a rischio i (3mila morti da gennaio contro i 600 da Est). Poi c’è un effetto deterrenza della nostra missione: gli scafisti non possono più contare sul senso di impunità che avevano prima. E poi altri Paesi come Tunisia ed Egitto si stanno rivelando molto efficaci nel controllo delle loro frontiere.
Ma per potere incidere davvero sulla rete dei trafficanti dovrete operare anche nelle acque territoriali libiche. Servirà prima una risoluzione delle Nazioni Unite e una richiesta del nuovo Governo libico..
E’ così. Proprio per questo la settimana prossima sarò a New York per incontrare l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite. Il voto della Russia sulla risoluzione è decisivo. Non è scontato un no ma a patto che si accettino le loro richieste ed ossia nessun “boots on the ground”, nessun intervento di terra se non limitato nel tempo e cooperazione con le autorità libiche. Sarà importante anche la posizione dell’Egitto attuale membro non permanente del Consiglio di sicurezza con il qualem stiamo già cooperando.
La presenza sempre più frequente di navi e sottomarini russi nel Mediterraneo dopo la crisi con la Turchia non cambia la natura e il quadro strategico sul terreno della vostra missione
Le navi russe c’erano anche prima dell’abbattimento dell’aereo in Turchia. Sanno che tra i nostri compiti non c’è la lotta al terrorismo; la nostra è una missione di law enforcement ma attuata con mezzi militari. E poi operiamo in parti del Mediterraneo molto distanti da loro. Siamo su un altro raggio d’azione. Cerchiamo di coinvolgere il maggior numero di soggetti che si occupano del Mediterraneo e della sua sicurezza come abbiamo fatto riunendo a Roma 38 tra Paesi, enti privati come Confitarma e organismi internazionali per la prima riunione di Shade Med (shared awareness and deconfliction in mediterranean) sull’esempio di quanto già fatto con le missioni contro la pirateria.
Gerardo Pelosi
(da “il Sole24ore“)
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Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
SONO 550 LE “GUERRIERE” CURDE ARRUOLATE NELL’UNITA’ PER LA PROTEZIONE DELLA POPOLAZIONE
Anche i miliziani dell’Isis hanno paura. Delle donne. In particolare delle donne curde che combattono nelle fila dell’Ypg, le Unità per la protezione della popolazione.
I jihadisti, infatti, credono che chi muoia in battaglia ucciso da un nemico finisca in paradiso, accolto dalle famose 72 vergini con gli occhi castani.
Ma se il colpo decisivo proviene da una donna, allora il combattente è destinato all’inferno.
Una credenza che le donne curde impegnate sul fronte vogliono mantenere viva nelle menti dei loro nemici.
In un’intervista rilasciata alla Cnn, la guerrigliera curda Tehelden, che nella sua lingua significa “Vendetta”, ha ampiamente sminuito il coraggio dei terroristi.
“Pensano di combattere in nome dell’Islam”, ha raccontato la soldatessa 21enne che ora risiede nella piccola cittadina siriana di AL Houl, da poco riconquistata.
“Credono che se siamo noi donne a ucciderli non vanno in Paradiso. Ci temono”, ha continuato Tehelden. Efelin, 20 anni, anche lei nell’unità di “Vendetta”, ha poi aggiunto, ridendo: “Se riprovano ad attaccarci qui ad Al Houl, non ne lasceremo vivo nemmeno uno”
Alla base di questa credenza ci sarebbero i sermoni di alcuni predicatori salafiti affiliati all’Isis, che avrebbero detto ai soldati di “non essere certi” circa l’eventuale approdo in Paradiso – con le 72 vergini ad attendere – per “chi dovesse essere ucciso in combattimento da una donna”.
Per gli uomini dell’Ypg, le loro colleghe donne sono delle “vere guerriere, che spesso ci sorprendono per il loro coraggio”.
Ammirano in particolar modo la loro pazienza e la concentrazione, qualità che le rendono dei cecchini formidabili.
Sono circa 550 le donne peshmerga arruolate nell’esercito curdo: sono madri, mogli, sorelle e figlie.
Alcune sono state radunate in un’unità di protezione speciale femminile dislocata in Siria: “È un onore poter far parte di un moderno Stato musulmano che permette alle donne di difendere la loro terra”, ha spiegato un’altra guerrigliera.
Storia vuole che le prime donne curde a combattere fossero impiegate nelle truppe del Saladino, nel XII secolo. Il Saladino, come i colleghi di oggi, apprezzava la loro fedeltà e la loro ferrea dedizione e per questo le voleva sempre al suo fianco.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
ORA LE DISCONOSCONO MA A BRUXELLES DOV’ERANO QUANDO SONO STATE APPROVATE?
Le regole Ue che impongono perdite agli azionisti delle banche e ai possessori di obbligazioni subordinate sono state votate dalla maggioranza dei deputati italiani a Strasburgo.
La vicenda dei salvataggi bancari, la corsa ad arginare gli effetti sui possessori di obbligazioni subordinate, arrampicandosi sugli specchi per non violare le regole Ue, dimostra una volta di più la leggerezza con cui per vent’anni la politica ha gestito la nostra appartenenza all’Europa.
Tutti presi nel dibattito politico a immaginare un’Europa da rivendere ai propri elettori come vessatrice e produttrice di regole assurde, scopriamo invece che altri Paesi sono stati più pragmatici.
In Germania, per salvare le banche, si sono usate risorse pubbliche tra i 240 e i 270 miliardi.
In Italia operazioni molto meno costose sono finite sotto la puntigliosa lente di Bruxelles. Cosa ieri peraltro criticata persino dalla Banca d’Italia che ha lamentato la diversità di trattamento. Ma sarebbe bene non scordare che le regole sul bail in che oggi impongono perdite agli azionisti delle banche e ai possessori di obbligazioni subordinate sono state votate dalla maggioranza dei deputati italiani nel Parlamento Ue.
Questo dovrebbe far pensare seriamente a che tipo di classe politica si è mandata nel Parlamento Ue in questi anni.
Solo due settimane fa il governo ha negoziato con Bruxelles, e poi varato con un decreto, norme che ora vuole integrare fuori tempo massimo.
Non era meglio pensarci prima? Non sarebbe stato opportuno, durante il dibattito europeo che ha prodotto le regole sul bail in, ricordare ai i cittadini che le obbligazioni bancarie non sono titoli privi di rischio?
Non avrebbero dovuto farlo quegli eletti che a Bruxelles le hanno approvate?
E che oggi in cerca di consenso paiono rinnegare? E’ questa corsa al localismo che avvantaggia forze come il Front National e il Movimento 5 Stelle.
L’idea che rinchiudendosi prima nei propri confini nazionali, poi regionali e infine cittadini, si possa fare fronte ad un mondo che vuole soltanto invaderci e toglierci quel benessere che a fatica ci siamo conquistati.
Ma l’errore è esattamente questo: pensare che quel benessere derivi da quanto costruito all’interno dei nostri confini e non grazie all’apertura.
Ministri importanti nel corso degli anni hanno ironizzato sull’Europa che imponeva misure a cipolle e altri vegetali.
E quanti contro le regole che ci imponevano rigore e rispetto delle leggi?
Certo, solleticando una supposta naturale tendenza nazionale al non rispetto delle norme si otteneva e si ottiene facile consenso. Che ha però, come oggi si vede, un prezzo.
Francesco Giavazzi e Daniele Manca
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
I RISPARMIATORI DOMENICA SARANNO ALLA CHIUSURA DI RENZI
Dopo piazza Montecitorio, “prendere” la Leopolda. Questo il progetto dei risparmiatori “vittime del Salva banche” (in tutto sono circa 130mila) che, secondo quanto apprende l’Huffington Post, stanno progettando di fare una manifestazione davanti al piazzale antistante la Stazione Leopolda.
L’appuntamento in preparazione è per domenica, dalle 10 alle 13, in Piazzale della Porta al Prato a Firenze, nel cuore dell’Italia renziana, proprio al momento dell’intervento di chiusura di Matteo Renzi.
Loro sono tutti quei piccoli risparmiatori di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti che hanno visto andare in fumo i propri risparmi con il salvataggio da parte del governo dei quattro istituti di credito.
L’idea di queste migliaia di persone è andare a protestare contro il decreto Salva banche proprio lì dove l’idea renziana di italia, e di governo, ha origine.
In queste ore, si apprende, il comitato “vittime del Salva banche” si sta organizzando. L’idea sarebbe questa: mentre Renzi, dentro la stazione Leopolda, sul palco, celebrerà il “futuro” (la kermesse politica è suddivisa in tre filoni “il passato”, “il presente”, “il futuro”) fuori le “vittime del Salva banche” urleranno la propria indignazioni per un decreto che ha avuto come effetto la cancellazione delle loro azioni e obbligazioni. Urleranno come hanno fatto una settimana fa davanti alla Camera dei deputati, con fischietti, cori, “banche salvate, risparmiatori truffati”, e al collo i cartelli con le cifre perse.
Una manifestazione, quella che potrebbe esserci alla Leopolda, ancora più carica di pathos, dopo il suicidio di Luigino D’Angelo, il pensionato di Civitavecchia che si è ucciso dopo aver perso 110 mila euro in obbligazioni subordinate della Banca Etruria.
Al momento, viene raccontato, il comitato ha depositato la richiesta di manifestazione in questura a Firenze ed è in attesa di una risposta.
In via informale, si racconta, si sarebbero prospettati dei problemi per la mancanza di preavviso (la legge impone almeno tre giorni) dunque l’attesa è grande tra i risparmiatori delle quattro banche salvate.
Da parte sua, l’obiettivo di Matteo Renzi e del governo è quello di trovare una soluzione per questi risparmiatori prima di domenica.
La soluzione allo studio, ovvero quella di un fondo ad hoc di 100 milioni di euro per risarcire almeno i più poveri con obbligazioni Lt2, dovrebbe arrivare, sotto forma di emendamento alla legge di Stabilità , entro sabato, insieme con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che riferirà alla commissione Bilancio della Camera sul provvedimento e i suoi effetti.
La macchina del governo è al lavoro da giorni per studiare la mossa giusta da fare, così da dare un po’ di respiro ai piccoli risparmiatori ed evitare l’altolà di Bruxelles.
Il ministro Maria Elena Boschi ribadisce che “si sta approfondendo un intervento ulteriore”.
Presentarsi alla Leopolda con una soluzione per i risparmiatori potrebbe “spuntare la pallottola” che tengono in canna le “vittime del Salva banche”.
Ma tutto dipenderà dalla soluzione che il governo metterà in campo.
Se sarà il fondo ad hoc da 100 milioni di euro, prospettato finora, non sarà la soluzione che le “vittime del Salva banche” aspettano.
E allora la manifestazione avrà ancora motivo di esistere.
“Sarebbe solo una mancia — dice Alessandro, uno di loro — siamo tantissimi, con 100 milioni di euro cosa ci si fa? Non bastano per tutti”.
(da “”Huffingtonpost“)
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Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
A TRENTOLA IL CLAN ZAGARIA AVEVA IL POTERE ASSOLUTO, DAL SINDACO AGLI UFFICI TECNICI…PER 11 ANNI NESSUNO SE NE ACCORGE
Si può partire da un McDonald’s per capire la potenza, la capacità di presa, che il clan dei casalesi esercitava sui vertici politici e tecnici del Comune di Trentola Ducenta, epicentro dell’operazione coordinata dalla Dda di Napoli da cui sono scaturite 28 ordinanze di custodia cautelare e che vede il sindaco Michele Griffo, accusato di concorso esterno, nei panni del ricercato.
L’indagine ha permesso di svelare una fitta rete di connivenze e collusioni con l’organizzazione che fa capo al boss Michele Zagaria utili a favorire il riciclaggio dei delitti commessi.
In particolare attraverso la realizzazione di un centro commerciale del valore di 60 milioni di euro, il Jambo, posto sotto sequestro, che attraverso la C.I.S Meridionale di Alessandro Falco, proprietaria del centro commerciale, aveva in Zagaria un socio occulto.
Nelle carte dell’inchiesta della Dda di Napoli — procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, pm Maresca, Ardituro, Curcio, D’Alessio e Giordano — si ricostruiscono minuziosamente i passaggi attraverso i quali le autorizzazioni a costruire il mega centro venivano “inquinate” e deviate fuori dal quadro regolatorio, estromettendo il consiglio comunale, forzando le procedure di legge, manipolando dati e perizie tecniche.
La ricostruzione degli inquirenti avviene tramite collaboratori di giustizia e documenti che inchiodano i colletti bianchi non al ruolo di fiancheggiatori ma — come nel caso del sindaco-ricercato — di “istigatori della condotta criminosa”, in quanto legati direttamente o tramite interposti a Zagaria.
La misura dello strapotere? Un McDonald’s che veniva fatto figurare e dichiarato in un posto, anche se in realtà era da tutt’altra parte.
Per l’esattezza a distanza di 80 metri dal punto indicato in tutti i documenti tecnici attraverso i quali era stato autorizzato: dalle planimetrie allegate alla concessione alle successive varianti, perfino nei certificati di agibilità .
Per 11 anni quella rivendita di hamburger, con i suoi dipendenti e avventori, ha lavorato in un luogo diverso da quello dichiarato in atti.
Mai un sopralluogo ad attestare l’inesistenza del manufatto nel luogo corretto e la sua dislocazione altrove.
“Nessun organo del Comune di Trentola (vigili urbani compresi) si è mai accorto della realizzazione abusiva (…) e una volta constatato l’abuso non veniva presa nessuna iniziativa sanzionatoria”.
Circostanza che ha valso a diversi indagati che lavorano negli uffici comunali anche il falso ideologico. “La macroscopicità ed il numero delle illegittimità riscontrate e la loro sistematica direzione in favore della proprietà del Jambo, proverebbero da sole, ad avviso di chi scrive, la sussitenza di un dolo specifico”, scrivono gli inquirenti.
Ma fin dove si spingeva la citata “istigazione”?
Lo racconta un altro reato contestato agli arrestati, quello di truffa aggravata. Una delle più importanti e gravi stigmatizzate dai magistrati riguarda i mancati incassi del Comune per gli oneri di costruzione del centro commerciale. In sostanza ogni volta che i titolari del Jambo ottenevano (illecitamente) una licenza edilizia risparmiavano centinaia di migliaia di euro nel pagamento dei contributi edificatori dovuti all’amministrazione.
Il contributo dovuto, pari al 5%, sulle nuove opere veniva di fatto azzerato grazie a dichiarazioni di costi di costruzione “non soltanto bassi e discutibili, ma irrisori”.
La cosa particolarmente grave, rilevano gli inquirenti, è che a fronte di “evidenti e macroscopici sottodimensionamenti dei costi”, il Comune (nella persona del suo Sindaco e del Dirigente dell’Ufficio Tecnico) che aveva, in teoria, un interesse contrapposto a quello dei titolari del Jambo, e che per taluni anni è stato anche in dissesto finanziario, non ha mai obiettato nulla.
Altro episodio illuminante delle capacità di penetrazione del clan è quello per lo svincolo di accesso al Jambo.
Zagaria aveva fretta di rendere la sua “creatura” accessibile comodamente dalla superstrada che collega i comuni intorno all’area e voleva esser certo che venissero fatte come (e da chi) lui comanda. In sostanza bisognava convincere le amministrazioni comunali a fare subito una gara d’appalto e quindi ad approntare le delibere necessarie per costruire lo svincolo.
Si mette subito a disposizione la macchina comunale di Trentola Ducenta che, tramite i buoni uffici del boss, arriva al punto di consegnare a mano all’impresa designata dal boss le buste delle concorrenti alla gara d’appalto per consentire all’azienda indicata dal clan formulare l’offerta che poi avrebbe vinto.
E lo stesso, si legge nelle carte, avveniva per tante altre opere sottoposte ad autorizzazioni e bandi, dagli svincoli all’ampliamento del cimitero.
Vincenzo Iurillo e Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
COINVOLTE DECINE DI AZIENDE VENETE PER OPERAZIONI IN NERO
Da quasi tre anni funzionava come un “supermarket della fattura falsa”: confezionava operazioni su misura, a seconda delle esigenze, per piccole e medie imprese che acquistavano e vendevano in nero nei più diversi campi commerciali.
Un’architettura raffinata, con un volume d’affari di 150 milioni di euro, scoperta solo grazie all’uso delle intercettazioni. Per coprire il giro di denaro, che veniva reintrodotto in Italia in contanti attraverso gli spalloni, almeno 30 società fittizie italiane ed estere si occupavano delle fatturazioni inesistenti.
La Guardia di finanza di Mirano (Venezia), coordinata dalla Procura di Padova, ha eseguito 20 ordinanze di custodia di cui 10 in carcere nei confronti dei soci di un’associazione a delinquere accusata di reati fiscali e riciclaggio, e sequestrato beni per almeno 35 milioni di euro, tra cui due ville venete, una barca d’altura, più di 100 conti correnti in Paesi dell’Est Europa, 8 società (tra cui un’immobiliare proprietaria di 80 appartamenti) e una valle da pesca nella Laguna di Venezia di oltre 350 ettari. L’operazione, chiamata “Tailor-made”, per cui sono stati impegnati 300 finanzieri, ha portato anche a 150 perquisizioni in diverse regioni d’Italia tra cui Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Puglia e Sicilia. Il danno causato all’erario è di circa 40 milioni di euro.
L’indagine, partita da una denuncia di una cittadina extracomunitaria che era stata assoldata come prestanome dall’organizzazione, è stata svolta dai finanzieri coordinati dal capitano Michele Soragnese con tecniche di investigazioni tradizionali — pedinamenti, intercettazioni, riscontri documentali — senza le quali non sarebbe stato possibile scoprire la struttura clandestina.
La merce veniva comprata e venduta in nero per aggirare il fisco, mentre una serie di società “missing trader” (scatole vuote), curate dall’organizzazione con sede a Padova in via Savelli ma tenute completamente separate dai veri componenti del gruppo, si occupava delle fatturazioni fittizie realizzate con l’aiuto di due consulenti fiscali. I contanti tornavano in Italia con degli spalloni e l’organizzazione tratteneva il 10%.
Erano i clienti stessi — proprietari di aziende nei settori più diversi, dal tessile all’acciaio, dalla plastica alla cartotecnica, denunciati per utilizzo di false fatture — a recarsi nell’ufficio di Padova (i cui “dipendenti” risultavano regolarmente assunti) per avvalersi dei servizi dell’organizzazione.
“Comprano tutti in nero perchè non ce la fanno più con l’Iva — spiega un impiegato a un nuovo cliente in una conversazione intercettata — il nero è la nuova frontiera per non rischiare con il fisco. Rischi solo se ti beccano con i soldi in mano”.
Tra le persone arrestate Salvatore Lazzarin, veneziano considerato il capo dell’organizzazione, soggetto quasi sconosciuto al fisco che viveva in una villa a Dolo del valore di un milione di euro, in cui sono stati trovati 40 fucili da collezione e un numerosi animali esotici imbalsamati.
Il complice, un veneto che lavorava nel settore dei trasporti, organizzava i viaggi fittizi della merce scrupolosamente registrata nei documenti della società : i camion giravano vuoti per mezza Europa per giustificare le operazioni inesistenti.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
LA TELEFONATA PER FAVORIRE “IL PADRONE” DI SESTO, IMPRENDITORE VICINO A BERLUSCONI CHE OTTIENE I LAVORI DI BONIFICA DELLE AREE
Berlusconi chiama il 3 giugno del 2013 la portavoce del presidente, Isabella Votino, intercettata in quel periodo dalla Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria su delega del pm Giuseppe Lombardo.
B: pronto?
V: ma insomma non mi pensi piu
B: no … e che sono messo male io …
V: che succede?
B: perchè mi stanno facendo fuori come vedi da tutto e quindi… siamo all’episodio finale con il Capo dello Stato che cerca… che orchestra tutto …
Nelle conversazioni private Berlusconi non fa mistero di considerare Napolitano l’ispiratore di una congiura contro di lui. La telefonata intercettata a giugno fa il paio con quella successiva svelata da Piazzapulita a settembre 2013.
Poi Berlusconi si fa passare Roberto Maroni, milanista anche lui.
M: Hai fatto bene con Allegri sono contento … B:Va bene però gli ho messo giù in chiaro che la società ha dei diritti e se gli dice quando va a Barcellona che deve difendere a uomo … vincendo di due a zero … non può … e da le dimissioni se non accetta quello che gli dice la società che non è retta da un Presidente stupido che mette i soldi e basta, ma è retto da un presidente che di calcio un po’ ne capisce.
M: (ride) Infatti, senti, vabbè, in Lombardia c’è grande armonia, quindi stiamo finendo la fase di rodaggio, ma direi che funziona bene, c’è un buon lavoro di squadra
B: molto bene …
M : C’è una questione che sto affrontando che è rilevante per l’impegno finanziariodella Regione e anche per le conseguenze che ha … (inc.) della Città della salute … non so quanto tu sia informato, quanto ti interessi, perchè ci sono i tuoi del Pdl in Lombardia metà sono a favore, metà sono contro …
B: Sì …la mia posizione e semplicemente questa: è venuto da me il giovane imprenditore Brizzi… (in realtà si tratta di Davide Bizzi, immobiliarista, 53 anni, titolare della Bizzi & partners development Spa, Ndr)
M: Sì!
B: Che è quello che in America ha fatto il più bel grattacelo degli ultimi anni a New York …
M: sì, sì …
B: Mi ha portato tutta una serie di considerazioni su Sesto San Giovanni
M: sì … B: e di quell’altra posizione .. francamente esaminando le due situazioni, mi sembra che quella di Sesto San Giovanni sia assolutamente la migliore, quindi io ho soltanto una posizione diciamo così di convinzione … senza
M: Ok!
B: nessun interesse
M: questo volevo sapere
B: però mi sembra che portandola a Sesto sia … perchè l’area è giusta, perchè lì hanno già il piano regolatore approvato, perchè… insomma questo è il mio parere, però non è un parere che dipende da un interesse di altro tipo insomma … è soltanto un parere eh … slegato da ogni interesse …
M: ok!
B: va bene
Berlusconi sta raccomandando e garantendo l’impegno del suo partito per la Città della Salute del gruppo Bizzi, un progetto molto discusso e in quei giorni al centro di una scelta difficile per la Regione Lombardia.
In quel periodo si parlava di due strutture sanitarie all’avanguardia da costruire. La prima era quella di Sesto che interessava a Bizzi, l’unione del l’Istituto Besta e dell’Istituto dei Tumori.
La seconda era il cosddetto Cerba, il Centro Europeo di Ricerca Biomedica medica Avanzata, un’eccellenza mondiale in campo cardiologico, neurologico e neonatale voluta da Umberto Veronesi sulle aree che erano state del gruppo Ligresti.
Il Pdl era spaccato tra le due scelte. Probabilmente Maroni sta chiedendo a Berlusconi a chi doveva dare retta.
La risposta non era scontata e nemmeno la domanda.
La Lega locale, infatti, era contraria alla Città della Salute e ha organizzato manifestazioni durissime chiedendo al governatore di non approvare il progetto. Sesto fu tappezzata di manifesti della Lega che chiedevano “Maroni taglia la Città della Salute e non gli ospedali risparmierai 300 milioni”.
Invece Maroni ascolterà Berlusconi.
Poco più di un mese dopo quell’ok detto a Berlusconi sul telefonino di Isabella Votino, il 23 luglio del 2013, infatti, la Regione ha dato il suo via libera ed è stata approvata la Città della Salute in conferenza dei servizi.
Dell’altro progetto di Veronesi non si è più fatto nulla.
La Città della Salute prevede un investimento di 450 milioni di euro, di cui più di 300 a carico della Regione e 40 milioni in conto al Ministero della salute, oltre a 80 milioni di euro di project financing.
Accanto all’affare principale c’è poi l’indotto, a partire dalle bonifiche, interamente a carico del Gruppo Bizzi, proprietario dell’area di 1,2 milioni di metri quadrati.
Davide Bizzi è socio al 100 per cento della Bizzi & Partners Developments Spa che controlla con il 53 per cento la Milanosesto Holding, a sua volta controlla con il 68,4 per cento la MilanoSesto Spa che è proprietaria dell’area delle ex acciaierie Falck di Sesto San Giovanni.
Le quote di Milanosesto sono però per il 90 per cento date in pegno alle banche Unicredit, Banca Popolare di Milano e Intesa San Paolo, che hanno di fatto garantito il passaggio delle aree dall’immobiliarista Zunino, fortemente indebitato con quegli istituti, a Bizzi.
Milanosesto si è infatti caricata 450 milioni di debito verso le banche.
Effettivamente, come dice Berlusconi, Davide Bizzi, dopo gli inizi alla corte dell’immobiliarista Ernesto Preatoni, ha trovato una certa fama sui giornali quando nel 2010 ha inaugurato il primo grattacielo italiano sulla Fifth Avenue a NewYork. Quel giorno al suo fianco c’era Maurizio Lupi.
Nelle intercettazioni telefoniche dell’indagine sul progettista Stefano Perotti, che ha portato alle dimissioni di Maurizio Lupi.
I destini di Berlusconi e di Bizzi potrebbero riunirsi sotto le insegne rossonere proprio a Sesto.
A settembre i giornali, dopo il tramonto dell’ipotesi dell’area Portello, hanno riparlato della possibile costruzione dello stadio del Milan proprio nei terreni dell’area ex Falck di proprietà del gruppo Bizzi, rimasti inutilizzati anche dopo la costruzione della Città della Salute.
Marco Lillo
(da “ll Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
“FINITA UN’INGIUSTIZIA LUNGA 4 ANNI”… MA DALLA CONCUSSIONE SI ERA SALVATO GRAZIE ALLA PRESCRIZIONE
Tutti assolti: il “sistema Sesto” di fatto non esisteva, secondo i giudici di Monza. Filippo Penati e gli altri dieci imputati, tra cui una società , sono stati prosciolti nel processo sul presunto giro di mazzette.
Le accuse erano, a vario titolo, corruzione e finanziamento illecito dei partiti. Applausi in aula al momento della lettura del dispositivo della sentenza.
“Con questa sentenza si è messa fine ad un’ingiustizia durata quattro anni e mezzo”, ha commentato l’ex presidente della provincia di Milano che ha aggiunto: “Esce pulita la mia immagine di amministratore ed è stata restituita la mia onorabilità ”.
Le richieste dell’accusa
Lo scorso 7 luglio il pm Franca Macchia aveva chiesto al collegio di condannare Penati a 4 anni e mezzo di carcere (3 anni per le presunte tre vicende di corruzione e un anno per l’accusa di finanziamento illecito ai partiti).
Da parte sua l’ex capo della segreteria di Pierluigi Bersani ha sempre sostenuta di essere innocente, dicendosi “stupito e amareggiato” per una richiesta della Procura “preconfezionata oltre che esagerata”.
Il magistrato aveva puntato alla condanna a 2 anni e mezzo per Bruno Binasco, imputato come di manager del gruppo Gavio e per l’architetto Renato Sarno, ritenuto “faccendiere” per conto dell’ex presidente della provincia di Milano, 2 anni con le attenuanti generiche “per il comportamento processuale” per Piero Di Caterina, uno degli accusatori di Penati, e un anno e mezzo per Giuseppe Pasini, altro imprenditore-accusatore dell’ex sindaco di Sesto San Giovanni.
Per l’ex segretario generale della Provincia di Milano, Antonino Princiotta, sono invece stati chiesti 2 anni di reclusione senza attenuanti, 1 anno e 8 mesi per Norberto Moser, 1 anno e mezzo per Massimo Di Marco e 1 anno e 4 mesi per per Gianlorenzo De Vincenzi.
Per la società Codelfa, infine, la Procura ha chiesto la confisca di circa 14 milioni di euro. Solo per Giordano Vimercati, ex braccio destro di Penati, è stata chiesta l’assoluzione con formula piena.
Il “sistema Sesto”, pm: “Fiume di tangenti”
Al centro dell’inchiesta il cosiddetto “sistema Sesto“. Ovvero, un “vasto e diffuso sistema di tangenti”, secondo l’accusa.
Un “fiume di denaro” che serviva a soddisfare le “esigenze elettorali” di Filippo Penati “e quelle dei Ds milanesi” con un presunto giro di mazzette e finanziamenti illeciti per “milioni di euro” che sarebbero stati incassati in parte dall’ex presidente della Provincia di Milano.
L’inchiesta della Procura di Monza è nata dall’indagine milanese sul caso Santa Giulia-Montecity. Allora inquirenti avevano scoperto una serie di fatture per operazioni inesistenti emesse da Piero Di Caterina, titolare della Caronte, a favore del gruppo ‘Risanamento’.
Da qui una serie di perquisizioni a casa e nelle sedi delle società dell’imprenditore, diventato assieme al costruttore Giuseppe Pasini il grande accusatore dell’ex sindaco di Sesto San Giovanni, ex presidente della Provincia di Milano ed esponete del Pd, con il sequestro, tra l’altro, di una e-mail ”compromettente” inviata allo stesso Penati e a Bruno Binasco, amministratore del Gruppo Gavio.
Le rivelazioni dei due hanno fatto emergere, questa l’ipotesi, il sistema di tangenti e di finanziamento illecito ai partiti. Nell’inchiesta spunta il caso dell’acquisto, avvenuto nel 2005 da parte di Penati, allora Presidente della Provincia di Milano, del 15% di quote della Milano-Serravalle dal gruppo Gavio a un prezzo ritenuto incongruo.
Prescrizione salva Penati dalla concussione
Ma nel frattempo per l’ex dirigente dem è caduta la mannaia della prescrizione per l’accusa più pesante: la concussione contestata per un presunto giro di tangenti in cambio di concessioni edilizie sulle aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, dove in passato Penati è stato sindaco.
Penati aveva dichiarato che avrebbe rinunciato alla ‘tagliola’, ma poi quando avrebbe dovuto formalizzare la rinuncia in aula non si e’ presentato davanti ai giudici che hanno dichiarato prescritto il reato.
La difesa ha fatto ricorso in Cassazione contro la prescrizione, ma la Suprema Corte ha bocciato l’istanza.
“Non c’è stato consentito di portare le vicende dell’area Falck in questo processo non solo per gli elementi nuovi introdotti dalla legge, ma anche perchè l’imputato si è avvalso della prescrizione, che è comunque un suo diritto”, ha spiegato il pm Macchia nella sua requisitoria.
“Su questi fatti — ha aggiunto il pm — Penati e le difese si sono opposti ad ogni possibile accertamento della verità ”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2015 Riccardo Fucile
MARINE BATTUTA DA BERTRAND 47% A 53%, MARION DA ESTROSI 46% A 54%: IL SONDAGGIO SOFFRES PER LE FIGARO
La gioia per il risultato del primo turno potrebbe avere breve durata.
Marine Le Pen e Marion Marechal-Le Pen, capolista del Front National nel Nord-Pas-de-Calais e nella regione PACA (sud) uscirebbero battute dai candidati dei Republicains, Xavier Bertrand e Christian Estrosi, domenica prossima nei rispettivi ballottaggi delle regionali.
E’ quanto afferma un sondaggio Sofres per Le Figaro.
Secondo il rilevamento, nella regione del Nord-Pas-de-Calais-Piccardia, Bertrand è dato vincente con il 53%, mentre la leader del Front National è accreditata al 47%.
In Provenza-Alpi-Costa Azzurra, il sondaggio assegna la vittoria Estrosi, sindaco di Nizza, con il 54%. Marion Marechal-Le Pen otterrebbe il 46%.
In entrambi i casi, a far vincere i moderati sarebbe l’appoggio degli elettori socialisti, decisi a sbarrare il passo alla destra estrema del Front.
In queste due regioni, il partito socialista ha ritirato a questo scopo i suoi candidati e il 76-77% dei suoi elettori dice di voler votare per Bertrand ed Estrosi.
Secondo Emanuel Riviere, di Tns Sofres, si tratta però di una scelta della ragione più che del cuore. “Un passo falso o una dichiarazione maldestra” dei candidati della destra moderata, avverte, potrebbero spingere questi elettori ad astenersi.
Il Front National “è una truffa“, ha detto in mattinata in tv il premier Manuel Valls intervistato da BFMTV/RMC. “E’ una truffa quando parla di sicurezza mentre all’Assemblea Nazionale e al Senato non vota le misure per lottare contro il terrorismo“.
O quando chiede di uscire dall’euro.
“Metterebbe in ginocchio il Paese”, ha avvertito Valls, aggiungendo: “Quando c’è da difendere i valori della Repubblica non bisogna avere esitazioni”.
Per questo, ha detto ancora il premier, tutti i partiti devono bloccarne l’avanzata.
Anche in caso di sconfitta Valls non si dimetterà . “Spero innanzitutto che vinceremo questo confronto. Io sono un combattente”, ha dichiarato, esortando i francesi che non hanno votato al primo turno “ad andare a votare per i candidati che rappresentano l’avvenire, la Repubblica, i valori del nostro paese”.
E alla domanda su un’eventuale rinuncia nel caso in cui il Front conquistasse almeno una regione, il premier ha risposto: “No! Perchè la lotta è la lotta di un’intera vita. Voi credete per un solo istante che per la Francia, per l’Europa e per il mondo, la soluzione sia l’estrema destra, siano idee di esclusione?”.
(da agenzie)
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