Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
POPOLARI 28,7% (122 SEGGI), SOCIALISTI 22% (91 SEGGI), PODEMOS 20,6% (69 SEGGI), CIUDADANOS 13,9% (40 SEGGI)… SERVONO 176 SEGGI E NESSUNO CI ARRIVA, FINISCE IL BIPARTITISMO
In Spagna le elezioni politiche hanno sancito la fine del bipartitismo.
I risultati del voto sanciscono quello che i sondaggi davano per certo: quando lo scrutinio è quasi concluso, il Partido Popular è primo con quasi il 29% dei consensi, il Psoe al 22% seguito da vicino dallo straordinario risultato di Podemos, oltre il 20% (dato che include anche le alleanze strette localmente dal partito).
Ciudadanos – che fino a inizio mese era terzo e insidiava da vicino i socialisti, chiude solo quarto, sotto il 14%.
I popolari ottengono 122 seggi, con una perdita netta di 64 seggi rispetto a quattro anni fa, e molto al di sotto della soglia dei 176 necessari per governare da soli.
Allo Psoe vanno 91 deputati, 69 a Podemos e 40 ai liberali centristi di Ciudadanos. Nove e otto seggi rispettivamente per i due partiti nazionalisti catalani, Erc e Dl, mentre 6 ne ottengono i nazionalisti baschi del Pnv.
Unità popolare, la storica sinistra ormai quasi cancellata da Podemos, dimezza i suoi consensi e prende due seggi: ne aveva 11.
Una situazione fluida in termini di governabilità , perchè l’unica certezza è che il prossimo esecutivo dovrà essere sostenuto da una coalizione.
Quale coalizione però è uno scenario tutto da decifrare e che ricorda tanto il panorama politico italiano.
Con questi numeri, il Partido Popular non può formare l’alleanza di governo più indolore, quella con i centristi di Ciudadanos.
Rajoy potrebbe allora aprire a una coalizione “alla tedesca” con il Psoe, mantenendo a debita distanza gli anti-casta di Podemos.
Confermato in ogni caso il pronosticato e storico ridimensionamento delle due grandi forze politiche, popolari e socialisti, che dal 1982 hanno governato la Spagna democratica post-franchista.
Per quanto primo, il crollo è evidente soprattutto per il Pp, mentre il Psoe aveva già pagato dazio nel 2011, anche se continua a perdere consensi.
I popolari perdono in 4 anni oltre il 15% dei voti e 65 seggi
Per contro, è inequivocabile l’affermazione delle due nuove entrate Podemos e Ciudadanos, con gli ‘indignados’ di Pablo Iglesias in particolare che esordiscono nelle Cortes lanciando un segnale straordinario di rinnovamento dal basso, dopo aver saputo interpretare al meglio il malcontento verso la tradizionale classe politica, la “casta”, da parte soprattutto dei giovani in una Spagna dove i disoccupati sotto i 25 anni doppiano il tasso di disoccupazione nazionale che è già del 21 per cento.
“Crediamo che la Spagna sia cambiata. Già a maggio 2011 dicemmo che cominciava a cambiare. È finito il bipartitismo, c’è un’apertura e la Spagna già è un’altra. Il partito sarà all’altezza delle ansie di cambiamento della nostra gente. Podemos sarà lo strumento politico fondamentale perchè in Spagna si chiuda la porta alla corruzione e alla diseguaglianza” ha dichiarato Inigo Errejon, numero due di Podemos, mentre il leader Pablo Iglesias arrivava sorridente alla sede madrilena del partito.
A conti fatti, il blocco delle forze di sinistra, che include oltre ai socialisti e a Podemos gli ex comunisti di Izquierda Unida e altri due gruppi di carattere regionale, accreditato di 175 seggi alle battute finali dello scrutinio, ha sfiorato la maggioranza assoluta dei seggi.
Clamorosa è inoltre l’affermazione di Podemos in Catalogna e nel Paese Basco, dove l’appeal del partito si dimostra più forte anche delle spinte indipendentiste.
Merito probabilmente della proposta lanciata in campagna elettorale da Pablo Iglesias, unico leader di un partito a parlare di referendum vincolante sulla indipendenza della Regione.
In Catalogna Podemos viene accreditato di 12-13 seggi, davanti alla formazione storica della sinistra catalana, i repubblicani di Erc, con 9-11 seggi, Ciudadanos (7-8), i socialisti (7-8), la lista Democrazia e Libertà del presidente secessionista Artur Mas (6-7) e il Partido Popular (5-6).
Nel Paese Basco Podemos è primo con 5-6 deputati, davanti al Partito Nazionalista Basco Pnv (4-5), gli indipendentisti di Bildu (3-4), i socialisti e i popolari, con 1-2 seggi ciascuno.
L’affluenza è stata molto alta: ha votato il 73,2% (il 68,9% nel 2011) degli oltre 36 milioni di spagnoli aventi diritto.
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
CASINO’, CALCIATORI, FESTIVAL, CORI E BANDE: RISORGE LA FINANZIARIA DELLE LOBBY
Dallo sconto fiscale per la compravendita dei calciatori ai soldi per casinò, festival, cori e bande.
Anche quest’anno nella legge di Stabilità targata Renzi (tra le più obese della storia) spunta il «fondo per gli interventi strutturali di politica economica»: 300 milioni destinati a soddisfare gli onorevoli, il cosiddetto serbatoio delle mancette parlamentari.
Il buon Natale agli elettori siciliani l’ha regalato il deputato democratico loro conterraneo Angelo Capodicasa.
Con un emendamento ha fatto prorogare per un anno i contratti di settemila precari nei Comuni falliti o sull’orlo del dissesto.
«E senza neppure dover attendere il milleproroghe!» ha esultato l’onorevole che fu per una breve stagione, alla fine degli anni Novanta, addirittura presidente della Regione siciliana.
Ma sul fatto che assomigli tanto alla solita grande operazione clientelar-assistenziale c’è poco da esultare.
Esattamente come per i 20 milioni elargiti dalla medesima legge di Stabilità ai forestali calabresi. Ancora una volta, come sempre, da tempo immemore.
A dimostrazione del fatto che non basta cambiare il nome a una legge perchè la legge cambi davvero.
Correva l’anno 2009 e Giulio Tremonti descriveva l’assalto alla diligenza che stava accompagnando la legge di bilancio in parlamento per l’ennesima volta come «un film dell’orrore che non vogliamo più proiettare».
Mesi più tardi la finanziaria diventava così «legge di Stabilità ». Un provvedimento «totalmente tabellare», ispirato quindi alle sobrie leggi di bilancio britanniche inemendabili, precisava l’ex ministro dell’Economia che vedeva materializzarsi un sogno inseguito dal 2002.
Ma che invece continua a rivelarsi, anno dopo anno, un autentico incubo
La prima finanziaria risale al 1978: sessanta articoli e quattro tabelle. Da allora è stato un crescendo inarrestabile fino ai 1.364 indecifrabili commi della legge di bilancio 2007, la prima del secondo governo Prodi.
A nulla sono serviti gli appelli del Colle, da quel messaggio alle Camere trasudante indignazione di Carlo Azeglio Ciampi nel 2004, alle reprimende del suo successore Giorgio Napolitano. E la parolina magica, «stabilità », si è rivelata una illusione assoluta.
Alla faccia della stessa norma grazie alla quale la vecchia finanziaria è diventata cinque anni fa «legge di Stabilità », e secondo cui il provvedimento di bilancio non può contenere disposizioni localistiche o microsettoriali, oggi la seconda «legge di Stabilità » targata Renzi si avvia a salire sul podio delle finanziarie più obese della storia.
È entrata infatti in aula alla Camera con 993 commi. Appena dietro i 1.364 della legge di bilancio 2007 e i 1.193 di quella dell’anno seguente.
Una creatura mostruosa uscita da quello che ha definito «un suk indecente in commissione bilancio» il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta. Che però deve aver scordato l’indecenza del medesimo suk quando era il suo partito a menare la danza.
La prova che si sapeva fin dall’inizio come sarebbe andata a finire, del resto, sta tutta in quello che si chiama «fondo per gli interventi strutturali di politica economica»: 150 milioni a disposizione della Camera e altrettanti del Senato per soddisfare le richieste degli onorevoli.
Con la presenza di quell’aggettivo, «strutturali», che conferisce amara comicità a questo serbatoio delle marchette parlamentari.
Ecco allora spuntare, accanto a cose che molto hanno fatto discutere come i 500 euro ai diciottenni e i 100 milioni del 2 per mille alle associazioni culturali, anche 9 milioni per il comune di Campione d’Italia: dove la locale casa da gioco in dieci anni ha perso 105 milioni. Perdite, quelle sì, «strutturali».
È l’emblema della morale a doppio senso di uno Stato che mentre dice di voler colpire il gioco d’azzardo ripiana le perdite del casinò di proprietà di una società pubblica. Per giunta avendo stabilito che gli enti locali devono cedere le partecipate non coerenti con l’attività istituzionale.
E c’è forse qualcosa di meno coerente di un casinò?
Impossibile che in cima all’elenco delle mance impietosamente compilato dal Movimento 5 Stelle non finisse quel finanziamento.
Insieme ai 20 milioni per i collegamenti aerei con la Sicilia, ai 15 del Fondo per la montagna, ai 10 del Comitato per le Olimpiadi di Roma 2014, ai 10 per Radio Radicale, ai 5 per la bonifica della Valle del Sacco, allo sconto fiscale sulla compravendita dei calciatori…
Per non parlare di briciole ancora più minute contenute in quella lista. Come i soldi per finanziare festival, cori e bande: 3 milioni in tutto.
O il milioncino al Club alpino e al Centro ricerca Ebri, i 500 mila euro alla Fondazione Maxxi e all’Istituto Suor Orsola di Benincasa, i 300 mila per la sopravvivenza della società Dante Alighieri, fino ai 70 mila al museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata.
Interventi, ne siamo sicuri, in qualche caso anche doverosi al di là delle scontate critiche grilline.
Ma che con la «legge di Stabilità » c’entrano come i cavoli a merenda.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere dlla Sera”)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
SONDAGGIO IXE’ PER CONTO GREENPEACE: AL REFERENDUM ANDREBBE OLTRE IL 50% DEGLI ITALIANI
Pronti a votare il referendum: sulle trivelle gli italiani hanno le idee chiare e credono che i rischi siano maggiori dei benefici.
Secondo i risultati del sondaggio commissionato da Greenpeace all’Istituto Ixè, il quorum sarebbe certamente raggiunto, dato che quasi la metà degli intervistati si dichiara certo di andare a votare i quesiti referendari.
Con quale risultato? L’indagine rileva che il 47% si dichiara contro le trivelle, mentre il 18% è a favore.
Per Greenpeace questi numeri dimostrano che gli emendamenti alla Legge di Stabilità presentati dal governo Renzi “sono il tentativo per scongiurare il referendum”.
Ne è convinto Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima dell’organizzazione. “Forse nelle stanze di Palazzo Chigi sono circolati sondaggi simili che hanno fornito un quadro di quale fosse l’orientamento dell’opinione pubblica”, dice a IlFattoQuotidiano.it.
Uno scenario descritto in queste ore anche dai deputati di Alternativa libera Possibile Pippo Civati e Marco Baldassarre e, già all’indomani del dietrofront del governo, anche dai movimenti ‘No triv’
PRONTI AL VOTO
Quasi la metà degli italiani è a conoscenza del referendum, ma solo il 21% si sente davvero informato. Una quota che sale al 60% nelle regioni direttamente interessate.
Dai dati raccolti dall’Istituto Ixè, il 47% si dichiara certo di andare a votare. La maggiore mobilitazione si registra tra gli elettori di Sel, Pd e Movimento 5 Stelle, mentre “sono più tiepidi gli elettori della Lega Nord e di Fratelli d’Italia”.
Sommando al 47% di cittadini che si dichiara pronto al voto una quota ulteriore di intervistati che ritengono largamente probabile la loro partecipazione al voto, il quorum sembra essere un obiettivo raggiungibile. Dati alla mano, si supererebbe abbondantemente il 50%.
LA PREVISIONE DEI RISULTATI
Sul tema delle trivellazioni in mare nell’opinione pubblica dominano scetticismo e contrarietà .
Tra quanti andrebbero a votare, il 47% si dichiara contro le trivelle, mentre solo il 18% è favorevole alle estrazioni di gas e petrolio in mare (il 29% è indeciso, il 7% non risponde).
Nelle regioni direttamente interessate il vantaggio del ‘sì’ ai referendum è come prevedibile più netto, raggiungendo il 50%. Il sondaggio evidenzia anche quel che gli intervistati si attendono da un incremento delle estrazioni in mare.
IDEE CHIARE SU RISCHI E BENEFICI
Nella percezione dei cittadini problemi come inquinamento, rischio di terremoti e ripercussioni economiche sul turismo e sulla pesca prevalgono nettamente sui benefici. L’89% degli intervistati ritiene che le trivelle siano pericolose per la fauna marina, l’81% pensa che inquinino il mare, per il 78% porterebbero danni alla pesca, mentre per il 72% sarebbero pericolose per la popolazione residente lungo le coste.
Più basse le percentuali di chi crede ai benefici: il 65% riconosce il vantaggio di ridurre la dipendenza energetica dall’estero, per il 50% degli intervistati le trivelle porterebbero vantaggi alle economie locali, per il 58% creerebbero nuovi posti di lavoro.
Idee chiare anche sul potenziale energetico del piano fossile di Renzi e sui vantaggi economici: solo il 14% ha attese ottimistiche, mentre per il 54% degli intervistati le riserve estratte coprirebbero solo una quota modesta del consumo nazionale di petrolio.
In effetti, secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, sotto i nostri fondali vi sono riserve certe equivalenti ad appena 7-8 settimane di consumi nazionali.
Secondo la maggior parte degli italiani a trarre vantaggio dall’eventuale scoperta di giacimenti in mare sarebbero soprattutto le compagnie petrolifere (le uniche a beneficiarne per il 65% degli intervistati).
GREENPEACE: “LE GIRAVOLTE DEL GOVERNO”
Per Greenpeace questi dati dimostrano che il referendum anti-trivelle avesse delle chance di andare in porto. E che proprio per questo il Governo abbia cambiato strada.
“Dopo aver rivendicato più volte la volontà di sfruttare sino all’ultima goccia le scarsissime (e di pessima qualità ) risorse di idrocarburi in terra e mare, dopo aver deriso i movimenti che a questi piani si oppongono, oggi Renzi sembra voler fare in fretta e furia marcia indietro”, dice Boraschi.
Che ha un’opinione chiara sui retroscena di questa scelta: “Forse nelle stanze di Palazzo Chigi sono circolati sondaggi simili, che confermano quanto rilevato per Greenpeace dall’Istituto Ixè, ossia che gli italiani non vogliono le trivelle nei loro mari”.
Per il responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace “così si spiegherebbero le giravolte di un esecutivo che sembra voler smentire se stesso sull’indirizzo energetico del Paese. Poche idee, insomma, ma nefaste e confuse”. Bocciatura totale, dunque, sulle politiche del governo che, per Greenpeace, ha solo una chance: “Capire che il suo piano è un non sense in termini energetici, economici e occupazionali, una sciagura per i nostri ecosistemi e la dimostrazione, rispetto agli impegni per la protezione del clima appena presi a Parigi, che l’Italia è un Paese poco credibile”.
Luisiana Gaita
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
SALA NON HA CHIESTO I SOLDI AD AREXPO, ORA RISCHIANO DI PAGARE I CITTADINI
Extra costi e omissioni. Il gran pasticcio delle bonifiche di Expo si può semplificare così. Si pensava costassero 6 milioni di euro e invece sono già costate 73.
La società guidata da Giuseppe Sala ha anticipato i soldi e avrebbe dovuto rivalersi su Arexpo, la società proprietaria dei terreni, che a sua volta dovrebbe farsi restituire il denaro dai precedenti proprietari privati.
Ma la catena si è interrotta subito: Sala, in procinto di lasciare l’incarico per dedicarsi alla corsa da aspirante sindaco, non ha mai chiesto indietro nulla, nonostante parte delle bonifiche sia stata portata a termine già nel 2013.
Ma non finisce qui.
Da realizzare ci sono ulteriori lavori di decontaminazione perchè un provvedimento di urgenza preso da Sala in qualità di commissario unico ha consentito di tollerare durante l’esposizione soglie di inquinamento valide per terreni industriali. Ma tali soglie adesso non sono più accettabili, visto che al posto dei padiglioni temporanei sorgeranno edifici permanenti dove la gente deve vivere e lavorare ogni giorno.
La questione è talmente complessa che da settimane ci si stanno arrovellando sopra anche i tecnici del ministero dell’Economia: sono loro a dover stimare quanto i costi di bonifica pesino sul valore delle aree e valutare di conseguenza quanto il governo deve spendere per entrare in Arexpo, la società al momento partecipata da comune di Milano, regione Lombardia e dal socio privato Fondazione Fiera Milano.
Con un rischio incombente: che alla fine i costi rimarranno su Expo spa, che come società pubblica li farà ricadere sui cittadini, anzichè sui vecchi proprietari privati, in particolare la famiglia Cabassi e la stessa Fondazione Fiera.
La prima e unica mossa di Sala per evitare che ciò accada è arrivata solo a ottobre, con due anni di ritardo: è una lettera, inviata ad Arexpo dopo una serie di accessi agli atti della consigliera regionale lombarda del M5S Silvana Carcano, in cui il commissario unico propone di discutere delle bonifiche in occasione del “prossimo tavolo di monitoraggio”.
Ma dopo due mesi questo tavolo non è ancora stato convocato.
Sala ha iniziato a dedicarsi agli incontri di pre campagna elettorale. Expo, contattata da ilfattoquotidiano.it, fa sapere che è ancora “in corso un approfondimento sulle singole voci per la definizione della corretta imputazione delle spese”.
Mentre ad Arexpo il silenzio conviene, visto che tra i suoi soci, oltre a comune di Milano e regione Lombardia, c’è appunto Fondazione Fiera Milano, uno dei vecchi proprietari su cui ricadrebbero i costi di bonifica.
Il no di Fondazione Fiera e le omissioni di Sala
Dopo la lettera di Sala, il presidente della fondazione Benito Benedini ha messo nero su bianco in una lettera del 19 ottobre di non volerne sapere nulla dei 67 milioni non preventivati: “Tali valori, riferibili ad attività svolte da Expo e non meglio precisate, non riguardano il tema bonifiche e nulla hanno a che vedere con gli accordi sottoscritti tra Arexpo ed Expo”.
È vero, nell’accordo firmato dalle due società nel 2012, si fa esplicito riferimento solo ai 6 milioni di costi già preventivati. Ma si dice che eventuali eccedenze “formeranno oggetto di valutazione in buona fede tra le parti”.
E Benedini fa finta di non sapere che le attività extra sono state effettuate da Expo per portare via dal sito rifiuti e terre inquinate, in modo da smaltirle in discarica.
Benedini fa poi riferimento ai 6 milioni messi in preventivo. Di questi sono di pertinenza dei terreni ceduti da Fondazione Fiera 2,2 milioni, che Arexpo, nell’atto di compravendita, si era impegnata a rendicontare entro 60 giorni dal completamento dei lavori di bonifica. I lavori sono terminati nel 2013, ma da allora a Fondazione Fiera non è mai stato presentato il conto.
Come mai? La difesa del presidente di Arexpo Luciano Pilotti è facile: “Expo non ha mai rendicontato nulla a noi”. Sala ha sinora omesso di farlo, dunque.
Così come Alessandro Molaioni, un tempo vice del manager arrestato Angelo Paris e oggi colui che ha in mano i conti delle bonifiche.
Il tutto nell’indifferenza di comune e regione, che sono soci sia di Arexpo che di Expo. E con Fondazione Fiera che ha così buon gioco nel suo doppio ruolo: vecchia proprietaria dei terreni e nuova proprietaria attraverso Arexpo di parte degli stessi.
Il conflitto di interessi di Fondazione Fiera e la clausola speciale inserita nel contratto
Il conflitto di interessi della fondazione non si limita a questo. E si è reso evidente sin da subito.
Basta dare un’occhiata all’atto di compravendita dei terreni, dove si legge che non sarà a carico di Fondazione Fiera “ogni onere inerente le operazioni di bonifica per l’adeguamento ad un uso differente dall’attuale destinazione catastale delle aree”.
In sostanza Arexpo ha concesso al suo socio di non pagare le bonifiche che ancora devono essere eseguite per consentire la realizzazione del futuro progetto del post Expo. Una clausola di favore che non è presente negli altri atti, come quello siglato con la società Belgioiosa dei Cabassi.
Così non ci sono solo le spese passate che rischiano di pesare sulle casse pubbliche, e quindi sui cittadini. Ma anche le spese future.
Inquinata anche la falda acquifera
I costi di bonifica non sono l’unico nodo da sciogliere.
In base a una serie di documenti dell’Arpa recuperati dal M5S, anche la falda acquifera in prossimità del sito è risultata contaminata da sostanze inquinanti.
“Temiamo che questo possa pregiudicare lo sviluppo dei futuri progetti sull’area, così come la presenza nelle vicinanze di alcuni stabilimenti a elevato rischio chimico — dice la consigliera Silvana Carcano .
E proprio al governo sono ora in mano le decisioni sul post Expo, dopo lo stanziamento di 50 milioni per l’ingresso in Arexpo.
Con Fondazione Fiera che spera di vendere all’esecutivo tutte le sue quote e passare subito all’incasso. Tenendo i costi di bonifica ancora sotto silenzio.
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
UN CANTIERE DEL TERZO VALICO CHIUSO PER LA PRESENZA DEL MINERALE CANCEROGENO, RIUNIONE BURRASCOSA IN QUESTURA A GENOVA E SCATTA IL PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE
Chi denuncia, paga in prima persona.
In un Paese che gira al contrario, contro ogni logica di tutela dell’ambiente e del lavoro, un dirigente sindacale che chiede conto al proprio superiore della presenza di amianto in un cantiere finisce sbattuto fuori. Senza possibilità di replica.
E’ quanto sta accadendo alla Questura di Genova.
Protagonista, suo malgrado, un assistente capo in forza alla Digos, l’ufficio che da qualche anno è chiamato anche a monitorare — per prevenire incidenti — i cantieri per l’Alta velocità nel nord Italia. Genova compresa, dove si sta costruendo il Terzo valico, il tratto che collegherà il capoluogo ligure a Milano.
Ditta appaltatrice dei lavori è il Cociv, che fa capo a Impregilo.
Il 22 luglio, nel corso dello scavo, il cantiere è stato costretto a uno stop (che dura tuttora): per ammissione della stessa azienda, nel tunnel è stata rilevata un’alta concentrazione di amianto.
La notizia finisce subito sui giornali locali, ma passano quasi venti giorni prima che qualcuno in Questura si preoccupi per la salute degli operatori della Digos, la cui presenza all’interno del cantiere è documentata da molte fotografie (di cui il Fatto è in possesso).
Il 10 agosto il Siap, attraverso un volantino, chiede conto al dirigente della Digos e al questore di quella presenza.
Per tutta risposta, il giorno successivo i vertici dell’ufficio decidono di convocare tutte le pattuglie (una per una) impegnate nel monitoraggio del cantiere di Cravasco per rassicurarle, fornendo — solo verbalmente, nonostante le reiterate richieste del sindacato — dei dati confortanti.
Tra gli operatori c’è anche l’assistente capo, che però è quadro sindacale dello stesso Siap. Durante il colloquio, i toni si accendono.
Il capo della Digos — si legge poi nella relazione che precede la domanda di trasferimento — “afferma chiaramente la natura non sindacale dell’incontro con l’equipaggio”; eppure del volantino si parla, eccome.
Il delegato sindacale, sentendosi preso in giro, fa partire una rispostaccia. E, si sa, la polizia non ammette insubordinazione. Neanche da chi, in 23 anni di carriera, ha riempito il proprio curriculum solo di encomi.
E invece tanto è bastato perchè l’assistente capo venisse proposto per la deplorazione: cinque anni senza avanzamenti di carriera nè di stipendio. L’anticamera della destituzione.
Una misura ritenuta eccessiva dalla stessa commissione disciplinare, che a novembre ha ridotto la “pena” a un semplice richiamo scritto.
Ma al dirigente della Digos — che pure in questi anni ne aveva firmato le schede di valutazione con il punteggio massimo — non è bastato e subito dopo ha fatto partire la richiesta di trasferimento d’ufficio.
Motivazione? “In assoluta assenza di atteggiamenti discriminatori o tesi a emarginarlo”, si legge nel documento, l’assistente capo “non svolge più i suoi compiti con serenità ”.
Non si capisce se a dare così tanto fastidio sia stato un “vaffanculo” o la denuncia sull’amianto che avrebbe rovinato l’ambiente nell’ufficio.
Bisogna tener conto che, nonostante l’Asl abbia parlato di “valori costantemente inferiori a 1 fibra/litro”, il cantiere è fermo ancora oggi.
Fatto sta che venerdì scorso il Questore di Genova, irremovibile, nonostante la memoria difensiva del poliziotto, ha comunque firmato il suo trasferimento all’ufficio immigrazione.
C’è da aprire una parentesi. La polizia è l’istituzione col più alto tasso di sindacalizzazione d’Italia: il 98 per cento dei poliziotti ha una tessera in tasca.
Questo significa che all’interno delle Questure l’equilibrio tra le numerose sigle è sempre precario e che dirigenti e Questori sono chiamati a renderlo il più stabile possibile.
A Genova il sindacato più rappresentato è il Sap, seguito — dopo la rottura e l’esodo di massa dal Silp Cgil — dal Siap e poi dal Siulp.
Quanto gli equilibri sindacali possano aver pesato sulle scelte, non sta a noi ipotizzarlo. Il Fatto ha interpellato senza esito la Questura di Genova.
Ora il Siap, dopo aver già depositato un esposto in Procura, “sta preparando un ricorso al Tar ed è pronto ad andare fino in fondo”, spiega il segretario provinciale, Roberto Traverso.
Certo è che il messaggio che queste scelte fanno passare (chi denuncia paga) sicuramente non fa bene all’immagine della polizia.
Soprattutto a quella di Genova, impegnata a rialzarsi dopo l’onta del G8.
Silvia D’Onghia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
A PESCARA UNA STUDENTESSA 19ENNE DEL SENEGAL SCELTA PER INTERPRETARE MARIA NEL PRESEPE VIVENTE: “MIO PADRE MI HA DETTO SI’ PERCHE’ L’AMORE APPARTIENE A TUTTI”
«La scuola me lo ha chiesto e io ho accettato, ma non c’entra niente la religione. È un fatto culturale», ripete Fatou Gaye, una studentessa musulmana di quasi diciannove anni (li compirà a febbraio) proveniente dal Senegal.
Quest’anno è stata lei a vestire i panni della Madonna nel presepe vivente organizzato a Pescara dall’istituto tecnico Aterno-Manthonè con la partecipazione di altre scuole locali.
L’anno scorso aveva già partecipato nel ruolo di una figurante al seguito dei re Magi e, quando la sua foto era finita sui giornali locali, l’aveva nascosto al padre, che appartiene a una famiglia molto rispettata nella comunità religiosa d’origine e ha un imam tra i suoi parenti stretti.
«L’avevo detto alla mamma ma non a papà — precisa Fatou — ma perchè non pensavo nè volevo che la mia partecipazione al presepe richiamasse tanta attenzione o suscitasse polemiche. Quest’anno la coordinatrice, Franca Minnucci, mi ha chiesto di interpretare la Madonna, una figura positiva. Io ho accettato, anche con il consenso di mio padre, per lo stesso motivo. È un fatto culturale e la pace e l’amore appartengono a tutti, musulmani e cristiani».
Le passioni di Fatou? Justin Bieber e l’informatica
Fatou studia da cinque anni in Italia, da quando insieme alla mamma e ai fratelli è riuscita a ricongiungersi con il padre, arrivato a Pescara nel 2004 in cerca di un lavoro migliore.
Una volta preso il diploma, la ragazza vuole fare l’informatica. Per ora studia e, nel tempo libero, gioca a pallavolo, frequenta un corso di karate ed esce con le amiche.
Le piace Justin Bieber e ascolta Alessandra Amoroso. Ha occhi intelligenti che analizzano con ironia ciò che avviene intorno a lei.
Forse non parla ancora in maniera perfetta l’italiano ma sul valore della solidarietà non ha incertezze: «Penso che gli altri sono un bene prezioso, per questo è importante l’accoglienza» dice spazzando via idealmente tutti gli esempi di intolleranza e di odio che ci circondano.
Su di lei si posa lo sguardo protettivo della preside dell’Aterno-Manthonè, Antonella Sanvitale, e della vice preside, Marina Di Crescenzo. La scuola confina con il quartiere Rancitelli, il più difficile della città . «Conoscere la realtà in tutti i suoi fattori — dice la dirigente Sanvitale — fa diventare i ragazzi portatori di pace e civiltà e quindi anche di libertà ».
La «benedizione» dell’imam
«La scelta di Fatou — interviene Mustapha Baztami, imam segretario della Comunità islamica abruzzese, il quale in occasione del Natale ha voluto far visita ai bambini degli asili nido, a Teramo, insieme al vescovo Michele Seccia — è importante per il suo valore simbolico. Ci ricorda che dobbiamo promuovere i valori dell’integrazione e della solidarietà reciproca e rispettarci e volerci bene come membri di un’unica famiglia: la famiglia umana».
Il presepe vivente è stato allestito venerdì 18 dicembre nei pressi del molo nord del porto di Pescara, dove è stata montata la capanna e si sono svolte le scene principali. La scenografia intorno ricordava un paese abruzzese con le sue tradizioni e i suoi mestieri. A
nche le istituzioni hanno partecipato. Nel ruolo dei re Magi, il sindaco Marco Alessandrini, l’assessore regionale all’Istruzione Marinella Sclocco e il comandante della Direzione marittima della Guardia costiera, Enrico Moretti.
Nicola Catenaro
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
POPOLARI 26,8%, PODEMOS 21,7%, SOCIALISTI 20,5%, CIUDADANOS 15,2%
Il Partido Popular del premier Mariano Rajoy arriva primo in voti alle politiche spagnole con il 26,8% davanti a Podemos, al 21,7%, secondo il primo exit-poll Tns Demoscopia per la tv pubblica Tve, dati confermati anche dalla tv privata Antena 3.
Il Psoe è terzo con il 20,5% davanti a Ciudadanos al 15,2%.
Il partito del premier arriva primo anche in seggi con fra 114-118 deputati alle politiche spagnole, ma il Psoe supera Podemos per il numero di deputati 81-85, davanti a Podemos 76-80 e Ciudadanos (47-50), secondo l’exit Tve.
Il risultato in seggi, se confermato, rischia di complicare la governabilità del paese.
Domenica la partecipazione era in leggero aumento alle 18 rispetto al 2011, con in media il 58,36% contro il 57,65%, secondo dati ufficiali.
Un aumento significativo in particolare è stato registrato in Catalogna, dove la percentuale di votanti è salita dal 53,21% al 56,64%, e a Madrid, dove è passata dal 61,33% al 63,37%
Il nuovo parlamento spagnolo eletto si costituirà formalmente il 13 gennaio prossimo, 20 giorni dopo che i risultati delle elezioni saranno stati resi noti ufficialmente, cioè mercoledì prossimo.
L’investitura del nuovo presidente del governo, designato dal re, tradizionalmente interviene circa due settimane dopo la formazione del Congresso e del Senato.
Le date più probabili, secondo la tv pubblica Tve, sarebbero fra il 25 e il 29 gennaio, salvo particolari difficoltà nella costituzione della nuova maggioranza.
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
VERDINI: “NON VEDO NESSUN CONFLITTO DI INTERESSI NELLA BOSCHI E IN SUO PADRE”
“Io non vedo un conflitto d’interesse della Boschi. Ci sono migliaia di soci che determinano il management. Io ho fatto vent’anni a fare il presidente di una banca e a fare politica, non vedo nemmeno conflitto d’interesse da parte del padre”.
Denis Verdini, intervistato durante In mezz’ora su Rai Tre, si schiera al fianco del ministro delle Riforme, finito nel ciclone per il suo coinvolgimento nell’affaire salva banche.
“Vedo una situazione strumentale – continua l’ex berlusconiano – Questo paese deve cambiare, c’è sempre l’idea del sospetto del retroscena, del complotto. Io non sono amico della Boschi, nè tantomeno del papà , ma so come funzionano queste dinamiche, e da quello che vedo non ci sono conflitti d’interesse”.
“Fino a qualche mese fa la polemica era sul fatto che le banche non davano credito a famiglie e imprese, che prendevano i soldi a tassi bassi dalla Bce e poi non li redistribuivano”.
Un caso come tanti, dunque: “Dal 2010 una trentina di istituti territoriali sono stati commissariati o hanno avuto problemi. E tra questi c’è il caso di Banca Etruria”.
Ma “lo stato deve difendere i creditori se sono stati truffati. Ma il salva banche salva i dipendenti e salva i correntisti”.
Poi scherza: “Bancarotta è un termine nato a Firenze. Gli scambi avvenivano su un banco, e quando le guardie trovavano irregolarità uscivano fuori e con una mazza spaccavano il banco”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 20th, 2015 Riccardo Fucile
“ALCUNI SI FANNO PRESTARE I SOLDI DAI DIRIGENTI E SI RIVOLGONO ALLA CARITAS”
I precari della scuola ancora senza stipendio. Non è bastato il precedente in autunno per evitare che migliaia di docenti si ritrovassero senza soldi in tasca a Natale.
C’è chi chiede prestiti ai dirigenti scolastici per pagare le bollette, o chi si rivolge alla Caritas.
Sotto l’albero niente regali, solo precarietà . E in certi casi estremi, addirittura la beffa di una tredicesima da un euro.
A denunciare la situazione sono tutti i principali sindacati di categoria, dalla Cisl Scuola alla Flc Cgil.
Ma sul web e sui forum specializzati monta la protesta proprio dei diretti interessati, che nella casella di posta elettronica hanno ricevuto una cartolina di auguri dal ministro Giannini, ma non il bonifico che gli sarebbe spettato.
Il problema è molto diffuso: potenzialmente riguarda la platea dei supplenti brevi, circa 25-30 mila insegnanti in tutto il Paese.
Difficile quantificare con precisione il fenomeno, ma le segnalazioni sono tantissime. A lasciarli senza retribuzione, una serie di problemi burocratici e finanziari: da una parte l’amministrazione dello Stato continua a non voler programmare per tempo il fabbisogno occorrente per assicurare la regolarità delle liquidazioni (i fondi non ci sono e arrivano in ritardo); dall’altra il portale informatico non funziona al meglio, e le segretarie (oberate di lavoro e con carenze di personale) non sempre inseriscono i dati a dovere.
A pagare, però, sono sempre i più deboli: i docenti precari, ed in particolare quelli più precari di tutti, i supplenti brevi che non hanno un contratto fino alla fine dell’anno e devono accontentarsi di spezzoni di cattedra.
Non che si tratti di una novità : il problema si era già verificato poco tempo fa, per le prime mensilità di settembre e ottobre.
Il Ministero era riuscito a sbloccare la situazione con un’emissione straordinaria a metà novembre, facendo sapere di essersi già attivato con il Ministero dell’Economia per evitare che la situazione si riproponesse a fine anno. A quanto pare il tentativo è miseramente fallito.
“Ci sono pervenuti centinaia di reclami da parte di docenti che continuano a non percepire o a percepire solo parzialmente lo stipendio. La situazione ormai è insostenibile”, afferma Lena Gissi, nuovo segretario generale della Cisl Scuola. “Sappiamo di scuole dove i presidi o le segreterie hanno anticipato di tasca propria i soldi perchè c’erano chi non riusciva ad arrivare alla fine del mese. Sappiamo di gente che si è rivolta alla Caritas. Ma parliamo di docenti qualificati, non di barboni”.
Al problema cronico del pagamento degli stipendi, si è aggiunto negli ultimi giorni un’ulteriore beffa: alcuni docenti si sono visti recapitare una tredicesima da un euro, “mangiata” interamente dalle trattenute.
“Ma la causa è la stessa”, spiega Domenico Pantaleo della Flc Cgil. “Siccome non sono stati accreditati i mesi precedenti, il sistema non calcola la tredicesima”.
Dal Miur assicurano che presto le buste paga saranno riallineate, e tutto il dovuto verrà restituito.
I docenti sperano che il problema si risolva entro la fine della settimana prossima, e di ricevere un regalo di Natale dal Ministero.
“In caso contrario — minaccia la Cisl — potremmo decidere di passare la vigilia sulle scale di viale Trastevere o di Palazzo Chigi”.
Lorenzo Vendemiale
(da “il Fatto Quotidiano”)
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