Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
E CHI SCAPPA A GAMBE LEVATE DAVANTI AI VECCHI AMICI DEI CENTRI SOCIALI DA’ DEI CONIGLI AGLI ALTRI
La pagina Facebook del leader della Lega Nord Matteo Salvini ieri sera avrebbe subito un attacco anonimo: le foto di profilo e di copertina sono state sostituite da due immagini raffiguranti la maschera di Guy Fawkes, uno dei simboli del gruppo di hacktivisti di Anonymous.
Il defacing, così si chiama questo genere di attacchi, sarebbe durato solo pochi minuti: lo staff del leader leghista sarebbe intervenuto subito per riportare la pagina alla normalità e su Facebook è contestualmente comparso un post del politico: «Ma quei conigli mascherati di Anonymous (saranno loro?) non possono dedicarsi all’ISIS?».
L’attacco, però, non è stato rivendicato da Anonymous e potrebbe anche non avere nulla a che fare con l’organizzazione di attivisti informatici.
Fa bene Salvini a chiedere “saranno loro?”, anzi potrebbe far intervenire la polizia postale per le opportune verifiche, perchè qualcosa non quadra.
In primo luogo Anonymous rivendica immediatamente le proprie azioni con un comunicato.
In secondo luogo lascia quasi sempre un monito, non si limita a sostituire due foto.
In terzo luogo vandalizza la pagina, rendendola non raggiungibile per diverso tempo, non certo per soli 20 minuti.
Magari non si tratta di Anonymous, ma di qualcuno “tutt’altro che anonimo” che aveva un qualche interesse nella vicenda…
In ogni caso Salvini è riuscito, oltre a trarre pubblicità dalla vicenda, a non dimenticare la sua vena umoristica: che a dare dei “conigli” agli autori del presunto blitz sia uno che è scappato a gambe levate a Bologna di fronte a qualche ex suo amichetto dei centri sociali è veramente dettaglio da scompisciarsi dalle risate.
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Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
DA TORINO A NAPOLI SI DISCUTE AD ARCORE COME AI VECCHI TEMPI: ECCO I NOMI
Lui non vorrebbe concedere «vantaggi» al centrosinistra, e vorrebbe tenere le carte coperte fino all’ultimo minuto utile.
Ovvero, almeno fino a quando il Pd non scioglierà i propri nodi con le primarie che «finiranno per dividerli».
Ma a pochi mesi dal voto per le amministrative, l’immobilismo del centrodestra rischia di diventare un problema.
Tanto che Silvio Berlusconi sta accelerando su «focus group» e sondaggi per testare i candidati che dovranno tentare di portare a casa un risultato perlomeno onorevole.
E ieri sera ha incontrato ad Arcore – ufficialmente solo per uno scambio di auguri – Matteo Salvini.
Una settimana fa era stato proprio Berlusconi a snocciolare i nomi di qualche papabile, in particolare per Milano: il corteggiatissimo Paolo Del Debbio, che però finora ha sempre detto di no; Stefano Parisi, che secondo alcuni azzurri non sarebbe mai stato ancora seriamente contattato; Alessandro Sallusti, lui sì avvertito della possibilità ma non scalpitante all’idea di correre.
Il nodo d’altronde è tutto politico: scegliere un candidato «identitario», come vorrebbe Salvini, o «inclusivo», che apra anche all’alleanza con i centristi, come vorrebbero i due governatori Toti e Maroni che coi centristi governano e che oggi si ritroveranno a Milano.
Il problema è un po’ lo stesso che si ripropone a Roma, dove in campo sembrano esserci solo Giorgia Meloni e Alfio Marchini.
Anche in questo caso, ogni candidato presume un diverso assetto di alleanze, con la difficoltà ulteriore che, se Marchini pretende di avere alle spalle soprattutto movimenti civici sganciati dai partiti, la Meloni è assolutamente indisponibile all’appoggio sia della sua candidatura che del modello di alleanza.
E, stando a quanto emerge dai contatti degli ultimi giorni, a questo punto sembra essere proprio lei il candidato più probabile del centrodestra.
I sondaggi sono lusinghieri almeno per il primo turno, dove la leader di Fratelli d’Italia farebbe il pieno di voti di area, mentre difficile sarebbe lo scoglio del ballottaggio soprattutto se la sfida fosse con il M5S.
Lei non ha sciolto la riserva, ma la sensazione è che, con il passare dei giorni, salgano le quotazioni della Meloni e si avvicini il momento in cui i partiti di centrodestra (il tavolo delle candidature fra Matteoli, Giorgetti e La Russa si riunirà il 15 gennaio) le chiederanno di rompere gli indugi e di candidarsi.
Apparentemente più semplice la situazione in altre città chiamate al voto: a Cagliari avanza l’ex senatore azzurro Piergiorgio Massidda, a Trieste viene considerato molto forte l’ex sindaco Roberto Dipiazza, che potrebbe tornare in pista, a Napoli è praticamente da mesi già in corsa Lettieri di FI.
Tra Torino e Bologna infine potrebbe essere siglato un accordo incrociato tra FI e Lega: per la sfida tutta in salita a Fassino crescono le chances dell’azzurro Osvaldo Napoli, nel capoluogo emiliano sarebbe quindi la Lega ad indicare come aspirante sindaco Lucia Borgonzoni, sulla quale punta Salvini .
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
ENTI LOCALI DIVISI, PROTOCOLLI ZERO…PISAPIA: “MARONI LA SMETTA DI BLATERARE”… LA REGIONE SE LA PRENDE CON IL GOVERNO
Polveri sottili, tutti contro tutti. Il Comune chiama in causa la Regione, la Regione chiama in causa lo Stato e Bruxelles.
Ma alla fine, in mancanza di precise regole di intervento, la patata bollente torna nelle mani delle città . Che agiscono ciascuna a suo modo.
Il caso è quello della Lombardia, dove Milano ha adottato la decisione più drastica, con il blocco del traffico per tre giorni. Ma la confusione regna in tutta Italia: c’è chi ha seguito l’esempio milanese, come Pavia, chi ci ha pensato ma poi ha virato sulle targhe alterne, come Roma, chi ha soltanto incentivato l’uso dei mezzi pubblici, come Torino.
L’unica certezza è che non esiste una regola comune che stabilisca come intervenire in questi casi. E proprio in questi giorni, si organizzano una serie di tavoli per coordinare le azioni dei vari enti locali, nella speranza di trovare quell’unità di azione che finora è mancata.
L’esempio più chiaro, in questo senso, si può trovare in Lombardia e, in particolare, a Milano.
Qui, il Comune ha deciso il blocco del traffico per tre giorni, dal 28 al 30 dicembre. “E’ evidente che manca un coordinamento — spiega a ilfattoquotidiano.it Pierfrancesco Maran, assessore all’Ambiente di Milano — A livello legislativo, la delega della qualità dell’aria è affidata alle Regioni. Prima di attuare il blocco, abbiamo sollecitato Regione Lombardia a prendere misure su un’area più vasta, anche perchè tutti gli esperti concordano che questi interventi sono tanto più efficaci quanto più grande è l’area dove si effettuano. Abbiamo deciso di agire con il blocco del traffico dopo che è stata rifiutata una misura più ampia”.
E aggiunge: “A livello di città metropolitana, abbiamo provato a dotarci di un protocollo per tutti comuni. Ma visto che la delega è in mano alla Regione, il protocollo non scatta come obbligatorio e ogni volta bisogna andare di comune in comune a chiedere la conferma dell’adesione”.
Sulla stessa linea, l’intervento del sindaco Giuliano Pisapia, che dalle colonne di Repubblica è passato all’attacco, sostenendo che il Comune “in questi anni è stato lasciato a combattere da solo”.
E ha puntato il dito contro il Pirellone: “Alla Regione chiediamo di smetterla di blaterare e di fare finalmente qualche intervento su scala più ampia”.
Alle accuse del sindaco milanese replica Claudia Terzi, assessore all’Ambiente di Regione Lombardia. “A Pisapia sfugge che nel tempo gli interventi li abbiamo fatti e continuiamo a farli — è la sua replica — Le misure efficaci sono quelle strutturali, che però non hanno effetti nel breve periodo. E non sono i passi da prima pagina o spot elettorale di Pisapia”.
L’assessore ricorda gli interventi previsti dal piano regionale per la qualità dell’aria, adottato nel 2013: secondo il primo monitoraggio sulla sua attuazione, diverse misure sono già stati realizzate, come esenzioni fiscali per veicoli a bassa emissione, limitazioni per le vetture più inquinanti, incentivi all’installazione di filtri antiparticolato.
“I blocchi a spot del traffico sono poco efficaci — incalza Terzi — Dati alla mano, è stato verificato che non abbattono le emissioni nei periodi di blocco e implicano picchi di aumento nei giorni successivi. Possono servire per richiamare l’attenzione su una situazione difficile, ma non sono risolutivi”.
A fare chiarezza ci prova Guido Lanzani, responsabile dell’unità organizzativa qualità dell’aria di Arpa Lombardia (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente), organo di natura tecnica.
“Il problema dell’inquinamento atmosferico non è legato alle emergenze, è un problema di lungo periodo che va affrontato con provvedimenti strutturali — spiega l’esperto — E’ quello che si fa ed è quello che dice la legge. C’è un autorità competente, Regione Lombardia, che ha fatto il piano di risanamento della qualità dell’aria, permettendo di avere risultati su scala di lungo periodo, come si evince anche dai dati: c’è un trend di miglioramento su scala pluriennale, le polveri sottili stanno diminuendo”.
Detto questo, ben vengano le iniziative di ciascun Comune: “Le singole amministrazioni fanno interventi positivi, che contribuiscono a limitare il problema, ma in quanto circoscritti nello spazio e nel tempo, rimangono parziali e limitati, non possono fare miracoli. In questo senso, non c’è da stupirsi che non esista un protocollo unico, perchè quello che c’è di unico e solido è il piano di risanamento. Poi è chiaro che più si agisce di concerto, meglio è”.
Ma non è finita qui. Perchè dalla Lombardia, la ricerca delle responsabilità vola ai piani sempre più alti, fino ad arrivare a Roma e poi Bruxelles.
“Io avevo chiesto all’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando — ha affermato il governatore Roberto Maroni — di fare un incontro con tutte le Regioni interessate per definire un piano della pianura padana per la qualità dell’aria, da sottoporre poi all’Unione europea, per avere risorse adeguate per un intervento mirato in relazione alla specificità di questo territorio. Abbiamo riproposto la cosa al ministro Galletti, ma fino ad ora non ha avuto seguito”.
Da parte sua, il titolare dell’Ambiente ha ammesso la confusione di questi giorni, affermando la necessità di una strategia comune. “La nostra risposta deve essere coordinata e di sistema, non in ordine sparso”, ha spiegato il ministro.
E così ha convocato per mercoledì 30 dicembre una riunione di coordinamento degli interventi contro lo smog nelle città italiane, invitando i presidenti di Regione, i sindaci e il capo della protezione civile Fabrizio Curcio.
“La riunione di mercoledì sarà il momento per confrontare la riuscita delle varie iniziative adottate in questi giorni e per trovare un metodo unico di procedere da qui in avanti”, ha aggiunto il ministro.
Iniziativa analoga anche in Lombardia, dove Maroni ha convocato per il pomeriggio del 28 dicembre un tavolo con i vertici di Anci Lombardia e con tutte le principali istituzioni per coordinare l’azione dei Comuni lombardi sulle iniziative antismog.
E mentre i politici si rimpallano le responsabilità , sul campo rimangono i numeri che certificano la gravità della situazione.
Una settimana fa, Legambiente ha anticipato alcuni dati del rapporto “Pm10 ti tengo d’occhio”, che segnala le città più inquinate d’Italia.
Frosinone vince questa poco invidiabile classifica: nel 2015, il livello di pm10 ha superato per 110 volte i 50 microgrammi per metro cubo.
Eppure, la legge permette solo 35 sforamenti all’anno.
Tra i capoluoghi di regione, domina Milano con 86 giorni oltre il limite, seguita da Torino con 73, Napoli con 59 e Roma con 49.
Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
GRILLINI SPACCATI: UNA PARTE SOSTIENE IL SINDACO CINQUESTELLE, UN’ALTRA GLI FA OPPOSIZIONE
Tre assessori licenziati nel primo giorno utile dopo la sosta natalizia: sembra un semplice rimpasto di giunta ma rischia di essere l’inizio di una guerra politica cittadina.
Non c’è pace per il Movimento 5 Stelle a Gela, la città del petrolchimico Eni, roccaforte del Pd e del governatore siciliano Rosario Crocetta, conquistata dagli uomini di Beppe Grillo alle amministrative del giugno 2015.
A sei mesi esatti dalla vittoria delle elezioni, il sindaco Domenico Messinese ha defenestrato tre componenti della sua giunta: si tratta di Pietro Lorefice, Ketty Damante e Nuccio Di Paola, rispettivamente assessori ai trasporti, all’istruzione e alla programmazione.
Il motivo del triplice allontanamento? “La fiducia era venuta meno: non lavoravano per il bene della città , facevano summit esterni, tramavano contro la mia amministrazione. Ed io devo dare risposte alla città ”, spiega Messinese a ilfattoquotidiano.it.
Una mossa, quella del primo cittadino gelese, che spacca irrimediabilmente il Movimento a Gela: i tre assessori cacciati dalla giunta, infatti, sono esponenti storici dei 5 Stelle in città , punti di riferimento dei consiglieri comunali pentastellati.
Senza considerare che già due mesi dopo la sua elezione Messinese aveva dato il benservito a Fabrizio Nardo, anche lui esponente grillino della prima ora, estromesso dalla giunta perchè considerato “anarchico” rispetto alle scelte del primo cittadino.
Adesso, dopo settimane di polemiche culminate con la triplice defenestrazione, a Gela rischia di scoppiare una feroce guerra intestina tutta interna ai pentastellati.
Da mesi, infatti, in città esistono due meetup diversi: uno sostiene Messinese, mentre l’altro è da tempo oppositore del primo cittadino, accusato di utilizzare “metodi da prima Repubblica e compromessi di potere”.
Il riferimento è ai due incarichi legali, del valore di circa 11mila euro, che il comune di Gela ha affidato nell’ottobre scorso all’avvocato Lucio Greco, stimato professionista locale e candidato sindaco di una lista vicina al Nuovo Centrodestra alle ultime amministrative.
Dopo essere stato sconfitto al primo turno, Greco aveva offerto il suo sostegno al Movimento 5 Stelle, facendosi fotografare mentre abbracciava affettuosamente Messinese al termine di un comizio.
Quell’incarico affidato dal comune all’ex candidato di Angelino Alfano era stato uno dei tanti motivi di scontro tra il primo cittadino e la base dei 5 Stelle.
“Il mio stesso movimento ha cominciato ad offendere la mia amministrazione dopo soli due giorni: posso anche essere un sindaco cattivo, ma in due giorni non posso aver fatto così male. Io mi sento parte integrante dei 5 Stelle, sono loro invece che con il movimento non hanno nulla a che fare”, attacca Messinese.
Che un minuto dopo aver annunciato l’estromissione dei tre dalla giunta, ha già presentato i nuovi assessori. “Li ho selezionati tutti sulla base del curriculum”, assicura: segno che la defenestrazione di massa non è stata una mossa a sorpresa, ma preparata nel dettaglio.
“Vuole sapere se ho parlato con i vertici del Movimento prima di procedere al rimpasto? Assolutamente no, e non ho parlato neanche con il meetup. Gli assessori non sono eletti e devono essere di fiducia dell’amministrazione: la fiducia è venuta a mancare e io devo dare risposte ai 22mila cittadini che ci hanno eletti”.
Resta da capire che posizione prenderanno adesso i vertici del Movimento, dai massimi referenti regionali al famoso direttorio nominato da Grillo appena un anno fa. Nel frattempo, a Gela, una delle città più importanti di Sicilia, la faida targata 5 Stelle è già cominciata.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
“IO CE LA POSSO FARE, LASCIAMO DECIDERE GLI ELETTORI”
“Lo dico da mesi che come Pd abbiamo davanti una scalata molto difficile. E mentre a Napoli, alcuni cercano candidati per battere me alle primarie, legittimamente s’intende, io mi muovo per sconfiggere de Magistris alle elezioni. Un confronto duro, ma non impossibile. Perciò mi sono battuto per fare le primarie: sono un bagno di umiltà fondamentale”.
Antonio Bassolino trascorre le vacanze tra un incontro elettorale e un pranzo con i cinque nipotini.
Lucido nell’analisi, l’ex sindaco e governatore parla con Repubblica anche di Mezzogiorno, “vero banco di prova per Renzi”. E lancia un appello al premier.
Bassolino, nessuna sorpresa da questi sondaggi che danno il Pd quarto a Napoli e molto male anche a Roma?
“Il mio polso della situazione lo diceva: sto girando, sento persone in ogni quartiere, entro in tante case…”.
Ma solo pochi mesi fa De Luca ha vinto in Regione.
“La partita per il Comune è molto diversa. Alle regionali, il confronto era tra due schieramenti, con turno unico. Ora è tra 4, a doppio turno. E nè de Magistris, nè i 5 Stelle, nè il centrodestra, oltre al Pd, ha la certezza di superare il primo turno. Poi, per il ballottaggio, si riapre la partita e lì comincia un altro gioco”.
Eppure lei è in campo e ha sempre rivendicato di saper vincere. Quindi come crede di farcela?
“In primo luogo: con le primarie. Senza, Pd e alleati, con qualunque candidato, non entrerebbero neanche in partita. Invece occorre fare quel doveroso bagno di umiltà “.
Primarie di umiltà anche per lei, che ha governato molto e commesso anche errori politici.
“Certo, per Bassolino e per tutti. Un grande bagno. Di critiche, di ascolto, di prospettazione di idee. Guai a ogni boria, a ogni peccato di presunzione. Servono modestia, umiltà , sapersi confrontare”
Ma lei è al centro di un paradosso. Grande sostenitore e insieme ostacolo delle consultazioni, visto che tutti i ‘papabilì temono di perdere. Anche Guerini auspica “energie nuove” in campo.
“Ha ragione Lorenzo Guerini, lo dico sul serio. Anch’io mi auguro che si presentino altri candidati con la loro forza. In modo che siano poi i napoletani a decidere chi meglio può fare questa scalata e rappresentare idee nuove per la città in questa fase. Ma deve avvenire quanto prima e non sotto il 6 marzo: perchè la politica è anche tempo. E mentre noi cerchiamo, de Magistris ha già pronte alcune liste, così Lettieri per Fi; e i 5 Stelle sono in campagna elettorale sempre. Anche per questo mi sono candidato subito: per dare una sveglia”.
Ma dopo il suo ritorno, il Pd è ancora più diviso.
“Cosa dire? Mentre a Napoli alcuni cercano possibili candidati per battere me alle primarie, cosa legittima aggiungo, io cerco di battere de Magistris alle elezioni. E intendo vincere per Napoli. Poi, anche per il Pd, per quelli che non sono d’accordo. L’obiettivo è aprire una prospettiva per la città : oggi bloccata politicamente”.
La prospettiva di un nuovo patto con Roma?
“Certo. Una sinergia che spetta innanzitutto al sud stimolare. Difatti, la principale critica politica che io muovo al sindaco è quella di aver attivato una costante contrapposizione, in luogo della collaborazione indispensabile e necessaria, con il governo e con Roma. Quella collaborazione è il primo passo per innescare ogni cambiamento: per creare sviluppo, per trasformare Bagnoli, per lottare contro forme moderne e tragiche di una camorra di gang giovanili, a cui occorre rispondere con più scuola fino a sera, più spazi, più impianti sportivi”.
Bassolino, lei sta lanciando un appello a Renzi?
“La sfida è il sud. Sia Scalfari che Galli della Loggia hanno posto in questi giorni il grande tema del Mezzogiorno come un problema anche del governo. Questo è un tema anche culturale, non solo politico. Penso che il governo debba sforzarsi molto di più, nella sua visione e nell’approccio al problema meridionale. Perciò dico a Renzi, al Pd Nazionale: dobbiamo riuscirci insieme, sud e Roma, ma anche Mezzogiorno e Nord. Anche per questo mi ero battuto perchè le primarie si svolgessero nello stesso giorno a Milano e a Napoli. Poi noi le faremo il 6 marzo, va bene. Ma il presidente del Consiglio riesce a cambiare davvero il Paese nella misura in cui riesce a cambiare anche il Mezzogiorno. Ed è con questo spirito che io mi candido a Napoli”.
Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
L’ESPULSIONE RIAPRE IL TEMA DELLA DEMOCRAZIA DENTRO IL M5S
In principio furono gli emiliani Valentino Tavolazzi, Giovanni Favia e Federica Salsi.
Era la fine del 2012, il movimento 5 stelle non aveva ancora fatto la sua clamorosa irruzione in Parlamento e nella sua culla emiliana già si agitavano i primi dissidenti contro il duo ribattezzato “Grilleggio”.
Furono espulsi prima ancora che la vera avventura partisse, giusto per sopire sul nascere l’embrione di un movimento fuori dal controllo dei due leader.
Ora, dopo mesi in cui il fenomeno delle espulsioni a 5 stelle sembrava concluso – complice anche l’epurazione o l’uscita spontanea di tutti gli ex dissidenti- tocca a Serenella Fucksia. L’ultima dei Mohicani, si potrebbe definire, visto che a molti osservatori era parsa curiosa la sua permanenza nel movimento, visto che senatrice marchigiana si era iscritta al “partito dei critici” subito dopo le elezioni del 2013, tuonando su giornali e tv contro le espulsioni dei colleghi (a partire da Adele Gambaro, rea di aver criticato Grillo in una intervista a SkyTg24: “Il problema del movimento è lui”) e mettendosi più volta in rotta di collisione coi diarchi.
Fino al punto di non ritorno, quando una settimana fa ha osato schierarsi a favore di Maria Elena Boschi nel giorno in cui si votava la mozione di sfiducia presentata dal M5s.
“Chapeau”, ha scritto la Fucksia su Facebook parlando del discorso della ministra delle Riforme che “merita l’applauso di tutti per chiarezza, misura ed eleganza”.
Oplà , in rete si sono scatenati i troll a 5 stelle e anche a Milano hanno capito che bisognava tirare una riga.
Anche se controvoglia, perchè in una fase di ascesa come questa i vertici del M5s, a partire da Di Maio, non volevano tornare su giornali e tg con il marchio degli epuratori.
Il pretesto è stato subito trovato con i famosi scontrini e la restituzione degli stipendi.
“A differenza di tutti gli altri suoi colleghi, la senatrice Serenella Fucksia non ha ancora restituito le eccedenze degli stipendi di aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre 2015, così come richiesto dallo Staff e nonostante i diversi solleciti inoltrati con scadenze in data 8, 21 e 26 dicembre”, si legge sul blog di Grillo, dove è annunciata la votazione per l’espulsione.
“Fucksia – conclude il post – ha violato ripetutamente il codice di comportamento dei Parlamentari 5 Stelle. Ti chiediamo se debba essere espulsa”.
Beppe Grillo ha poi comunicato il risultato della consultazione sul blog: “Ha votato SI il 92,6%, pari a 24.667 voti. Ha votato NO il 7,4%, pari a 1.963 voti”. Serenella Fucksia è stata espulsa dal Movimento 5 Stelle.
La risposta è stata piuttosto scontata, come era avvenuto con i precedenti deputati e senatori, partendo da Marino Mastrangeli, nell’aprile 2013, reo di eccessive presenze negli studi di Barbara D’Urso, fino al fatto più politico, l’espulsione del poker di senatori dissidenti composto da Francesco Campanella, Fabrizio Bocchino, Lorenzo Battista e Luis Orellana, quattro dirigenti di peso che da tempo ponevano questioni di merito sulla linea politica.
Era la fine di febbraio del 2014, e non fu una votazione bulgara: 29.883 a favore e 13.485 contro, con Grillo che si spese pubblicamente per invitare i militanti a votare sì.
Nei giorni successivi per protesta si dimisero altri cinque senatori guidati da Maurizio Romani (Monica Casaletto, Laura Bignami, Alessandra Bencini, Maria Mussini).
Nel giro di una settimana, gli ultimi cinque vennero espulsi con un post sul blog, senza neppure una votazione.
Quelle espulsioni, seguite dal flop del M5s alle europee (doppiato dal Pd di Renzi) segnarono la fase più bassa dei grillini in questa legislatura. Il momento in cui il M5s sembrava davvero in crisi. Poi però i tanti espulsi non sono riusciti a dare vita a una forza parlamentare, si sono dispersi nei mille rivoli del gruppo misto, in parte con la maggioranza e in parte contro.
Romani e Bencini hanno dato vita al gruppo dell’Italia dei valori in Senato, mentre Adele Gambaro viene data in avvicinamento al gruppo Ala di Verdini, tanto per capire l’impazzimento della diaspora.
Fucksia, invece, pur sfiduciata dal meet up di Fabriano già nel marzo 2014, ha resistito quasi altri due anni, passando persino da un’intervista in cui giustificava il parallelo di Calderoli tra il ministro Kyenge e un orango, fino al più recente episodio (settembre 2015) in cui aveva mostrato dubbi nel votare l’arresto del senatore Ncd Giovanni Bilardi.
In quel caso fu il collega di giunta Michele Giarrusso a tirarle le orecchie, il suo voto a favore alla fine fu decisivo ma lei continuò a parlare di “moralismo spicciolo”, denunciando il “troppo accanimento verso i politici”.
Il suo vicino di banco Vito Petrocelli dichiarò che non si sarebbe più seduto vicino a lei. La stessa scena che si era verificata nel consiglio comunale di Bologna a fine 2012, quando due consiglieri M5s (uno era l’attuale candidato sindaco Max Bugani) si sedettero platealmente distanti dalla collega Federica Salsi, bastonata da Grillo per aver cercato il “punto g” nel salotto di Ballarò.
Negli ultimi mesi in Parlamento il fenomeno delle espulsioni sembrava andato ad esaurimento, fatta salva l’uscita spontanea di una decina di deputati dissidenti (guidati da Walter Rizzetto) a gennaio 2015.
Sulle cronache comparivano solo le spaccature nei governi locali, da Livorno fino al recentissimo caso di Gela, dove il sindaco M5s Domenico Messinese ha licenziato tre assessori del suo stesso partito, ed è in rotta di collisione con il suo stesso gruppo in consiglio.
Sul web le due fazioni se le stanno dando di santa ragione, con accuse che spaziano dal “tradimento” ai “metodi clientelari”. Ora i grillini e loro faide tornano sotto i riflettori nazionali di palazzo Madama.
“Il voto mi ha colto alla sprovvista”, spiega Fucksia. “Il rendiconto lo sto facendo, ho avuto problemi logistici e di salute. In molti stanno finendo di rendicontare in questi giorni. I vertici del M5s hanno perso il controllo della situazione”.
“La procedura di espulsione è una scusa, una manovra costruita ad arte da qualcuno. Evidentemente sono scomoda perchè non sopporto l’ipocrisia”, aggiunge, parlando già da ex grillina. “Si sa, quando crescono i numeri nascono anche gelosie…”.
E ancora: “C’è una lotta di potere in corso e si è trovata questa scusa per parlare di altro, per non affrontare il problema. Ma questo modo di comportarsi non fa onore al Movimento, è un altro autogol”.
Sull’altro fronte, Giarrusso le ricorda di essere stata a favore del Jobs Act e della Buona scuola, mentre in rete alcuni attivisti ricordano i suoi 253 voti in dissenso dal gruppo.
Il Pd, dal canto suo, gioisce per questo ritorno del M5s ai metodi della fase più buia della sua breve storia. “Se pensi differente dal M5S ti espellono. Altro che democrazia della rete, è la dittatura di Casaleggio, il lato oscuro della forza”, twitta il vicesegretario Lorenzo Guerini.
Il renzianissimo senatore Andrea Marcucci ricorda che si tratta del 19esimo dissidente cacciato da un gruppo che nel 2013 contava 54 membri: “Ecco la nuova ‘purga’ di Grillo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
LA VICENDA DI LOCRI NON E’ ISOLATA: AL SUD LO SPORT E’ TERRENO DI CONQUISTA
Ma è necessario che il prefetto di Reggio Calabria disponga “adeguate misure di prevenzione” verso una squadra femminile di calcio a 5 perchè ci si accorga di quello che sta succedendo laggiù?
Non sappiamo ancora chi abbia minacciato il presidente della squadra Ferdinando Armeni nè chi abbia avvicinato alcune giocatrici. E del resto Armeni non ha neppure fatto riferimento nella sua denuncia a ‘ndranghetisti ma più genericamente a “sciacalli”. Sappiamo però di certo che la situazione dello sport al Sud, e ancor più in Calabria, è drammatica.
A qualcuno – come forse a Tavecchio e a Malagò – questa sarà anche sembrata una vicenda straordinaria, tale cioè da richiedere il loro intervento immediato. Giusto.
Eppure che la situazione sportiva al Sud fosse un disastro si sapeva da molto tempo.
Già nel 2014, appena un anno fa, proprio in provincia di Reggio Calabria, a Rizziconi, era stata sequestrata alle ‘ndrine un’area trasformata in un campo di calcio.
Gli affiliati intimidirono per lungo tempo i ragazzi: volevano che quel campo rimanesse vuoto. Dovette intervenire Libera, l’associazione antimafia di don Ciotti, che riuscì a far arrivare la Nazionale di calcio italiana per riaprire il campo.
Sempre lo scorso anno, a Polistena, e quindi sempre in provincia di Reggio Calabria, l’istituto San Giuseppe, che fa parte dell’Aspi e lavora al recupero di minori a rischio, altro episodio.
La piccola squadra di calcio fu fermata dalla ‘ndrangheta e minacciata – e anche quei ragazzi dovettero lasciare. Solo tempo dopo, tra mille problemi, riuscirono a riprendere l’attività .
Basta così? Ormai dovrebbe essere chiaro: indipendentemente dalle origini delle minacce di Locri – siano esse state di natura mafiosa o personale – nel Mezzogiorno d’Italia anche lo sport è diventato terreno di conquista delle organizzazioni.
Per la verità lo è sempre stato: ma è vero che in questa fase lo è diventato molto di più.
Le squadre di calcio, dai dilettanti ai professionisti, servono – si sa – a creare consenso. Perchè se guardiamo invece agli investimenti e agli “spostamenti di soldi”, alle mafie le piccole squadre in fondo servono poco.
Quello che invece vogliono è controllare la “gestione” dello sport: e alle loro condizioni. In modo che tutto, cioè, resti sott’acqua. Invisibile, eppur visibilissimo.
Pubblico come un evento sportivo: ma lontano dalle luci dell’attenzione nazionale.
Nell’inchiesta Dirty Soccer, il pentito Pietro Mesiani Mazzacuva (genero di Mico Molè, boss della piana di Gioia Tauro) afferma: “Molte squadre di calcio dilettantistiche sono in mano alla ‘ndrangheta”.
Ecco perchè la vicenda di Locri, nella sua drammaticità , al Sud è una storia di tutti i giorni: palestre chiuse, difficoltà imprenditoriali ad aprire qualsiasi progetto sportivo, sponsor in miseria.
Perchè anche lo sport, nel Mezzogiorno, si deve appellare a straordinarie iniziative dei singoli, fino al sacrificio totale di qualche appassionato.
Ma è possibile dover fare ogni volta appello ai giovani, alle coscienze, alla speranza, alla denuncia, alla perseveranza, mentre il Sud continua a restare un deserto?
ll rischio vero, ora, è che tutto possa essere messo a tacere qualora si finisse per scoprire che queste di Locri non sono in fondo vere minacce mafiose.
Questo sì che sarebbe un errore gravissimo. Perchè lo spazio ludico, sportivo, formativo, al Sud continua a essere occupato dai clan, dall’imprenditoria corrotta, che usa anche questi luoghi – anche lo sport – per ricattare, procacciare voti, costruirsi il consenso.
Ecco perchè, di fronte a quello che è accaduto a Locri, ma anche e soprattutto di fronte a quello che ogni giorno continua ad accadere al Sud, non ci stancheremo mai di ricordare il dovere di intervenire, intervenire, intervenire.
Oggi, come si dice, è già troppo tardi.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
DA TASSE A LAVORO, DA MIGRANTI A RIFORME: LE PROMESSE E I RISULTATI
Il 2015 “ha visto l’approvazione di leggi attese da molto tempo. E spesso passate sotto silenzio. Dall’articolo 18 alla legge elettorale, dalla tassa sulla prima casa all’Expo“. Passato il Natale, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dedicato la sua e-news del giorno al bilancio dei risultati che il governo rivendica di aver ottenuto in questi 12 mesi.
“Vorrei mettere in fila i fatti. E mi piacerebbe che tutti potessero giudicare senza preconcetti o ideologie”, chiosa il capo del governo nella lettera agli italiani, prima di elencare “le primi quindici cose che mi sono venute in mente”, dalla ripresa economica “all’impegno inedito” per il Mezzogiorno. ​
Ilfattoquotidiano.it ha verificato punto per punto i successi elencati dal presidente del Consiglio, mettendoli a confronto con i dati ufficiali — quando si tratta di numeri — e con l’effettivo stato di avanzamento di quelle che secondo il capo dell’esecutivo sono promesse mantenute.
Ecco l’esito di questo fact-checking.
1 Un anno fa il Pil dell’Italia aveva il segno meno per il terzo anno consecutivo (2012 -2,3%; 2013 -1,9; 2014 -0,4). Quest’anno abbiamo cambiato verso: segno più. Più 0,8%.
Tirare le somme sulla crescita del Pil di quest’anno il 27 dicembre è impossibile, visto che l’Istat diffonderà il dato definitivo solo l’1 marzo 2016. All’inizio di dicembre l’istituto di statistica ha comunque sottolineato che il ritmo della ripresa è progressivamente rallentato: nel terzo trimestre il prodotto è aumentato dello 0,2%, dopo il +0,4% del primo e il +0,3% del secondo.
Va infine ricordato che il governo, nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, aveva fissato l’asticella della crescita attesa allo 0,9%.
2 Un anno fa dicevano che non avremmo mai realizzato il Jobs Act. Quest’anno il Jobs Act è legge. La disoccupazione è scesa dal 13,2% all’11,5 (ancora alta, ma in discesa, finalmente). E ci sono oltre trecentomila occupati in più. Molti sono contratti a tutela crescente. Non è un caso se i mutui sono cresciuti in questo anno del 94%!
In effetti secondo l’Istat il tasso di disoccupazione generale a ottobre (ultima rilevazione) è calato all’11,5%, il più basso dal 2012.
Ma il dato è falsato dall’aumento (+32mila in un mese) degli inattivi, cioè le persone che sono uscite dal novero dei disoccupati non perchè hanno trovato lavoro ma perchè hanno smesso di cercarlo.
Peraltro sempre a ottobre la disoccupazione giovanile è risalita al 39,8%, +0,3% su settembre.
Quanto agli effetti del Jobs Act e degli sgravi contributivi nel promuovere occupazione stabile, basti dire che gli italiani con un contratto a tempo indeterminato a ottobre erano 14.527.000 contro i 14.550.000 del marzo 2015, quando la riforma del lavoro è entrata in vigore: 23mila in meno.
A ottobre 2014 erano 14.515.000. L’ultima volta che il dato ha superato i 15 milioni è stato nel maggio 2009.
Quanto ai mutui, il +94% citato da Renzi è l’incremento che si è registrato in termini di nuove erogazioni nel periodo gennaio-ottobre 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014.
Ma l’ultimo rapporto Abi, quello del 17 dicembre, da cui il dato è tratto, spiega che “l’incidenza delle surroghe sul totale dei nuovi finanziamenti è pari, nei primi 10 mesi del 2015, a circa il 31%”.
Vale a dire che quasi un terzo dei finanziamenti non è stato acceso per comprare una nuova casa ma semplicemente per sostituire un mutuo contratto in precedenza con un’altra banca.
Peraltro, nel report di novembre la stessa lobby degli istituti di credito ammetteva che a settembre 2015 “è tornata su valori prossimi allo zero la dinamica del mercato dei mutui per l’acquisto di abitazioni: -0,04% la variazione annua dello stock”.
Insomma: nessun boom degli acquisti in seguito alla riforma dei contratti. I prestiti in essere, in valore assoluto, sono più o meno quanti erano nell’autunno 2014.
3 Un anno fa dicevano che l’Italicum sembrava incagliato in Parlamento. Adesso abbiamo una legge elettorale che garantisce la scelta dei cittadini e la stabilità del Governo. Un impegno mantenuto.
La legge elettorale e il disegno di legge sulle riforme istituzionali (quella che trasforma il Senato) hanno segnato, più di altro, il 2015 del governo Renzi ed è probabile che resteranno la sigla principale di tutto il mandato dell’esecutivo. L’Italicum è stato approvato definitivamente.
Così com’è, sembra tutelare — come dice il presidente del Consiglio — sia la scelta dei cittadini (con il primo turno in senso proporzionale che garantisce la rappresentanza) sia la governabilità (con il premio di maggioranza e l’eventuale turno di ballottaggio). Tutto questo a prescindere dal fatto che siano stati presentati i ricorsi alla Corte Costituzionale per presunte similitudini con il Porcellum (già censurato dalla Consulta).
Resta da capire, inoltre, se come chiede tra gli altri il presidente emerito Giorgio Napolitano, la legge sarà modificata o integrata per tornare a una sfida tra coalizioni.
4 Un anno fa si diceva a mezza voce che non avremmo mai eliminato la componente costo del lavoro dall’Irap e che sarebbe stato impossibile ottenere la copertura per gli 80 euro. Adesso non solo abbiamo confermato queste voci di bilancio, ma abbiamo anche eliminato le tasse sulla prima casa, le tasse agricole e gli 80 euro sono anche per tutte le forze dell’ordine. L’economia torna su, le tasse vanno giù.
Le singole misure citate dal premier sono andate in porto, ma gli 80 euro sono stati estesi alle forze dell’ordine una tantum, solo per il 2016. Mentre restano esclusi pensionati e incapienti.
Quanto all’affermazione che “le tasse vanno giù”, nonostante l’eliminazione della Tasi sulla prima casa è falsa.
Come evidenziato da Francesco Daveri su lavoce.info, “le entrate totali delle pubbliche amministrazioni dopo la legge di Stabilità non caleranno e anzi continueranno ad aumentare. Saliranno di 10,6 miliardi nel 2016 rispetto al 2015 (da 788,7 a 799,3 miliardi), di 20,7 miliardi nel 2017 rispetto al 2016 e di 25 miliardi nel 2018 rispetto al 2017″.
E’ vero invece che la manovra evita che aumentino ancora di più: “Di 28,7, 25,8 e 23,5 miliardi, rispettivamente, nel 2016, 2017 e 2018″.
Ma gran parte della differenza è legata al fatto che la Stabilità “disinnesca” le clausole di salvaguardia, cioè gli aumenti automatici di Iva e accise che sarebbero scattati se non si fossero trovate coperture alternative. In questo caso, maggior deficit.
5 Un anno fa la riforma costituzionale era alla prima lettura. Adesso è a un passo dal traguardo. Prima però saremo noi a chiedere il referendum perchè gli italiani possano esprimersi nel merito di questo lavoro di semplificazione
Il ddl sulle riforme istituzionali è stato approvato al Senato e sarà approvato alla Camera, dove il Pd ha una larghissima maggioranza. Per l’ok finale serve il voto di un referendum confermativo che sarà fissato nell’autunno prossimo.
Ma non lo chiede nè il governo nè il suo presidente: non è obbligatorio, ma è sufficiente che venga chiesto da un quinto dei membri di una Camera, come è previsto dalla Carta nei casi in cui le leggi di riforma costituzionale non abbiano ricevuto i voti dei due terzi del Parlamento. (Nello specifico i sondaggi sul tema danno gli italiani favorevoli alla riforma).
Quanto alla “semplificazione” il discorso si fa più complesso. In effetti il ddl Boschi trasforma il Senato, gli toglie il potere di dare la fiducia e cancella il bicameralismo perfetto (accelerando così l’iter legislativo), elimina enti inutili come il Cnel e abolisce definitivamente le Province.
Ma di contro dovranno essere applicati 4 requisiti per l’elezione dei consiglieri regionali-senatori in Regioni diverse tra loro per popolazione, servirà una legge che dovrà specificare come dovrà avvenire l’indicazione degli elettori, manca un regolamento del nuovo Senato, esistono iter legislativi di vario tipo a seconda delle leggi e in caso di contenziosi tra Camera e Senato il ddl rimanda solo a una “intesa tra i presidenti” e tra l’altro una modalità di elezione del presidente del nuovo Senato ancora non c’è. I nuovi quorum necessari per l’elezione del presidente della Repubblica, infine, sono più alti degli attuali e quindi daranno ampio “potere di resistenza” alle opposizioni con conseguente rischio di stallo: sistema di garanzia per un capo dello Stato “di tutti”, ma non di “semplificazione”.
6 —Un anno fa la questione migrazione era un problema solo italiano e qualche specialista della paura parlava di invasione. Adesso scopriamo che è un problema europeo e che l’Europa — per la prima volta — prova (prova) ad affrontarlo, sulla base delle sollecitazioni del nostro Paese.
In effetti l’Europa (o meglio: la Commissione europea) sembra più consapevole in materia di immigrazione.
Più difficile da provare è che ciò sia avvenuto per le “sollecitazioni del nostro Paese” che pure ci sono state.
Dal punto di vista della “consapevolezza” degli Stati europei (e tra l’altro non tutti), la cronaca degli ultimi mesi dice che il punto di svolta è stata l’immagine di Aylan, il bambino morto su una spiaggia turca a inizio settembre.
Pochi giorni prima la Germania, protagonista di un cambio di tendenza di alcune cancellerie europee, ha aperto le porte soprattutto ai siriani che arrivavano dalla “rotta balcanica” (quella che dalla Grecia sale fino all’Ungheria e infine in Austria e in Baviera).
Alla buona volontà della commissione Ue che ascolta i Paesi che vivono il maggiore impatto dei flussi migratori (Italia e Grecia), corrispondono per ora scarsi risultati: ad oggi sono stati effettuati 184 ricollocamenti su 40mila previsti in due anni (fonte ministero dell’Interno).
Anzi, nel frattempo è stata aperta una procedura d’infrazione contro l’Italia, accusata di non prendere le impronte digitali ai migranti.
7 — Un anno fa la riforma della Pubblica Amministrazione procedeva a rilento. Adesso è legge dello Stato. E i primi decreti di attuazione saranno all’attenzione del Consiglio dei Ministri a gennaio.
Il 4 agosto ha ottenuto il via libera definitivo del Senato il disegno di legge delega sulla riforma della pubblica amministrazione. Ma si tratta solo di una cornice che va riempita di contenuti con i decreti attuativi, appunto.
Il governo si era impegnato a varare i primi già a settembre e a chiudere il cantiere entro dine anno. Per ora, invece, il Consiglio dei ministri non ne ha approvato neanche uno.
8 Un anno fa la Buona Scuola era in fase di consultazione. Nonostante le polemiche siamo andati avanti e adesso migliaia di professori hanno la certezza di poter insegnare, educare, approfondire con i propri ragazzi.
Nin ci sono dati da confrontare: il ddl Buona Scuola ha portato all’assunzione di 100mila insegnanti che, iniziata dal primo settembre scorso, si completerà entro il 30 giugno 2016.
9 Un anno fa il dibattito sulla giustizia era sempre sulle solite questioni: falso in bilancio, responsabilità civile dei magistrati, corruzione, prescrizione, reati ambientali. Abbiamo trasformato in leggi queste discussioni eterne. E grazie al lavoro svolto, oggi abbiamo ridotto di circa il 20% le pendenze giudiziarie. L’arretrato, insomma.
La legge sulla responsabilità civile dei magistrati è stata approvata in via definitiva il 24 febbraio ed è entrata in vigore il 19 marzo. La legge anticorruzione, approvata il 21 maggio, è entrata in vigore il 14 giugno.
All’interno anche la reintroduzione del falso in bilancio, anche se restano perplessità sulla legge, ritenuta non efficace.
E’ legge anche il testo sugli ecoreati, approvato il 19 maggio. Di certo non è stato approvato, come dice il presidente del Consiglio, il ddl sulla prescrizione (con il nodo del raddoppio dei tempi per i reati di corruzione) approvato a marzo alla Camera, ma in attesa di vedere la luce al Senato.
Quanto alle pendenze non si capisce se il riferimento del capo del governo è al totale o a un settore (penale, civile). Il dato a disposizione della flessione del 20 per cento di arretrato riguarda certamente il dato sulle cause civili (fonte ministero della Giustizia), dovuto però a un decreto del 2014.
10 Un anno fa la questione autonomia a venti musei sembrava una provocazione. Adesso ci sono venti dirigenti nuovi che gestiscono venti luoghi che tutto il mondo ci invidia. E abbiamo aumentato i soldi per la cultura, in tutti i settori, dal cinema ai giovani. Forse non si mangia, ma con la cultura ci si nutre.
La “questione autonomia a venti musei” è cosa fatta.
Secondo quanto scritto nella legge di Stabilità appena approvata, inoltre, il bilancio del ministero dei Beni culturali aumenterà del 27 per cento, passando da un miliardo e mezzo del 2015 a oltre due miliardi per il prossimo anno.
Quanto ai giovani è confermato nella legge di Stabilità il bonus da 500 euro da spendere in attività culturali. Su questo è nata una polemica che riguardava l’esclusione dal provvedimento dei giovani di cittadinanza non europea. Alla Camera è stato approvato poi un ordine del giorno che impegna il governo a estendere la misura anche agli extracomunitari.
11 Un anno fa l’Italia assisteva ai colloqui di Vienna sull’Iran dalla televisione, perchè non eravamo invitati. Adesso siamo protagonisti sia a Vienna sulla Siria, che a Roma e New York sulla Libia. Un italiano sta per assumere la guida dell’alto commissariato per i profughi, un’italiana sta per assumere la guida del Cern. L’Italia è tornata
Su Iran e Libia i fatti ci sono: l’Italia è al tavolo di Vienna e è un interlocutore sulla crisi libica. Roma ha dato più volte la propria disponibilità a guidare l’operazione di stabilizzazione dell’area.
Alla guida dell’Unhcr andrà , poi, l’ambasciatore Filippo Grandi, che comunque lavora alle Nazioni Unite ormai da trent’anni (l’ultima parte dei quali all’agenzia per i rifugiati palestinesi). La nomina di Fabiola Gianotti a capo del Cern è del novembre 2014 e, peraltro, la scienziata lavora al centro di Ginevra dal 1987.
12 Un anno fa chiedevamo flessibilità all’Unione Europea. Adesso la flessibilità fa parte delle regole e vale fino all’1% del PIL, per l’Italia oltre 16 miliardi di euro.
Il presidente del Consiglio dà per scontato che la Commissione Ue consenta all’Italia di portare il rapporto deficit/Pil al 2,4% contro l’1,4% previsto nel Def.
Sfruttando non solo, per una somma pari allo 0,5% del pil, la “clausola delle riforme“, ma anche quella “per gli investimenti ” (0,3% del pil) e, ciliegina sulla torta, un ulteriore 0,2% “per l’emergenza sicurezza“. In totale, appunto, l’1% del pil, pari a circa 16 miliardi.
Peccato che Bruxelles abbia sospeso il giudizio sulla manovra fino alla prossima primavera, avvertendo che è “a rischio di non conformità ”: Roma rischia l’apertura di una nuova procedura di infrazione.
13 Un anno fa rischiavamo di perdere miliardi di euro per i fondi europei, a cominciare da Pompei. Adesso abbiamo inaugurato sei domus e ci siamo dati appuntamento al 24 agosto 2017 per chiudere tutta la parte di restauro eccezionale.
L’ultimo aggiornamento sull’uso dei fondi Ue, diffuso dall’Agenzia per la coesione il 23 dicembre, evidenzia che al 31 ottobre “i pagamenti registrati nel sistema nazionale hanno complessivamente raggiunto l’86,1% della dotazione totale” per il periodo 2007-2013, che ammontava a 46,6 miliardi totali.
Vale a dire che restavano da spendere, per non perderli definitivamente, ben 6,5 miliardi. Quanto a Pompei, secondo alcuni calcoli, con i soldi messi a budget si potrà ristrutturare al massimo il 5 per cento dei monumenti all’interno del parco archeologico.
14 Un anno fa i gufi preconizzavano (e forse auspicavano) il fallimento dell’Expo. Adesso possiamo dire che è stato un successo. E l’agroalimentare italiano vola come export più del doppio degli altri prodotti che esportiamo.
Il bilancio economico dell’esposizione universale resta un mistero ben custodito. I conti preliminari che Expo spa ha reso pubblici il 21 dicembre non svelano infatti se la manifestazione abbia chiuso in utile o in perdita.
La società guidata da Giuseppe Sala, neo candidato alle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato sindaco di Milano, si è limitata a far sapere di aver registrato “un margine operativo lordo positivo per 14,9 milioni di euro”. Ma per arrivare all’ultima riga del conto economico mancano diverse voci di costo, tra cui gli oneri finanziari.
15 —Un anno fa (anche meno) ci accusavano di esserci dimenticati il sud. Adesso si sono dimenticati delle loro critiche di allora. Perchè nessuno ha mai fatto tanto per il Mezzogiorno come questo Governo: credito di imposta, Terra dei fuochi, Bagnoli, Ilva, Salerno Reggio Calabria, Continuità territoriale, Abruzzo post-sisma, Napoli-Bari, tavoli di crisi. Si può discutere dei risultati, come sempre. Ma non si può negare che ci sia un impegno inedito per affrontare la questione Mezzogiorno.
Al di là dei proclami e del “Masterplan” presentato a novembre, le misure per il Mezzogiorno inserite dal governo nella legge di Stabilità sono poco più che simboliche, visto che non ci sono risorse ad hoc ma solo la promessa di dirottare alle aziende, sotto forma di crediti di imposta o di sgravi contributivi, fondi europei comunque destinati al Sud. Sempre che Bruxelles lo conceda.
Colpisce, poi, che il premier citi tra i successi proprio l’Ilva: sull’Italia pende in questi giorni l’apertura di una nuova procedura di infrazione per i presunti aiuti di Stato concessi al siderurgico e i piani dell’esecutivo si sono scontrati con lo stop, da parte dei giudici svizzeri, al rientro in Italia degli 1,2 miliardi sequestrati alla famiglia Riva, che i commissari contavano di usare per il risanamento ambientale. A un anno dall’ingresso dell’Ilva in amministrazione straordinaria, il destino del gruppo è quanto mai in bilico.
Dopo l’ennesima capriola, ora palazzo Chigi punta a cederlo a privati entro il 30 giugno. Con il rischio che ad aggiudicarsi il siderurgico siano gli indiani di Arcelor Mittal che avevano manifestato interesse già lo scorso anno, in cordata con la Marcegaglia. Ma a questo punto il prezzo sarà molto più basso.
Chiara Brusini e Diego Pretini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
“NON HA RESTITUITO PARTE DELLO STIPENDIO”.. LEI “FALSO, GRILLO HA PERSO IL CONTROLLO”
Il blog di Beppe Grillo lancia un referendum per decidere se espellere la senatrice Serenella Fucksia, colpevole, secondo i M5s, di non aver restituito parte dello “stipendio da parlamentare” per sei mesi.
E tra i commenti parte la polemica, la maggior parte attacca e invoca l’espulsione, qualcuno la difende e chiede ulteriori solleciti, altri sostengono che sia considerata ‘scomoda’ per aver difeso la Boschi.
“Chi non restituisce parte del proprio stipendio come tutti gli altri – si legge nel blog – non solo viola il codice di comportamento dei cittadini parlamentari MoVimento 5 Stelle, ma impedisce a giovani disoccupati di avere ulteriori opportunità di lavoro oltre a tradire un patto con gli elettori”.
Grillo dà poi la parola agli elettori. Che per lo più attaccano la parlamentare. Se ci sono le regole vanno rispettate, dicono.
“Ogni mese – si legge sul blog – i parlamentari del Movimento 5 Stelle si tagliano lo stipendio e donano quei soldi ad un fondo per far partire nuove imprese e quindi nuovi posti di lavoro in Italia. A differenza di tutti gli altri suoi colleghi, la senatrice Serenella Fucksia non ha ancora restituito le eccedenze degli stipendi di aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre 2015, così come richiesto dallo Staff e nonostante i diversi solleciti inoltrati con scadenze in data 8, 21 e 26 dicembre. La Senatrice Fucksia ha violato ripetutamente il codice di comportamento dei Parlamentari 5 Stelle”.
A stretto giro la risposta della senatrice: “Rendiconti sono una scusa, Grillo ha perso il controllo”.
“Davvero è stato aperto un voto contro di me sul blog di Grillo? Non lo sapevo, mi ha colto alla sprovvista” dice la senatrice. “Sto facendo proprio in questo momento la rendicontazione”, racconta la parlamentare parlando tuttavia della gestione del Movimento da parte dei vertici, che – spiega – avrebbero “perso il controllo della situazione”.
“Sono in ritardo perchè non ho avuto con me il collaboratore. E quindi stavo approfittando delle vacanze di Natale per ultimare gli inserimenti. Avevo anche mandato una mail a Tirendiconto.it per spiegare che avrei completato tutto. Il voto contro di me comunque è assurdo”, si sfoga.
“Ho avuto problemi logistici e di salute, lo sanno tutti”, rivela la parlamentare. Evidentemente sono scomoda dal momento che non sopporto l’ipocrisia”.
“Voglio comunque aspettare l’esito della votazione online per affrontare il tema in modo più dettagliato”, aggiunge Fucksia, che però parla già da ex, puntando il dito contro la gestione del movimento di Grillo e Casaleggio, ai quali, insiste Fucksia, “è sfuggita di mano la situazione. Si sa, quando crescono i numeri nascono anche gelosie…”.
Ma gli utenti del blog si scatenano. “Faceva meglio a inventare altre scuse per non aver pagato.. tipo, lo chef Ramsey mi ha cucinato una ribollita che mi ha fatto perdere i sensi e anche la memoria, ecco perchè non ho restituito nulla…” scrive Mauro da Roma, uno tra le centinaia.
Più paziente Davide, “sulla pagina FB della Fucksia ieri sera c’era scritto che aveva quasi finito di rendicontare. Forse sarebbe stato meglio aspettare domani?”, qualcuno invece si allarga, come Zampano: “12 eurodeputati M5S su 17 non rendicontano da un anno e mezzo”, qualcuno la difende: “Occorrerebbe conoscere anche la difesa della ‘imputata’, altrimenti siamo nel fascismo”, scrive Alessandro da Lucca.
Ma c’è anche chi parla di complotto.
Prima di decidere chiedete se vuole o meno versare gli arretrati con risposta scritta altrimenti che democrazia è. Guarda caso è colei che ha espresso Shapò alla ministra Boschi” dice Fabio da Palermo, che aggiunge: “Questa è una scusa solo perchè ha detto shapò dopo il discorso puerile della Boschi…Coincidenza? Ce lo faranno notare e giù con l’assenza della democrazia…Perchè lo stesso non vale per gli altri? Basta con l’autolesionismo, votiamo no”.
Tra i commenti a favore anche quelli del blogger bergamasco Daniele Martinelli ‘uscito’ dal Movimento 5 Stelle che poco dopo le elezioni lo aveva assunto per gestire la comunicazione del gruppo parlamentare alla Camera.
Già lo scorso anno, Fucksia era stata a rischio espulsione dal Movimento. In un’intervista al Fatto, aveva infatti sollevato dubbi sulle reali motivazioni che avevano portato ad un voto di sfiducia da parte di un’assemblea di militanti napoletani nei confronti del senatore Bartolomeo Pepe. “Gelosie di territorio nate per la nomina a presidente della Commissione d’inchiesta sui rifiuti? E’ questa la ricostruzione dei giornalisti? Confermo, ci hanno visto lungo”, commentava la senatrice di Fabriano. Affermazioni che avevano scatenato le ire della base.
Il Movimento 5 Stelle di Fabriano aveva quindi sfiduciato la senatrice: “Da questo momento noi riteniamo che la Fucksia non possa essere considerata più una portavoce, concetto che comunque le è stato estraneo da sempre avendo fatto mancare totalmente il contatto con il territorio ed essendosi da sempre espressa unicamente su posizioni personali”, si leggeva sul sito del meet-up marchigiano.
(da “la Repubblica”)
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