Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
LE TELEFONATE DELLA VOTINO SVELANO IL SISTEMA DELLE NOMINE… LE CARTE SULLA LEGA E LE INTERCETTAZIONI DEI PM DI REGGIO… LE CHIAMATE CON TRONCA, OGGI COMMISSARIO A ROMA… MA CHE BELLE PERSONE “PERBENE”
A chi ha chiesto una mano per agguantare la poltrona di prefetto di Milano nel 2013 Francesco Paolo Tronca?
Secondo Isabella Votino, la storica portavoce di Roberto Maroni, il prefetto si sarebbe raccomandato a lei e al potere leghista.
Non è l’unica questione che emerge dalle intercettazioni telefoniche di un’indagine della Procura di Reggio Calabria che oggi sveliamo.
Qual è l’imprenditore che Silvio Berlusconi sponsorizza per i lavori della Città della Salute a due passi da Milano in occasione di Expo?
E come ricatta Maroni per ottenere l’alleanza alla vigilia delle elezioni che determineranno l’attuale equilibrio politico italiano e lombardo?
Con quali parole l’ex premier minaccia di sguinzagliare i giornali di destra alla stregua di pit bull per indurre a più miti consigli l’alleato riottoso?
Come si sono accordati Berlusconi e Maroni per convincere Umberto Bossi a mettersi da parte in silenzio?
Come fa l’amministratore delegato della maggiore impresa di costruzioni italiana, Pietro Salini di Impregilo, a tentare di “fottere” lo Stato (a partire dal presidente della Repubblica) con la complicità della portavoce dell’allora segretario della Lega, Isabella Votino, per ottenere il pagamento delle penali per un miliardo di euro della mancata costruzione del Ponte sullo Stretto?
Come fa il presidente del Coni Giovanni Malagò a proporre alla Lega un’alleanza tra padani e generone romano?
Con quali parole vanta le potenzialità di una macchina di consenso con milioni di tesserati per ottenere un voto utile a sbaragliare il rivale Raffaele Pagnozzi?
E quali trattative ci sono tra Matteo Salvini e i vecchi leghisti dietro al patto del febbraio 2013 tra il nuovo segretario federale del Carroccio e Bossi?
Perchè la Lega ha evitato di costituirsi parte civile contro l’ex tesoriere Francesco Belsito nei processi per le ruberie dalle casse del partito?
Come rispondono i vari procuratori interessati dalle manovre dell’avvocato Domenico Aiello quando il legale dei leghisti chiede con tono perentorio informazioni e audizioni?
Perchè un procuratore “duro e puro” chiude ogni comunicazione con parole secche mentre altri pm lasciano le porte aperte e qualcun altro chiede all’avvocato della Lega un favore?
Infine, come si decidono le nomine dei commissari strapagati delle grandi aziende in crisi firmate dal ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi nel 2014?
E tanto altro ancora.
A partire da oggi, per molti giorni, Il Fatto Quotidiano pubblica le intercettazioni telefoniche e ambientali dell’indagine Breakfast della Procura di Reggio Calabria, condotte dal Centro operativo della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria sotto il coordinamento del pm Giuseppe Lombardo e del procuratore capo Federico Cafiero De Raho.
L’indagine va avanti in gran segreto da tempo. Tanto segreto. Troppo tempo. Probabilmente le intercettazioni nei confronti dell’avvocato Aiello (attivate nel 2012 per appurare i suoi rapporti con il consulente legale Bruno Mafrici, che era indagato) e sulla portavoce di Maroni Isabella Votino non porteranno a nulla.
A prescindere dalla rilevanza penale, quelle conversazioni devono essere pubblicate perchè i fatti che svelano sono di rilievo pubblico.
La sensazione anzi è che qualcuno abbia messo un coperchio su un pentolone pieno di storie imbarazzanti per i poteri dello Stato.
Il Fatto ha visionato le telefonate e ha deciso di far conoscere all’opinione pubblica come funziona dietro le quinte il potere sull’asse Roma-Milano.
Le nomine dei prefetti spettano al Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno.
Però c’è una bella signorina di 36 anni, nata a Montesarchio in provincia di Benevento, che sembra avere influenza sulle scelte.
Si chiama Isabella Votino e gli aspiranti a una carica le chiedono informazioni e aiuto. Da nove anni è la collaboratrice più stretta di Roberto Maroni. Il suo potere però è più penetrante di quello di una mera portavoce di un governatore lombardo.
Sarà per i suoi rapporti stretti con Silvio Berlusconi che poi l’ha voluta nel gennaio 2014 per vitalizzare la comunicazione del Milan, ma tra la fine del 2012 e inizio del 2014, quando è intercettata dalla Dia di Reggio Calabria, sembra una sorta di zarina del Viminale, nonostante Maroni non sia più il ministro.
Il 18 dicembre del 2012 a Palazzo Chigi c’è Mario Monti e al Viminale c’è la Cancellieri.
La Votino è “solo” la collaboratrice più intima del neo-segretario della Lega Nord, Roberto Maroni quando Luciana Lamorgese, Capo del Dipartimento personale e risorse del ministero dell’Interno, la chiama.
Votino le racconta i retroscena della carriera del prefetto Francesco Paolo Tronca. L’attuale commissario nominato da Alfano e Renzi al Comune di Roma, secondo Votino, si sarebbe fatto raccomandare dalla Lega per diventare prefetto di Milano nel 2013, trampolino di lancio per la sua carriera.
Isabella Votino (V): Avevo incrociato Tronca, dopo di che lui mi ha chiamato dicendomi..
Luciana Lamorgese (L): Ma lui ti ha chiamato?
V: Perchè io l’avevo incrociato… poi avevo parlato con te e tu, onestamente, mi avevi lasciato intendere che, come dire, non se ne faceva nulla e allora io gli ho detto guarda dico, vuoi che ti dica, cioè…
L: Ma perchè lui voleva sapere da te i fatti?
V: No no lui ovviamente voleva in qualche modo che si caldeggiasse… perchè non ne fa mistero che vuole venire a Milano
L: Eh certo! (ride)
V: Ma questo cioè legittimamente e allora ma sai fuori dai giochi tu che, ovviamente voglio dire … meglio lui che un altro, cioè, che noi neanche conosciamo (…) Luciana, io non te lo devo dire che … cioè, noi preferiamo che vieni tu che…
L:(ride) (…) io voglio prima capire qual è la situazione … cioè, nel senso, anche da vedere Roma che cosa…
Il Prefetto Luciana Lamorgese in sostanza fa presente all’amica che la sua prima scelta è la nomina a Roma e Milano è per lei una subordinata.
Nel luglio 2013 sarà nominata capo di gabinetto dal ministro Angelino Alfano, al posto di Giuseppe Procaccini, travolto dal caso Shalabayeva.
La sera del primo giugno 2013 Isabella Votino chiama Maroni per sapere se il vicecapo della polizia Alessandro Marangoni andrà a fare il prefetto di Milano (alla fine ci andrà solo due anni dopo, pochi giorni fa, per pura coincidenza, ndr).
La sta cercando Tronca e Maroni commenta che certamente Tronca la sta chiamando perchè vuole sponsorizzare la sua nomina.
Due minuti dopo Votino chiama Tronca. L’allora capo dipartimento dei Vigili del fuoco la invita a essere sua ospite nelle tribune riservate alla festa del 2 giugno a Roma.
Lei declina l’invito e prende il discorso della nomina sostenendo che è stata rinviata a luglio. Tronca le chiede di continuare a seguire lei la vicenda. Votino conclude dicendo che però circola voce che potrebbe essere nominato Marangoni.
Invece l’8 agosto del 2013 il nuovo ministro dell’interno Angelino Alfano nomina Tronca prefetto.
A settembre 2013 la Dia intercetta la conversazione tra un funzionario molto importante della polizia di Milano, Maria Josè Falcicchia, e la sua amica Isabella Votino.
Falcicchia (prima donna nominata proprio in quel periodo capo della anticrimine della Squadra mobile di Milano) chiede se Tronca è stato scelto da loro, cioè dalla Lega nord. La portavoce di Maroni risponde che loro lo hanno messo a capo dei Vigili del fuoco e che lo hanno sponsorizzato loro.
Tronca non è l’unico prefetto di Milano che ha rapporti con Isabella Votino.
Dal 2005 al gennaio del 2013 su quella poltrona c’era Gian Valerio Lombardi, famoso per come ha accolto nel 2010 l’amica di Berlusconi Marysthell Polanco in Prefettura e per la frase sfortunata (ma gradita a Maroni) sulla mafia che a Milano “non esiste”.
Il 22 novembre 2012 il prefetto Lombardi, nato a Napoli nel 1946, chiede alla portavoce di Maroni: “Come sono i rapporti tra il nostro (Roberto Maroni, ndr) e il presidente della Regione Veneto?”.
Votino risponde che con Luca Zaia i rapporti sono buoni. E Lombardi pronto: “Quindi se gli dobbiamo chiedere una cortesiola per una mia lontana parente che aveva un’aspirazione che dipende proprio da lui… possiamo vedere…”. Votino lo rinvia a un caffè nel fine settimana.
Passa qualche mese e il Prefetto, dopo la scadenza del mandato, è a caccia di poltrone. Il 17 giugno 2013, dopo la nascita del governo Letta, si propone come sottosegretario perchè “anche Alfano potrebbe aver bisogno di qualcuno fidato…”.
Invece Alfano sceglie altre persone. E così a lui ci devono pensare i lombardi.
Isabella Votino dimostra di non essere una portavoce qualunque quando suggerisce a Maroni di nominare Lombardi commissario dell’Aler, l’Azienda lombarda edilizia residenziale.
Il governatore chiama il vicepresidente Mario Mantovani (poi arrestato per altre vicende) e ottiene il suo ok alla nomina.
Ed è proprio Votino a comunicare la lieta notizia al prefetto che ringrazia ma aggiunge: “Si guadagna una qualcosetta?”.
Rassicurato (da commissario prende il 60 per cento in meno ma oggi da presidente Aler guadagna 75 mila euro lordi all’anno) accetta l’incarico.
Il 18 giugno Isabella Votino lo chiama per dirgli che appena è uscito il suo nome sui giornali è scoppiata la polemica per le sue vecchie dichiarazioni sulla mafia che a Milano non esiste. Però nessuno ferma Maroni e così Lombardi è tuttora al suo posto.
Il prefetto Tronca, sentito dal Fatto Quotidiano, spiega: “Non ricordo questa telefonata con Isabella Votino. Non avevo una confidenza particolare con lei. Può darsi che le abbia detto, come mi è capitato con tante altre persone, che aspiravo a diventare prefetto di Milano. È una carica così importante che ci vuole la non controindicazione soprattutto delle istituzioni più rilevanti, e Maroni era allora presidente della Regione Lombardia”.
E quella frase di Isabella Votino? Perchè dice al telefono a una sua amica che loro hanno sponsorizzato Tronca e che l’avevano nominato prima anche a Capo del dipartimento dei Vigili del fuoco?
“Io sono stato nominato capo dipartimento da Maroni e fu un gradito fulmine a ciel sereno: da prefetto di Brescia diventavo capo dipartimento dei vigili del fuoco. C’è una spiegazione però. Io — prosegue Tronca — mi ero occupato di Protezione civile anche da funzionario alla Prefettura di Milano. Ho gestito il coordinamento dell’incidente di Linate nel 2001 e in quel frangente ho conosciuto l’allora ministro dell’interno Maroni però non ho mai chiesto una raccomandazione anche perchè non avevo particolari rapporti”.
Allora perchè chiede a Votino di “continuare a seguire la vicenda” della nomina a prefetto? Perchè la invita a Roma per la festa del 2 giugno del 2013?
“Probabilmente volevo che mi tenesse informato visto che Maroni avrebbe saputo come finiva. Mentre escludo categoricamente di avere chiesto alla Votino una raccomandazione. Comunque io sono stato nominato dal ministro Alfano”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
DALL’UDC DI CASINI ALL’API DI RUTELLI, DALL’UDEUR DI MASTELLA ALLE LISTE DI STORACE E DI CROCETTA
Ci sono le sigle nazionali. Dall’Udc dell’ex presidente della Camera Pierferdinando Casini ad Alleanza per l’Italia dell’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli.
Ma anche quelle regionali. Come la Lista Storace Presidente, civica collegata all’ex governatore del Lazio e leader de La Destra, e Il Megafono-Lista Crocetta, riferimento dell’attuale presidente della Sicilia.
Non mancano neppure i Popolari Udeur del già ministro della Giustizia Clemente Mastella, nonostante del partito del ras di Ceppaloni, almeno a livello nazionale, non si senta più parlare da un pezzo.
Sono alcuni dei nomi più noti contenuti nell’elenco dei dodici movimenti politici “destinatari di invito a sanare” le “irregolarità contabili” o “le inottemperanze ad obblighi di legge”, riscontrate dalla Commissione di garanzia per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti, “e che non hanno ancora regolarizzato”.
Una grana con la quale, quando domani l’Ufficio di presidenza della Camera tornerà a riunirsi per servire la torta da 45,5 milioni di euro dell’ultima tranche di rimborsi elettorali relativa al 2013, i componenti dell’organismo di vertice di Montecitorio dovranno per forza di cose fare i conti.
BILANCI AL SETACCIO
L’elenco degli ‘irregolari’, stilato dalla Commissione presieduta dal magistrato contabile Luciano Calamaro, è stato trasmesso alla presidente Laura Boldrini il 30 novembre scorso.
E contiene anche altri sette nomi: Alleanza di Centro per la Libertà , fondata dal giornalista Rai Francesco Pionati nel 2008 dopo l’addio all’Udc; Comitato promotore Une 2010 (Lista Unione Nord Est) che, come informa il suo sito internet, ha cessato l’attività il 31 dicembre 2014; I Popolari d’Italia Domani (Lista “Cantiere Popolare”), nati da una costola dell’Udc nel 2010 e parte della maggioranza che sostenne l’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi; Movimento per le Autonomie, fondato nel 2005 dall’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo; Unione per il Trentino, nato nel 2008 per “vivere l’autonomina come servizio”; Verdi del Sudtirolo (Verdi-Grune-Verc), partito attivo nella provincia di Bolzano rappresentato alla Camera da un unico deputato e Democrazia Cristiana Campania.
Sigle alle quali, come detto, si aggiungono anche Udc, Api, Udeur, Lista Storace Presidente e Il Megafono-Lista Crocetta.
POCA TRASPARENZA
Aspettando la riunione dell’Ufficio di presidenza della Camera di domani pomeriggio, la relazione della Commissione, istituita dallo stesso decreto legge con cui il governo di Enrico Letta aveva eliminato i rimborsi elettorali a partire dal 2017, illustra nel dettaglio le conclusioni trasmesse all’organismo di vertice di Montecitorio.
Degli 85 partiti tenuti alla presentazione del rendiconto per l’esercizio 2013, 36 hanno ottemperato alle prescrizioni di legge.
I restanti 49, invece, “sono stati oggetto di contestazioni per l’inadempienza totale o parziale” degli obblighi di presentazione del rendiconto e della relativa pubblicazione sul proprio sito internet.
Tra questi, sono state dichiarate decadute e non percepiranno la tranche dei rimborsi ben 21 sigle, come il Partito Pensionati, il Movimento Arancione, Rialzati Molise, Pittella Presidente, Amministrare il Trentino e Realtà Italia.
Sono 18, invece, i partiti che hanno provveduto a mettersi in regola e le rispettive posizioni sono state archiviate. La lista comprende La Destra di Storace, Movimento 5 Stelle Beppegrillo.it (che ogni caso ha già annunciato che rinuncerà ai rimborsi elettorali), Federazione dei Verdi, Movimento per le Autonomie di Lombardo e Union Valdà’taiene. Mentre per Sinistra democratica per il Socialismo europeo (che non ha eletti in Parlamento), è stata acclarata la non assoggettabilità alle prescrizioni di legge. Per 9 partiti, infine, “è stata accertata definitivamente l’inottemperanza” degli obblighi di presentazione del rendiconto e della sua pubblicazione online.
Hanno violato entrambe le prescrizioni Azione Civile; Insieme per Bresso; La Rete 2018; La Sinistra (Sardegna); Partito dei comunisti italiani; Rosso Mori; Team Autonomie e Vda Vive Renouveau.
Non ha invece provveduto unicamente all’obbligo di pubblicazione del rendiconto sul proprio sito internet la lista “Udc e Fli con Bongiorno per il Lazio” che ha preso parte alle ultime regionali.
PAROLA ALLA CAMERA
Questa la situazione fotografata dalla Commissione. Con un’avvertenza.
Come spiega, infatti, la relazione, nel marzo 2015 l’organismo presieduto da Calamaro aveva invitato a presentare i “giustificativi di entrata e di spesa” a ben 54 partiti.
Ma poi la “sanatoria” introdotta dalla legge Boccadutri, con i voti contrari di M5S, Sel e Lega, e sulla quale pende addirittura una diffida per incostituzionalità recapitata alla Camera dei deputati dall’ex parlamentare europeo e giornalista Giulietto Chiesa, ha cambiato le carte in tavola.
Allentando gli stringenti controlli previsti dal decreto Letta, differiti a partire dagli esercizi successivi al 2014, e introducendo diverse modalità di verifica della regolarità e della conformità dei rendiconti 2013.
Modalità , appunto, che non contemplano il controllo dei giustificativi e, quindi, dell’effettiva rispondenza tra quanto dichiarato nei rendiconti e le fatture che ne comprovano la veridicità . Insomma, basta la parola dei partiti.
Una sanatoria che, tuttavia, non ha impedito alla Commissione di rilevare diverse irregolarità .
Sulle quali ora l’Ufficio di presidenza dovrà decidere come regolarsi.
Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
IL PIANO DEL TESORO PER RISARCIRE I RISPARMI PERDUTI DAGLI OBBLIGAZIONISTI DEI QUATTRO ISTITUTI SALVATI
C’è chi presenta esposti alle procure (Forza Italia Marche), chi annuncia il trasferimento dei propri fondi altrove (un sedicente comitato di «Vittime del salva-banche»).
Il Codacons promette a prescindere ricorsi al Tar «contro qualunque rimborso parziale di azioni e obbligazioni».
Il Consiglio comunale di Arezzo (ad eccezione del Pd) ha organizzato una manifestazione a difesa dei risparmiatori traditi. L’apertura del governo al rimborso degli obbligazionisti colpiti dal decreto salva-banche si sta trasformando rapidamente in un boomerang. Afferrarlo senza conseguenze sarà difficile.
Da un lato c’è la ragion politica che spinge il governo a farsi carico del problema, dall’altro le regole europee: dal primo luglio 2014 la Commissione tratta queste iniziative alla stregua di aiuti di Stato. «I titolari dei bond subordinati erano informati dei rischi che correvano» ricordava qualche giorno fa il presidente della Consob Giuseppe Vegas.
Vero è che i documenti informativi imposti dalla direttiva Mifid non sono il massimo della chiarezza.
Ed è vero che molti risparmiatori sono stati indotti a sottoscrivere titoli della propria banca in cambio di condizioni di favore per prestiti e conti correnti.
Ma quelle obbligazioni hanno spesso garantito rendimenti piuttosto alti. Non solo, il tempo per accorgersi di quanto stava accadendo molti l’hanno avuto: le quattro banche virtualmente fallite (Banca Etruria, Cassa Marche, CariChieti e CariFerrara) prima di finire all’asta sono state commissariate per mesi (Etruria) o addirittura per anni, come CariFerrara.
Fonti di governo ora ipotizzano una soluzione nella legge di Stabilità che prevederebbe il rimborso di un terzo dei risparmi andati in fumo ai piccoli obbligazionisti, cento dei circa 300-350 milioni sui 700 complessivi.
Si tratta dei titoli meno speculativi e con i rendimenti più bassi: una delle ipotesi è di introdurre anche una soglia di accesso ai rimborsi.
Il Tesoro propone di farsi carico di un terzo dell’ammontare, il sistema delle banche dovrebbe pagare gli altri due terzi.
Le banche, che già si stanno facendo carico degli anticipi per il salvataggio delle quattro in crisi, spingono perchè il governo – Europa permettendo – suddivida l’onere al 50 per cento.
In ogni caso il Tesoro non sembra intenzionato a mettere a disposizione più di 50 milioni di euro. Il rischio sarà nel precedente: secondo le stime di Consultique le obbligazioni potenzialmente azzerabili in caso di fallimento valgono 60 miliardi di euro. E dal primo gennaio 2016, quando le nuove regole dell’Unione bancaria saranno pienamente in vigore, i costi di un fallimento potranno essere anche a carico degli altri obbligazionisti e dei correntisti con depositi superiori ai centomila euro.
Alessandro Barbera, Paolo Baroni
(da “La Stampa”)
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Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
LE DENUNCIA DEL CODACONS: “EPPURE IL PREZZO DEL PETROLIO E’ AI MINIMI DAL 2009″… “TASSAZIONE ECCESSIVA E ALLINEAMENTO TROPPO LENTO”
Mentre le quotazioni del petrolio crollano al livello minimo dal 2009, l’Italia rimane ai vertici della classifica dell’Unione europea per i prezzi di benzina e gasolio.
A rilevarlo è il Codacons, che ha annunciato un esposto alla Commissione Ue e all’Antitrust italiano “affinchè si faccia luce sulla dinamica dei listini dei carburanti nel nostro Paese”.
Dove, come è noto, sullo scontrino finale che le pompe di benzina presentano agli automobilisti pesano come macigni le accise.
Con una media di 1,340 euro per un litro di gasolio, l’Italia “si piazza al secondo posto della classifica Ue dove il diesel costa di più”, fa i conti l’associazione dei consumatori, “peggio di noi solo il Regno Unito” (1,543 euro al litro).
Un litro di benzina, invece, “costa il 20% in più rispetto alla media Ue”: con 1,475 euro al litro, infatti, la Penisola si trova in quarta posizione dietro a Paesi Bassi (1,545 euro/litro), Regno Unito (1,502 euro/litro) e Danimarca (1,499 euro litro), dove tuttavia il reddito medio è assai più alto.
Allineamento lento
Si tratta di “una differenza inaccettabile, causata in parte da una tassazione eccessiva, in parte da un allineamento troppo lento dei listini alle quotazioni del petrolio“, denuncia il presidente del Codacons Carlo Rienzi.
Facendo un esempio pratico, secondo Rienzi chi è partito in auto per il ponte dell’8 dicembre riceverà “una stangata pari a 30 milioni di euro solo per i rifornimenti di carburante”, a causa del mancato ribasso dei prezzi alla pompa.
Barile sotto i 40 dollari dopo il nulla di fatto dell’Opec
Il tutto mentre, appunto, il costo del barile è sceso a picco dopo il nulla di fatto durante la riunione dell’Opec di venerdì scorso.
I ministri dei 13 principali Paesi produttori non sono riusciti a raggiungere un accordo sul taglio dei livelli di produzione, come invece speravano i mercati.
L’organizzazione ha rinviato la decisione al 2 giugno 2016, ma la mossa è interpretata come un sostanziale addio alle quote: un liberi tutti.
Martedì il brent è scivolato per la prima volta dal febbraio 2009 sotto quota 40 dollari al barile, contro i 56 dollari dello scorso gennaio, mentre il Wti, che all’inizio dell’anno si attestava intorno ai 52 dollari, è sceso a 36,9.
Attualmente la produzione è eccessiva rispetto alle necessità del mercato, diminuite in seguito alla crisi e alla diffusione degli idrocarburi non convenzionali. Di qui il continuo calo dei prezzi. L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, parlando a margine della Conferenza Onu sul clima ha riconosciuto che l’attuale livello “non è più un’anomalia”, siamo entrati “in una fase strutturale di prezzi bassi”, che si dovrebbe protrarre anche il prossimo anno e “probabilmente per un altro anno” cui le aziende si devono adattare, non solo tagliando investimenti e costi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
UNA MESSA CANTATA PRODOTTO DALLA TV ROSSIJAN CON GIORNALISTI IN GINOCCHIO…NESSUN CENNO AI CRIMINI CONTRO GLI OPPOSITORI E AGLI INTERESSI PRIVATI DELLA OLIGARCHIA DI MOSCA
Lo strombazzato, acritico ed imbarazzante documentario “Il Presidente” su Putin che racconta Putin prodotto nel 2014 dalla putiniana TV Rossija1 per festeggiare i suoi quindici anni di potere, è andato in onda nella notte buia ma non tempestosa di lunedì 7 dicembre, quando ormai si assopiva la festa di sant’Ambrogio e soprattutto la stragrande maggioranza dei telespettatori della berlusconiana Rete 4 che l’ha trasmesso in esclusiva.
Aver optato per questo punitivo orario è apparentemente una sorpresa, visti i grandi legami d’amicizia tra Sua Emittenza e il capo del Cremlino. Ma una spiegazione potrebbe essere legata al fatto che non vi è traccia di Silvio Berlusconi, nel filmato.
Un’altra, magari seria — forse troppo seria — è che lo standard professionale del documentario è, agli occhi di un pubblico occidentale, abbastanza sconcertante: una “messa” cantata, con giornalisti in ginocchio e domande così innocue da infastidire persino lo stesso Putin che, almeno, in qualche occasione ha sfoderato risposte ironiche e sincere: la parte migliore del documentario.
Come quella in cui osserva che la sua ascesa al Cremlino da “perfetto sconosciuto”, da uomo ordinario, e il suo ingresso nel mondo della politica l’ha stupito: “Per vent’anni ho fatto parte dei servizi d’informazione e dell’intelligence. Pensavo, come anche i colleghi di altri Paesi, di sapere tutto. Ma ora vedo che rispetto ai politici, eravamo dei lattanti…”.
Tutto qui. Non si va oltre l’agiografia più smaccata.
E la tesi di fondo che Putin ha salvato la Russia dai cattivi (ovviamente occidentali e specialmente americani) che non volevano una Russia forte e autonoma, tantomeno un’Europa che andasse “da Vladivostok a Lisbona”, un sogno che è rimasto sogno. C’è il Putin che si batte contro “l’unipolarità ” (americana), quando la realtà del mondo è ormai “multipolare” — cosa sottolineata, con compiacimento, dal commentatore italiano che intervallava il filmato, con lo scopo di alleggerire, giustificandola, l’indigestione propagandistica (“E’ indubbio che sotto Putin la Russia abbia cambiato passo, Putin è così, di sicuro è un personaggio fondamentale, comunque la pensiate entrerà nei libri di storia”, dice ad un certo punto, e questo è già avvenuto, poichè i manuali scolastici sono stati riscritti secondo le indicazioni del Cremlino…).
C’è il solito Putin — quello dei messaggi all’Assemblea Federale o alla nazione (alle quali ho spesso assistito) che sono un tripudio di piaggeria.
Il presidente russo è assai convincente quando spiega come ha portato sicurezza, stabilità e benessere, dopo gli anni della confusione, dell’economia “cecenizzata”, dello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali.
E’ convincente quando ricorda il primo incontro con gli oligarchi e come li ha messi in riga, gente che pensava d’essere padrona del nostro Paese, un “giorno mi capitarono in ufficio, durante la prima campagna presidenziale, e mi dissero: sei sicuro di diventare presidente? Perchè ti sbagli, non lo sarai mai…”.
Salvo dimenticare che gli oligarchi, con lui, sono diventati ancor più ricchi. Quelli “amici”…
Ecco il Putin duro e intransigente. Contro i terroristi ceceni. Che ha affrontato senza incertezze. E con qualche accusa, insinuando fossero foraggiati dagli americani, per i quali i ceceni che lottavano contro la Russia con attentati, massacri e sequestri “erano combattenti della libertà , se non ribelli”.
C’è il Putin che affronta l’ira e il dolore dei familiari di quei poveri 107 marinai del sommergibile Kursk, trasformato per un’avaria in una bara, “se fosse stato possibile sarei andato io stesso a riportarli su, ma non era possibile nè per i nostri tecnici nè per quelli stranieri”, la colpa è di chi ha lasciato la Marina in condizioni disastrose, “sapevo che le forze armate erano in uno stato rovinoso, non immaginavo quanto, hanno devastato tutto”. “Hanno”, gli altri, quelli prima di me. Ora, invece, la Russia “è potente, autosufficiente, in grado di difendere se stessa”. Con Putin, infatti, tutto è cambiato.
Il documentario indugia sull’uomo “nuovo” che va a trovare le truppe al fronte nell’inverno del 1999, che rinuncia al brindisi coi generali perchè prima “bisogna fare il proprio dovere, sino in fondo”, costi quel che costi.
C’è il Putin che ricorda volentieri quando disse che avrebbe eliminato i terroristi, anche se fossero scappati in bagno, “li inseguirò fin dentro i cessi”: la Russia sa cos’è il terrore e non per sentito dire… Beslan, la strage del teatro di via Dubrovka (“il peggiore momento della mia vita”), decisioni difficili da dover prendere, responsabilità cui non ci si può tirare indietro.
C’è insomma, tutto l’arsenale propagandistico del regime putiniano, anche lunghi interventi del discusso e discutibile Ramzan Kadirov, il presidente ceceno che ricorda come un tempo avesse combattuto i russi e avesse ottenuto, lui e altri settemila, l’amnistia, diventando il suo più fido alleato.
In ordine sparso parlano ministri e uomini del suo entourage.
Qualcuno esagera, in notazioni servili, “non ho mai conosciuto uno che lavori come lui, finisce la notte e ricomincia al mattino, ma quando dorme?”, “è uno che non alza mai il tono, che parla a bassa voce, sempre concentrato sugli argomenti di cui deve discutere”, “sa ascoltare”, e poi si arriva all’idolatria, perchè Putin dimostra di imparare “tutto e in fretta”, persino il pianoforte, “ha cominciato a suonarlo con un dito, una settimana dopo con una mano poi con tutte e due…” e subito lo si vede strimpellare al piano, in modo straziante per chi è abituato alle prodezze dei pianisti russi, “pochi sanno che ha studiato l’inglese”, e via con uno stacco su una festa in cui lui, sul palco, balbetta qualche ritornello vagamente english, comunque dimostra sprezzo del pericolo, “non sapeva pattinare, adesso gioca ad hockey”, e via col solito repertorio del Putin judoka, pilota di Formula Uno, su un Sukhoi ultimo modello… sino a due interventi di Sua Santità Cirillo, il patriarca di tutte le Russie, che spiega come la Chiesa ortodossa sia al fianco di Putin e ne approvi il modo di governare, perchè “egli serve il proprio Paese in qualità di presidente”.
Non manca l’accenno al Putin fedele ortodosso che rispetta le altre credenze…
Però, il problema non sta nell’esercizio sfessante dell’elogio e dell’autoreferenzialità (“non vedo nessun grande insuccesso in tutti questi anni, ho sgobbato tanto nell’interesse del Paese, l’ho salvato dal fallimento. Ho dato a questo Paese uno sviluppo sostenibile e ho dato certezze, la prima volta nella storia della Russia, per le generazioni esistenti e non per quelle del futuro”). No.
Il problema non sta in quello che Putin dice di se stesso o in quello che i suoi amici, e gli uomini che lo hanno affiancato al potere, dicono di lui.
Tutto questo, in fondo, è interessante, vale come materiale di studio per capire i meccanismi del potere putiniano e quelli del consenso. Il problema sta nelle cose non dette. Nei fatti rievocati senza contraddittorio: la verità a senso unico.
Il problema sta nei vuoti di memorie e di memorie: non un cenno sull’opposizione, tantomeno sull’affare Yukos e su Khodorkovskij che gli fu antagonista (sebbene appaia fugacemente, una distrazione registica, in un filmato dei primi tempi di Putin presidente).
Non una parola su Litvinenko avvelenato col plutonio 2010 a Londra. Nè sull’invasione della Georgia o sulla secessione del Donbass.
Si omettono le decisioni liberticide, la normalizzazione drastica dei media, la vigilatissima libertà di opinione, la demonizzazione delle ong.
Non un cenno ai tantissimi omicidi politici, primo fra tutti quello della giornalista Anna Politkovskaja, uccisa nel giorno del compleanno di Putin, il 7 ottobre 2006.
Si narra l’annessione della Crimea come di un atto dovuto, di un ritorno dei suoi abitanti “alla baia, nel porto della loro patria”, non c’era alternativa, “tornare a casa o stare coi fascisti e i neonazisti dell’Ucraina”: ma si tace sulle conseguenze, e le sanzioni non sono viste “come un conto da pagare per la Crimea”, ma come il “costo per il naturale desiderio della conservazione della nazione”.
E allora, più che intitolarlo “Il Presidente”, gli autori, o meglio, i trascrittori inginocchiati avrebbero dovuto chiamarlo “l’Omittente”.
L’uomo che omette. E che emette. Che depenna dalla Storia, la Storia. E che ricorda solo quello che gli fa comodo.
“Putin è un uomo che non ama vivere furbescamente”, dalla personalità riservata, che si batte per dare alla Russia il ruolo che le compete. Nulla di nuovo. Anzi, tutto dèja-vu.
E allora, perchè mandare in onda questo inventario apologetico proprio in questi giorni? Forse perchè si parla di Siria, di come nel 2013 Obama fosse a favore dell’intervento e Putin no, di come la Russia fosse pronta a mettere in campo la propria influenza per lo smantellamento delle armi chimiche, che avvenne. Come dire: Putin ha avuto ragione allora, ha ragione oggi.
Specie quando rimprovera l’America che “vuole decidere da sola, senza chiederci nulla”.
Ah, che delusione: “Pensavamo che i fratelli ci avrebbero dato le loro spade”, chiosa citando Puskhin, il suo poeta preferito, invece non ci pensavano affatto. Così, abbiamo fatto da soli. La Putiniade di un uomo, il più potente del mondo secondo Forbes, freddo, educato, riservato, reticente (come deve una spia: “chi entra nel Kgb non lo lascia più”, ma neanche questo viene detto). Sorride a fatica. E i suoi occhi da kagiko di steppe lontane, sono l’emblema della diffidenza. Rossija 1 l’ha celebrato. Ma forse, a lui non è piaciuto tanto.
Leonardo Coen
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
LE DIFFERENZE CON LA DESTRA ITALIANA SI SONO MOLTO AMPLIATE
L’ECONOMIA: PIÙ TASSE SULL’IMPORT E ADDIO AL LIBERISMO
Sono così lontani gli Anni 80, quando Jean-Marie Le Pen si definiva «il Ronald Reagan francese».
Marine ha abbandonato l’ultraliberismo del padre e ha inforcato la strada opposta.
La Le Pen è favorevole a un aumento delle tasse all’import e alla «preferenza nazionale» negli appalti pubblici. Grida contro «la dittatura dei mercati».
Si avvicina alla sinistra nella difesa del regime delle 35 ore settimanali di lavoro (introdotto dalla gauche).
Chiede di abbassare a sessant’anni l’età della pensione. E di aumentare gli stipendi più bassi, in particolare del salario minimo, fissato per legge: 200 euro in più subito, se Marine diventerà presidente.
LAICITA’: NO AI SEGNI RELIGIOSI SUI MEZZI DI TRASPORTO
«Sono cattolica ma non praticante — ha scritto nella sua autobiografia (“A contre flots”, pubblicata nel 2006) —. Le opzioni religiose non devono passare in primo piano; mi ritengo profondamente laica». Cita di continuo la legge del 1905, che fissa la separazione tra la Chiesa e lo Stato.
ABORTO: “NON LO VIETERà’”. SCONTRO CON MARION
Lo ha dichiarato a più riprese: «Non sono contraria all’aborto e non lo rimetterò in causa, se diventerò presidente». Ma Marine Le Pen, tanto per tenersi buono il suo elettorato più tradizionalista, critica spesso quello che definisce «l’aborto di conforto», sostitutivo della contraccezione: «Ci sono degli abusi, per questo alcuni medici si rifiutano di farlo».
La nipote, Marion Marèchal-Le Pen, è andata oltre, molto oltre: se diventerà presidente del Sud-Est, abolirà subito le sovvenzioni regionali ai consultori familiari, «che banalizzano l’aborto».
PENA DI MORTE: VUOLE UN REFERENDUM PER FARLA APPLICARE
Priva di particolari remore cattoliche, ha dichiarato: «A titolo personale, come avvocato, penso che un sistema penale non possa stare in piedi senza la pena di morte». In questo senso è la degna figlia di suo padre, Jean-Marie, nonostante che da lui l’abbiano allontanata tanti motivi di discordia. Sulla pena capitale, comunque, organizzerebbe un referendum
NOZZE GAY: UNIONI CIVILI E PACS PER GLI OMOSESSUALI
Alle manifestazioni del 2013 contro la legge che ha autorizzato il matrimonio gay, si sono fatti vedere tanti dirigenti del Front National, come la supercattolica Marion Marèchal-Le Pen, nipote di Marine. Ma lei, mai. Era diventato quasi imbarazzante.
Alla fine ha dovuto pronunciarsi: «Se sarò eletta presidente, eliminerò quella legge. Ma farò evolvere le unioni civiche, i Pacs, nello stesso senso».
Insomma, pieni diritti per gli omosessuali. Quando Sèbastien Chenu, già attivista del mondo gay, ha accettato di dirigere la sua campagna elettorale nel Nord, ha detto: «È la prova che nel Front National c’è di tutto: gollisti, omosessuali, colf, operai».
L’UNIONE EUROPEA: BRUXELLES RESTITUISCA PARTE DELLA SOVRANITA’
Se, fino a qualche mese fa, la Le Pen ostentava con sprezzo il suo anti-europeismo, adesso ci va molto più cauta.
Al Front National ci si rende conto che delle posizioni alla Tsipras prima maniera fanno paura ai francesi, anche se sempre più euroscettici.
«Se divento presidente della Francia — ha detto qualche settimana fa-, organizzo un referendum sull’euro, da realizzare dopo sei mesi. Nell’attesa andrò a Bruxelles a spiegare quali sono le nostre esigenze. Farò come la Gran Bretagna. E se l’Unione europea ci renderà la nostra sovranità , dirò ai francesi: restiamo nell’Unione europea». Uscita progressiva dall’euro, sì. Ma non dalla Ue.
Leonardo Martinelli
(da “La Stampa”)
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Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
IL SIGNORE INDISCUSSO DELLE TESSERE ERA STATO ARRESTATO PER TRUFFA E ASSOCIAZIONE A DELINQUERE… NON POTENDO LASCIARE MESSINA PERCHE’ SOGGETTO A OBBLIGO DI DIMORA, MICCICHE’ E’ ANDATO A PORTARGLI LA TESSERA A CASA
Dal Partito Democratico a Forza Italia senza neppure un passaggio intermedio.
Se esistesse un manuale del perfetto cambiacasacca, il caso di Francantonio Genovese sarebbe sicuramente citato tra gli esempi più fulgidi.
Mentre in Sicilia il Pd di Davide Faraone e Matteo Renzi fa scouting tra ex fedelissimi di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, Genovese infatti ha ben pensato d’intraprendere il percorso opposto: lascia i dem e passa a Forza Italia.
Un po’ come si fa nella partitelle di calcio tra ragazzi: quando una squadra è troppo forte, ecco che si mischiano le formazioni per riequilibrare le sorti dell’incontro.
E visto che il Pd è ormai il primo partito dell’isola (dopo aver accolto decine di ras e cacicchi locali provenienti dal centrodestra), ecco quindi che in Sicilia si sta verificando il primo scambio di senso opposto.
Scarcerato quest’estate dopo l’arresto per truffa, peculato e associazione a delinquere, e tornato libero dopo la revoca dei domiciliari appena 10 giorni fa, l’ex parlamentare del Pd non può lasciare Messina perchè è sottoposto ad obbligo di dimora: è per questo motivo che Gianfranco Miccichè si è dovuto recare nella città sullo Stretto per formalizzare il passaggio di Genovese sotto le bandiere forziste.
Lo storico vicerè di Silvio Berlusconi è stato appena nominato nuovo commissario di Forza Italia sull’isola: un’operazione vintage per provare a rilanciare il partito, ormai soltanto una copia molto sbiadita di quella macchina acchiappavoti capace di conquistare tutti i 61 seggi siciliani nel 2001.
Alla corte di Berlusconi approderà anche la piccola pattuglia di superstiti rimasti fedeli a Genovese: Franco Rinaldi, deputato regionale e cognato dell’ex segretario dem e la parlamentare nazionale Maria Tindara Gullo.
Un passaggio estremo quello dell’ex parlamentare dem, signore indiscusso delle tessere a Messina, ex sindaco della città sullo Stretto, socio della potente famiglia Franza, scelto da Walter Veltroni come primo segretario del Pd in Sicilia, e quindi addirittura nominato segretario della commissione parlamentare antimafia nel 2008.
Per anni nell’isola del berlusconismo più sfegatato, Genovese era una delle poche certezze per il debole centrosinistra.
Ed infatti è sempre stato luogotenente affidabile per tutti i big che hanno guidato il Pd: da Franceschini a Bersani. Poi il suo nome finisce al vaglio della commissione di garanzia del Pd alla vigilia delle politiche 2013, quando fa registrare il record di voti alle primarie in tutta Italia: è accusato di essere “impresentabile” insieme ad altri quattro candidati siciliani.
Alla fine dalle liste verranno cancellati solo Nino Papania e Mirello Crisafulli, ma i guai per il signore dello Stretto sono appena cominciati: si manifestano nella primavera del 2014, con la richiesta d’arresto della procura di Messina.
All’inizio il nuovo Pd di Matteo Renzi sembra pronto a salvare Genovese dalle manette, ma le elezioni europee incombono: i sondaggi consigliano al premier di abbandonarlo al suo destino. In più i renziani siciliani non l’hanno mai amato: e alla fine la Camera voterà a larga maggioranza per l’arresto del parlamentare peloritano.
Che tornerà libero 19 mesi dopo, e cioè appena una settimana fa: giusto in tempo per passare con Forza Italia, il partito combattuto per vent’anni, prima alla guida della Margherita e poi da leader del Pd.
Una giravolta spericolata che solo sull’isola dei paradossi poteva andare in onda, senza che nessuno si sia poi stupito più di tanto.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
TORNA IN AUGE IL PONTE: NON QUELLO DELLO STRETTO, QUELLO DELLA VACANZA
Nella Roma che accoglie i pellegrini del Giubileo con ingorghi festosi, per trovare silenzio e spazi vuoti bisogna andare a Montecitorio.
Un’oasi di pace nel cuore della Capitale.
Le banche scricchiolano, l’Isis incombe, Salvini si crede Marine Le Pen che si crede Napoleone, ma i deputati della Repubblica non accettano di darla vinta agli strateghi del terrore cambiando le proprie abitudini.
E con sprezzo del pericolo, ma non del ridicolo, hanno confermato e addirittura ampliato l’usanza di mettersi in ferie. Dal 4 al 14 dicembre.
Il Ponte tornato in auge nei giorni scorsi non si riferiva dunque allo Stretto, ma alla larghissima vacanza che consentirà agli onorevoli di testare l’efficienza delle strutture turistiche italiane e di acquisire informazioni di prima mano su quelle estere.
A questo punto avrebbero potuto darsi appuntamento direttamente alla seconda settimana di gennaio — si pensi alla sfida ingegneristica e al significato culturale di un ponte gettato tra l’Immacolata e la Befana — ma il senso di responsabilità che è da sempre il loro tratto costitutivo li indurrà a interrompere brevemente la villeggiatura verso la metà del mese per votare a comando la legge di Stabilità , azzoppare ancora una volta i candidati alla Corte Costituzionale e soprattutto scambiarsi gli auguri di Natale.
A conferma dei legami d’affetto tra persone in apparenza tanto divise e lontane, in realtà tenute insieme da una comunanza di valori rigorosamente quotati in Borsa.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Dicembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
INCONTRO CON RATZINGER DAVANTI A UNA PIAZZA SAN PIETRO BLINDATA
Poco dopo le 11 Papa Francesco ha aperto la Porta santa della basilica di San Pietro segnando l’avvio del Giubileo straordinario dedicato alla Misericordia.
Per la prima volta nella storia, all’apertura ha assistito un Pontefice emerito, Benedetto XVI, presente nell’atrio della basilica. Bergoglio, che alle 9,30 ha celebrato la messa in una piazza San Pietro blindata e non del tutto gremita — circa 70mila i pellegrini secondo la stampa vaticana- lo ha abbracciato prima di andare a spalancare la porta.
Ratzinger ha varcato la soglia subito dopo Bergoglio: ha salito i gradini sostenuto da monsignor Georg Gaenswein e ha nuovamente stretto la mano di Francesco.
Subito dopo molti fedeli sono entrati nella basilica attraverso la porta, sempre chiusa tranne che nel corso degli anni santi.
Il Papa, alle 12, si è poi affacciato dalla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus, che ha concluso con un altro “saluto a papa Benedetto” l’augurio di “buona festa” per l’Immacolata.
Messa multilingue. In piazza Mattarella, Renzi, Zingaretti, De Vincenti e Tronca
Le letture della messa, iniziata dopo il suono delle campane e la recita del rosario, sono state fatte in spagnolo, italiano e inglese e le preghiere dei fedeli anche in cinese, arabo, francese, swahili e malayalam.
Questo per esprimere l’universalità della Chiesa. Un quarto d’ora prima della celebrazione, il Pontefice ha ricevuto le delegazioni.
Quella italiana è guidata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, accompagnato dalla figlia Laura. Ci sono poi il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con la moglie Agnese, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, il commissario Paolo Tronca e il prefetto Gabrielli.
Nell’elenco delle delegazioni presenti, diffuso dalla Prefettura della Casa Pontificia, figurano il Re Alberto e la Regina madre Paola con la principessa Astrid e il consorte Principe Lorenz.
No fly zone, telecamere e metal detector. Applausi alla bandiera francese
L’anno santo è iniziato inevitabilmente, dopo gli attentati di Parigi, tra misure di sicurezza senza precedenti. Su Roma è stato disposto il divieto assoluto di sorvolo dalle 7 alle 19.
La no fly zone riguarda un raggio di circa 10 km dal centro della città . L’area di San Pietro è controllata anche da telecamere e ci sono oltre 2mila uomini delle forze armate e un migliaio della polizia.
Il prefetto Franco Gabrielli ha inoltre vietato di trasportare carburanti, Gpl e metano dentro il Grande raccordo anulare (Gra), mentre fino a mercoledì sono off limits armi, munizioni, esplosivi, sostanze esplodenti e gas tossici.
I fedeli arrivati per assistere all’evento, in fila sotto la pioggia fin dall’alba, sono stati controllati uno a uno dalle forze dell’ordine due volte.
Nell’area antistante alla piazza dove sono state allestite delle transenne gli agenti hanno fatto controlli persona per persona, mentre sotto il colonnato sono attivi i metal detector.
Mentre attendevano l’inizio della celebrazione, è spuntata tra la folla una bandiera della Francia. I fedeli l’hanno salutata con un lungo applauso.
Controlli anche sui passeggini
L’area intorno al Vaticano è transennata, pedonalizzata e presidiata dalle forze dell’ordine. I pellegrini in fila sono stati invitati a tenere in mano gli oggetti metallici e aprire le borse per facilitare i controlli per l’accesso a piazza San Pietro.
Zaini e borse sono stati controllati uno ad uno anche con i metal detector e le forze dell’ordine hanno guardato in borse e tasche e esaminato anche passeggini e carrozzine.
Dalle 10 è chiusa la stazione della metro A piazza di Spagna, in previsione dell’omaggio di Papa Francesco all’Immacolata che avverrà nel pomeriggio.
Per assistere i pellegrini tra piazza San Pietro, Castel Sant’Angelo, Piazza Risorgimento e le stazioni della metropolitana ci sono oltre 300 volontari e operatori di Croce Rossa Italiana. Allestito, inoltre, un posto medico mobile presso la Stazione Termini. La Croce Rossa ha mobilitato volontari da altre parti d’Italia e tutta la struttura nazionale ha predisposto l’attivazione di ulteriori ambulanze e posti di soccorso in caso di necessità .
(da agenzie)
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