Dicembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
MENTRE LA REGIONE AUMENTA L’IRPEF A 400.000 LIGURI E TAGLIA I FONDI AI PARCHI, IL GOVERNATORE E I LEGHISTI VIALE E RIXI NON BADANO A SPESE, TANTO SONO SOLDI PUBBLICI
Toti 22.671,47 euro. Burlando 1287 euro.
Ecco la differenza, in cinque mesi e mezzo, tra le spese relative a “importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici” tra il governatore Giovanni Toti, Fi, e il suo predecessore, Claudio Burlando, Pd.
E il rapporto è 4 a 1. Ecco la prima rendicontazione delle spese di viaggio istituzionale della nuova giunta regionale.
Mentre il consiglio regionale ha approvato il Bilancio di previsione, il primo di Toti, in cui taglia finanziamenti a Comuni, Parchi, e soprattutto introduce l’Irpef per 400.000 liguri, e ammette che «i tagli nazionali si abbattono sulla Liguria per 65 milioni di euro», non bada però alle spese per missioni istituzionali.
I suoi primi cinque mesi valgono il quadruplo di ciò che Burlando spendeva in un anno.
Il presidente Pd ha rendicontato 6357 euro da gennaio a dicembre 2013, 6006 euro da gennaio a dicembre 2014 e 1287,01 nei primi quasi sei mesi del 2015, fino alla fine, cioè, del mandato (in cui era pure in campagna elettorale).
Toti, dall’11 giugno 2015 al 30 novembre 2015, accumula i suoi quasi 23.000 euro.
Schizza in su anche la somma di tutte le spese di viaggio per fini istituzionali della giunta (presidente e assessori) nel primo periodo di mandato : nello stesso arco di tempo, 11 giugno-30 novembre, viaggiano per 39.908,74 euro.
Analogamente, nei primi cinque mesi dell’anno, la giunta Burlando compie viaggi istituzionali per 20.267,81 euro. Quasi la metà .
Non solo si è scelto una nuova Bmw come autoblu, non solo non vuole mollare la sede di piazza De Ferrari, che costa quasi due milioni all’anno, ma non bada a spese quando viaggia.
Tra gli assessori della giunta Toti, per i primi cinque mesi e mezzo, c’è il caso Marco Scajola. Il più virtuoso, non ha speso nulla.
Nessuno raggiunge il presidente, la più onerosa pare la leghista Sonia Viale, Sanità , che rendiconta 4600 euro, poi Ilaria Cavo, con deleghe a Cultura e Formazione, 3726 euro.
L’assessore alla Protezione civile, Giacomo Giampedrone, ha speso 3418 euro, l’assessore allo sviluppo economico, Edoardo Rixi, 2.685, poi la classifica prosegue con Gianni Berrino, Tursimo e Trasporti, con 1707 e infine Stefano Mai, Agricoltura, 1084.
Michela Bompani
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
DA CARFAGNA A BERNINI… IRRITAZIONE TRA I DIRIGENTI STORICI: MANCANO GIOVANI VALIDI…BRUNETTA RISCHIA PIU’ DI ROMANI
Per elettori e militanti usa il linguaggio della lotta, affidato ad un videomessaggio registrato per fare a pezzi il premier e il suo governo: «Si potrebbe dire “piove, governo ladro”… Renzi ha costruito una finta democrazia, si è fatto un regime, si è impossessato di tutto anche della Consulta e della Rai».
Per il suo partito invece Silvio Berlusconi minaccia di usare la frusta.
In un’intervista al Quotidiano Nazionale infatti il leader azzurro appare ancora molto arrabbiato per le liti fra i suoi capigruppo: «Quando il gatto non c’è, i topi ballano. Il gatto è assente dal Parlamento, ma non è assente dal Paese».
E sembra pronto a prendere decisioni drastiche, che sconvolgerebbero l’intero assetto di FI: «Ho intenzione di procedere a un rinnovamento radicale dei vertici, sia per quanto riguarda i gruppi parlamentari sia per il partito».
E anche sulle liste del futuro Berlusconi sembra guardare più alla società civile che ai suoi gruppi parlamentari: «Prospetteremo agli italiani un governo composto al cinquanta per cento da personalità che non vengono dalla politica, per una squadra di successo».
Solo poco tempo fa, parole così tranchant del capo avrebbero fatto tremare le truppe.
Oggi però, e in fondo è anche questo un segnale della crisi, pochi rispondono e pure polemicamente.
Lo fa Maurizio Gasparri: «Non leggo le interviste di Berlusconi, leggo direttamente le smentite…».
Lo fa in modo indiretto anche Renato Brunetta: «Non ho visto nulla, dopo 20 giorni di lavoro durissimo sulla Stabilità sto andando a passeggio con i miei cani. E da domani mi rimetterò al lavoro come sempre sul programma e sul nuovo partito del centrodestra e di tutti i moderati che dovremo costruire per affrontare le elezioni con l’Italicum».
C’è insomma fastidio, irritazione, mal sopportazione verso le uscite del capo contro una classe dirigente rappresentata come il «vecchio», rissosa e superata, che deve lasciar posto a giovani di belle speranze che «non esistono se non nella fantasia del Cavaliere», dicono fra i suoi, o esponenti della società civile pure per ora non palesati (anche se come sindaco di Milano Berlusconi fa i nomi di «Sallusti, Del Debbio e Stefano Parisi»).
Berlusconi nel videomessaggio insiste che rimarrà «in campo per combattere per la democrazia», e assicura che con lui FI risalirà perchè con la sua assenza «non arriviamo al 10%».
Ma i suoi sembrano ormai considerare questi proclami come uno sfogo più che un’intenzione reale, e si attrezzano per andare avanti tessendo ciascuno i propri rapporti.
Stavolta però, assicura chi gli ha parlato, Berlusconi fa sul serio: la sua rabbia verso Brunetta non scema, la delusione anche verso Romani è forte, e potrebbero sfociare presto in un cambio dei capigruppo: soprattutto Brunetta è a rischio perchè l’investitura del capo per la Carfagna è forte e la disponibilità dell’ex ministro ci sarebbe; più complicato sostituire Romani, appoggiato dall’area aziendale del partito e dalla famiglia, ma gli eventuali candidati al suo posto sarebbero Mandelli o Bernini.
Paola Di Caro
(da “il Corriera della Sera”)
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Dicembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
SI DANNO IL CAMBIO NELLA STANZA DEI BOTTONI, MA IL DISEGNO RESTA IDENTICO
Elezioni in Spagna? In Francia? Puapua Nuova Guinea? Tranquilli: due compresse di Italicum prima del voto e passa la paura.
Il refrain della settimana è questo: siccome il bipolarismo non esiste più (tendenza europea conclamata), facciamo una legge elettorale che lo imponga a martellate alla festante popolazione, che così avrà finalmente in dono il bene che più desidera: la stabilità politica.
Risolto con la fiction il problema del bipolarismo, si affiderebbe il potere, con scarsissimi contrappesi, a un partito solo, che a quel punto sarebbe super-maggioritario in Parlamento e decisamente minoritario nel paese.
Sembrerebbe la vecchia storia della coperta corta: volete più libertà o più sicurezza?, si chiede per lottare contro il terrorismo.
Analogamente nella politica si chiede: volete più stabilità o più rappresentanza?
Esiste però in questa semplice equazione una specie di errore di base, un peccato originale, una gamba del tavolo non solidissima.
Che è proprio lì: stabilità .
Ma è così vero che l’Italia è la patria dell’instabilità politica? Che le divisioni frenano il paese? Che non si riesce a governare? E non è bizzarro che chi dice che così non va bene, che non si governa, siano proprio quelli che governano, e dicono di farlo bene e con efficienza?
Il ragionamento zoppica. Anche perchè, a guardare i suoi sviluppi generali, la stabilità politica italiana è strabiliante.
Persino quando si cambiava un governo ogni sei mesi, ai tempi della prima repubblica, la stabilità era a prova di bomba, si davano il cambio attori e comparse nella stanza dei bottoni, ma il disegno restava più o meno identico.
Facevano i turni, i vecchi volponi della prima repubblica, ma il lavoro era sempre quello.
Se si guardano per esempio le politiche sul lavoro degli ultimi vent’anni, non c’è niente di più tremendamente stabile.
Cominciò il governo Prodi (1996) a sventolare la bandiera della “flessibilità ”, senza la quale, ci dissero, saremmo morti tutti.
L’allora ministro Treu stappò il vaso di Pandora del lavoro flessibile e precario, che dilagò nel paese, che si impose senza freni e controlli, fino alla sua regolamentazione finale con il Jobs act: tutti un po’ precari, cioè licenziabili a un costo minimo, tutti demansionabili eccetera, eccetera.
Si può dunque dire che nel giro di una ventina d’anni, con strappi improvvisi e lunghe pause, con governi di destra e di sinistra, con i fini economisti prodiani e con la compagnia di giro del poro Silvio, il disegno di flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro si è perfettamente compiuto.
Impeccabile opera di stabilità politica: chiunque governasse, il disegno era quello, ed è stato eseguito.
Ci sarebbero altri esempi, ovviamente, non ultimo il fatto che abbiamo sempre mandato aerei, armi e soldati dove ci hanno chiesto di mandarli, altro esempio di stabilità . Insomma, non siamo così instabili, diciamo anzi che specie nelle politiche economiche siamo stabilissimi, come dimostra il fatto che le diseguaglianze sociali sono aumentate, negli ultimi anni, piuttosto costantemente, e non diminuite: un capolavoro a cui hanno concorso tutti, chi più chi meno, altro esempio di continuità politica niente male.
L’Italicum come garanzia di stabilità , dunque, lascia perplessi.
Indicare la Spagna dicendo: “Visto? Col nostro trucchetto non sarebbe successo” è suggestivo ma non porta lontano.
E’ vero: col trucchetto dell’Italicum Rajoy finirebbe per formare un governo, in solitudine e maggioranza assoluta: un governo con superpoteri che sarebbe espressione di un elettore su quattro.
Una spallata abbastanza decisa al concetto di democrazia rappresentativa. E vabbè, non facciamola lunga, avrete un po’ meno democrazia, ma vuoi mettere la stabilità ?
(da “Alessandro Robecchi blog”)
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Dicembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
SONO 2,5 MILIONI, IN CRESCITA ANCHE DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DEL JOBS ACT
L’Italia non ha mai avuto così tanti lavoratori a tempo determinato.
Quelli con la data di scadenza, un anno se va bene, qualche volt un mese. A dispetto del Jobs Act, con il nuovo contratto a tutele crescenti.
E a dispetto della generosa decontribuzione attiva da gennaio che dovrebbe incentivare le imprese ad assumere in pianta stabile.
Perchè è vero, come rivendica il premier Matteo Renzi e conferma l’Inps, che le assunzioni a titolo definitivo dall’inizio del 2015 sono aumentate.
Ma allo stesso tempo si sono anche impennate le posizioni a termine: nel terzo trimestre dell’anno, certifica l’Istat, sono arrivate a 2 milioni e 560mila, massimo storico.
Esplose, ecco il paradosso, soprattutto dopo l’entrata in vigore della riforma del lavoro, come mostra una ricerca appena pubblicata da tre economisti italiani.
Tra gennaio e ottobre 2015, sul totale del lavoro dipendente in Italia, l’incidenza del tempo indeterminato è scesa dall’86,4 all’85,4%.
Mentre quella del determinato è aumentata dal 13,6 al 14,6%. Altro massimo storico.
La lieve ripresa dell’occupazione registrata finora, insomma, è fatta per la maggior parte di lavoro a tempo.
Sui contratti aggiuntivi firmati da inizio anno, i rapporti attivati meno quelli cessati, solo il 16% è stabile.
E le 906 mila assunzioni a tutele crescenti che secondo l’Inps hanno goduto degli incentivi voluti dal governo hanno fatto crescere il monte dei lavoratori a tempo indeterminato di appena 100mila unità : un contributo pubblico di 20mila euro per ogni posto fisso in più.
La ricerca, condotta nell’ambito del progetto europeo IsiGrowth, parla di esplicito “fallimento” del Jobs Act nel creare occupazione permanente.
«Da una parte c’è la congiuntura ancora incerta, che suggerisce alle aziende di non assumere in modo permanente», commenta Dario Guarascio, ricercatore in Economia alla Sant’Anna di Pisa, autore del paper insieme a Valeria Cirillo e Marta Fana. «Dall’altra c’è stato un messaggio contraddittorio del governo, che qualche mese prima della riforma del lavoro, con il decreto Poletti, ha liberalizzato i contratti a tempo determinato ».
Misura che ha aiutato le aziende ad assumere, trasfor-mando quel poco di ripresa in occupazione.
Senza contare che un contratto da dipendente, seppure a scadenza, è sempre meglio per diritti e tutele di uno dei tanti rapporti autonomi a progetto, spesso finti.
Almeno per ora però, nonostante il massiccio investimento di risorse sul contratto a tutele crescenti, la tendenza alla stabilizzazione dei contratti di lavoro si fatica a vedere nei numeri.
Di certo non c’è per i più giovani, gli under25, tra cui la quota del tempo determinato sfiora il 60% del totale.
E pure tra le persone assunte con il nuovo contratto a tutele crescenti, senza articolo 18, che ricevono in media una retribuzione dell’1,4% inferiore a quella degli assunti del 2014, e con un’incidenza dell’impiego part time, spesso involontario, molto superiore.
Dal prossimo anno poi gli sgravi sui contributi per le aziende che assumono a tempo indeterminato diventeranno assai meno generosi, scendendo dal 100 al 40%. Convincerle a allargare l’organico sarà ancora più difficile.
Filippo Santelli
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
PIU’ CASALINGO CHE ESOTICO, TRA MONTAGNA E PANETTONE: DOVE PASSANO LE FESTE NATALIZIE I POLITICI ITALIANI
Un classico “Natale con i tuoi”. Poi, per Capodanno, qualche puntatina in montagna o in un centro benessere, oppure mini-trasferte in Svizzera o al più in Francia.
E dire che di tempo a disposizione ne hanno parecchio, vista la lunga assenza dalle Aule parlamentari che si sono regalati.
Eppure, per queste feste natalizie, i politici nostrani hanno optato (quasi) tutti per vacanze a chilometro zero, o poco più.
Una scelta di sobrietà o ipocrisia? Di fatto, a sentir loro, quest’anno trionfa il low profile: tutti in famiglia, tutti a casa, salvo blitz dell’ultimo momento con annessa paparazzata.
Ne sa qualcosa il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, che l’estate scorsa, a fine agosto, ha sorpreso tutti concedendosi una vacanza a Formentera con il suo amico (ed ex fidanzato) Francesco Bonifazi, soprannominato ormai “il re delle serate fiorentine”.
Per loro è stato impossibile mantenere la discrezione, le foto di lei nel locali più in dell’isola hanno cominciato a circolare in un secondo su social e media.
Per queste vacanze natalizie però, vista la vicenda della Banca Etruria, il clima è cambiato: Natale in famiglia, lontana il più possibile dai riflettori.
Tutti la aspettano per la Messa nella Chiesa di Laterina: piccolo paese, poche strade, una piazza, dove il ministro è cresciuto e dove è conosciuta da tutti come la “madonnina del presepe”.
Discrezione massima, anche per motivi di sicurezza, sulla meta delle vacanze del presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Anche per lui un Natale in famiglia a Pontassieve e poi… chissà . Non è esclusa una capatina a Capodanno in montagna.
Lo scorso anno scelse le piste di Courmayeur, non riuscendo a sfuggire nè ai flash nè alle critiche dei 5Stelle che lo attaccarono per aver usato il volo di Stato per gli spostamenti suoi e della sua famiglia.
Su quelle stesse montagne, il presidente del Consiglio potrebbe anche rischiare di incontrare Ignazio La Russa, un habituè della zona. È invece già a Cortina il senatore dell’Udc Pier Ferdinando Casini.
Ora che è tornato in possesso del suo passaporto, potrebbe andare ovunque.
Ma Silvio Berlusconi non sembra intenzionato a fare quel famoso viaggetto nella sua villa ad Antigua di cui parla da tempo. Per lui, tradizionale pranzo di Natale ad Arcore con famiglia e vertici aziendali.
Niente di deciso per Capodanno ma certamente, se avesse voglia di disintossicarsi dalle beghe di Forza Italia, di residenze in giro per il mondo tra cui scegliere ne avrebbe in abbondanza.
E a proposito di scontri, anche i due (ex?) litiganti, Renato Brunetta e Paolo Romani, trascorreranno le vacanze in famiglia. L’uno a distanza di chilometri dall’altro.
Il capogruppo azzurro del Senato sarà nella sua Lombardia, quello della Camera non tornerà nel natìo Veneto ma passerà le feste a Roma dove ormai vive da quando si è sposato.
Dovrebbe trascorrere Natale e Capodanno tra Roma e la Sicilia il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Ma anche in questo caso, per motivi sicurezza, non è possibile saperlo con precisione.
A Palermo andrà , come ogni anno, il presidente della Senato Pietro Grasso. Così come sta trascorrendo il Natale nel capoluogo siciliano il Capo dello Stato, Sergio Mattarella.
La presidente della Camera, Laura Boldrini, è nella sua casa di famiglia nelle Marche e il 30 dicembre invece sarà a Scampia per un’iniziativa di solidarietà .
Darà soddisfazioni sugli sci, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, grande amante della montagna, che approfitterà di queste feste per dedicare un po’ di tempo, vicenda banche permettendo, alla sua passione.
Qualche giorno in montagna dopo Natale se lo dovrebbe concedere anche il leader della Lega, Matteo Salvini. La sua meta: Bormio, alpi lombarde. Niente sci, però, perchè non è un tipo particolarmente sportivo.
Per lui qualche passeggiatina, mentre il 28 dicembre è atteso alla tradizionale Berghem fecc leghista. Evento al quale, il giorno successivo, prenderà parte anche Umberto Bossi. Per lui vacanze natalizie in famiglia, a Gemonio, anche se, come da abitudine, non mancheranno puntatine qui e lì nel varesotto per iniziative politiche.
Primo Natale da mamma per il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che trascorrerà le feste a Roma, la sua città , insieme al compagno e ai gemellini Francesco e Lavinia.
Natale con bebè anche per il leader dei Conservatori e Riformisti, Raffaele Fitto. Appena diventato papà per la terza volta, trascorrerà le vacanze a Maglie, in Puglia. “Sarò tutto casa e panettone, stando attento a non ingrassare”, scherza.
Feste speciali inoltre per Ernesto Carbone, della segreteria dem. “Quest’anno, vacanze rigorosamente in famiglia. Da un giorno all’altro nascerà Giovanni, il figlio di mia sorella, il mio secondo nipote”, esclama felice il deputato Pd mentre sta per lasciare Roma diretto a Cosenza. Tra Natale e Capodanno non è escluso che Carbone si sposti a Messina, dove è commissario del partito e “dove – dice – c’è sempre molto lavoro da fare, nonostante i giorni di festa”.
Tornando al centrodestra, Denis Verdini, dopo il Natale in Toscana dovrebbe invece regalarsi qualche giorno in Svizzera.
La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si è da poco concessa un viaggio a New York con il fidanzato: quindi per Natale nessun volo in programma, ma soltanto qualche giorno con i suoceri in brianza.
Azzarda quasi l’esotico e si spinge lontano, la coppia Boccia-De Girolamo: il presidente del commissione Bilancio e la deputata tornata in Forza Italia andranno in Vietnam.
Niente viaggi in altri continenti, invece, per l’altra coppia bipartisan del Parlamento, quella formata da Laura Ravetto e Dario Ginefra.
Dopo la celebre litigata via Twitter tra i due sembra essere tornato il sereno: dopo un Natale trascorso a Cuneo dai genitori di lei, è in programma qualche giorno in una Spa in Piemonte. “Così possiamo farci belli per il matrimonio”, commenta la deputata azzurra.
Nella galassia 5Stelle, mantiene il massimo riserbo invece Alessandro Di Battista, fotografato da poco in compagnia della sua fidanzata.
Roberto Fico non esita a dire che sarà a Napoli: “Nella mia bellissima città , con la mia famiglia”. Alessio Villarosa, dopo essersi dedicato alla battaglia parlamentare contro il decreto ‘Salva banche’, si concederà qualche giorno di riposo e un pizzico emozionato dice: “Vado in Veneto. È il primo Natale con i genitori della mia fidanzata”.
A sinistra invece il capogruppo di Sinistra italiana, Arturo Scotto, andrà in Francia dai suoceri.
Tutti in famiglia, quindi, e tutti per lo più a casa. Almeno ufficialmente.
Ma i flash dei paparazzi sono sempre pronti a immortalare i politici davanti a un cocktail o in costume dall’altra parte del mondo.
(da “Hufffingtonpost”)
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Dicembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
NELL’APPENNINO MODENESE CON I 243 DIPENDENTI CHE VEDONO IL PERICOLO IL POSTO DI LAVORO… LA PHILIPS VUOLE DELOCALIZZARE IN ROMANIA
Una messa di Natale sugli Appennini (anche) per difendere un marchio tra i più noti del made in Italy: Saeco, le macchine del caffè celeberrime nei bar.
Logo tutto rosso, impresso anche in certe storiche maglie di una squadra pluri-vincente nel ciclismo con Cipollini, Simoni, Cunego.
Nonostante i fasti passati, ora i dipendenti se la passano male: la proprietà , quella della multinazionale olandese Philips, a novembre ha annunciato il licenziamento di 243 operai sui 558 in pianta organica.
A casa uno su due per delocalizzare l’attività in Romania.
Una falcidie pesantissima, anche perchè il personale è impiegato per intero in un solo impianto a Gaggio Montano, borgo di 5 mila anime sull’Appennino emiliano che molto si appoggia all’indotto della Saeco. Trasporti, rifornitori, tornitori di precisione.
Da queste parti la storia è passata pesantemente: il monastero di Camaldoli non è nemmeno troppo lontano. E poi i nomi di Ronchidoso, Silla e Molinaccio, frazioni di Gaggio dove, in tre distinti eccidi, i nazisti fecero fuori, tra il 24 settembre e il 2 ottobre 1944, un totale di 90 persone. Bimbi, adulti, anziani. Operai.
Tra i 243 esuberi c’è anche qualche lontano parente dei martiri. Fascicoli trovati negli archivi della vergogna e processi mai celebrati
Giovedì notte lavoratori che dovrebbero conservare il posto e quelli nella lista dei licenziati si sono ritrovati davanti al cancello d’ingresso della Saeco per la messa della Vigilia officiata dal parroco di Porretta Terme Lino Civerra ed alla quale hanno preso parte, in segno di solidarietà , molte persone che abitano sull’Appennino bolognese.
Nel giorno di Natale, i lavoratori che non hanno abbandonato il presidio, sono stati raggiunti dal sindaco di Bologna.
Due delle ultime iniziative prese scongiurare la delocalizzazione dell’impianto che azzererà l’occupazione.
Il 23 c’erano state le t-shirt dei 243 operai sistemate in piazza Maggiore, a un tiro di schioppo dalla sede comunale del capoluogo emiliano. Su ogni maglietta stesa sul crescentone, un numero: da 1 a 243. Accanto alla fila l’immancabile caffè offerto ai passanti con una delle macchinette.
Senza contare la «maratona artistica» ancora in corso: cantanti, musicisti e poeti che si esibiscono un po’ ovunque, tra Appennino e Bassa, a favore della Saeco.
E poi anche quell’appello per «una legge contro le multinazionali che delocalizzano» lanciato dal palco della Leopolda davanti al premier Renzi che l’aveva invitata, da una dipendente del marchio, Cinzia Nanni, 26 anni nell’azienda.
Senza contare l’augurio esplicito agli operai dell’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi: «Buon lavoro e buona lotta».
Nel frattempo si muovono sindacati e governo per premere su Philips.
Mentre Fiom e Pd bolognese sono ai ferri corti – il sindacato non vuole che «gli esuberi diventino davvero esuberi» ed è propenso alla «linea dura», il partito ipotizza una specie di «exit strategy» per ricollocare gli esuberi -l’idea dell’esecutivo è di riportare la produzione delle macchine da caffè di alta gamma a Gaggio Montano e vincolarle con investimenti e tre anni ammortizzatori sociali, prevedendo esclusivamente uscite volontarie e incentivate.
Questa la proposta fatta dal ministro dello Sviluppo economico, Federica Guida alla multinazionale e illustrata a Fiom-Cgil e Fim-Cisl.
E Philips? Stando a quanto emerso in un incontro del 22 «l’azienda nel ribadire che non ha ritirato gli esuberi, ha dato timidi segnali di apertura e dice che si prende tempo per valutare le proposte del ministro», riferiscono i delegati di Saeco.
Se ne riparlerà il 18 gennaio in un nuovo tavolo ministeriale.
Alessandro Fulloni
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
200.000 PARTECIPANTI IN 650 CITTA’
I tavoli allestiti, come da tradizione sotto le volte dorate e fra le antiche colonne della basilica di S. Maria in Trastevere: e a tavola l’umanità variopinta e dalle mille storie che si intrecciano che sono l’ingrediente principale dei pranzi di Natale di Sant’Egidio.
La tradizione nata a Roma nel 1982 della Festa con i poveri è ormai diffusa in tutto il mondo: 200 mila i partecipanti per questo Natale in 650 città , soprattutto in Africa, Asia e Sud America.
A Roma Sant’Egidio ha offerto il pranzo a 20 mila persone: anziani soli, senza tetto, rom, immigrati e italiani in difficoltà .
È stato creato l’hashtag #mercychristmas, in cui il gioco di parole fra «merry» e «mercy» ricorda la misericordia del Giubileo straordinario.
E fra i 600 di Santa Maria in Trastevere c’era un ospite particolarmente illustre: «Il Papa vi vuole bene», ha detto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, nel portare il saluto di Francesco ai circa 600 ospiti del pranzo di Natale della Comunità di Sant’Egidio a Santa Maria in Trastevere a Roma.
E ha aggiunto: «Ero con Francesco quando, nel suo messaggio Urbi et Orbi, in San Pietro, ha ricordato i Paesi da cui provengono alcuni di voi. Qui c’è l’esempio che si può vivere insieme». Quest’anno è particolarmente numerosa la percentuale di rifugiati e richiedenti asilo, viene riferito.
Oltre settemila ospiti hanno partecipato ai tradizionali pranzi di Natale allestiti dalla Comunità di Sant’Egidio a Genova.
Per tutti oltre al pranzo un piccolo regalo distribuito dai tanti volontari che hanno scelto di far compagnia a anziani soli, homeless, rifugiati e detenuti.
Tra loro anche 200 richiedenti asilo
Al pranzo allestito all’interno della basilica dell’Annunziata ha portato un saluto anche il presidente della Cei e arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco.
«Sederci a tavola insieme ai più fragili aiuta a disarmarci dalla durezza e a riscoprire un senso di responsabilità per la nostra città – ha detto il responsabile della Comunità Andrea Chiappori -. Contribuisce a costruire una rete di rapporti e incontri che protegge dall’isolamento, dall’anonimato, dalle contrapposizioni in cui si sviluppa la violenza».
Ester Palma
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 25th, 2015 Riccardo Fucile
VOLEVA REGALARLI PER LE FESTE MA LA PENSIONE DA 400 EURO AL MESE NON LE CONSENTIVA LA SPESA…MA NESSUN GOVERNO PENSA AI PENSIONATI AL MINIMO
Ruba da un supermercato 27 euro di caramelle per regalarle ai nipoti per il Natale, ma alle casse viene scoperta e i carabinieri saldano il conto per lei.
È la storia che arriva da Manerba, nel Bresciano, e che vede protagonista una signora di 75 anni alle prese con una pensione da 400 al mese finita troppo presto.
“Non sono una ladra volevo solo fare un regalo ai miei nipotini ma ho finito i soldi”, si è giustificata la donna, sorpresa con la borsa piena di dolci.
Due carabinieri intervenuti su segnalazione della direzione del supermercato hanno però deciso di non punire per il gesto l’anziana, ma, al contrario, di saldare il conto con il supermercato dopo aver effettivamente verificato le condizioni economiche dell’anziana signora.
Ora qualcuno dirà che spendono soldi per i profughi invece che darli agli italiani che hanno bisogno.
La verità è un’altra: uno Stato degno di tale nome fa pagare le tasse agli evasori ed elimina la corruzione. A quel punto con 150 miliardi l’anno di maggiori entrate si potrebbero aiutare gli indigenti, i pensionati al minimo, le giovani coppie, gli sfrattati e costituire un fondo di solidarietà sociale.
Ma nessun partito che ha governato l’Italia negli ultimi decenni ha mai avuto il coraggio di mettere in galera gli evasori nel timore di perdere consensi.
E le nonnine che rubano le caramelle sono solo destinate a moltiplicarsi, nell’ipocrisia di quei “buoni borghesi” che poi magari accusano i profughi e mai i propri simili.
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