Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL BALLISTA NE SPARA UN’ALTRA: “COME IN GRAN BRETAGNA REFERENDUM SULLA UE IN PRIMAVERA”… MA IL VOTO SAREBBE GESTITO NEI GAZEBO DELLA LEGA, UNA GARANZIA DI PATACCA PER POCHI INTIMI
Il prode Matteo, reduce da una visita turistica alle piazze e al metrò di Mosca dove, non conoscendolo, gli hanno permesso di viaggiare, è tornato in Padagna e, pensando di imitare gli statisti veri, ha convocato una conferenza stampa per fine anno.
Tra qualche fetta di panettone con la pancetta lanciata al volo ai giornalisti e balle stratosferiche sulle percentuali che la Lega avrebbe raggiunto (in realtà e’ in calo al 14%), il sistemamogli senza concorso annuncia un comizio a Milano con Marine Le Pen, “forse il 28 gennaio”, se Marine non gli tira il pacco come fece a febbraio (mandò solo un videomessaggio).
Poi aggiunge, guardandosi intorno per sincerarsi che qualcuno gli creda: “”Ho invitato anche i rappresentanti del movimento di Putin”.
Mah, forse glielo avrà chiesto sul metro di Mosca…
Poi ecco la balla stratosferica: “per la primavera prossima organizzeremo il primo grande referendum in Italia sull’Europa, così come ci sarà l’occasione per i britannici di votare per rimanere in questa disastrosa Europa o uscirne salvandosi”.
Con una piccola differenza: in Gran Bretagna è un voto serio nelle cabine elettorali.
E in Italia come si svolgerebbe?
Ecco l’esilarante spiegazione: “in contemporanea al voto di Londra allestiremo in tutta Italia dei gazebo per un referendum per chiedere a 60 milioni di italiani se vogliono rimanere schiavi di questa Europa o rialzare la testa”.
Quindi senza controlli e per far votare solo qualche migliaia di leghisti, tanto per capirci.
Gran finale con 3-panettoni-3 offerti ai giornalisti (quasi tutti rifiutano l’assaggio del panettun alla pancetta), niente spumante: neanche la moglie di Calderoli avrà voluto fare da sponsor e sacrificare 3 bottiglie.
Prima di uscire Salvini si lancia: “l’anno prossimo puntiamo a quota 20”.
Non è chiaro se si riferisse alla percentuale di voti o a quella della gradazione alcolica.
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Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
SIAMO ALLA FARSA: “LA SOCIETA’ TREVI NON SI E’ AGGIUDICATA L’APPALTO, HA SOLO PRESENTATO I DOCUMENTI PER PARTECIPARVI”… MA ALLORA COSA MANDIAMO A FARE 450 SOLDATI?…IL MINISTRO IRACHENO: “L’IMPIANTO E’ GIA’ PROTETTO DAI NOSTRI MILITARI”
«Nessuna intesa è stata finora sottoscritta tra governo iracheno e italiano», ha detto il portavoce dell’esecutivo di Baghdad, Saad al Hadithi, dopo l’annuncio fatto la settimana scorsa dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Ma Roberta Pinotti, parlando in audizione nel Copasir, ha ipotizzato l’invio di 450-500 militari, sottolineando che il loro compito sarebbe quello di presidiare il cantiere e tutelare la quarantina di tecnici italiani che vi lavoreranno.
E ha aggiunto che la partenza è programmata per primavera.
L’intervento italiano, ha sottolineato il ministro, avverrà in accordo con le autorità irachene e si aggiungerà alla missione già in corso ad Erbil – la capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno – che vede i militari tricolori impegnati nell’addestramento dei miliziani Peshmerga che già presidiano la diga di Mosul, 35 chilometri a nord della città in mano all’Isis.
Fonti della Difesa hanno intanto detto all’Ansa che il primo sopralluogo è stato compiuto – e altri sono in programma – da una “advanced team” composto da militari provenienti dall’Italia insieme ad altri già presenti in Iraq, nell’ambito delle missioni di stanza ad Erbil e Baghdad.
Lo schieramento dovrebbe appunto avvenire tra maggio e giugno. Il nocciolo duro del contingente, a differenza delle indiscrezioni trapelate nei giorni scorsi, non dovrebbe essere costituito dai para’ della Folgore, ma – forse – dai bersaglieri della brigata Garibaldi, con i loro mezzi blindati. Ci saranno poi appartenenti alle forze speciali, artificieri ed altri assetti, con una copertura aerea.
Ma le cose pare non stiano affatto così.
Da Baghdad, il ministro delle risorse idriche Mushsin Al Shammary, ricevendo ieri l’ambasciatore italiano, Marco Carnelos, ha affermato che l’Iraq «non ha bisogno di alcuna forza straniera per proteggere il suo territorio, i suoi impianti e la gente che ci lavora».
L’ambasciatore Carnelos ha risposto sottolineando che «ogni eventuale dispiegamento di truppe italiane, a Mosul o in qualsiasi altra parte del territorio iracheno, potrà avvenire solo d’intesa con il governo iracheno».
Quanto al contratto per i lavori di consolidamento, Al Shammary si è limitato a dire che la società Trevi ha «presentato i documenti per partecipare alla gara».
Ma il ministro Pinotti ha sottolineato che il gruppo romagnolo è l’unica ditta ad essersi candidata e quindi l’esito dovrebbe essere scontato.
All’invio dei militari italiani si è intanto dichiarato decisamente contrario il leader radicale sciita Moqtada Sadr, già uno dei protagonisti dell’insurrezione contro le truppe americane d’occupazione, affermando che «l’Iraq è diventato una piazza aperta a chiunque voglia violare i costumi e le norme internazionali».
(da “La Stampa”)
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Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
ASSICURANO LA TENUTA DEL GOVERNO MA VENGONO USATI SOLO COME STAMPELLA, INCIDONO POCO E NULLA
Da quando ha fatto il suo ingresso alla Camera, la deputata Pd Cinzia Maria Fontana non ha perso un colpo: in quasi tre anni è riuscita a non mancare nemmeno a una delle oltre 14 mila votazioni elettroniche d’Aula.
Mai un’influenza, un imprevisto, un ritardo l’ha tenuta lontana dal suo scranno. Nessuno è stato più assiduo di lei, nell’emiciclo di Montecitorio.
Eppure, a fronte di tale impegno stacanovista, questa ex sindacalista Cgil ha una produttività che è la metà rispetto a quella dei suoi colleghi.
Risultato: è relegata nella parte bassa della classifica, alla posizione numero 408.
Giuseppe Guerini siede sulla sua stessa fila, a pochi banchi di distanza. Anche lui del Pd, anche lui lombardo, anche lui diligentissimo.
Di votazioni ne ha saltate due soltanto: lo scorso 24 novembre, durante la quarta lettura della riforma costituzionale firmata Maria Elena Boschi.
Eppure – malgrado il 99,99 per cento di presenze in Aula lo collochi al secondo posto – anche lui ha un indice di efficacia molto al di sotto della media e in classifica è solo 323esimo. Come anche il terzo sul podio Tino Iannuzzi, pure lui Pd , 260esimo.
È la triste vita del peone del Partito democratico, messa in luce dal nuovo dossier dell’associazione Openpolis dedicato alla produttività parlamentare e presentato in anteprima dall’Espresso.
Un indice calcolato in base alla partecipazione ai lavori, alla presentazione di atti, all’approvazione di propri progetti di legge o alla capacità di raccogliere su di essi un consenso trasversale, con l’assegnazione di diversi punteggi. Il risultato è un valore che consente di valutare la capacità di incidere sulla legislazione di ogni singolo deputato e senatore.
Che dimostra, ad esempio, proprio il ruolo negletto di tanto sconosciuti deputati del Pd, ridotti a schiaccia-pulsanti per conto del governo: fondamentali per assicurarne la tenuta, compensare le assenze negli altri partiti della maggioranza e convertire i decreti di Palazzo Chigi ma dall’influenza scarsa o nulla. Soprattutto alla Camera.
Un male che però non sembra affliggere i senatori democratici, tutti nella parte alta della classifica.
Come spiegare questa differenza? Innanzitutto col fatto che a Palazzo Madama i parlamentari sono la metà e quindi è più agevole influire sul processo legislativo.
Ma anche perchè al Senato il Pd ha “solo” 112 onorevoli (contro i 302 di Montecitorio) e quindi è più facile diventare relatore di qualche disegno di legge e guadagnare punteggio.
Con un Parlamento ridotto da anni a propaggine del governo di turno, il risultato è comunque che tantissimi onorevoli democratici si limitano a fare presenza.
Un pacchetto di mischia buono per strappare l’ovale all’avversario ma spesso incapace di fare meta.
Fra i primi 50 deputati per tasso di partecipazione ai lavori d’Aula, ad esempio, quelli del Pd sono 45 ma navigano per lo più nella parte bassa della classifica.
E i loro colleghi meno assidui non fanno meglio: nel complesso tre quarti degli eletti dem (ben 226) non raggiungono la sufficienza.
Solo Forza Italia fa peggio. Musica simile a Palazzo Madama: fra i 20 più presenti, 17 sono del Partito democratico ma il 60 per cento dei senatori del gruppo (ovvero 67) risultano al di sotto della media di produttività . Insomma, col pallino in mano al governo, pochi riescono a ritagliarsi uno spazio.
Il Pd in Parlamento, insomma, deve assicurare la tenuta del governo, in particolar modo al Senato dove i numeri sono più risicati.
Con un paradosso: essendo alla Camera a un soffio dalla maggioranza assoluta (grazie al generoso premio di maggioranza assegnato dal bistrattato Porcellum) questo sforzo i democratici a Montecitorio lo reggono quasi da soli.
E malgrado i tanti posti-chiave nell’esecutivo, i deputati di Area popolare (Ncd-Udc) non brillano affatto per zelo: più della metà sono sempre assenti.
La lezione è chiara: in Parlamento pesa solo chi ha un ruolo istituzionale.
Che sia la presidenza di una commissione o un incarico da capogruppo. Solo così si può sperare nell’approvazione di emendamenti a propria firma o su un incarico di relatore per i provvedimenti più delicati. In questo modo, anche senza essere un presenzialista dell’Aula, è possibile scalare la vetta della produttivit�
Lo dimostra il caso del deputato Francesco Paolo Sisto, l’ultrà berlusconiano che Forza Italia vorrebbe far eleggere alla Corte costituzionale. Presidente della commissione Affari costituzionali fino alla scorsa estate, è stato correlatore dell’Italicum e della riforma Boschi ed è il primo in classifica alla Camera.
Malgrado abbia un tasso bassissimo di presenze: il 27 per cento appena.
Proprio come un altro forzista doc: il presidente della commissione Giustizia del Senato, Nitto Palma, relatore del ddl Anticorruzione e di quello sul voto di scambio mafioso, che ha partecipato solo al 38 per cento delle votazioni.
Sisto e Palma non sono soli.
La terza classificata alla Camera, Donatella Ferranti, presiede la commissione Giustizia e ha partecipato solo a 1 votazione su 3.
Ma ci sono anche eccezioni lodevoli, di parlamentari che concepiscono il loro lavoro anche sotto il profilo della presenza ai lavori.
La prima classificata al Senato, Loredana De Petris (Sel), è capogruppo sia in Aula che in commissione Affari costituzionali e ha un tasso di partecipazione dell’84 per cento.
Ancora più diligente Giorgio Pagliari (Pd), che al terzo posto per produttività aggiunge il 96 per cento di presenze.
(da “L’Espresso“)
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Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
DA GENNAIO STOP AI TICKET IN VENDITA DAI TABACCAI… PROTESTA DEI PENDOLARI
Addio ai biglietti dei treni regionali a fascia chilometrica.
Dal 1° gennaio 2016 Trenitalia manda in pensione gli storici tagliandi in commercio da ventidue anni, che non hanno data di scadenza e indicazione della tratta e che sono in vendita nei bar, nelle edicole e nei tabacchi.
Una rivoluzione voluta dalle Ferrovie: “Un graduale passaggio dalla carta al digitale necessario anche a causa dell’alto tasso di evasione dei biglietti chilometrici”, spiegano dall’azienda.
Nel 2015 ne sono stati venduti 35 mila, il 15,5 per cento del totale di tutti i tipi di tagliandi emessi e il tasso di evasione ed elusione è stato dell’8,5.
Una percentuale alta perchè, non avendo indicazioni di linea e orari, vengono spesso utilizzati per tratte superiori alla fascia chilometrica acquistata, oppure, in caso di brevi tragitti, vengono comprati ma non obliterati come accade per esempio in Toscana, sulla Firenze-Lucca-Viareggio, nelle corse utilizzate soprattutto dagli studenti.
La soppressione, se da un lato può contrastare l’evasione, preoccupa dall’altro pendolari e lavoratori. “Sono biglietti versatili, da tenere in tasca e usare all’occorrenza – lamenta Vanni Ghimenti, portavoce di un comitato toscano – potevano essere comprati rapidamente senza fare la fila alla biglietteria ed erano molto utili agli anziani o per chi ha difficoltà ad usare le emettitrici self service”.
I biglietti, fuori commercio da gennaio, potranno comunque essere acquistati fino al 31 marzo e utilizzati fino al 30 giugno 2016 salvo esaurimento scorte: “Ho tentato di procurarmene altri – spiega un tabaccaio poco lontano da Torino Porta Nuova – ma qui in zona già non si trovano”.
La decisione di Trenitalia era nell’aria da tempo, ma ora l’azienda di trasporto ha reso noti i dettagli.
Le edicole e i quattromila tabacchi delle stazioni italiane aderenti alla Fit sono già dotati di un terminale, una sorta di macchinetta self service, che stamperà un vero e proprio biglietto con partenza, arrivo e validità di due mesi.
E potranno essere acquistati fino a 20 minuti prima della partenza del treno.
Così, per evitare code e attese più lunghe per i viaggiatori l’edicolante della stazione di Bologna ogni mattina si porta avanti con il lavoro e crea delle scorte stampando mucchietti di biglietti per le città più richieste.
“Un pendolare che dovrà prendere al volo un treno per Modena, Piacenza o Porretta Terme – dice – troverà già il biglietto pronto”.
“I tagliandi – spiega Trenitalia – costituiranno una base scientifica per monitorare i flussi e migliorare l’offerta in base alla reale domanda”.
Ma il pensionamento dei chilometrici ha messo in allarme anche le associazioni dei consumatori: “È un’opportunità da non eliminare – dice Pietro Giordano, presidente di Adiconsum – una ferita che si sarebbe potuta evitare. Così non si favorisce l’utilizzo del treno”.
I ferrovieri invece, temono la riduzione del lavoro per le biglietterie di Trenitalia. “Aumentare i punti vendita esterni riduce sempre di più i servizi effettuati con il personale dell’azienda”, afferma Andrea Pelle, segretario generale del sindacato Orsa. Secondo la Filt Cgil Lucca, invece, “la soppressione porterà disagi anche agli utenti perchè i tempi di attesa nelle biglietterie aumenteranno soprattutto alla presenza di comitive numerose, manifestazioni e festività “.
E secondo il sindacato non diminuirà l’evasione: “Con attese più lunghe molti passeggeri non compreranno il biglietto – dice la Filt Cgil – anche perchè spesso le emettitrici self service nelle piccole stazioni non accettano il contante perchè piene”.
Gerardo Adinolfi
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
UN MILIONE E 700MILA EURO PER 59 BENEFICIARI
In Campania il vitalizio si percepisce anche dopo la morte. Un milione e 700 mila euro finisce nelle tasche di coniugi, figli e parenti di 59 ex consiglieri defunti. La regione Campania stacca puntualmente l’assegno, insieme a 11 milioni diretti ad altri 184 beneficiari, ancora in vita.
Si legge sulla Città di Salerno:
I più alti assegnati a Francesco Porcelli, socialista di Torre Annunziata, già vice presidente di giunta e consiglio, morto 6 anni fa, o a Giovanni Alterio medico e politico di San Gennaro Vesuviano e amicizie nella famiglia dell’ex boss Carmine Alfieri, scomparso a 44 anni nel ’99: la vedova Rosa Catapano fu candidata l’anno dopo dall’Udc di Casini al consiglio regionale.
I più bassi, 1.500 euro, maturati da vecchi liberali come Enrico Cerza, vecchi socialisti come Umberto Palmieri.
Ex comunisti come Telemaco Malagoli, 2 mila euro, diventato consigliere con i Verdi e coinvolto in un blitz che lo mise ai domiciliari per una truffa sui rimborsi farmaceutici. Carmine Mensorio (1998), potente direttore dell’Isef di Napoli, il più votato nella Dc alle regionali del 1975 e vent’anni dopo accusato di legami con la camorra.
Si buttò da una nave tornando dalla Grecia.
Ecco i salernitani. Roberto Virtuoso (2.397 euro) da Cava dei Tirreni fu assessore al turismo con la Dc; Gerardo Ritorto (1.998 euro) rampante socialista del Vallo di Diano, morì in un incidente d’auto.
Michele Scozia (2.242 euro) sindaco di Salerno con la Dc. Michele Giannattasio (1.998 euro) sindaco di Acerno.
Filiberto Menna (1.998 euro), critico d’arte, figlio dello storico primo cittadino Alfonso, abbandonò la tradizione democristiana del padre, si candidò come indipendente nelle liste del Pci e nel 1975 fu eletto consigliere regionale.
Vincenzo Casalino (1.899 euro) socialista dell’Agro nocerino, Giuseppe Amarante (1. 761 euro) storico dirigente del Pci di Salerno.
Edmondo Cuomo, repubblicano, già sindaco di Nocera inferiore ( 2.997 euro); il socialdemocratico cilentano Paolo Correale (3.596 euro).
Tutti hanno lasciato nei loro cari un buon ricordo, ma anche un vitalizio.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
ALL’ORIGINE LA SENSAZIONE CHE A SILVIO DEL PARTITO NON INTERESSI PIU’ NULLA E LA DERIVA LEGHISTA NON CONDIVISA… MA OCCORRE RICORDARE CHE FORZA ITALIA HA GIA’ PERSO 50 SENATORI E 47 DEPUTATI, LA META’ DEGLI ELETTI
Non solo Renata Polverini. Denis Verdini sta parlando con tutti, ma proprio con tutti i 54 deputati e i 42 senatori di Forza Italia.
E il grimaldello dei colloqui, la frase che apre le conversazioni, è il dubbio che sta prendendo sempre più consistenza tra i forzisti: “Ma non l’hai capito? Berlusconi ha deciso di sciogliere il partito senza dirlo. O ti muovi ora o sarà troppo tardi”.
Gli episodi che vengono messi in fila e letti come indizi in questa direzione sono numerosi: l’abbandono della partita sul Csm; il licenziamento dei dipendenti e la disdetta della sede; lo stop and go sui capigruppo; la difesa a oltranza di Brunetta nonostante la palese conflittualità con l’intero gruppo.
Persino la cena di Natale cancellata e sostituita dalla tavolata privata in casa Signorini viene letta come un segnale di definitivo distacco umano oltrechè politico del Cavaliere dai “suoi”, perchè era lì, in fondo, che il vecchio mondo berlusconiano consolidava le gerarchie interne o ne stabiliva di nuove guardando la disposizione dei posti a sedere, il calore dei saluti, la qualità e la quantità degli scambi di auguri e di battute col padrone di casa.
La parola “sfascio” è la più citata nelle conversazioni. In imminente partenza vengono dati Giorgio Lainati, Guglielmo Picchi, Giuseppina Castiello, e anche le ex fedelissime Laura Ravetto ed Elvira Savino, ma l’elenco è molto più lungo.
Ad agire non solo l’insoddisfazione, i timori per il futuro, la mancanza di uno schema di gioco, ma soprattutto la sensazione che lui, il Cavaliere, abbia abbandonato la partita e non intenda tornarci.
Chi ci ha parlato lo racconta insofferente a ogni richiamo alla realtà e trincerato dietro la tesi che se Forza Italia arranca è perchè lui non può andare in tv.
O, peggio, contagiato dal virus del complottismo, perchè dopo Fini, Alfano, Fitto, Verdini, intravede dietro ogni critica un tradimento, una nuova potenziale scissione, e bisogna anche misurare le parole per non finire nella lista dei “cattivi”.
Quello che fu il grande federatore delle destre, insomma, non riesce più a tenere federati i suoi e c’è una bizzarra nemesi nel destino di quest’uomo che ha resistito come nessuno nel ventennale scontro frontale con la sinistra, con le procure, con gli avversari interni di maggior rango, e ora rischia di diventare marginale per uno sfilacciamento progressivo senza un chiaro perchè.
“L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio” diceva ai bei tempi nei comizi, e forse alla fine aveva ragione lui, perchè non è l’odio a sconfiggerlo nel momento più difficile della sua parabola ma il disamoramento, l’incomprensione, l’impossibilità di un chiarimento.
Il gruppo di Forza Italia al Senato, secondo i calcoli di Openpolis, ha perso 50 deputati in due anni. Quello alla Camera ne ha lasciati sul campo 47.
In pratica, uno su due se ne è andato. Sono le cifre di una debacle, e non basta dire “il solito trasformismo italiano” per spiegarla.
Se nella fase iniziale dello smottamento hanno agito il desiderio di conservare un posto al sole (negli alfaniani al governo) e le promesse di miglior collocazione (la scissione di Verdini), adesso la partita si è fatta più politica.
Sullo sfondo c’è il progetto di un nuovo schieramento moderato, che sostituisca il berlusconismo con una proposta impastata dai reduci di tutti i centrismi in cerca di collocazione e futuro.
È per questo che la sirena di Verdini non suona più soltanto per i peones ma anche per politici di lungo corso come Renata Polverini: gente che non può rassegnarsi alla marginalità perchè ha avuto una storia prima di Forza Italia e intende averne una anche dopo.
L’Italicum, con la sua modesta soglia di sbarramento al 3 per cento e con la garanzia per i capilista bloccati, autorizza la speranza di sopravvivere allo tsunami delle prossime politiche.
E la segreta aspettativa di una modifica in extremis che sposti il premio di maggioranza dal singolo partito alle coalizioni, fa volare l’immaginazione.
Il resto lo fa la voce di Denis, uno di cui il parlamentare medio si fida perchè mai li consigliò contro il loro personale interesse.
«Vedremo dopo le feste» è la frase che ripetono gli interessati. Tutti i segnali di disagio sono stati lanciati.
Le interviste sono state fatte. Le cose sono state dette, o fatte riferire. Berlusconi può fingere ancora una volta di ignorarle, all’insegna del «senza di me dove vanno» — un classico delle sue risposte agli allarmismi interni — ma la verità è che altri posti dove andare adesso esistono.
E in un partito monarchico, dove non si possono ricostruire assetti convocando gli organi, votando o facendo congressi, la fuga comincia a sembrare a molti l’unica chance di sopravvivenza.
Flavia Perina
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
BANCA ETRURIA, GIUDIZI PESANTI SULLA GESTIONE: “UN CDA INCOMPETENTE CHE AVEVA ABDICATO AL PROPRIO RUOLO E UN DIRETTORIO POCO TRASPARENTE”
Un direttorio parallelo e “poco trasparente”. Si tratta della Commissione consiliare informale, di cui facevano parte il presidente Luca Rosi e i due vice, Alfredo Berni e Pierluigi Boschi.
Non solo: il consiglio di amministrazione aveva sostanzialmente “abdicato al suo ruolo”, lasciando quindi le decisioni da prendere al direttorio parallelo.
E’ quanto in sintesi ha detto Emanuele Gatti, il capo del team di Bankitalia che ha condotto le due ispezioni in Banca Etruria.
Lo riporta un articolo di Repubblica:
Viene sentito come persona informata dei fatti il 13 gennaio 2015 dai finanzieri di Arezzo che, per conto del procuratore capo Roberto Rossi, stavano indagando su Bronchi e Rosi. Gatti, dopo aver elencato una lunga serie di omissioni e di comportamenti anomali sulla gestione del credito e del patrimonio, mette nero su bianco quello che suona come un giudizio definitivo: «Il Cda dell’Etruria ha sostanzialmente abdicato al proprio ruolo in materia, lasciando ampia discrezionalità all’Alta Direzione (il direttore generale e il presidente, ndr). Il consiglio è composto da 15 elementi espressione del tessuto imprenditoriale e professionale aretino. Il contributo dialettico e propositivo dei consiglieri, quasi tutti privi di competenze specifiche, è risultato insufficiente».
Un’assenza di dibattito sulle questioni rilevanti, così come su operazioni deliberate tra le quali la vendita di obbligazioni subordinate ai clienti della banca.
Si decideva in pochi. E con il rinnovo del cda il 4 maggio 2014 le cose non cambiano.
Pier Luigi Boschi diventa vicepresidente di Banca Etruria, e insieme a lui Alfredo Berni, mentre Rosi viene nominato presidente. Con la nuova guida però le cose non cambiano per la banca.
Merita attenzione il ruolo svolto dalla ‘Commissione consiliare informale’, composta dal presidente, i due vice presidenti, i consiglieri Nataloni (indagato per il conflitto di interessi, ndr), Santoanastaso e Salini.
L’assenza di qualsiasi verbalizzazione delle attività svolte da tale ‘commissione’ ha concorso a rendere poco trasparente il processo decisionale.
Solo con molto ritardo il Cda dopo ulteriori sollecitazioni della vigilanza e i richiami del presidente del collegio sindacale, ha preso contezza dello stato di deterioramento della situazione tecnica di Banca Etruria».
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
SI CERCA DI TROVARE UNA SOLUZIONE DOPO CHE NESSUN PARTITO HA OTTENUTO LA MAGGIORANZA
Il Partito Socialista annuncia di volersi opporre all’investitura a capo del governo di Mariano Rajoy, ma non ha ancora sciolto le riserve sulla creazione di una coalizione alternativa al partito popolare.
Da parte sua, Podemos apre al “compromesso storico”.
All’indomani delle elezioni politiche vinte dal Partito Popolare, primo con il 28% ma non in grado di guidare da solo il Paese, prendono il via le trattative per la formazione della maggioranza.
Di fronte ai partiti si staglia un panorama politico che, tramontato il tradizionale bipartitismo iberico, gli analisti assimilano a quello italiano.
L’annuncio è arrivato dal segretario all’organizzazione, Cesar Luena: il Psoe arrivato secondo alle politiche, non appoggerà l’investitura a capo del governo del premier uscente.
Il leader socialista, Pedro Sanchez, ha annunciato di volersi ricandidare come segretario generale nel Congresso che si terrà tra febbraio e marzo 2016.
La comunicazione è arrivata durante la riunione esecutiva del partito, convocata per analizzare il risultato del voto. A tal proposito, Sanchez ha convocato per sabato prossimo il Comitato federale, l’organo di partito in grado di decidere la politica di eventuali alleanze in vista della formazione del governo.
Al momento, i socialisti non hanno ancora sciolto le riserve sulla creazione di una coalizione alternativa al partito popolare.
Negli stessi minuti in cui sui siti internet rimbalzava l’annuncio dei socialisti, Pablo Iglesias tracciava la strategia di Podemos: dopo la svolta delle elezioni di domenica, per la Spagna “è l’ora degli statisti”, ha detto il leader della formazione viola in una conferenza stampa, precisando che bisogna aprire un “processo di transizione che porti a un compromesso storico nel nostro Paese”.
Iglesias ha chiesto una riforma della costituzione su 5 punti: legge elettorale proporzionale, ‘blindare’ i diritti sociali, garantire il ‘diritto di decidere’ e un referendum sulla indipendenza della Catalogna, l’indipendenza della giustizia, e la fine delle ‘porte girevoli’ fra politica e grandi imprese.
Anche il leader dei post-indignados, che hanno fatto irruzione in parlamento ieri con 69 seggi su 350 diventando la terza forza politica del paese dopo Pp e Psoe, ha detto che Podemos si opporrà a un possibile governo Rajoy.
Iglesias ha sottolineato che il Psoe ha perso sei milioni di voti rispetto al suo migliore risultato, nel 2008 con Josè Luis Zapatero, e che il Pp ha registrato il peggiore risultato dal 1989.
Iglesias ha anche affermato che Podemos è pronto ad affrontare elezioni anticipate se la situazione politica rimarrà bloccata.
“Se si torna a votare, ha affermato, possiamo essere molto ottimisti“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 21st, 2015 Riccardo Fucile
ULTIMO CASO LA REGIONE CAMPANIA CHE HA PAGATO UNA SOCIETA’ PER AUMENTARE IL NUMERO DEI FOLLOWER
L’ultimo caso è quello della Regione Campania che ha pagato una società per aumentare il numero di fan della propria pagina Facebook.
In poco più di due mesi è passata da 4mila a 60 mila fan.
Ma nella lista degli acquirenti di «like» ci sono attori, cantanti, politici e aziende.
Per comprendere meglio questo mercato siamo andati dai cosiddetti ‘professionisti del like’, ossia coloro che promettono più click e fan in cambio di soldi.
Incontriamo due ragazzi di Bassano del Grappa che a poco più di 20 anni hanno basato su questo un business molto redditizio: fatturato da 20mila euro al mese (in forte crescita), cabriolet, vestiti alla moda.
Tutto grazie alle offerte di pacchetti di “mi piace”. Gestiscono le richieste dalla loro stanzetta. Arriviamo la mattina presto e il computer è già inondato di ordini.
C’è il cantante che ha richiesto trentamila fan sulla nuova fanpage, l’attore che vuole più followers su Instagram, il politico che chiede retweet.
Un filone in espansione, quest’ultimo.
«Ormai le campagne elettorali si sono spostate sui social network – dice Hamza El Hadri, fondatore della Socialite – Non ci chiedono più di diffondere loghi o slogan ma di moltiplicare i “Mi piace” ai loro commenti»
I costi partono dai 19,90 euro fino ai 1400 euro per avere centomila fan.
C’è un attore che compra praticamente ogni mese. L’ultimo versamento effettuato è stato di 750 euro. La sua pagina ha 170mila seguaci. Quando li contattò la prima volta ne aveva solo diecimila.
«Ora va forte, la gente vede che è seguito e lo ritiene molto bravo. Del resto lei andrebbe a un evento dove ci sono solo due partecipanti?» dice Hamza.
In questo modo qualsiasi banalità diventa un successo. Facciamo una prova. Pubblichiamo una semplice foto di un albero di Natale su Instagram.
Dopo qualche secondo già abbiamo ricevuto un centinaio di apprezzamenti.
Scrivere un post come “Oggi è una bella giornata di sole” diventa un tripudio di applausi.
Anche se sul social di Zuckerberg i like viaggiano più lentamente. Perchè lì bisogna evitare l’antispam che blocca incrementi inconsueti.
Tutto questo crea un effetto a catena tra i navigatori della rete. Anche chi non è interessato al contenuto tende a cliccarci su. «Semplicemente per la voglia di far parte di qualcosa di popolare», ci spiegano.
E c’è chi ne approfitta. Come una persona che periodicamente paga per aumentare le condivisioni sui video anti islam o che descrivono questa religione come violenta, da temere.
Si fa capire che “l’Islam moderato non esiste” per poi vantarsi di esprimere opinioni molto apprezzate: «Come vedete la pensano tutti come me».
Ma come funziona questo sistema e chi sono gli utenti che cliccano “mi piace”? Nessuno che vende questi servizi vuole svelarne il funzionamento.
Sia perchè non sempre è lecito sia perchè ci sarebbero frotte di internauti pronti a imitarli.
I due ragazzi che incontriamo ci dicono solo che si limitano a ricevere gli ordini e girarli a un network che poi si occupa della raccolta “like”.
Il 25% di quello che guadagno va al network. Così funziona anche per gli altri, con poche varianti. Contattiamo uno di questi network. Ci fingiamo acquirenti. Non di like ma dell’intero sistema.
Gli spieghiamo che vogliamo metterci in proprio. Ci risponde un ragazzo di 25 anni, di Belluno, lavora con il padre in azienda ma al tempo stesso ha sviluppato questa attività sui social.
All’inizio è diffidente. «Non ti posso dire come faccio ma ti dirò come fanno gli altri. E sono la maggioranza. Utilizzano degli shell script. Spiegato in parole povere… hai presente quando appaiono quelle finestre di benvenuto all’apertura di una pagina? Tu clicchi sulla X credendo di chiudere il pop up invece stai mettendo un “mi piace” da qualche parte. E chi programma questi script viene pagato profumatamente per inserirli»
Quella che ci descrive è solo una delle tante tecniche usate per accumulare like.
Il funzionamento è molto simile a quello che vi avevamo spiegato per le truffe telefoniche. Tuttavia, il ragazzo per invogliarci a comprare ci garantisce che il suo sistema genera solo utenti reali. Lo proviamo.
E tra i vari like ricevuti troviamo un certo Alfio Bellini, un maresciallo dei Carabinieri. Peccato però che negli archivi dell’arma non risulti nessuno con questo nome.
“A meno che non faccia parte di reparti speciali come i servizi segreti non esiste nei nostri archivi” ci dicono dall’Arma che ha avviato una verifica.
Il testo del profilo è scritto in indonesiano.E la maggior parte del traffico proviene dal Vietnam e dalla Thailandia. Sono tutti profili abbastanza standard: un paio di foto, qualche informazione generica e pochissimi amici.
Quando lo facciamo notare, il responsabile del network cambia atteggiamento. Davanti all’evidenza è costretto a spiegare qualcosa di più. «Diciamo che gli utenti internazionali sono metà reali e metà non reali insomma».
Ma non erano tutti reali? «In realtà mi affido a degli esperti che non sono italiani e nemmeno americani, sono soprattutto turchi e arabi che sanno generare profili falsi. Li vendono a buon mercato. Altre volte sono sviluppati da software monitorati costantemente da hacker. Così facendo se Facebook attiva l’antispam si riesce prontamente ad aggirarlo».
Questa specie di doping del gradimento virtuale non risparmia proprio nessuno e fa leva soprattutto su un fattore psicologico.
Perchè chi compra like aumenta il numero sul contatore della pagina ma non le persone che realmente lo seguono.
Se poi l’acquirente è un’istituzione c’è da chiedersi a cosa serva visto che chi segue la pagina non sempre è reale.
«Una verifica l’abbiamo fatta anche sugli account di alcuni politici, eravamo curiosi – dice Hamza -.
Ad esempio tra i seguaci di Matteo Salvini abbiamo evidenziato tantissimi fake, utenti non reali o utenti con profilo falso».
A confermare quello che dice ci sarebbero i dati di Twitter Audit, un algoritmo creato da David Gross e David Caplan con l’obiettivo di quantificare gli utenti non reali su Twitter (si basa soprattutto sull’attività che i profili svolgono sul social network, ossia la data dell’ultimo tweet, il numero di tweet, etc Il software considera un fake l’utente che da molto tempo non usa l’account).
Digitando il nome utente di Salvini risulta che quasi la metà dei suoi followers sarebbero finti o non attivi.
Fa peggio Beppe Grillo. Dei quasi due milioni di fan, per Twitter audit ben 1.209,654 risultano falsi.
(da “il Corriere della Sera”)
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