Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
VOTAZIONE N° 29: BARBERA 504, SISTO 493, NICOTRA 417
Ennesima fumata nera sulla elezione dei tre giudici costituzionali.
Il Parlamento ha «bocciato» ancora una volta Augusto Barbera (ha ottenuto 504 voti), Francesco Paolo Sisto (493) e anche la New Entry Ida Angela Nicotra (417).
Pd e Fi hanno confermano lo schema di voto mettendo sul piatto (al posto di Pitruzzella) la candidatura della docente di diritto costituzionale Ida Angela Nicotra. Ma l’esito è stato, per tutti e tre i candidati, ben lontano dal quorum richiesto dei 571 voti.
Nonostante gli appelli pervenuti da più parti a cambiare metodo, Pd e Fi hanno riproposto la terna che continua ad avere agli apici il ticket Augusto Barbera-Francesco Paolo Sisto.
Quest’ultimo osteggiato da parte della stessa Forza Italia, in subbuglio anche sul ruolo del capogruppo Renato Brunetta.
Tant’è che c’è voluto un sms dello stesso Silvio Berlusconi per cercare di arginare la rivolta e tentare di convincere gli azzurri a continuare a votare la terna.
Ma Sisto è stato platealmente affondato anche dai 5 Stelle che avevano offerto al Pd la sponda per un patto che si reggesse proprio sulla sua «eliminazione» dalla terna dei candidati.
«Non accetteremo mai uno scambio Barbera-Modugno ma se cade Sisto potremmo rivalutare tutti e tre i nomi» annunciava in mattinata il M5s che sembrava disponibile, in caso di apertura di Pd e Fi su due nomi di alto profilo ma lontani dai partiti, anche a rivalutare la possibilità di mettere in votazione sul blog il nome di Barbera.
Ma il Pd non si è fidato e, dopo una riunione di gruppo convocata poco prima dell’inizio del nuovo scrutinio, ha annunciato la terna Barbera-Sisto-Nicotra.
Tre nomi su cui nuovamente c’è stata la convergenza di Ap e, anche se obtorto collo, Scelta Civica: ma che sono stati bocciati dai Popolari che, dopo la rinuncia di Pitruzzella, avevano chiesto di sedersi al tavolo della trattativa per l’indicazione del sostituto.
«Abbiamo fatto una riunione di maggioranza per arrivare ad una candidatura condivisa ma questo nome spunta stasera: è un metodo inaccettabile» si è lamentato il capogruppo Lorenzo Dellai che ha poi confermato il voto di protesta dei popolari su Gaetano Piepoli, ormai collettore del disagio in tutti i gruppi (e infatti continua a crescere raggiungendo in quest’ultima votazione quota 100).
La Lega ha votato ancora scheda bianca mentre i 5 Stelle hanno insistito su Franco Modugno.
«Si schiantino pure», aveva detto Danilo Toninelli (M5s) rivolto a Pd-Fi: «è davvero impossibile far redimere il clan Renzi-Berlusconi, nonostante la più che ovvia richiesta del M5S rivolta ai piddini di tornare a dialogare con noi».
Ma il Pd non si è fidato: brucia ancora la decisione del M5s di non mettere neppure ai voti la sua scelta dopo che i 5 stelle avevano chiesto di anticipare il nome del candidato Pd per farlo votare dalla rete.
Quanto alla Nicotra, componente dell’Authority Anticorruzione, ex membro della Commissione di saggi di Napolitano e presente nel comitato scientifico di Magna Carta, la fondazione di Gaetano Quagliariello, ha raccolto gli stessi voti di Pitruzzella. Anche Sinistra Italiana ha bocciato la riproposizione dello schema di Pd e Fi:« Cambia solo una casella, ma non cambia il metodo».
(da “La Stampa”)
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Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
ALICE ANSELMO HA MUTATO CASACCA AL RITMO DI UNA OGNI SEI MESI
In tre anni trascorsi tra i banchi dell’Assemblea regionale siciliana è riuscita a cambiare ben sette gruppi parlamentari: più di due ogni anno.
Un vero record quello conquistato da Alice Anselmo, che forte di queste credenziali è appena riuscita ad ottenere una poltrona importante: quella di capogruppo del Pd al parlamento siciliano.
Incarico ambitissimo dato che il Pd è ormai saldamente il partito con più deputati a Palazzo dei Normanni: dopo le elezioni erano 17, oggi sono 25, quasi il 30 per cento dell’intero parlamento.
Merito della cura imposta da Davide Faraone, il sottosegretario all’Istruzione, vicerè di Matteo Renzi in Sicilia.
“Io dico no ad un modello chiuso: ci vuole un atteggiamento aperto, senza avere paura, la nostra ambizione deve essere quella di allargare l’orizzonte”, diceva il leader dei democrat, poco prima di aprire le porte del suo partito a deputati di ogni risma e colore.
Ex seguaci di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, parlamentari eletti con schieramenti opposti, cambia casacca di professione: tutti fulminati sulla via della Leopolda, anzi della Faraona, la kermesse organizzata dal sottosegretario per dare il benvenuto ai nuovi arrivati.
Tra loro anche Anselmo, che dal 25 ottobre del 2012, giorno dell’elezione a Palazzo dei Normanni, ha cambiato casacca al ritmo di una ogni sei mesi: eletta con il listino di Rosario Crocetta, è poi passata al gruppo Territorio, quindi all’Udc e ai Drs dell’ex ministro Totò Cardinale, dopo una parentesi nel Misto, e l’approdo ad Articolo 4, il partito dei moderati che sostenevano il governo, che si è poi sciolto con l’entrata nel Pd.
E dopo appena otto mesi di apprendistato ecco che Anselmo è stata designata a prendere il posto che fu di Antonello Cracolici, critico spietato del presidente Crocetta, salvo poi accettare la poltrona di assessore all’Agricoltura nell’ennesimo rimpasto di governo.
All’elezione di Anselmo, che fa parte ovviamente della corrente dei renziani, si arriva dopo settimane di impasse dovute ad un testa a testa con un altro pretendente alla carica di capogruppo dem.
Forse un rappresentante della cosiddetta sinistra Pd? Un seguace dei giovani turchi del segretario regionale Fausto Raciti? O un deputato sostenuto dai cuperliani superstiti? In lizza per guidare i dem a Sala d’Ercole, in realtà , c’era Luca Sammartino, anche lui renziano, benedetto direttamente da Faraone, che però alla fine ha deciso di ritirarsi dalla competizione in favore di Anselmo.
Sammartino aveva conquistato le pagine dei giornali già in campagna elettorale, quando dalla clinica catanese Humanitas partivano telefonate indirizzate ai malati di tumore, che invitavano a votare per lui.
“Humanitas non mi rappresenta in nessun modo e a nessun titolo. Se queste telefonate sono state fatte, sono a titolo assolutamente privato”, aveva detto il giovane deputato, che è casualmente il figlio di Annunziata Sciacca, direttore sanitario della stessa clinica oncologica.
Coincidenze a parte, è un fatto che lo stesso Sammartino ha aderito al Pd su input di Faraone: anche lui proviene da Articolo 4, dopo essere stato eletto nelle file dell’Udc. Un curriculum quasi identico a quello della neo capogruppo Anselmo, che la dice lunga su chi siano oggi gli azionisti di maggioranza del Pd in Sicilia.
Dove la famosa rottamazione renziana si è tradotta più che altro in un esempio di trasformismo.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
“PENSO A UN SENATO ROMANO CON VANZINA”
Renzi ha detto di Alfio Marchini: «Marchini non è in partita». Ma lui, il candidato sindaco più corteggiato della capitale, la bolla come una battuta infelice «più degna di un giudice di X Factor che di un premier», dice a Corrierelive.
E sogna un Senato romano, con Vanzina senatore a vita, dove recuperare quel senso civico che manca alla città .
Possibile che sarà proprio lui, l’imprenditore che si candida senza partiti, pur avendone un passato pieno, a conquistare Roma?
«Ho imparato sulla mia pelle che impossibile è un’opinione. Era impossibile tre anni che prendessimo il 3%, è successo. Era impossibile che Marino andasse a casa, è successo. Credo sinceramente che l’infelice battuta di Renzi sia più degna di un Crozza-giudice di X factor che un premier alle prese con una nazione in guerra».
Renzi ha paura di un modello Marchini?
«No, credo sia concentrato su cose più importanti, come la guerra, o il Pil che non cresce»
«Le buche contano di più delle ideologie»
Da membro della famiglia di sinistra a fuoriuscito: «Di una cosa bisogna farsene una ragione: gli estremismi ideologici non possono generare quei cambiamenti che ci aspettiamo. C’è bisogno di un estremismo del buon senso. Soprattutto quando si parla dell’amministrativo: c’è bisogno di cose concrete, delle buche da coprire, degli autobus che arrivino in tempo. Il vecchio schematismo centrosinistra-centrodestra dove di giorno fanno finta di litigare e di giorno spartiscono tutto, si è realizzato. E non ci è piaciuto. La nostra famiglia si muove in un percorso ideologico libertà di religione, parola, dal bisogno e dalle paure. Gli estremismi hanno creato una società piena di paure. Il welfare così com’è non sta in piedi e non vedo nessuna ricetta seria».
Ma della famiglia di centrosinistra, della cena con D’Alema, Cuccia, etc.- cosa resta a Marchini?
«Non c’è futuro senza memoria, piuttosto che per la rottamazione sono per un cambiamento, che però tenga conto del passato: quel bisogno di tenere insieme una comunità va conservato».
Il senso del civismo
Il partito della nazione? «E’ un progetto che non esiste, che sta sulla carta, credo che abbiamo bisogno di altro: noi siamo un movimento civico. Colui che capisce che la propria felicità non è un discorso individuale ma legato a quello degli altri, intraprende un percorso civico. La politica dovrebbe contenere il civismo, se non lo contiene non va bene. Non vedo questa preoccupazione del civismo come se dovesse togliere qualcosa a qualcuno».
Possibile vincere le elezioni a Roma senza avere un partito?
«I fatti hanno un senso: era mai credibile , avrebbe mai scommesso che il Pd del 40% avrebbe cacciato Marino?», ribadisce Marchini.
La questione Marino
Vero che senza la sua di firma i 19 consiglieri non avrebbero firmato per le dimissioni di Marino?
«Nessuno mi ha chiesto una mano, noi ci eravamo già autosospesi a giugno, avevamo detto che quel governo della città non poteva andare avanti. Non c’è stato nessun annuncio trionfale da parte mia, ma dal notaio si è registrato che quel vecchio meccanismo non era più in grado di governare la città . Se non c’erano i nostri voti, Marino non sarebbe andato a casa».
«Siamo come Ciudadanos di Rivera»
Perchè la gente dovrebbe votare Marchini e non i 5 Stelle?
«E’ lo stesso motivo per cui in Spagna si vota Ciudadanos di Albert Rivera e non più Podemos: per spezzare il bipolarismo».
Se Marchini diventasse sindaco, il progetto dello stadio della Roma che fine farebbe? «Andrebbe potenziato sulla parte infrastrutturale», dice Marchini, che non ha nascosto in passato di non approvare quel progetto.
Ma sulla questione alleanze Marchini glissa: «Ho grandissimo rispetto per i partiti, per quanto reputo che abbiano fallito in questi anni a Roma: ma io presenterò insieme a una squadra straordinaria un’idea programmatica di Roma, è qualcosa di diverso. Noi abbiamo un’identità che non può essere cambiata. Un movimento civico incide politicamente. Per sgombrare il campo, che faremo? Stiamo presentando un piano quinquennale di Roma. Le prime dieci delibere sono già scritte, per cui dopo Natale andranno su internet, verranno pubblicate e i cittadini potranno intervenire. Non è il programma che vale tutto e nulla, ma una delibera che funziona».
Le priorità
I primi problemi di Roma?
«Sicurezza; lavoro; i trasporti e le strade lasciate a colabrodo; la semplificazione; e i rifiuti. Poi c’è il decoro: ci sono ancora 500 persone che lavorano nell’Ufficio decoro, di cui 300 giardinieri, che potrebbero essere messi in strada con una pettorina e occuparsi degli spazi dei municipi».
Prima i tram e poi la metro
Secondo Marchini, «abbiamo la possibilità di potenziare in tempi molto brevi la copertura tranviaria. Una linea che va sul lungotevere, ad esempio. L’8 che possa arrivare fino al Colosseo. Un’altra linea che passa da Caracalla e torni indietro. Sono cose che hai tempo di fare in cinque anni. La metro C è importante come opera, va razionalizzata, ma non dimentichiamoci che non siamo Parigi nè Londra. Quindi prima diamo ossigeno al traffico, liberiamo le risorse, poi ci ragioniamo sulla metro C. Atac? Ha un problema strutturale, non ha una contabilità industriale, fatta per fare utile sugli investimenti, ma è destrutturata, va reimpostata in maniera intelligente. Prima devo renderla efficiente, poi devo pensare se c’è troppo personale. C’è gente che non paga? Facciamo i tornelli. Gli autobus? Il 70% ha nove anni di vita, il 70% dei costi di manutenzione è dovuto al fatto che sono mezzi vecchi, devi fare investimenti seri e puntuali. Una volta che hai rimesso in moto l’azienda, e eliminate le ruberie, si può pensare a una razionalizzazione. Se fa una newco e trasporta le problematiche di quella vecchia, non si cambia niente».
Vanzina senatore a vita di Roma
Come si può combattere lo scarso senso civico dei romani?
«Galli della Loggia ha fatto una foto oggettiva: questa situazione secondo me non si può riprendere senza uno sforzo collettivo. Se aboliscono il Senato, a Roma costruiamo il Senato: senatori a vita per la città di Roma, gratuitamente. Voglio fare Enrico Vanzina senatore a vita per Roma, voglio istituire un servizio civile per Roma, un obbligo fondamentale per chi vuole legare la propria felicità alla città a cui appartiene. Ho già detto ai miei figli che dovranno farlo per 5 anni».
Quindi al referendum Marchini voterà per o contro il referendum sulle riforme?
«Io credo che se si aveva un po’ più di coraggio e si andava verso l’abolizione del Senato, sarebbe stato più semplice. Da un punto di vista complessivo democratico, non credo che i padri della nostra Costituzione sarebbero tanto contenti di questa riforma, io la sto studiando».
Antonello Venditti potrebbe entrare in Senato?
«No, lo lasciamo cantare. Lo svago è fondamentale, i giovani devono poter venire e stare bene, anche gratuitamente».
Uno scambio con la Chiesa
Roma deve essere «Capitale del Paese, europea, del Mediterraneo e della Santa Sede», dice Marchini.
«Noi dobbiamo rivendicare con fermezza il primato delle forze laiche e repubblicane per la gestione dell’amministrazione. Corcolle, ad esempio: è un quartiere abbandonato, dove hanno un problema drammatico. Ci sono centinaia di bambini che non hanno un asilo nido, poi ci sono tante parrocchie che hanno delle sale vuote. Allora dobbiamo chiedere alla Chiesa che metta a disposizione quelle strutture. Dobbiamo usare il rapporto con la Chiesa perchè ciascuno possa fare la sua parte: non paghi l’Imu ma mi metti a disposizione quei locali. E io ti fornisco anche la vigilanza. Lo dico da cattolico praticante credente e peccatore».
«Siamo in guerra»
«Penso che il Papa abbia in mente cose più importanti di me, penso che stia portando avanti un’opera di cristianizzazione fondamentale. Anche la religione cristiana ha avuto momenti di fondamentalismo, ma ora stiamo vivendo quella islamica: è una vera e propria guerra, che porterà a una redifinizione dei confini dei Paesi del Mediterraneo. Roma oggi è una città a rischio, ma come tutte».
Il contratto coi romani? «No, grazie»
Da Berlusconi ha ricevuto degli endorsement che ha detto di «apprezzare tanto più perchè non richiesti», ma al contrario di quanto fece il leader di Fi a Porta a Porta nel 2001, Alfio Marchini si rifiuta di firmare un contratto con i romani.
Al termine dell’intervista a CorriereTv, il giornalista Tommaso Labate ha proposto a Marchini di firmare in diretta un «contratto con i romani» ma l’imprenditore si è gentilmente rifiutato: «Il contratto no – ha detto sorridendo – siamo seri».
Valentina Santarpia
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
UMP E FRONT NATIONAL AL 28%, SOCIALISTI AL 22%, VERDI E SINISTRA AL 12%
Franà§ois Hollande non è più il presidente meno popolare di sempre. La sua gestione dell’emergenza terrorismo (e l’onnipresenza televisiva per oltre due settimane, vertice sul clima compreso) gli ha consentito di recuperare 20 punti nei sondaggi.
Pur restando in territorio negativo, è tornato ai livelli dell’ottobre 2012.
Purtroppo per lui, per il partito socialista e per la sinistra in genere, questo risultato non sembra avere alcun impatto sulle intenzioni di voto alle imminenti elezioni regionali (domenica il primo turno, con ballottaggi il 13).
Secondo le ultime rilevazioni, a livello nazionale le liste del centro-destra (il cui leader è l’ex presidente Nicolas Sarkozy) e quelle dell’estrema destra (il Front National di Marine Le Pen) sarebbero alla pari al 28%, con il Ps al 22% e Verdi ed estrema sinistra al 12 per cento.
Per la “gauche” — che oggi guida 21 regioni su 22 – si preannuncia insomma una pesantissima sconfitta: riuscirebbe a stento a conservare tre delle 13 regioni nate dall’accorpamento frutto della recente riforma territoriale.
Otto passerebbero alla destra e due al Front National.
Marine Le Pen è largamente in testa nel Nord-Pas-de-Calais-Picardie (capoluogo Lille), con un 40% al primo turno e un 43% al secondo (in caso di ballottaggio a tre, 50% alla pari con la destra in caso di “alleanza repubblicana” destra-sinistra anti-Fronte).
Mentre la giovane nipote Marion Marèchal-Le Pen (appena venticinquenne) potrebbe riuscire a conquistare la Provence-Alpes-Cotes d’Azur (capoluogo Marsiglia): avrebbe infatti il 40% al primo turno e il 41% al secondo, battendo nettamente le liste di destra e di sinistra.
Con la possibilità che il Front National domenica sera sia in testa in altre due regioni: Alsace-Champagne-Ardenne-Lorraine (capoluogo Strasburgo, lista guidata da Florian Philippot, numero due del partito) e Bourgogne-Franche-Comtè (Digione).
Certo, molto dipende dalle decisioni che prenderanno i Rèpublicains di Sarkozy e il Ps all’indomani del primo turno.
Se infatti dovessero decidere di unire le loro forze (ritirando la lista arrivata in terza posizione o addirittura fondendo le liste in una sorta di inedita “unità nazionale” di fronte al pericolo lepenista) forse potrebbero evitare il trionfo del Front National.
Che ha assolutamente bisogno di conquistare almeno una regione come trampolino di lancio verso le presidenziali del 2017.
Ma sarà comunque un nuovo e ancora più forte terremoto politico.
E in ogni caso un successo per l’estrema destra, favorita dal contesto politico e sociale in cui si inserisce il voto.
«Sono in atto — spiega bene il politologo e sociologo Gilles Ivaldi — due dinamiche. La prima, precedente gli attentati, è quella della crisi economica e dell’aumento della disoccupazione, che ha ottobre ha fatto segnare un nuovo record. La seconda è quella della crisi migratoria e del terrorismo islamico. In questo contesto l’estrema destra non ha praticamente bisogno di fare campagna elettorale, i voti arrivano da soli».
E invece il Front National la campagna la fa eccome. Con grande intelligenza. Dopo aver passato anni a percorrere campagne e periferie spesso trascurate dalle forze politiche istituzionali, ora la sta chiudendo limitandosi a osservare che molte delle misure annunciate da Hollande dopo gli attentati (i controlli alle frontiere, la possibilità per i poliziotti di essere sempre armati, la decadenza della nazionalità francese) sono da tempo nel programma del partito.
Di fronte alla prospettiva molto concreta di un successo del Front National, e dell’attrazione che ormai esercita su moltissimi piccoli imprenditori, persino il Medef (la Confindustria francese) ha deciso di scendere in campo.
Il suo presidente Pierre Gattaz ha lanciato l’allarme sul programma economico del Fn (referendum sull’uscita dall’euro, pensione a 60 anni, aumento dei salari minimi), spiegando che l’arrivo al potere dell’estrema destra sarebbe catastrofico e «riporterebbe la Francia indietro di decenni».
Marco Moussanet
(da “il Sole24Ore”)
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Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
C’E’ IL VIA LIBERA IMPLICITO DI BERLUSCONI
Il putsch prende forma nelle parole di Elio Vito: “Non c’è nulla di personale contro Brunetta ma io chiedo che si faccia una verifica dei vertici del gruppo. E si rivoti il capogruppo, i vice, tutto. Questa è la mia proposta”.
Riunione aggiornata, tra poche ore, a causa di impegni d’Aula.
Assemblea di Forza Italia, alla Camera.
Esplode il malumore, che cova da settimane, verso il vulcanico Renato Brunetta. E la richiesta di sostituirlo.
Le parole di Elio Vito non sono sfoghi dal sen fuggiti. Tanto che più di un parlamentare all’uscita si dice certo che “dietro c’è Berlusconi”.
Perchè l’ex capogruppo Vito non è uno che si muove a caso, senza calcolare le conseguenze di un affondo del genere. E avrebbe raccolto un bel po’ di firme.
Proprio la dichiarazione di ieri di Silvio Berlusconi non è stata letta come una copertura di Brunetta quanto piuttosto come un modo pilatesco di scaricarlo rimettendo tutto alle decisioni del gruppo, dando così il via libera al chiarimento interno.
Ecco che Brunetta, in apertura di riunione, parla per un’ora, difende le scelte politiche, ma anche organizzative sul personale e sul suo Mattinale offrendo una gestione più condivisa.
Ma non basta a sedare il malumore. Proprio la gestione del Mattinale è una delle accuse più dure dei malpancisti perchè, pur essendo gestito coi fondi del gruppo, rappresenta spesso il punto di vista del solo Brunetta.
Le parole di Elio Vito sono taglienti come un rasoio: “Tutte le cose che ha detto Brunetta vanno messe ai voti, a partire dal fatto che il Mattinale deve tornare una struttura nelle mani del presidente Berlusconi”.
Difficile, conoscendo come vanno le cose in casa azzurra che ad Arcore non fossero informati di una mossa del genere.
Pare che pure l’ex premier, uno che non taglia le teste con tanta facilità , sia stanco delle lamentele che riceve sul suo capogruppo.
Al momento, la sua posizione già esce ridimensionata, con la scelta di mettere ai voti la parte organizzativa della relazione, dal Mattinale al personale.
Se si va ai voti però si rischia una rottura lacerante, perchè Brunetta rischia la sfiducia. Al suo posto, Vito è pronto.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
VIRTUOSO IL MOLISE… IL SERVIZIO E’ PEGGIORE NELLE REGIONI DOVE LA TASSAZIONE E’ MAGGIORE
Rifiuti sempre più cari per le tasche del contribuente.
Le tariffe per la raccolta in Italia negli ultimi 5 anni – rileva Confartigianato – sono aumentate del 22,6%. E nelle regioni in cui sono più salate, peggiore è la qualità del servizio: nel Lazio, “dove è alta la percezione di sporcizia”, il costo è al top, a 214 euro a testa.
Il rincaro delle tariffe corre più dell’inflazione (+14,6%) e segna un +12,8% rispetto alla crescita media del costo per lo stesso servizio nell’Eurozona.
La rilevazione di Confartigianato ha calcolato il costo del servizio di igiene urbana per le tasche di famiglie e imprenditori che in media, nel 2014, per tasse e tariffe hanno pagato 168,14 euro pro capite, per un totale di 10,2 miliardi.
Ma con una vera e propria impennata negli anni 2012-2015 che si è tradotta in un rincaro del 12,5%, nove volte e mezzo in più della crescita del costo della vita (+1,6%) e con una differenza del 7,4% in più rispetto alla media dei rincari nell’Eurozona fermi al +5,1%.
In testa nella classifica delle regioni con le tariffe più alte figura il Lazio con 214 euro di costi per abitante, superiore del 27,3% rispetto alla media nazionale.
Seguono la Liguria con 211,75 euro/abitante (25,9% in più rispetto alla media nazionale), Toscana con 208,25 euro/abitante (23,9% più della media), Campania con 205,02 euro/abitante (superiore del 21,9% rispetto alla media italiana), Umbria con 190,23 euro pro capite (+13,1%) e Sardegna con 188,90 euro per abitante (+12,3% rispetto alla media nazionale).
All’altro capo della classifica, la regione più virtuosa è il Molise dove i cittadini pagano 123,12 pro capite per il servizio di igiene urbana.
Secondo posto per il Trentino Alto Adige con un costo di 128,60 euro pro capite e medaglia di bronzo per il Friuli Venezia Giulia con un costo per abitante di 127,92 euro.
Inoltre, quasi il 20% delle 376 società partecipate dalle Amministrazioni locali che operano nella gestione dei rifiuti sono in perdita: il 64,3% è in utile, il 17,2% è in pareggio ed il 18,5% è in perdita.
Tutte in utile le società di gestione rifiuti in Basilicata, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. Seguono l’Emilia-Romagna (con una quota di società in utile pari all’83,3% del totale), Puglia (80%) e Piemonte (75,0%).
Le regioni con la maggiore quota di società in perdita sono la Calabria (66,7% del totale), il Lazio (46,2%) che è anche al top per costi del servizio, e l’Abruzzo (44,4%).
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
LA MODA DEI MEDICI CAMPANI ALL’INSAPUTA DEL PAZIENTE INTUBATO
La moda del selfie arriva anche in sala operatoria.
La tentazione di scattarsi una foto mentre si sta operando sta contagiando molti medici che, sorridenti, con guanti insanguinati e mascherine colorate, salutano all’obiettivo. Foto rigorosamente con il paziente disteso, intubato, o un taglio in primo piano che dia il senso dell’intervento.
Scatti che poi vengono postati, come se fosse la cosa più normale del mondo, sui social network, o pubblicati da alcuni blog, diventando di dominio pubblico.
Come accaduto ad una èquipe medica tutta al femminile di Napoli che ha pensato bene di pubblicare una foto mentre era in corso l’intervento.
Si vede e anche bene l’incisione sull’addome. Il sangue. Già , il sangue che è in bella mostra sui guanti delle dottoresse che ferme, immobili, fissano il cellulare che le sta immortalando. Immortala le mascherine alla moda come i copricapo sterili con stelline e cuoricini.
Il pollice è all’insù in segno di vittoria, di un buon lavoro che stanno facendo. All’insaputa del paziente che dorme su quel lettino sul quale si è addormentato speranzoso.
Il selfie in sala operatoria non è un reato nè la violazione di un divieto imposto da alcun direttore ospedaliero, ma certo non appare sinonimo di classe e buon gusto. Tantomeno di rispetto per un paziente che entra in una sala operatoria.
Ma se a Napoli l’èquipe medica sorride dinanzi all’addome, nel salernitano, sempre due dottoresse, postano sui social una foto con un paziente intubato. Il cui volto è parzialmente riconoscibile.
E riecco il copione: capello appena curato dal parrucchiere, trucco marcato sugli occhi, mascherine alla moda. Una sfilata che contagia. Anche i colleghi uomini.
In provincia di Avellino, un medico entra in sala operatoria con una tuta anti contaminazione. Di spalle, fa capolino la gamba del paziente.
Lo stesso che rende reale, bella e affascinante una professione spettacolarizzata sui social.
«Simpatica», ancora, anche quella foto che vede in primo piano l’anestesista del salernitano con il pollice all’insù mentre alle sue spalle, in sala operatoria, i colleghi lavorano.
Ma non la dottoressa che ha il tempo di distrarsi e partecipare al selfie. Sorridendo e sporgendosi verso l’obiettivo.
Un numero di scatti destinato a crescere. Sempre più medici, ogni giorno, postano su facebook una foto in camice, in corsia, con i colleghi, in pronto soccorso.
Altro luogo preferito per dimostrare che si sta salvando una vita. Non prima di un autoscatto che vede un direttore d’unità di un ospedale del salernitano in primo piano vicino al paziente reduce da un incidente.
Dulcis in fundo, i commenti. Neanche a consumarsi le dita per far scivolare con il mouse verso il basso lo schermo del computer, si trova chi condanna queste foto.
Una sola timida voce ha scritto: «Ma che fate».
Forse era un collega e non è stato preso in considerazione. Poi i complimenti si sprecano: «Belli, bravissimi, che bella dottoressa». Sarà . E saranno anche bravi.
Ma il paziente si sentirebbe più sicuro, forse, sapendo che l’attenzione è tutta su di lui. E non al cellulare pronto a scattare.
Rosa Coppola
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
“ENORMI QUANTITA’ DI GREGGIO ENTRANO IN TURCHIA ATTRAVERSO MIGLIAIA DI CAMION, TRE LE ROTTE PRINCIPALI”…ERDOGAN: “CALUNNIE”
La Turchia è il principale consumatore di petrolio dello Stato Islamico e la famiglia del presidente Tayyip Recep Erdogan è coinvolta nel traffico di greggio proveniente dalla Siria. Dopo le denunce dei giorni scorsi mosse dal presidente Vladimir Putin, cui il capo di Stato turco aveva risposto chiedendo di provare le accuse e dicendosi pronto a dimettersi laddove provate, il ministero della Difesa di Mosca è tornata a puntare il dito contro il governo di Ankara.
Che ha risposto immediatamente: nessuno ha il diritto di “calunniare” la Turchia, ha detto Erdogan parlando in un’università a Doha, in Qatar: “Nel momento in cui potranno provarlo mi dimetterò, come dovrebbero fare quelli che non possono provare le loro accuse”.
“Oggi — ha detto in un briefing con i giornalisti il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov — presentiamo solo alcuni dei fatti che confermano che un team di banditi ed elite turche che ruba il petrolio dai loro vicini opera nella regione”.
“Secondo le nostre informazioni — ha aggiunto Antonov, che ha parlato di “enormi quantità di petrolio” che entrano in territorio turco attraverso migliaia di camion — la massima leadership politica del Paese, il presidente e la sua famiglia, è coinvolta in questo business criminale“.
I vertici militari russi sostengono di aver individuato tre percorsi attraverso i quali il petrolio dell’Isis giunge in Turchia: “Sono state individuate — ha detto il vice capo di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi – tre rotte principali per il trasporto del petrolio verso il territorio turco dalle zone controllate dalle formazioni dei banditi”.
Un business milionario che finisce per favorire i miliziani islamici, nel quale Ankara è “il consumatore principale di questo petrolio rubato ai proprietari legittimi della Siria e dell’Iraq”.
A riprova delle accuse, nel corso del briefing sono state diffuse foto dei camion carichi di petrolio che attraversano la frontiera tra la Siria e la Turchia, video dei raid aerei contro i depositi dell’Is e mappe con i movimenti dettagliati del contrabbando.
Rudskoi ha precisato che altre prove saranno pubblicate nei prossimi giorni sul sito del ministero.
Dopo l’abbattimento, il 24 novembre scorso, di un caccia russo da parte delle Forze aeree turche con l’accusa di avere violato lo spazio aereo, Putin aveva accusato Ankara di averlo fatto perchè il Sukhoi stava raccogliendo prove sul contrabbando.
A riprova della vicinanza tra la Turchia e l’Isis ci sono, poi, i numeri dei combattenti che raggiungono le file dello Stato Islamico passando per il confine turco.
“Solo nell’ultima settimana” hanno raggiunto i gruppi dell’Isis e di al-Nusra, “fino a 2.000 militanti, oltre 120 tonnellate di munizioni e circa 250 mezzi di trasporto”, ha spiegato il capo del centro nazionale russo per la gestione della Difesa, Mikhail Mizintsev.
“Secondo i nostri attendibili dati di ricognizione — ha detto il generale — la parte turca svolge azioni simili da tempo e regolarmente e, cosa più importante a nostro avviso, non intende smettere”.
Mosca ha anche rivendicato il ruolo delle proprie forze armate nella lotta contro gli uomini di Al Baghdadi.
Dall’inizio dei raid lo scorso 30 settembre, ha spiegato Rudskoi, si sono significativamente ridotte per lo Stato islamico le entrate provenienti dal contrabbando di petrolio.
Fino a due mesi fa “le entrate per questa organizzazione terroristica erano di 3 milioni di dollari al giorno, oggi sono di circa 1,5 milioni“, ha affermato il vice capo di Stato maggiore.
“Negli ultimi due mesi sono stati distrutti 32 raffinerie di petrolio, 11 impianti petrolchimici, 23 complessi per il pompaggio del petrolio e 1.080 autocisterne“, ha detto Rudskoi.
Che ha puntato anche il dito contro gli Stati Uniti e la coalizione internazionale che da mesi bombarda in Siria e in Iraq, colpevole di aver “triplicato il numero di droni” ma di non colpire le autocisterne e le infrastrutture dell’Isis in Siria per la produzione e il commercio del petrolio.
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2015 Riccardo Fucile
CLAMOROSO ASSIST AL PD CHE AVEVA PREANNUNCIATO DI RINUNCIARE ALL’INUTILE SONTUOSA SEDE DI RAPPRESENTANZA… E PER FARE BUON PESO TOTI TAGLIA PURE I FONDI AI PARCHI
Niente trasloco: la sede della Regione Liguria rimane a piazza De Ferrari. Non c’è spending review che tenga, il presidente della Regione Giovanni Toti non è disposto a lasciare la sede di rappresentanza, anche se la giunta Burlando aveva preparato l’ exit strategy dai costi aggiuntivi.
E intanto la Regione toglie i soldi ai Parchi per soccorrere i Vigili del Fuoco. E la maggioranza presenta un proprio emendamento al Piano Casa che dà più spazio ai Comuni e ai Parchi, cui spetta l’ultima parola prima di procedere ad autorizzare le costruzioni. «Una marcia indietro», ghigna il Pd.
La sede di rappresentanza della Regione, in piazza De Ferrari, costa circa 1 milione e mezzo all’anno: in Bilancio quel costo rimarrà , «almeno per ora – ha chiarito il presidente Giovanni Toti – ma nel Growth Act abbiamo previsto la razionalizzazione dei canoni di locazione”.
L’ex presidente Burlando alla vigilia delle elezioni aveva annunciato che con la rescissione del contratto di affitto si sarebbe liberato il bilancio di un costo oneroso, e la Regione sarebbe tornata in via Fieschi, nella terza torre.
A scegliere la nuova sede nel palazzo dell’ex Fondiaria, in piazza De Ferrari, era stato il precedente governatore di Forza Italia, Sandro Biasotti, tanto che quando si era insediato tutti indicavano la nuova sede istituzionale come “la reggia”, per la cura delle ristrutturazioni e la raffinatezza dei materiali utilizzati.
«Ridiscuteremo il contratto di affitto, ma abbiamo bisogno di una sede di rappresentanza: finchè non ne troviamo un’altra», ha chiarito Toti, ieri, al Pd che lo rintuzzava proprio davanti alla presentazione del Bilancio.
E così, come la re-istituzione della casa Liguria a Bruxelles, cancellata “per spending review” da Burlando, Toti ripercorre la traccia segnata dal suo predecessore Biasotti.
«I denari che Toti impegna nel Bilancio nel mantenere la sede dorata di De Ferrari – attaccano Raffaella Paita, capogruppo Pd in consiglio regionale e il vicepresidente del consiglio, Pippo Rossetti, Pd, che aveva curato il dossier sulla dismissione – si potrebbero dirottare sulla Sanità , sul Welfare, un milione e mezzo è una cifra importante».
Proprio dal Bilancio, finora, anche se pochi, arrivano segnali poco confortanti anche dal comparto ambientale: «Dai Parchi vengono sottratti 400.000 euro, in Bilancio, per dirottarli, tutti, sulla salvaguardia del corpo dei Vigili del Fuoco», attaccano le opposizioni, Pd in prima fila.
«Ma è Robin Hood al contrario – dice la capogruppo Paita – noi siamo convinti che sia necessario intervenire sulla situazione d’emergenza che vive il comparto dei Vigili del Fuoco, ma non con i soldi destinati ai parchi liguri, peraltro investiti, anche, nella prevenzione degli incendi».
E sull’ambiente ligure, altre voci del bilancio vengono rosicchiate, per essere dirottate su altri comparti: «I finanziamenti per la salvaguardia del sistema di sentieri dell’Alta via dei Monti liguri vengono dimezzati di netto – attacca Gianni Pastorino, consigliere regionale di Rete a Sinistra – passano da 100.000 euro del Bilancio di quest’anno, a 50.000 euro del nuovo documento finanziario. Ancor peggio va per il sentiero botanico del Parco del Beigua, peraltro da poco investito dall’investitura Unesco: dei 20.000 euro, già pochini in verità , di finanziamento, si passa a un clamoroso zero”.
Michela Bompani
(da “la Repubblica”)
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