“ERDOGAN CONVOLTO NEL TRAFFICO DI PETROLIO CON ISIS, ABBIAMO LE PROVE”: LE ACCUSE DELLA RUSSIA
“ENORMI QUANTITA’ DI GREGGIO ENTRANO IN TURCHIA ATTRAVERSO MIGLIAIA DI CAMION, TRE LE ROTTE PRINCIPALI”…ERDOGAN: “CALUNNIE”
La Turchia è il principale consumatore di petrolio dello Stato Islamico e la famiglia del presidente Tayyip Recep Erdogan è coinvolta nel traffico di greggio proveniente dalla Siria. Dopo le denunce dei giorni scorsi mosse dal presidente Vladimir Putin, cui il capo di Stato turco aveva risposto chiedendo di provare le accuse e dicendosi pronto a dimettersi laddove provate, il ministero della Difesa di Mosca è tornata a puntare il dito contro il governo di Ankara.
Che ha risposto immediatamente: nessuno ha il diritto di “calunniare” la Turchia, ha detto Erdogan parlando in un’università a Doha, in Qatar: “Nel momento in cui potranno provarlo mi dimetterò, come dovrebbero fare quelli che non possono provare le loro accuse”.
“Oggi — ha detto in un briefing con i giornalisti il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov — presentiamo solo alcuni dei fatti che confermano che un team di banditi ed elite turche che ruba il petrolio dai loro vicini opera nella regione”.
“Secondo le nostre informazioni — ha aggiunto Antonov, che ha parlato di “enormi quantità di petrolio” che entrano in territorio turco attraverso migliaia di camion — la massima leadership politica del Paese, il presidente e la sua famiglia, è coinvolta in questo business criminale“.
I vertici militari russi sostengono di aver individuato tre percorsi attraverso i quali il petrolio dell’Isis giunge in Turchia: “Sono state individuate — ha detto il vice capo di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi – tre rotte principali per il trasporto del petrolio verso il territorio turco dalle zone controllate dalle formazioni dei banditi”.
Un business milionario che finisce per favorire i miliziani islamici, nel quale Ankara è “il consumatore principale di questo petrolio rubato ai proprietari legittimi della Siria e dell’Iraq”.
A riprova delle accuse, nel corso del briefing sono state diffuse foto dei camion carichi di petrolio che attraversano la frontiera tra la Siria e la Turchia, video dei raid aerei contro i depositi dell’Is e mappe con i movimenti dettagliati del contrabbando.
Rudskoi ha precisato che altre prove saranno pubblicate nei prossimi giorni sul sito del ministero.
Dopo l’abbattimento, il 24 novembre scorso, di un caccia russo da parte delle Forze aeree turche con l’accusa di avere violato lo spazio aereo, Putin aveva accusato Ankara di averlo fatto perchè il Sukhoi stava raccogliendo prove sul contrabbando.
A riprova della vicinanza tra la Turchia e l’Isis ci sono, poi, i numeri dei combattenti che raggiungono le file dello Stato Islamico passando per il confine turco.
“Solo nell’ultima settimana” hanno raggiunto i gruppi dell’Isis e di al-Nusra, “fino a 2.000 militanti, oltre 120 tonnellate di munizioni e circa 250 mezzi di trasporto”, ha spiegato il capo del centro nazionale russo per la gestione della Difesa, Mikhail Mizintsev.
“Secondo i nostri attendibili dati di ricognizione — ha detto il generale — la parte turca svolge azioni simili da tempo e regolarmente e, cosa più importante a nostro avviso, non intende smettere”.
Mosca ha anche rivendicato il ruolo delle proprie forze armate nella lotta contro gli uomini di Al Baghdadi.
Dall’inizio dei raid lo scorso 30 settembre, ha spiegato Rudskoi, si sono significativamente ridotte per lo Stato islamico le entrate provenienti dal contrabbando di petrolio.
Fino a due mesi fa “le entrate per questa organizzazione terroristica erano di 3 milioni di dollari al giorno, oggi sono di circa 1,5 milioni“, ha affermato il vice capo di Stato maggiore.
“Negli ultimi due mesi sono stati distrutti 32 raffinerie di petrolio, 11 impianti petrolchimici, 23 complessi per il pompaggio del petrolio e 1.080 autocisterne“, ha detto Rudskoi.
Che ha puntato anche il dito contro gli Stati Uniti e la coalizione internazionale che da mesi bombarda in Siria e in Iraq, colpevole di aver “triplicato il numero di droni” ma di non colpire le autocisterne e le infrastrutture dell’Isis in Siria per la produzione e il commercio del petrolio.
(da agenzie)
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