Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
LA RICERCA IPSOS MORI SULLA PERCEZIONE SBAGLIATA DEI PERICOLI
Immigrazione, ineguaglianza e obesità . La percezione di questi tre fattori spesso appare falsata rispetto al loro effettivo peso sul paese, ma qualche Stato appare più scollato dalla realtà rispetto ad altri.
Sulla base di questa ingenuità una ricerca sulla “Percezione dei pericoli” ha stilato una classifica dei paesi “più ignoranti”.
Nella top 10 anche l’Italia, che insieme al Belgio (in settima posizione) è l’unico paese europeo presente nella lista.
L’indagine condotta da Ipsos Mori ha eletto invece “paese più ignorante” il Messico, seguito da India e Brasile.
“Ogni popolazione ha una percezione sbagliata. Spesso si è ancor meno corretti sui fattori che vengono maggiormente discussi dai media o evidenziati come sfide dalla società ”, ha dichiarato Bobby Duffy, il direttore amministrativo di Ipsos Mori.
Una dichiarazione avvallata dal risultato dell’Italia, che arriva decima soprattutto per la questione immigrazione.
I risultati hanno mostrato come le persone interpellate fossero convinte che un quarto della popolazione presente nei loro paesi fossero immigrati, quando in realtà la cifra è inferiore a uno su 10.
Gli intervistati italiani hanno fatto peggio anche in risposta alla domanda sulla ricchezza. Globalmente nella maggior parte delle risposte risultava che l’1% delle persone più ricche del paese possedessero quasi la metà della ricchezza nel loro Stato, la cifra al contrario è più vicina a un terzo.
Altri fattori sono invece sottostimati.
L’età media in Brasile è di 31 anni, ma la maggior parte di loro pensava si attestasse a 56. Anche l’obesità è nettamente sottovalutata.
In media gli intervistati pensavano che solo il 40% delle persone fosse sovrappeso, in realtà il problema riguarda oltre la metà della popolazione (il 54%).
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
LEGGI E MANUALI PER IMPIEGATI PUBBLICI
“John Kerry li ha bollati come mostri psicopatici. Franà§ois Hollande li chiama barbari, Cameron li descrive come una setta della morte. Ma lo Stato Islamico è molto più di tutto questo”. Così esordisce uno scoop del quotidiano britannico “The Guardian” che è riuscito a esaminare oltre 300 documenti dell’Isis sulla costruzione di un apparato statale a cavallo tra l’Iraq e la Siria con tanto di province, ministeri per l’economia, l’agricoltura, la salute e l’educazione, regolamentazioni burocratiche anche bizzarre (come il divieto di giocare a biliardo e di allevare piccioni sul tetto) e l’obiettivo di arrivare all’autarchia politica e soprattutto economica.
Un progetto che gli esperti definiscono “sovietico” o maoista in quanto immagina di controllare a livello statale la produzione di greggio, ma che lascia comunque la libertà di impresa individuale.
Uno Stato che il sedicente califfo Al-Baghdadi vuole materializzare sulle rive del Tigri e dell’Eufrate “con uno stile di vita islamico, una costituzione coranica e un sistema che funzioni” grazie all’addestramento “della generazione odierna” che deve essere in grado di “amministrare”.
Il documento centrale, pubblicato in esclusiva dal Guardian, è un manuale di 24 pagine a uso interno dal titolo “Principi per l’amministrazione dello Stato islamico” compilato da Abu Abdullah al Masri, un nome che agli studiosi del Daesh ricorda il presidente dell’autorità per l’erogazione dell’energia elettrica a Raqqa, la roccaforte dell’Isis.
Il manuale rivela l’esistenza di numerose categorie di impiegati pubblici e funzionari che già si richiamano allo Stato islamico : si tratta di esperti di statistica, finanza, burocrazia e contabilità .
A questi l’Isis vuole aggiungere nuovi dipartimenti incaricati di sovrintendere l’esercito,i servizi pubblici, l’istruzione e la propaganda: proprio in relazione ai media, il libello tratteggia la necessità di creare una agenzia di stampa centralizzata, supportata da agenzie minori nelle periferie.
Ma è l’arte della guerra a rimanere centrale e per questo il burocrate dettaglia come verranno impiegati i soldati del Califfo, suddivisi in tre gruppi: la leva militare per coloro che non hanno mai combattuto, i campi di addestramento e aggiornamento dei veterani che per due settimane l’anno dovranno tornare in caserma per conoscere le ultime novità belliche, e infine i campi per bambini.
Una realtà , quest’ultima, purtroppo già conosciuta.
Il testo si focalizza inoltre sull’importanza fondamentale delle risorse naturali dello Stato Islamico, quelle che devono permettere al nuovo Califfato di esistere.
Speciali comitati dovranno ideare e amministrare “i progetti di produzione” – una sorta di soviet con piani economici a lunga scadenza, insomma -, ma i sudditi del Daesh potranno comunque investire nell’impresa e nel commercio in tutte le aree, tranne quella dell’estrazione del gas e del petrolio.
Tuttavia il “core business” del regime sarà l’istruzione: “Il mattone sul quale sarà costruita la società dello Stato islamico”.
Lo scopo, sempre riportato dal manuale citato dal Guardian, è “la crescita di una generazione islamica istruita e capace di governare lo Stato islamico senza il bisogno delle conoscenze occidentali”.
“Questo manuale non sembra prodotto da una organizzazione che commette quotidianamente atti orribili di brutalità senza senso. E questo è l’aspetto più agghiacciante. Se l’Occidente continua a vedere l’Isis come una banda di assassini psicopatici, rischiamo drammaticamente di sottostimarli”, è il commento a caldo del generale Stanley McChrystal, a capo della coalizione militare in Afghanistan e responsabile dell’uccisione di Al Zarqawi, uno dei fondatori dell’Isis.
Al Baghdadi ha proclamato l’esistenza dello Stato islamico – o Daesh, come preferiscono i musulmani – nel giugno 2014.
Da allora, riassume il Guardian, numerosi testi e documenti trafugati o fuoriusciti dal territorio occupato testimoniano la volontà di costruire una architettura statale, a base di regolamentazioni e leggi che vengono fatte valere in tutto il territorio.
Tra queste esistono gli obblighi di abbigliamento castigatissimo per le donne ma anche norme per i camionisti, che devono portare in ogni occasione un kit per la riparazione del mezzo in caso di guasto.
Allo stesso tempo nei mesi scorsi i nuovi funzionari pubblici dello Stato islamico hanno emanato delle ordinanze per l’agricoltura e il commercio, come il divieto di esporre mercanzia sul marciapiede senza una licenza.
Uno dei problemi più concreti per il Califfato è l’uniformità di regolamentazioni nei territori che un tempo facevano parte della Siria e dell’Iraq: per questo è stata creata la provincia dell’Eufrate, a cavallo tra i due Stati, sotto la giurisdizione dell’Isis, dove gli abitanti vengono sottoposti alle medesime norme ma dove le monete sono addirittura tre: il dollaro americano, il dinaro iracheno, la sterlina siriana.
Nell’economia di larga scala l’Isis sembra non avere molta pazienza con “la mano invisibile” di Adam Smith e per questo ha applicato un controllo forzoso dei prezzi e delle rendite a un grande paniere di beni e servizi, dal taglio cesareo (70 dollari) allo zucchero (70 centesimi al chilo).
Ma il Califfato non sta implementando uno stile sovietico sull’economia. Lascia liberala proprietà privata e permette ai cittadini la libera iniziativa economica anche in progetti di importanza statale come la costruzione delle strade.
Tuttavia per il momento il sistema economico del Daesh è traballante e non autosufficiente, specialmente per quanto riguarda le risorse.
Prendendo ad esempio la provincia Deir Er Zor, lo studioso Aymenn Jawad al-Tamimi – citato dal Guardian – è riuscito a calcolare che quasi la metà (44,7%) delle risorse dell’apparato amministrativo viene dalle confische, il 27,7% dalla produzione di gas e greggio e soltanto un quinto dalla tasse imposte alla popolazione.
Allo stesso tempo, la stragrande maggioranza di questi introiti è stata spesa per il salario dei soldati (43,6%) e soltanto il 17,7% per i servizi pubblici come la sanità , l’istruzione, i trasporti.
Eppure è proprio la sanità uno dei crucci maggiori del Califfato islamico, che negli ultimi mesi ha emanato numerosi editti per richiamare al lavoro medici e infermieri scappati dai territori conquistati dal Daesh.
Coloro che non eseguono l’ordine rischiano la confisca di tutto ciò che possiedono. E ciò che preme molto ai guerriglieri Isis, una volta piantata la bandiera in un nuovo territorio, è proprio cominciare a cambiare le intestazioni, i timbri e le targhe negli uffici pubblici e negli ospedali per chiarire alla popolazione che ora è arrivato un nuovo Stato. Islamico.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
IL GOVERNO TEMPOREGGIA SUI RIMBORSI E ALIMENTA IL CAOS
Mentre il governo prende tempo sulle modalità del promesso (parziale) rimborso, il rischio della corsa agli sportelli è diventato realtà .
Un gruppo di circa 700 obbligazionisti di Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Carife e CariChieti, che dopo il decreto del 22 novembre hanno visto azzerato il valore dei titoli che avevano in portafoglio, ha infatti comunicato che sta “trasferendo in altri istituti, o altrove, quello che rimane dei propri risparmi“.
Dopo aver chiuso i conti correnti nel frattempo trasferiti automaticamente nelle “nuove” banche che hanno preso il posto degli istituti risolti.
Una nota di quelli che si definiscono “vittime del Salva-Banche, truffate dal decreto”, spiega che “i correntisti stanno già procedendo al trasferimento dei propri conti in altri Istituti che non siano collegati alla dirigenza delle quattro vecchie e nuove banche e ai probabili Istituti che a gennaio acquisteranno le nuove banche”.
L’intenzione è di ricorrere “a istituti che godono di una vigilanza più attenta rispetto a quella che è stata in grado di fornire Bankitalia“.
I risparmiatori annunciano poi azioni legali per “frode, mancata vigilanza, dichiarazioni false al mercato e notizie sulle azioni contro tutte le istituzioni e i protagonisti coinvolti, con il coordinamento di Adusbef e Federconsumatori“: ritengono infatti di essere “stati spinti, in maniera obbligata ed inconsapevole, ad acquistare obbligazioni subordinate”, che erano “vendute dagli stessi dipendenti delle quattro banche come titoli sicuri e con tassi di interesse bassi, quindi che non presupponevano alcuna speculazione e rischio“.
Una versione ben diversa rispetto al quadro descritto dal premier, che domenica, intervistato dal Corriere della Sera, ha sostenuto che “queste persone non sono truffate: hanno siglato contratti regolari”.
Quanto al parziale indennizzo che l’esecutivo vuol mettere in campo, il comunicato lo definisce “un contentino” e anticipa che non lo accetterà perchè punta al risarcimento totale di capitale e interessi a azionisti e obbligazionisti.
La commissione Bilancio accantona emendamenti: “Affrontiamo il nodo alla fine dell’esame della Stabilità ”
Intanto a Montecitorio non si trova la quadra sull’intervento promesso da Matteo Renzi per “dare sollievo” almeno parziale agli obbligazionisti.
Domenica sera la commissione Bilancio della Camera ha chiuso la prima fase di esame del decreto, inserito nella legge di Stabilità con un emendamento dell’esecutivo, senza approvare alcuna proposta di modifica.
Gli emendamenti ritenuti meritevoli di approfondimento, una quarantina, sono stati accantonati e il presidente Francesco Boccia (Pd) ha fatto sapere che “permetteranno ai relatori Melilli e Tancredi di fare proposte” e “nella giornata conclusiva dell’esame della Stabilità in Commissione ci sarà modo di tornare sul tema per affrontare gli aspetti più delicati, anche alla luce di quello che dirà il ministro Padoan”.
Il Pd propone tra il resto di usare gli eventuali ricavi dalle azioni giudiziarie contro gli ex amministratori delle banche salvate, i Cinque Stelle chiedono che si metta mano ai dividendi della Banca d’Italia, la Lega punta su un fondo da 500 milioni di euro da istituire presso Cassa depositi e prestiti e Sel sullo sgravio fiscale del 26% sulle perdite.
Da più parti arriva poi la richiesta di far partecipi i risparmiatori delle plusvalenze che deriveranno dalla cessione delle bad bank.
Il governo si limita a ribadire che è escluso un intervento di tipo ‘orizzontale’, cioè per tutti.
La proposta Pd: risorse dai processi agli amministratori
Due subemendamenti a firma Pd prevedono che siano utilizzati “con priorità per il rimborso delle obbligazioni subordinate e ripartiti, pro quota, fra tutti i possessori delle azioni alla data del 22 novembre 2015″ i ricavi derivanti” dalle azioni giudiziarie in corso promosse dalle banche salvate verso gli amministratori delle stesse e le eventuali plusvalenze derivanti dal recupero dei crediti“. In tal modo pagherebbero almeno in parte i responsabili della crisi delle quattro banche, che erano commissariate da anni.
Dividendi Bankitalia ai piccoli risparmiatori
Il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento in base al quale una quota di dividendi annuali di Bankitalia non superiore al 3% del capitale dovrà essere destinata al rimborso di azioni e obbligazionisti “fino a concorrenza del valore complessivo della riduzione subita”.
Va ricordato che via Nazionale, sulla base del decreto “Imu-Bankitalia” varato dal governo Letta nel gennaio 2014, può ora erogare agli azionisti a titolo di dividendo fino a 450 milioni, equivalenti a un rendimento del 6% sui 7,5 miliardi di capitale. Un’altra proposta di modifica stabilisce che le obbligazioni subordinate oggetto di riduzione sono trasformate in azioni ordinarie della bad bank alla quale sono stati ceduti i crediti deteriorati delle banche “risolte”.
Un emendamento di Al-Possibile prevede la stessa cosa con l’obiettivo di permettere al risparmiatore di “beneficiare delle eventuali plusvalenze che si dovessero determinare al termine delle procedure di risoluzione dei crediti”. A rientrare nella’tutela sarebbero i titolari di quote non superiori a 100mila euro.
Scelta civica chiede invece di consentire il recupero fiscale del 26% delle perdite di azionisti e obbligazionisti delle quattro banche salvate “fino ad un massimo di 50.000 euro”.
Gli sgravi fiscali per le banche che contribuiscono al Fondo di risoluzione
Un emendamento Pd sancisce che le banche aderenti a sistemi di tutela dei depositanti “deducono, ai fini delle imposte sui redditi, le somme corrisposte anche su base volontaria al Fondo di risoluzione”. Un subemendamento simile è stato presentato anche da Ap, ma dichiarato inammissibile per mancanza di coperture.
Riferendosi a questo, il viceministro Enrico Morando ha detto che è comunque “all’attenzione del governo”.
Pd e Sel chiedono anche che siano esentate “da ogni versamento aggiuntivo” che potrebbe essere richiesto da parte del Fondo di risoluzione nazionale, le banche di piccola dimensione, con attivo inferiore a 2 miliardi di euro, che negli ultimi tre anni non abbiano distribuito dividendi agli azionisti e che siano orientate a finanziare in via prevalente enti non profit.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
MARINE HA SRADICATO DAL PARTITO LA DESTRA XENOFOBA E MACHISTA: PAROLE DURE CONTRO GLI ISLAMOFOBI, UN GAY COME NUMERO DUE, DIFESA DEI DIRITTI CIVILI, “NE’ DESTRA, NE’ SINISTRA” E NESSUN LEADER “SOLO AL COMANDO”… TUTTO L’OPPOSTO DELLA DESTRA AUTOGHETTIZZATA ITALIANA
Marine Le Pen ha conquistato il Quarto Stato con la destra moderna
Sarà difficile per la destra italiana salire sul carro della vincitrice Marine Le Pen, anche se ci sta già provando.
Le comuni radici — che senz’altro esistevano — sono state recise con decisione nel maggio scorso, quando Marine ha revocato la tessera del Front National al suo fondatore e ha convocato la stampa per dire: “Jean Marie Le Pen non deve più potersi esprimere a nome del partito, le sue affermazioni sono contrarie alla nostra linea”.
Un parricidio in piena regola, con il quale Marine ha sradicato il FN dall’immaginario della destra xenofoba, machista, antisemita che aveva fatto le (limitate) fortune di suo padre.
La Marine Le Pen che ha vinto domenica in Francia è quella che ha risposto “confondere l’Islam con il terrorismo è da stronzi” a chi gli chiedeva un’opinione sul celebrato titolo di “Libero” contro i “Bastardi islamici”.
È la leader che ha scelto un gay dichiarato, Florian Philippot, come suo numero due. Che si è rifiutata di scendere in piazza con Manif Pour Tous contro la legge sulle unioni civili.
Che ha accentuato l’autodefinizione “ni droite ni gauche” fino al punto di scrivere sulla sua pagina Facebook, alla voce “tendenza politica” un laconico “Altro”.
Insomma, Marine Le Pen non è equiparabile nè alla destra berlusconiana, tuttora in ostaggio del suo padre-padrone, nè a quella neocentrista con il suo cotè confessionale, nè tantomeno a quella salvin-meloniana, rimasta avvinghiata al lepenismo prima maniera e alla sua rozzezza anche estetica.
Dei tre ancoraggi della destra italiana — Dio, Patria e Famiglia — Marine ne ha conservato uno solo, Patria, abbandonando gli altri due ai nostalgici di Vichy e dell’Algeria Francese.
È stata un’operazione complicata, spregiudicata e vincente.
Ne ha ricevuto in cambio l’attenzione del colossale bacino elettorale che in tutta Europa sta definendo le fortune elettorali dei partiti “altri”, quelli che Marco Tarchi chiama “i delusi della globalizzazione”: giovani, donne senza lavoro, pensionati al minimo, piccoli imprenditori, laureati sotto-occupati.
Il nuovo Quarto Stato, insomma, lontano dai filtri ideologici del Novecento, che contesta le politiche europee sulla base di un semplice dato di esperienza: vede la sua vita peggiorata rispetto a quella dei suoi genitori.
Sarà difficile per la destra italiana salire sul carro della Le Pen anche perchè la destra italiana è ancora prigioniera della retorica dell’uomo solo al comando, del leader che da solo fa la differenza parlando da un palco o in tv.
Al contrario, dietro al successo di Marine c’è il lavoro di una squadra larga e una strategia gramsciana di conquista dell’immaginario collettivo e delle elite culturali che ha portato dalla sua parte icone come il regista Jean-Luc Godard, suo convinto elettore alle ultime Europee, ma non solo.
Appena un paio di mesi fa, l’economista Jacques Sapir e il filosofo Michel Onfray hanno messo a subbuglio il dibattito culturale francese facendosi sponsor di un’alleanza trasversale di tutte le forze “sovraniste”, di destra e di sinistra, per la rinascita della Francia.
Sono stati accusati di spianare la strada al Front National, si sono difesi organizzando una kermesse alla Mutualitè di Parigi, sala-simbolo della sinistra francese con la partecipazione di Alain Finkielkraut, Pascal Bruckner e altri mostri sacri.
È difficile immaginare qualcosa di analogo in Italia dove, al contrario, la destra si è auto-relegata nel ghetto del disprezzo per gli intellettuali e nell’elogio del semplicismo populista fino al punto di rinnegare uno come Pietrangelo Buttafuoco perchè “convertito all’Islam”.
Insomma, l’equivalenza Parigi-Roma non sta in piedi.
Non se riferita alla destra attuale, in tutte le sue declinazioni. Salvini può dirsi felice per il risultato, e congratularsi, ed esibire come una bandiera il messaggino di Marine, ma finisce lì.
Per una replica in salsa italiana di quel tipo di vittoria non ci sono nè gli uomini, nè le donne, nè le condizioni.
Flavia Perina
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
“QUELLA DEL FN E’ UNA RISPOSTA STATALISTA, NON LIBERALE”… “UNA FORZA ANTISISTEMA CHE INTERPRETA CHI SI ILLUDE DI RITROVARE SICUREZZA E IDENTITA’ RINCHIUDENDOSI NELLE PROPRIE FRONTIERE”
“Assolutamente no, il successo della Le Pen non si spiega solo con la paura e come reazione al 13 novembre. È qualcosa di più profondo, che va capito non demonizzato”.
Inizia così una lunga conversazione con Gianfranco Fini sul successo di Marine. Rigoroso nell’analisi, l’ex presidente della Camera si appassiona molto poco al gioco nostrano su chi beneficerà in Italia al vento d’Oltralpe. E assai di meno ai titoli trionfalistici dei giornali della destra italiana che due settimane fa titolavano Bastardi Islamici e ora gioiscono per la Le Pen che dopo gli attentati ha pure sospeso la propaganda elettorale in nome dello spirito repubblicano: “La differenza di serietà — dice Fini — mi pare evidente”.
Quando passa al confronto di cultura politica, l’ex presidente della Camera, dice (fuori dal coro): “In Italia? E’ più simile a Grillo che a Salvini”.
Presidente Fini, lei dice che il successo della le Pen non si spiega solo col 13 novembre.
Esattamente. Il Front National nella versione di Marine, dopo il parricidio, non può essere in alcun modo etichettato come movimento estraneo allo spirito repubblicano. Veda, il fronte del fondatore era nostalgico dell’Algeria, di Vichy, della Francia petenista e colonialista, anti-semitismo compreso. La figlia ha determinato una mutazione genetica del fronte, mettendolo in sintonia con lo spirito profondo della Francia.
Analizziamo meglio questa mutazione genetica
L’etichetta “estremista” o “populista” dice assai poco; il Front national non è estraneo alla storia repubblicana e democratica della Francia che è intrisa del mito della grandeur gollista. Quando parlo di questo spirito mi riferisco ad esempio all’orgoglio con cui la Francia disse di no alla Ced, al successo del no al referendum sulla costituzione europea…
La grandeur, appunto.
Se non si comprende questo spirito che è all’origine stessa della costituzione, si rischiano spiegazioni semplicistiche. Il vero, grande successo della Le Pen è stato un altro. E cioè quello di conquistare una sorta di egemonia culturale. E non uso questo termine a caso, essendo lei una lettrice attenta di Antonio Gramsci: lei ha compreso quel che prima indicavo. Vale a dire riempire di contenuti, di valori, di aspettative in sintonia con la società francese il vuoto che si era determinato per l’affievolirsi dei socialisti sui temi della sicurezza e della legalità ma anche dell’esprit originario del gollismo. E la sua rivoluzione culturale l’ha posta al centro del dibattito.
Andando oltre l’impostazione originaria nazionalista ed estremista.
Macchè nazionalismo… In Francia il nazionalismo è una virtù. È bene tenere a mente questo elemento. L’Italia e la Francia sono nazioni cugine, non sorelle proprio perchè è diversa la cultura dello Stato e della Nazione, perchè sono profondamente diverse le storie nazionali. In Francia, ad esempio, il capo della destra era il capo dello resistenza…
Per non parlare del senso dello Stato.
Appunto, in Francia molto forti per ragioni storiche. Ed è il motivo per cui loro non mai hanno preso in considerazione modifiche in senso federalista, a proposito di chi fa facili paragoni con la Lega. Ciò premesso quella che ho chiamato rivoluzione culturale della Le Pen sta nella risposta che dà alla crisi e alla globalizzazione alle dinamiche. Ed è una risposta statalista, non liberista.
Lo può spiegare meglio?
La risposta della Le Pen alla globalizzazione, alla competizione, alla crisi periferie, la porta a posizione anti-europeista – e questo è il grande tema per la destra italiana — ma anche a posizioni che evocano le partecipazioni statali, il socialismo di mercato.
Lei dice che il Front è un partito ideologicamente trasversale. Sulla sicurezza dice cose di destra, anzi si muove nel solco dello spirito gollista e Repubblicano per cui, dopo la strage, evita polemiche e dice: prima la Repubblica. Sui temi economici le parole d’ordine evocano quelle della sinistra, nella critica alla globalizzazione.
E infatti prende i voti delle periferie, delle banlieu: operai, ceti medi decaduti, giovani disoccupati, immigrati o meglio, cittadini francesi di seconda generazione, ma anche la classe operaia.
Presidente Fini, lo dico senza girarci attorno. Il voto dice che su questi temi sta saltando l’Europa?
Dice anche che l’Europa, così com’è, non regge più. E difendere l’esistente è l’errore più stupido che possa fare chi è europeista. Lo abbiamo visto in queste settimane sul terrorismo: c’è stata la risposta degli stati nazionali, compresa Germania, non una risposta europea. Ma l’Europa non regge come patto sociale. Del resto è evidente: come fai a reggere se hai una politica monetaria ma non una politica economica e fiscale condivisa?
E ora si vota in Spagna, poi in Inghilterra e alle amministrative in Italia. Prevede un effetto trascinamento?
Ma guardi, io rimango dell’idea che ci siano specificità nazionali in relazione alle varie storie dei singoli paesi, ma non c’è dubbio che ci saranno voti in tutta Europa che possano essere definiti analoghi: paura per il futuro ovunque, senso di incertezza sulla propria identità , e crescerà un voti anti-europeo nella illusione di ritrovare sicurezza e identità rinchiudendosi nella propria frontiera.
In Italia la destra esulta, confidando nel vento francese.
Ho letto i giornali della destra (ride, ndr). Io non vedo un effetto trascinamento. Se però devo fare un paragone, mi pare di vedere più analogie col movimento di Grillo che con Salvini.
Con Grillo?
Le ho descritto la dimensione “anti-sistema” ma non ostile allo spirito repubblicano della Le Pen, che anche oggi parla di regime Sarkò-Hollande. E infatti Sarkozy, di intesa con la sinistra, lo ha capito e questa è la vera inaspettata novità del voto. È chiaro che è uno schema che evoca Grillo – o Tsipras prima maniera – perchè entrambi sono vergini rispetto alla prova del governo ma anche perchè queste due forze “anti-sistema” ma democratiche tengono nel gioco democratico una quota rilevante di elettori che non andrebbero a votare. Ha dotato come in Francia vota il 50 per cento degli elettori? Beh, se togli i voti della Le Pen arriviamo a quella che Dahrendorf chiamava la democrazia senza demos. Lo stesso vale per l’Italia.
E Salvini?
Della Lega questo non lo puoi dire. E non solo perchè ha governato e governa da anni, ha sindaci, amministratori, ha espresso ministri. Ogni destra è figlia della storia nazionale e in Francia non solo non puoi immaginare partiti federalisti ma la secessione è inimmaginabile.
Poi c’è il tema Berlusconi. Non crede che la fotografia di Bologna abbia già invecchiato l’operazione Salvini?
Bologna è stata la fotografia di una prova di forza riuscita che rivela la debolezza del progetto. Ha sancito un protagonismo nell’ambito della coalizione: dà le carte ma non riuscirà a interpretare milioni di elettori di centrodestra.
Concludiamo così: Marine è pronta per l’Eliseo?
E’ semplicistico dire che essere il primo partito le spiana la strada per l’Eliseo. Sarà molto interessante vedere il risultato di questa tornata amministrativa e cosa faranno gli elettori in quelle regioni in cui si ritirano i socialisti? E poi, attenzione, Marine e Marion non sono sorelle omozigote. Le due signore danno interpretazioni diverse su dinamiche rilevanti. La Marine non trova nulla di scandaloso nell’unione di persone dello stesso sesso. Marion è integralista cattolica contro l’aborto. La Francia ha fatto della laicità in pilastro della sua cultura. Insomma, è un movimento composito. E le differenze non sono sempre un elemento di forza.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
UN ONOREVOLE SU CINQUE E’ IN FORMAZIONI CHE ALLE ELEZIONI NON ESISTEVANO
Un gruppo di cittadini si riunisce, fonda un’associazione, che poi diventa un movimento politico, sceglie un simbolo, si trasforma in partito, si presenta alle elezioni e — se va bene — entra in Parlamento.
In un mondo normale funziona così.
In Italia succede l’esatto contrario: i partiti nascono direttamente in Parlamento e poi – se va bene – alle elezioni superano a malapena lo sbarramento.
Ma il più delle volte spariscono definitivamente.
Nel frattempo, però, godono di rappresentanza istituzionale e magari di contributi pubblici, pur essendo totalmente privi di una legittimazione popolare.
Nel nostro Parlamento sono addirittura venti i partiti che nessuno ha votato alle elezioni politiche. Perchè non esistevano o comunque perchè non si erano presentati con il loro simbolo.
Eppure sono riusciti a intrufolarsi dalla porta sul retro e hanno piazzato la loro bandierina, raccogliendo l’adesione di qualche deputato o senatore (eletti con altri partiti in listini bloccati): parliamo di circa 200 onorevoli, uno su cinque.
E con l’Italicum il fenomeno non è destinato a fermarsi, anzi. Alle elezioni saranno tutti uniti sotto lo stesso partito (visto che non sarà possibile formare coalizioni), ma pronti a spaccarsi in decine di gruppi una volta in Parlamento.
L’ultimo arrivato è Italia Unica, il movimento di Corrado Passera. L’ex ministro di Monti ha deciso di tentare la sfida elettorale, candidandosi sindaco a Milano.
Intanto, però, ha messo un piede alla Camera. Anzi, due piedi: quelli di Guglielmo Vaccaro, che era stato eletto con il Pd. Ora si è alleato con i colleghi di Idea, che sta per Identità e Azione, formazione guidata da Gaetano Quagliariello: ha solo dieci giorni di vita e già sette parlamentari.
Provengono quasi tutti da Area Popolare, creatura politica che ha visto la luce proprio in Parlamento dalla fusione di Udc e Ncd.
Un partito, quest’ultimo, anch’esso nato e cresciuto tra Camera e Senato dopo l’esplosione del Pdl-Forza Italia.
Il big bang berlusconiano ha dato vita anche all’Ala di Verdini (Alleanza Liberalpopolare-Autonomie), ai Conservatori & Riformisti di Fitto, e a Insieme per l’Italia di Bondi (ne fanno parte lui e la compagna Manuela Repetti).
Che dire, un Parlamento fecondo.
Per tutti, il vero obiettivo è superare lo sbarramento. Non quello della legge elettorale, bensì quello fissato dai regolamenti: 10 membri in Senato, 20 alla Camera.
Chi lo supera può formare un gruppo autonomo e incassare i contributi pubblici (50 mila euro per ogni deputato, 67 mila per ogni senatore).
Chi non ha i numeri può formare una componente nel gruppo Misto. E allora tutti nel Misto, che alla Camera è diventato il terzo gruppo per numero di aderenti (62) e conta tra le proprie fila, tra gli altri, gli ex M5S di Alternativa Libera alleati dei civatiani di Possibile.
Al Senato si trovano tracce della diaspora grillina dentro il gruppo Gal, dove si è formata la componente “Federazione dei Verdi” di cui faceva parte anche Bartolomeo Pepe, che poi però ha dato vita al Movimento Base Italia.
Ma gli ex grillini sono anche nel Misto, dove hanno portato L’Altra Europa con Tsipras e persino l’Italia dei Valori.
L’ex M5S Bignami, invece, si tiene stretta il suo Movimento X, che guarda a Podemos.
Nella fauna del Misto ci sono poi gli ex leghisti di Fare! (il partito di Tosi), gli ex montiani (Mario Mauro con i Popolari per l’Italia e Maurizio Rossi con Liguria Civica, mentre quelli di Democrazia Solidale sono prevalentemente alla Camera) e il vendoliano Stefà no (La Puglia in Più).
L’ex sottosegretario Michelino Davico, eletto con la Lega, passato a Gal, quindi all’Idv, adesso tiene alta la bandiera dei Moderati nel gruppo Grandi Autonomie e Libertà .
Più libertà di così.
Marco Bresolin
(da “La Stampa”)
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Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
L’APPELLO DEI REPORTER SIRIANI: “FANNO SOLO VITTIME INNOCENTI”
“Le bombe uccidono civili innocenti. Venite a combattere l’Isis per davvero”. E cioè sul terreno. L’appello viene lanciato via Twitter dagli attivisti di “Raqqa is being slaughtered silently”, i reporter siriani contro l’Isis che ormai vengono presi come punto di riferimento nel mondo dell’informazione per comprendere come si vive nella città roccaforte del Califfato islamico, bombardata a più riprese anche in queste ore dai raid americani.
Raid che vengono aspramente condannati anche dal ministro degli Esteri di Damasco e dall’Osservatorio siriano sui diritti umani per aver causato la morte di 4 soldati siriani, di una donna e di suo figlio nella provincia di Deir al Zor sul campo militare di Saeqa, presso la città di Ayyash.
“Una aggressione che viola platealmente gli obiettivi della carta dell’Onu”, è la condanna del governo. E’ la prima volta, sottolinea l’Osservatorio, che le bombe americane uccidono militari di Assad.
Per mostrare la condizione degli abitanti di Raqqa sotto la mira dei cacciabombardieri, i promotori di “Raqqa is being slaughtered silently” hanno pubblicato foto che spiegano senza dubbio la terribile condizione dei civili, uomini donne e bambini, che fanno lunghe file per ottenere un catino d’acqua: “Se sei obbligato a vivere sotto l’occupazione Isis ciò non significa che sei favorevole all’Isis. La gente qui vuole vivere”.
Nonostante i promotori dell’associazione avessero salutato con giubilo l’intensificarsi dei bombardamenti francesi di metà novembre, immediatamente dopo gli attentati di Parigi, ora i numerosi raid aerei russi, inglesi e americani li hanno convinti a riconsiderare la strategia occidentale per la distruzione dell’Isis.
Strategia che però è stata ribadita con vigore dallo stesso Barack Obama durante il discorso alla nazione domenica, dedicato alla strage di San Bernardino in California, rivendicata dall’Isis: “Non saremo trascinati in una guerra lunga e costosa. Questo è quello che vuole l’Isis”, ha spiegato ripetendo ancora una volta che non invierà truppe di terra in Siria e in Iraq, come invece vorrebbero le forze in campo anti-Isis.
“La strategia di adesso – raid aerei, forze speciali e collaborazione con le truppe locali che lottano per riprendersi il controllo del Paese – è cosi’ che raggiungeremo una vittoria più sostenibile”.
Tuttavia gli attivisti di Raqqa, recentemente premiati a livello internazionale e inseriti tra le 100 realtà più influenti del mondo da Foreign Policy, denunciano l’uccisione indiscriminata di persone innocenti proprio a causa dei raid.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
BOZZA DI INTESA TRA I DUE PARLAMENTI CONTRAPPOSTI DI TRIPOLI E DI TOBRUK
I rappresentanti dei due Parlamenti in Libia, di Tripoli e Tobruk, hanno deciso di creare un comitato di cinque componenti di ciascuna Camera con l’obiettivo di nominare il primo ministro di un governo di unità nazionale entro 15 giorni, al fine di risolvere il conflitto libico.
Secondo un comunicato rilasciato sul sito del Congresso Nazionale Generale (Cng), le due parti si sono incontrate nella capitale tunisina ieri notte per trovare un “un accordo libico-libico” senza la presenza di una parte straniera o della mediazione internazionale.
L’accordo è stato firmato da Awad Abdelsadek, vice presidente del Congresso Generale Nazionale (il Parlamento di Tripoli) e il parlamentare Ibrahim Amish, rappresentante del Congresso dei Deputati (il Parlamento di Tobruk).
Obiettivo è “raggiungere la pace e l’armonia e la sicurezza per tutti in uno stato di diritto”, si legge nella nota.
Ieri, inoltre, il nuovo inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler, ha incontrato il presidente del Parlamento di Tobruk, Akila Saleh, nella città libica di Shat, vicino ad al-Baida, per capire come continuare i colloqui di pace e ha invitato tutte le parti in Libia a raggiungere un accordo politico per accelerare la formazione di un governo di unità nazionale.
“Il treno si muove rapidamente verso la firma e tutti dovrebbero siglare questo accordo”, ha dichiarato il diplomatico tedesco ai media locali.
“La prossima conferenza di Roma, presieduta da Italia, Usa e Onu, è un’opportunità per dimostrare la determinazione della comunità internazionale” per dare un impulso “all’accordo mediato per la Libia”.
Lo afferma l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Martin Kobler, in un comunicato.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2015 Riccardo Fucile
VITTIMA DELLE OBBLIGAZIONI DELLA POPOLARE DI VICENZA
“Io e mio marito siamo tra coloro che hanno perso dei soldi. Non tantissimi,ma assicuro che non è una bella sensazione”.
Lo afferma Debora Serracchiani a Libero spiegando che si tratta della “Banca popolare di Vicenza” ed è “andata in modo molto semplice: io e Riccardo avevano bisogno di un mutuo, abbiamo cercato la proposta più allettante”, “circa mille euro al mese, per una casetta friulana a tre piani”.
Sul perchè diventare anche obbligazionisti, Serracchiani afferma: “Semplice. Siamo diventati soci perchè ci offrivano un tasso di favore nel mutuo”, su quanto abbia perso aggiunge: “Riccardo sta facendo ancora i conti: credo 18 mila euro”.
Alla domanda se condivida il decreto del governo, Serracchiani spiega: “Intanto c’era la necessità di salvare i soldi dei correntisti, i posti di lavoro e cercare di rimettere in sesto il sistema che ha risentito della crisi. È stato fatto, meglio che altrove”.
“Noi – rivendica – abbiamo tenuto di più con il sistema bancario.La Germania ha speso molte risorse per salvare il proprio sistema”.
“C’è una differenza – prosegue – tra chi ha investito in azioni e i risparmiatori. Bisogna trovare come intervenire in modo equilibrato”.
Sui trecento milioni degli obbligazionisti coperti, Serracchiani sottolinea: “È una situazione di emergenza, e quindi di emergenza sarebbe l’intervento”.
Tuttavia poi non diventerà obbligatorio restituire tutto a tutti quelli che perdono: “No – afferma -. È una sorta di anno zero e bisogna tenerne conto. È un po’ come quando ci trovammo di fronte al caso dei bond argentini”.
Si farà di sicuro? “Non è semplice nè scontato. Cerchiamo soluzioni da inserire nella Stabilità “.
(da “Huffingtonpost“)
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