Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
IL CASO NON E’ CHIUSO, RESTANO ASPETTI DA CHIARIRE
È un discorso ad alto effetto comunicativo quello di Maria Elena Boschi, più che politicamente incisivo.
Anzi, è giocato molto sullo spostamento sul piano personale dei punti “politicamente” più controversi e sul piano politico dei punti dove veniva richiesto un chiarimento tecnico.
Dice la Boschi: “Amo mio padre e non mi vergogno a dirlo. Mio padre è una persona perbene e sono fiera di lui”. Ecco, proprio per questo esistono delle norme che regolano i conflitti di interessi in ambito familiare.
In Italia c’è la legge Frattini, ridicolizzata per anni dal Pd, perchè consentiva a Berlusconi di andare nella stanza accanto quando si parlava di Rete4.
Maria Elena Boschi ha sempre detto che non ha partecipato al primo del cdm sui decreti “salva-banche”. In tal modo, rispettando la Frattini, ammette che c’è quel conflitto di interessi negato in Aula.
Sulle altre riunioni del Consiglio dei ministri c’è un mistero, dovuto al fatto che gli atti delle riunione sono secretati.
Per negare in Aula l’esistenza del conflitto, invece di chiarire se era presente o meno ai consigli dei ministri che hanno varato gli altri decreti sulle banche, il ministro ricorre più volte all’espressione: “chi sbaglia paga”.
Il titolo, che arriva dritto nelle case degli italiani, è sul passaggio: “Sono orgogliosa di fare parte di un governo che esprime un concetto molto semplice: chi sbaglia paga. Se mio padre ha sbagliato deve pagare, ma non lo giudica il tribunale dei talk show”.
E, proprio sul passaggio che dà titolo, il caso si mostra nient’affatto chiuso.
Perchè proprio nel decreto “salva-banche” varato il 22 novembre ci sono le norme ribattezzate da parecchi osservatori come “salva-banchieri”.
Detta in modo semplice: il cdm vara il decreto che recepisce la direttiva europea sul bail in, accollando al sistema bancario e non allo Stato il costo del dissesto delle quattro banche bollite, lasciando senza risarcimenti azionisti e obbligazionisti (tra le banche c’è la Banca Etruria).
In questo decreto c’è una clausola (articolo 35, comma tre) in base alla quale, secondo alcune interpretazioni, viene reso più complicato per gli azionisti chiedere risarcimenti ai manager e dunque — in quanto manager — a papà Boschi.
Un comma in base al quale chi ha sbagliato non pagherà . Ecco il punto.
Ed ecco perchè sarebbe stato cruciale sapere se la Boschi c’era o non c’era al cdm. Comma peraltro inserito, secondo la documentazione di Franco Bechis, in riunioni preparatorie dei cdm dove la Boschi avrebbe partecipato.
Notizia questa non smentita nè sui giornali nè in Aula dal ministro durante il suo discorso.
Più volte la Boschi ha usato nel suo discorso i toni della figlia che difende l’onestà del padre più che del ministro che parla di una banca spolpata dai manager e commissariata dal governo: “Mio padre è stato destituito con commissariamento voluto dal mio governo, dov’è il favoritismo nell’aver fatto perdere a mio padre l’incarico?”.
Al di là del fatto che i commissariamenti innanzitutto li vuole Bankitalia e i governi ne prendono atto, il punto non chiarito è antecedente.
Quando cioè il padre, membro del cda della banca, diventa vicepresidente tre mesi dopo che Maria Elena Boschi approda al governo.
Tra l’altro diventa vicepresidente dopo che fu sanzionato da Banca d’Italia per una serie di irregolarità individuate dalla vigilanza. E multato di 140mila euro. Circostanza che il ministro ricorda nel discorso: “Mio padre è stato sanzionato da Bankitalia e ha pagato la multa, dov’è favoritismo da parte di Bankitalia?”.
Lo spartito sentimentale della bella favola di provincia lascia aperti i nodi più di merito del rapporto tra ministro in carica e operazioni che coinvolgono la banca dove lavora suo padre.
Ad esempio, la Boschi — e infatti scatta l’applauso — ricorda tutte le azioni avute dalla famiglia di poche migliaia di euro diventate carta straccia.
Sarebbe stato meno ad effetto ma più interessante conoscere le modifiche azionarie che hanno coinvolto lei e i suoi familiari fino al secondo grado (in base alla legge sul conflitto di interessi) da quando lei è diventata ministro.
E sarebbe stato più interessante sapere, oltre alle azioni citate, quanti fidi, mutui e prestiti aveva complessivamente la famiglia Boschi, se li aveva.
Per diventare vicepresidente di una Banca popolare di solito si deve avere una certa rilevanza azionaria. In questa storia sarebbe invece stato promosso a vicepresidente un signore con poche migliaia di euro di azioni e tre mesi dopo che la figlia è entrata a palazzo Chigi.
Ad effetto pure il riferimento a quanto disse, proprio la Boschi, sulla Cancellieri. Frase ripetuta in questi giorni in diversi talk show, a conferma di quanto i renziani doc siano attenti alla comunicazione.
Disse allora la Boschi: “Il punto non è se ci devono essere le dimissioni del ministro o se viene meno la fiducia nei confronti del governo. Il punto vero è che è in gioco la fiducia verso le istituzioni. Ancora una volta si è data l’immagine di un paese in cui la legge non è uguale per tutti ma ci sono delle corsie preferenziali per gli amici degli amici, per chi ha santi al Paradiso. Io al posto suo mi sarei dimessa”.
In Aula il ministro rivendica l’atteggiamento di allora, parlando della famosa telefonata alla famiglia Ligresti.
Dunque, riconosce che l’interesse pubblico è superiore a qualunque diritto alla riservatezza, quando si è un ministro. Nello stesso intervento però classifica alla voce “maldicenze” domande che le sono state rivolte con lo stesso criterio di interesse pubblico. A partire da quelle sul padre, ma non solo.
A palazzo Chigi come consulente – se ne sta occupando anche il Csm – c’è il procuratore capo dei Arezzo, procura che indaga sulla vicenda della Banca Etruria. Evidentemente ha varie occasioni di parlare con esponenti del governo.
Come ha occasione Giuseppe Fanfani, membro del Csm che ha autorizzato l’incarico extragiudiziario di Rossi e titolare ad Arezzo dello studio che da sempre difende Banca Etruria.
Insomma, si poteva dare qualche chiarimento in più nell’ambito del triangolo tra accusa (Rossi) che ha un rapporto professionale con palazzo Chigi, governo e un membro del Csm da sempre difensore della banca.
Tecnicamente, questo triangolo non rientra nel conflitto di interessi, ma nella categoria di opportunità politica e trasparenza che la Boschi richiese alla Cancellieri.
Il caso resta aperto, appeso al destino del padre soggetto a una indagine di Bankitalia in quanto membro del cda e appeso ai punti politicamente irrisolti.
A proposito, un dato inusuale: la Boschi ha votato la mozione di sfiducia che la riguardava. A memoria, non era mai successo che un ministro partecipasse a una votazione su di sè.
Un conflitto di interessi, ma questo solo di stile.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
LO SMANTELLAMENTO E’ INIZIATO, PRIMI PARLAMENTARI IN USCITA
Non c’e soltanto aria di dismissione: lo smantellamento di Forza Italia, questa volta, è cominciato davvero. Perchè, raccontano, il pressing del partito-azienda e della famiglia sarebbe più intenso del solito.
L’idea? Riportare le lancette indietro: tornare a prima del ’94, quando Silvio Berlusconi non aveva bisogno di stare in politica per tutelare i suoi interessi.
I segnali nelle ultime ore si sono moltiplicati: la tesoriera Maria Rosaria Rossi che annuncia la chiusura delle sedi e la trasformazione in “partito virtuale”, il pugno di mosche in mano con cui si è conclusa la partita dei giudici della Consulta, lo scontro ormai pubblico tra i due capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani.
E, poi, la scelta di ‘distinguersi’ dagli altri partiti di centrodestra non votando la sfiducia individuale a Maria Elena Boschi.
E se da una parte accede questo, dall’altra Silvio Berlusconi parla di unità del centrodestra, vede a cena Matteo Salvini e Giorgia Meloni e, cerca di uscire dal cul de sac delle divisioni interne, promuovendo una mozione di sfiducia verso il governo nel suo complesso con Lega e Fratelli d’Italia.
Mozione che alla Camera è stata presentata in un nanosecondo, mentre al Senato pare ci abbiano dovuto pensare su un paio di giorni.
Insomma, una linea ondivaga — o meglio un’assenza di linea — che sta frantumando ogni giorno di più il partito del Cavaliere. E che ormai ha scatenato il ‘si salvi chi può’.
“Quanti stanno per andare via? Si fa prima a contare chi vuole restare”, scherza una deputata azzurra di lungo corso.
Alla Camera, in realtà , nonostante Renata Polverini (pur neo nominata relatrice della legge di stabilità per tutta l’opposizione) abbia manifestato voglia di cambiare aria, il potere contrattuale dei potenziali transfughi è bassissimo.
E’ al Senato, ovviamente, che si gioca la vera partita.
In partenza in tempi brevi ci sarebbero almeno tre senatori, ma il malessere è tale che altri potrebbero aggiungersi.
Circolano i nomi, tra gli altri, di Enrico Piccinelli, Riccardo Villari, Franco Cardiello, Sante Zuffada. Ma non si tratta soltanto di parlamentari attratti dalle sirene di Denis Verdini e dal fascino del governo.
C’è malessere anche in chi guarda a destra e considera la linea del partito troppo soft verso Renzi e quindi spera di accasarsi con la Lega dell’altro Matteo.
Insomma, ormai sempre più esplicitamente, è lo stesso Silvio Berlusconi a finire sotto accusa da parte dei suoi parlamentari.
Al di là di quello che dichiara in pubblico, infatti, la domanda che regna sovrana è: ha deciso di chiudere Forza Italia?
Il fatto è che, come sempre nelle vicende del Cavaliere, le logiche politiche si intrecciano con quelle aziendali. Ed è esattamente lì che bisogna andare a guardare per cercare una spiegazione all’atteggiamento di fatto “passivo” ormai assunto dal leader. Che Fedele Confalonieri non abbia mai visto di buon occhio la decisione di mettere fine al patto del Nazareno è noto.
Lui stesso lo ha dichiarato pubblicamente. In un’intervista alla Stampa lo scorso settembre, parlando di Renzi, diceva: “Facciamolo lavorare. Mi pare che qualcosa la stia facendo, ha iniziato un percorso: ora vediamo dove arriva”.
Per delle aziende nazionali, d’altra parte, c’è tutto l’interesse ad avere buoni rapporti con il governo.
Una logica completamente diversa da quella di chi sta all’opposizione. E, infatti, raccontano che negli ultimi tempi, il presidente di Mediaset avrebbe suggerito a Silvio Berlusconi una strategia ancora più netta: tornare allo spirito precedente al ’94.
Il che vuol dire a prima della discesa in campo. Ossia, ancora più esplicitamente, ai tempi in cui il Cavaliere faceva l’imprenditore ma aveva buoni rapporti con Bettino Craxi e, senza impegnarsi in prima persona, otteneva provvedimenti come la legge Mammì.
In questo quadro è evidente che strategie come quelle di Renato Brunetta risultano fuori sincrono.
Pare che i vertici delle aziende del biscione abbiano gradito davvero poco il battibecco plateale in aula con Renzi. Nè sarebbe un caso se, dopo mesi di scontri striscianti, Paolo Romani si sia deciso ad attaccare pubblicamente il suo collega della Camera.
Il capogruppo del Senato, come è noto, viene da Pubblitalia e la sua sensibilità verso quell’area sarebbe rimasta molto forte.
In questo clima non stupisce che Silvio Berlusconi non abbia in programma, non una cena, ma nemmeno un brindisi natalizio con i suoi parlamentari.
“Non sarebbe opportuno dopo l’annuncio del licenziamento dei dipendenti”, spiegano fonti azzurre. Nei fatti, un altro segnale di dismissione.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
NESSUN PARTITO AVRA’ LA MAGGIORANZA DELLA CAMERA: RAJOY E SANCHEZ CONTRO GLI ANTICASTA IGLESIAS E RIVERA
Domenica la Spagna andrà al voto per la più italiana delle elezioni della sua storia democratica: due nuovi partiti si sono affacciati sul panorama politico spagnolo e per la prima volta dalla morte di Franco il bipartitismo e l’alternanza non saranno più la regola. Coalizioni, patti, strategie: cose a cui gli italiani sono abituati ma che a Madrid sono qualcosa di nuovo, tutto da scoprire.
E le tensioni in campagna elettorale non sono certo mancate: l’ultima è stata l’aggressione di un giovane di sinistra al premier Rajoy.
Il Partido popular (Pp) e il Partido socialista obreros espaà±ol (Psoe) si sono alteranti al governo per oltre 30 anni, ottenendo sempre un’ampia maggioranza che permetteva, all’uno o all’altro, di governare da soli.
Ma oggi non è più così: la nascita e la crescita del partito centrista di Ciudadanos (C’s) e della sinistra à la Tsipras di Podemos hanno cambiato il volto della democrazia spagnola. Finora le conseguenze si sono viste solo a livello municipale e regionale, ma dal 20 dicembre (20-D, come si usa indicare in Spagna) anche dalle Cortes Generales sparirà la maggioranza assoluta.
La partita è complessa, anche perchè un’ampia fetta degli elettori si dichiara indeciso e potrebbe anche sposare l’astensionismo.
Il governo di Mariano Rajoy (Pp) difende le riforme di questi 4 anni e accusa lo Psoe per l’eredità che ha lasciato il governo Zapatero dagli anni della crisi.
Però tanti spagnoli sono ancora senza lavoro, con un tasso di disoccupazione oltre il 20% (ma che è sceso di 5 punti dal massimo raggiunto nel 2013).
E’ “il governo della disoccupazione” attaccano i socialisti, beccandosi la piccata nonchè classica risposta di chi è al potere: “E’ facile parlare, più difficile governare”, come hanno ripetuto più volte i dirigenti popolari.
Ma il Pp – che è stato colpito da molti casi di corruzione, senza esserne travolto – può contare ancora su ampi settori di consenso nel paese, tanto che i sondaggi lo danno largamente primo partito, quasi al 30% il 3 dicembre e in flessione intorno al 25% a una settimana dal voto, lontano però dalla possibilità di governare da solo.
Se di solito il partito d’opposizione arriva al voto in forma e con il vento in poppa, questo è tutt’altro che vero per lo Psoe.
Che anzi arriva alle urne in grande difficoltà . Il segretario Pedro Sanchez, accusato di non avere il controllo pieno del partito, si è ritrovato attaccato da destra (Ciudadanos) e da sinistra (Podemos), partiti nuovi che hanno eroso buona parte del suo bacino di voti. Sanchez sta provando a far passare l’idea del voto utile, perchè “lo Psoe è l’unica alternativa di governo”, e “un voto dato a Podemos è sprecato” perchè non arriverà mai a governare.
Ma lo Psoe paga, oltre alla sua posizione nello spettro politico (anche il Pp perde voti, ma solo al centro e può più facilmente provare a contenere l’emorragia), il suo essere un partito storico in un periodo in cui l’anti-casta rappresentata da C’s e Podemos va per la maggiore.
Nei sondaggi, stabile poco sopra il 20%, i socialisti sono seriamente insediati sia da Ciudadanos che da Podemos, che potrebbero strappargli il ruolo di secondo partito di Spagna.
Sarebbe uno smacco difficilmente superabile per Psoe e Sanchez, ancora di più se dovesse finire quarto nelle urne.
Ci sono poi le due stelle nascenti della politica iberica: Albert Rivera (Ciudadanos) e Pablo Iglesias (Podemos).
Entrambi hanno posizioni che in Italia hanno fatto la forza del M5s: la lotta alla corruzione, il definirsi il nuovo che avanza, il no ai privilegi e alla casta – #malditacasta, #maledettacasta è lo slogan di Podemos.
La genesi di C’s è in Catalogna, dove ha assunto la guida del fronte anti-indipendentista, partendo da posizioni di centrosinistra. Poi, crescendo a livello nazionale, c’è stata la deriva al centro, tanto che Ciudadanos oggi pesca un po’ più nel bacino elettorale del Pp che in quello dello Psoe.
Ma le posizioni centriste di Rivera gli permetteranno di trattare con tutti gli altri da una posizione di forza.
Rivera ha già detto che è pronto a fare accordi con i popolari sull’economia (meno tasse), con i socialisti sulle misure sociali, con Podemos sulla riforma del sistema politico.
E’ la politica delle mani libere e prima del 20 dicembre difficilmente Rivera si sbilancerà più di così, anche perchè – sposando una coalizione o l’altra – rischierebbe di perdere voti.
Podemos è il partito di sinistra nato dal movimento degli indignados. Il modello è Tsipras e i suoi consensi sono altalenanti, un ottovolante nei sondaggi.
Qualche mese fa era favorito, è sceso al 9% dei consensi (dati del 3 dicembre) per poi tornare a sfiorare il 20% a pochi giorni dal voto, superando di poco Ciudadanos.
Il suo leader Iglesias ha uno stile schietto e deciso, senza giacca e maniche arrotolate, con una forte personalità e un po’ di populismo. Un po’ Tsipras, un po’ Beppe Grillo.
Ma Podemos è il partito che – non avendo nulla da perdere – ha più da guadagnare in questi ultimi giorni di campagna. E sta spingendo molto sull’idea che una remuntada (rimonta) è possibile, aiutato dai buoni risultati di Iglesias nei dibattiti.
Difficile dire che governo sarà , mentre è scontato che il primo tentativo di formare un esecutivo toccherà al partito che avrà la maggioranza relativa, ovvero il Pp.
Ma i popolari temono un possibile tripartito che lo metta in minoranza, ovvero un accordo Psoe-Ciudadanos-Podemos sul modello di quanto fatto dalle sinistre in Portogallo.
Accordo che però sembra molto difficile per tutti gli analisti.
L’esito più probabile, con le percentuali anticipate dai sondaggi, è un governo Pp con la partecipazione o l’appoggio esterno di Ciudadanos.
Non è detto che si sia Rajoy a rimanere alla Moncloa però, perchè Albert Rivera potrebbe chiederne la testa. Spazio allora forse alla sua vice, Soraya Saenz de Santamaria, che ha fatto una buona figura nel dibattito a quattro a cui Rajoy non ha voluto partecipare.
Sullo sfondo del voto e del dibattito politico, ma sottotraccia, si muovono tre grandi temi: la forma di Stato, con ampi settori dell’opinione pubblica che vedrebbero positivamente la fine della monarchia e una Spagna repubblicana; le spinte indipendentiste, soprattutto catalane; una riforma elettorale, perchè quella attuale – con circoscrizioni provinciali – ha sempre favorito i due partiti maggiori a danno dei più piccoli.
E ora, con quattro partiti in campo, non garantirà nemmeno la governabilità .
Gli spagnoli, che stanno cercando capire, analizzare, forse anche immaginarsi questa nuova forma ‘tetracefala’ del parlamento, parlano sempre di più di ‘italianizzazione’ del sistema partitico.
Come ha detto – ironizzando e con preoccupazione – l’ex premier socialista Felipe Gonzales: “Andiamo verso un parlamento italiano, ma senza italiani a gestirlo”.
Per sapere se sarà un bene o un male, bisognerà attendere il 21-D.
Alessio Sgherza
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
PIETRO, 13 ANNI, REGALA LA SUA PAGHETTA A AMREF E RICEVE INSULTI DALLA SOLITA FECCIA RAZZISTA
Sulla pagina Facebook di Amref non si parla d’altro: Pietro, i suoi 13 anni e il suo gesto enorme. E le polemiche che ha scatenato.
Natale, per Pietro Busi, è già arrivato e lo ha già diviso con altri: bambini che beneficiano dell’aiuto di un’associazione che, come tante, sostiene progetti di sviluppo in Africa. Studente della seconda B delle medie Contardo Ferrini di Broni (Pavia), il ragazzino qualche giorno fa ha messo insieme i 150 euro destinati alla canna da pesca che i genitori gli avrebbero regalato a Natale e li ha girati alle volontarie dell’ente benefico.
E non è la prima volta: già l’anno scorso aveva contribuito ai progetti di Amref, mettendo da parte ogni mese un po’ della sua paghetta. Adesso sta promuovendo nella sua classe una raccolta fondi per aiutare un compagno arrivato dal Camerun ad acquistare del materiale per disegnare.
Gemellaggi
La spinta ad aiutare gli altri nasce grazie a uno dei progetti che Amref segue in molte scuole d’Italia, più di settanta, da diversi anni.
«Gemellaggi» tra istituti del nostro Paese e africani, «per educare alla cittadinanza mondiale», spiega Alessandra Panzera, che di Amref è referente per le iniziative nelle scuole.
«In quinta elementare – racconta la mamma del bambino, Giusy – Pietro ha partecipato a un progetto che prevedeva lo scambio di disegni con alcune scuole del distretto di Malindi, in Kenya. Lui ha disegnato la sua casa e la sua cameretta, e gli è arrivato il disegno di una capanna. Ne è rimasto toccato, ha voluto parlare delle difficoltà , della situazione in cui vivono bambini meno fortunati di lui. In particolare lo ha colpito l’importanza dell’acqua e adesso se qualcuno a casa lascia un rubinetto aperto corre a chiuderlo».
Polemiche
Il gesto generoso di Pietro potrebbe essere un bel racconto di Natale, un segno di altruismo «bello in un periodo di razzismo e di violenza», sottolinea la mamma.
Guastato però, dalle polemiche di diversi frequentatori dei social: c’è chi su Facebook scrive che «prima vanno aiutati gli italiani»; c’è chi tira in ballo il Vaticano, o le spese di gestione delle onlus: «i contributi si perdono in pubblicità e spese di gestione »; e chi punta il dito contro la famiglia: «Sicuramente hai genitori del Pd».
Mamma Giusy non ci sta: «Quello che mi piacerebbe far capire è che mio figlio non ha fatto questo per far parlare di sè, ma perchè coinvolto emotivamente dalle vostre iniziative e dalle due splendide volontarie», ha scritto ad Amref.
E difende Pietro a spada tratta: «Se mio figlio avesse preso a cuore la causa dell’Enpa, con la sua paghetta avrebbe comperato crocchette per i cani. Il suo gesto mi riempie di orgoglio».
Anche il fratello di Pietro, più grande di lui, ha animo generoso e mente aperta al mondo: «Per la maturità – racconta la mamma – ha scelto di fare una tesina su Emergency, perchè affascinato dalle loro attività ».
Rispetto
Brave le maestre di Pietro e le volontarie di Amref, che sono riuscite a instillare in bambini insegnamenti importanti per la vita. Ma determinante anche il contributo della famiglia…
«Diciamo che sono due strade che devono correre insieme – dice Giusy -. Certo, i miei figli a casa respirano un’atmosfera di apertura e rispetto per le idee di tutti. Come sono cresciuta io in una casa libera, in cui il mio pensiero è sempre stato accolto e ascoltato, così con mio marito vogliamo che i nostri figli imparino a esercitare libertà di pensiero e di espressione».
E Pietro, ha già in mente di dedicarsi anche lui al volontariato? «Lo ha già detto più volte: “Mi piacerebbe un domani lavorare in Africa”. Vedremo. Saremo felici se troverà e percorrerà la sua strada».
Antonella De Gregorio
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
IL COMUNICATO DELL’ARMA DA’ LA CERTEZZA CHE I RESPONSABILI DI REATI, ANCHE SE IN DIVISA, NON SARANNO PROTETTI
Caso Cucchi. Caso aperto. Di nuovo. Grazie alle persone coinvolte, alla loro tenacia e al loro senso della giustizia. Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo, rispettivamente sorella di Stefano e avvocato della famiglia Cucchi.
Da quando Stefano è stato arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti, da quando Stefano è morto, non hanno mai smesso di avere fiducia nella possibilità di trovare un percorso di verità .
Non hanno mai smesso di dialogare con le istituzioni. Non hanno smesso di spiegare le loro ragioni. Non hanno mai smesso di coinvolgere l’opinione pubblica perchè prendesse coscienza che non si può morire quando ci si trova in custodia dello Stato.
Il Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, uomo di Stato, che ha saputo ascoltare e tradurre in azioni le promesse fatte, avviando un’inchiesta bis per appurare cosa sia accaduto a Stefano Cucchi dopo l’arresto nella stazione Appia dei Carabinieri di Roma.
E poi l’Arma dei Carabinieri che ha diffuso un comunicato stampa che è un documento rivoluzionario.
Notizia epocale percepita troppo in superficie sino ad oggi come la volontà di difendersi in extremis da una valanga indiscriminata di accuse.
Non credo sia cosi, io ci leggo altro. «È una vicenda estremamente grave. Grave il fatto che alcuni Carabinieri abbiano potuto perdere il controllo e picchiare una persona arrestata secondo legge per aver commesso un reato, che non l’abbiano poi riferito, che altri abbiano saputo e non abbiano sentito il dovere di segnalarlo subito, che questo non sia stato appurato da chi ha fatto a suo tempo le dovute verifiche, se tutto questo sarà accertato. Grave il fatto che queste cose possano emergere soltanto a partire da oltre sei anni dopo, nonostante un processo penale celebrato in tutti i suoi gradi».
Con queste parole, il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Tullio De Sette, non esprime un pensiero alieno agli appartenenti all’Arma — io vivo sotto scorta dei carabinieri da quasi dieci anni e so cosa provano quando atti di violenza commessi da loro colleghi gettano discredito sul loro intero lavoro — ma mette tutto per iscritto, fornendo un nuovo statuto che funge da spartiacque dentro la lunga e complessa storia dell’Arma.
Non potrà più esistere sindacato o associazione che difenda chi ha sbagliato, perchè l’Arma lo isolerà .
Questo documento non prova a nascondere le responsabilità dietro i soliti argomenti, ossia le condizioni difficili in cui operano le forze dell’ordine, i pochi soldi, le pressioni, il contesto.
Argomentazioni spese spesso per cercare una sorta di comprensione verso gesti criminali che, benchè vietati e sanzionati, poi in fondo sono giustificati dalla situazione particolare del singolo uomo in divisa.
In questo documento invece non si cerca nè di giustificare nè di difendere comportamenti sbagliati.
Ecco le parole esatte dei Carabinieri: «Siamo rattristati e commossi dalla triste vicenda umana di Stefano Cucchi, prima e dopo quel 15 ottobre 2009, addolorati delle sue sofferenze, della sua morte, quali che siano le cause che abbiano concorso a determinarla, vicini ai suoi familiari».
Perchè Stefano Cucchi da soggetto penalmente perseguibile è diventato vittima, e su questo non può esserci alcun dubbio.
Che nessuno si azzardi più a chiamarlo tossico, drogato, spacciatore. Che nessuno metta più in relazione la sua morte ai motivi dell’arresto. Tra l’arresto e la morte non doveva esserci alcuna relazione, alcun rapporto di causa ed effetto.
Nel nostro Paese non vige la pena di morte.
E ancora: «Rispetto, perciò, per tutto questo e determinazione nel ricercare la verità , nel perseguire quelli che potranno risultare responsabili di reati, di condotte censurabili sotto ogni profilo».
Rispetto, determinazione nel cercare la verità e nel perseguire chi avrà commesso reati: parole importanti che marcano una direzione che non è nuova in passato anche si è agito così in situazioni simili, ma che ora non può essere più equivocata o elusa. Ma che con la vicenda Cucchi è importante ribadire.
Se la nuova perizia medico-legale chiesta dalla Procura di Roma dovesse accertare che Cucchi nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 ha subito violenza, le parole del Comandante Del Sette e questo documento ci danno sin da ora la certezza che le mele marce saranno allontanate senza tentativi di protezione, rompendo l’istinto corporativo.
A tutela della dignità di un Corpo che è spesso unico Stato dove lo Stato non c’è.
Roberto Saviano
(da “L’Espresso“)
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Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
IL “BENVENUTO” ALLA NOTIZIA CHE IL GOVERNO ITALIANO INTENDEREBBE INVIARE 450 SOLDATI A TUTELA DELLA DITTA CHE HA VINTO L’APPALTO ALLA DIGA DI MOSUL
Il premier Matteo Renzi aveva affermato che i militari italiani da inviare in Iraq non combatteranno, ma dalle brigate sciite irachene di Hezbollah arriva una minaccia che non si può ignorare: qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata come una forza occupante, compresi gli italiani.
La minaccia-avvertimento lanciata dal portavoce delle Brigate sciite irachene Hezbollah, Jaafar al Husseini, arriva a stretto giro dall’annuncio del governo italiano sull’invio di 450 militari italiani a protezione dei lavori di ricostruzione della diga di Mosul, impianto il cui bando è stato vinto dalla società italiana Trevi di Cesena.
“La nostra posizione è chiara: qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata una potenza occupante a cui dobbiamo resistere”, ha detto al Husseini commentando la notizia data da Renzi a Porta a Porta.
L’obiettivo della missione italiana a protezione della diga è impedire che i terroristi possano minare la sicurezza della zona.
Il pericolo di un crollo della struttura è stato più volte denunciato da funzionari iracheni e curdi.
La città di Mosul si trova nella provincia nordoccidentale di Ninive ed è considerata una roccaforte dello Stato islamico, che nel paese controlla ancora alcune aree più o meno estese nella provincia ed in quella di Salah al Din e al Anbar.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
IMMOBILIARI E OUTLET: ECCO LE AZIENDE IN CONFLITTO DI INTERESSI
C’è l’azienda che si occupa di compravendita di immobili e quella che fabbrica arredi domestici. C’è la ditta specializzata nelle attività gestionali e quella che installa macchine per uffici.
Tutte inserite nella lista che adesso fa tremare gli amministratori di Banca Etruria. Perchè sono le società che avrebbero ottenuto fidi da milioni di euro «in conflitto di interessi», dunque «fuorilegge».
Beneficiarie dei finanziamenti che poi hanno gravato sul bilancio perchè «deteriorati», generando perdite per 18 milioni di euro.
Tutte riconducibili all’ex presidente del Cda Lorenzo Rosi oppure all’ex consigliere Luciano Nataloni, per questo già indagati nell’inchiesta condotta dal procuratore Roberto Rossi.
Sono quindici ed è proprio sul legame con l’Istituto di credito che si concentrano adesso gli accertamenti affidati alla Guardia di Finanza.
Controlli sollecitati dagli ispettori di Bankitalia nella relazione depositata il 10 febbraio scorso che determinò il commissariamento e che adesso provocherà nuove sanzioni ai componenti del Cda all’epoca guidato proprio da Rosi e dal vicepresidente Pierluigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena.
Le lista e gli «intrecci»
Nel dossier sulla terza ispezione, i funzionari di palazzo Koch individuano tra i problemi che hanno causato il dissesto proprio numerose pratiche di finanziamento.
E tra l’altro scrivono: «Non è stata approfondita la convenienza della banca nel compiere le operazioni, nè effettuato un confronto tra le condizioni applicate e quelle di mercato».
Poi elencano le situazioni anomale e dichiarano: «Come è emerso dalla documentazione delle pratiche di fido relative al campione ispettivo, le sopra citate carenze rilevano a vario titolo, in particolare, per il dottor Nataloni e per il dottor Lorenzo Rosi».
Al primo sono riconducibili la Immofin srl nel settore alberghiero; la Td Group spa «specializzata nell’installazione di macchine per ufficio, mainframe e personal computer»; il Gruppo Casprini per la «compravendita di beni immobili effettuata su beni propri»; la Etruria Investimenti spa «esercente l’attività di costruzioni di edifici residenziali e non».
A Rosi fanno invece capo la Città Sant’Angelo Outlet Village spa «esercente l’attività di affitto di aziende»; la Castelnuovese cooperativa per la «costruzione di edifici residenziali e non».
Insieme figurano invece nella Città Sant’Angelo Sviluppo spa per la «compravendita di beni».
Le verifiche effettuate dal Nucleo Tributario consentono però di allungare questo elenco inserendo anche altre aziende collegate.
E dunque le verifiche sono state estese a «Cd holding srl», «Cdg srl», alla «Praha Invest srl», tutte nel settore immobiliare; alla «Naos srl» che fabbrica mobili e alla «Gianosa srl» specializzata nelle attività gestionali.
L’affare degli outlet
Snodo centrale per ricostruire gli affari compiuti con i soldi di Banca Etruria è la «Castelnuovese» di cui Rosi è stato presidente fino a luglio 2014.
È stato infatti accertato che proprio quella ditta ha costruito a Pescara l’outlet Città Sant’Angelo, destinatario di un ulteriore finanziamento.
Un fido che risulta «incagliato». La costruzione e la gestione degli outlet sembra essere ormai diventata la nuova attività di Rosi, amministratore unico della «Egnatia Shopping Mall» dove figurano tra i soci proprio la «Castelnuovese» mentre il socio di riferimento è la «Nikila Invest», a sua volta titolare di una quota del 40 per cento nella «Party srl»: socio è Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio, mentre la madre Laura Bovoli è amministratore unico.
È proprio questo intreccio tra aziende diverse, in realtà collegate, che la Guardia di Finanza dovrà sbrogliare per individuare le responsabilità di un dissesto che ha portato Banca Etruria sull’orlo del fallimento.
Ma anche per ricostruire la procedura seguita al momento di immettere sul mercato le obbligazioni poi diventate prive di valore quando il governo, a fine di novembre, ha approvato il decreto che ha «salvato» quattro istituti di credito.
Operazioni di investimento ad alto rischio che secondo la magistratura di Arezzo e di Civitavecchia – titolare del fascicolo sul suicidio del pensionato Luigi D’Angelo – potrebbero essere state concluse truffando numerosi clienti.
Piccoli risparmiatori che non sono stati adeguatamente informati di quanto fosse alta la possibilità di perdere il capitale.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
NELLO SHOW ALLA CAMERA ALLA FINE NE ESCE MEGLIO LA BOSCHI… LE ASSENZE GRILLINE, IL MOSCOVITA INFREDDOLITO E LA SORELLA REPLICANTE
Come ampiamente prevedibile, la Camera ha detto “no” alla mozione di sfiducia individuale presentata dal Movimento 5 Stelle nei confronti di Maria Elena Boschi, ministro per i rapporti con il Parlamento il cui padre risulta coinvolto nel caso della Banca Etruria.
Il testo ha ottenuto 123 sì e 373 no. A favore hanno votato M5S, Lega Nord, Sinistra italiana e Sel.
Conosciamo tutti l’inutilità di queste mozioni di sfiducia individuali a membri del Governo.
Nella replica di Maria Elena Boschi alla discussione in Aula si è notato soprattutto il giganteggiare del ministro che, a differenza di tutti gli altri, ha parlato a braccio, limitandosi ai fatti, non ha sbagliato una parola, citando dati, cifre e percentuali in una situazione surreale di completo silenzio.
Tra gli effetti collaterali imprevisti ha anche quello di far sbandare il centrodestra, con la Lega che bombarda Forza Italia, sempre più lacerata e divisa: Salvini da Mosca minaccia conseguenze sulle alleanze, ma forse ò stato solo vittima di un colpo di freddo. La Meloni per non smentirsi legge la stessa velina di via Bellerio.
Viene da chiedersi: perchè non fate come la Le Pen e andate da soli, cosi vediamo quanti voti raccattate?
Ma forse è chiedere troppa coerenza a chi è interessato solo alle poltrone.
Ultimo appunto: le opposizioni avrebbero dovuto contare su 156 voti, come mai sono arrivate solo a 123, ovvero 33 di meno?
E come mai 18 deputati del M5S erano assenti?
Meditate gente, meditate…
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Dicembre 18th, 2015 Riccardo Fucile
AVREBBE RICEVUTO 125.000 EURO “PER COMPIERE ATTI CONTRARI AI DOVERI DEL SUO UFFICIO”… L’EX SINDACO: “HO LA COSCIENZA PULITA”
Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, stato rinviato a giudizio nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale, per le accuse contestate di corruzione e finanziamento illecito.
Il rinvio a giudizio è stato stabilito dal gup, Nicola Di Grazia, dopo quasi tre ore di udienza e circa due di camera di consiglio.
Il processo, che si svolgerà con rito ordinario, sarà celebrato dalla seconda sezione del tribunale di Roma e inizierà il 23 marzo prossimo.
Il nome dell’ex sindaco di Roma Alemanno, rinviato oggi a giudizio per corruzione e finanzamento illecito, era spuntato con la prima ondata di arresti di Mafia Capitale nel dicembre scorso.
Nei suoi confronti i pm contestavano anche il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, che però è stata archiviata.
All’ex primo cittadino viene contestato di aver ricevuto somme di danaro, in gran parte attraverso la fondazione Nuova Italia da lui presieduta, per il compimento di atti contrari ai doveri del suo ufficio.
Secondo l’impianto accusatorio sarebbero complessivamente 125 mila euro i fondi illeciti ricevuti tra il 2012 ed il 2014 tramite l’ex ad di Ama Franco Panzironi – uno dei principali imputati del processo di Mafia Capitale – Alemanno avrebbe ricevuto, attraverso la fondazione, 75 mila euro sotto forma di finanziamento per cene elettorali, 40 mila euro per finanziamento per la Nuova Italia e circa diecimila euro cash, questi ultimi nell’ottobre 2014, a due mesi dalla prima tranche di arresti.
“Non ho chiesto riti alternativi proprio per dimostrare pubblicamente la mia innocenza – ha commentato Alemanno – ho la coscienza pulita e per questo non ho nulla da patteggiare. Affronto quindi il rinvio a giudizio con animo sereno perchè sono fiducioso nell’operato della magistratura e convinto che al dibattimento sarà accertata e provata l’assoluta correttezza del mio operato”
(da agenzie)
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