SPAGNA, DOMENICA LE PRIME ELEZIONI ALL’ITALIANA: PER GOVERNARE SERVIRA’ UNA COALIZIONE
NESSUN PARTITO AVRA’ LA MAGGIORANZA DELLA CAMERA: RAJOY E SANCHEZ CONTRO GLI ANTICASTA IGLESIAS E RIVERA
Domenica la Spagna andrà al voto per la più italiana delle elezioni della sua storia democratica: due nuovi partiti si sono affacciati sul panorama politico spagnolo e per la prima volta dalla morte di Franco il bipartitismo e l’alternanza non saranno più la regola. Coalizioni, patti, strategie: cose a cui gli italiani sono abituati ma che a Madrid sono qualcosa di nuovo, tutto da scoprire.
E le tensioni in campagna elettorale non sono certo mancate: l’ultima è stata l’aggressione di un giovane di sinistra al premier Rajoy.
Il Partido popular (Pp) e il Partido socialista obreros espaà±ol (Psoe) si sono alteranti al governo per oltre 30 anni, ottenendo sempre un’ampia maggioranza che permetteva, all’uno o all’altro, di governare da soli.
Ma oggi non è più così: la nascita e la crescita del partito centrista di Ciudadanos (C’s) e della sinistra à la Tsipras di Podemos hanno cambiato il volto della democrazia spagnola. Finora le conseguenze si sono viste solo a livello municipale e regionale, ma dal 20 dicembre (20-D, come si usa indicare in Spagna) anche dalle Cortes Generales sparirà la maggioranza assoluta.
La partita è complessa, anche perchè un’ampia fetta degli elettori si dichiara indeciso e potrebbe anche sposare l’astensionismo.
Il governo di Mariano Rajoy (Pp) difende le riforme di questi 4 anni e accusa lo Psoe per l’eredità che ha lasciato il governo Zapatero dagli anni della crisi.
Però tanti spagnoli sono ancora senza lavoro, con un tasso di disoccupazione oltre il 20% (ma che è sceso di 5 punti dal massimo raggiunto nel 2013).
E’ “il governo della disoccupazione” attaccano i socialisti, beccandosi la piccata nonchè classica risposta di chi è al potere: “E’ facile parlare, più difficile governare”, come hanno ripetuto più volte i dirigenti popolari.
Ma il Pp – che è stato colpito da molti casi di corruzione, senza esserne travolto – può contare ancora su ampi settori di consenso nel paese, tanto che i sondaggi lo danno largamente primo partito, quasi al 30% il 3 dicembre e in flessione intorno al 25% a una settimana dal voto, lontano però dalla possibilità di governare da solo.
Se di solito il partito d’opposizione arriva al voto in forma e con il vento in poppa, questo è tutt’altro che vero per lo Psoe.
Che anzi arriva alle urne in grande difficoltà . Il segretario Pedro Sanchez, accusato di non avere il controllo pieno del partito, si è ritrovato attaccato da destra (Ciudadanos) e da sinistra (Podemos), partiti nuovi che hanno eroso buona parte del suo bacino di voti. Sanchez sta provando a far passare l’idea del voto utile, perchè “lo Psoe è l’unica alternativa di governo”, e “un voto dato a Podemos è sprecato” perchè non arriverà mai a governare.
Ma lo Psoe paga, oltre alla sua posizione nello spettro politico (anche il Pp perde voti, ma solo al centro e può più facilmente provare a contenere l’emorragia), il suo essere un partito storico in un periodo in cui l’anti-casta rappresentata da C’s e Podemos va per la maggiore.
Nei sondaggi, stabile poco sopra il 20%, i socialisti sono seriamente insediati sia da Ciudadanos che da Podemos, che potrebbero strappargli il ruolo di secondo partito di Spagna.
Sarebbe uno smacco difficilmente superabile per Psoe e Sanchez, ancora di più se dovesse finire quarto nelle urne.
Ci sono poi le due stelle nascenti della politica iberica: Albert Rivera (Ciudadanos) e Pablo Iglesias (Podemos).
Entrambi hanno posizioni che in Italia hanno fatto la forza del M5s: la lotta alla corruzione, il definirsi il nuovo che avanza, il no ai privilegi e alla casta – #malditacasta, #maledettacasta è lo slogan di Podemos.
La genesi di C’s è in Catalogna, dove ha assunto la guida del fronte anti-indipendentista, partendo da posizioni di centrosinistra. Poi, crescendo a livello nazionale, c’è stata la deriva al centro, tanto che Ciudadanos oggi pesca un po’ più nel bacino elettorale del Pp che in quello dello Psoe.
Ma le posizioni centriste di Rivera gli permetteranno di trattare con tutti gli altri da una posizione di forza.
Rivera ha già detto che è pronto a fare accordi con i popolari sull’economia (meno tasse), con i socialisti sulle misure sociali, con Podemos sulla riforma del sistema politico.
E’ la politica delle mani libere e prima del 20 dicembre difficilmente Rivera si sbilancerà più di così, anche perchè – sposando una coalizione o l’altra – rischierebbe di perdere voti.
Podemos è il partito di sinistra nato dal movimento degli indignados. Il modello è Tsipras e i suoi consensi sono altalenanti, un ottovolante nei sondaggi.
Qualche mese fa era favorito, è sceso al 9% dei consensi (dati del 3 dicembre) per poi tornare a sfiorare il 20% a pochi giorni dal voto, superando di poco Ciudadanos.
Il suo leader Iglesias ha uno stile schietto e deciso, senza giacca e maniche arrotolate, con una forte personalità e un po’ di populismo. Un po’ Tsipras, un po’ Beppe Grillo.
Ma Podemos è il partito che – non avendo nulla da perdere – ha più da guadagnare in questi ultimi giorni di campagna. E sta spingendo molto sull’idea che una remuntada (rimonta) è possibile, aiutato dai buoni risultati di Iglesias nei dibattiti.
Difficile dire che governo sarà , mentre è scontato che il primo tentativo di formare un esecutivo toccherà al partito che avrà la maggioranza relativa, ovvero il Pp.
Ma i popolari temono un possibile tripartito che lo metta in minoranza, ovvero un accordo Psoe-Ciudadanos-Podemos sul modello di quanto fatto dalle sinistre in Portogallo.
Accordo che però sembra molto difficile per tutti gli analisti.
L’esito più probabile, con le percentuali anticipate dai sondaggi, è un governo Pp con la partecipazione o l’appoggio esterno di Ciudadanos.
Non è detto che si sia Rajoy a rimanere alla Moncloa però, perchè Albert Rivera potrebbe chiederne la testa. Spazio allora forse alla sua vice, Soraya Saenz de Santamaria, che ha fatto una buona figura nel dibattito a quattro a cui Rajoy non ha voluto partecipare.
Sullo sfondo del voto e del dibattito politico, ma sottotraccia, si muovono tre grandi temi: la forma di Stato, con ampi settori dell’opinione pubblica che vedrebbero positivamente la fine della monarchia e una Spagna repubblicana; le spinte indipendentiste, soprattutto catalane; una riforma elettorale, perchè quella attuale – con circoscrizioni provinciali – ha sempre favorito i due partiti maggiori a danno dei più piccoli.
E ora, con quattro partiti in campo, non garantirà nemmeno la governabilità .
Gli spagnoli, che stanno cercando capire, analizzare, forse anche immaginarsi questa nuova forma ‘tetracefala’ del parlamento, parlano sempre di più di ‘italianizzazione’ del sistema partitico.
Come ha detto – ironizzando e con preoccupazione – l’ex premier socialista Felipe Gonzales: “Andiamo verso un parlamento italiano, ma senza italiani a gestirlo”.
Per sapere se sarà un bene o un male, bisognerà attendere il 21-D.
Alessio Sgherza
(da “La Repubblica“)
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