“CHIUDIAMO I CONTI”: E’ CODA AGLI SPORTELLI DA PARTE DEI CORRENTISTI DANNEGGIATI DAL SALVABANCHE
IL GOVERNO TEMPOREGGIA SUI RIMBORSI E ALIMENTA IL CAOS
Mentre il governo prende tempo sulle modalità del promesso (parziale) rimborso, il rischio della corsa agli sportelli è diventato realtà .
Un gruppo di circa 700 obbligazionisti di Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Carife e CariChieti, che dopo il decreto del 22 novembre hanno visto azzerato il valore dei titoli che avevano in portafoglio, ha infatti comunicato che sta “trasferendo in altri istituti, o altrove, quello che rimane dei propri risparmi“.
Dopo aver chiuso i conti correnti nel frattempo trasferiti automaticamente nelle “nuove” banche che hanno preso il posto degli istituti risolti.
Una nota di quelli che si definiscono “vittime del Salva-Banche, truffate dal decreto”, spiega che “i correntisti stanno già procedendo al trasferimento dei propri conti in altri Istituti che non siano collegati alla dirigenza delle quattro vecchie e nuove banche e ai probabili Istituti che a gennaio acquisteranno le nuove banche”.
L’intenzione è di ricorrere “a istituti che godono di una vigilanza più attenta rispetto a quella che è stata in grado di fornire Bankitalia“.
I risparmiatori annunciano poi azioni legali per “frode, mancata vigilanza, dichiarazioni false al mercato e notizie sulle azioni contro tutte le istituzioni e i protagonisti coinvolti, con il coordinamento di Adusbef e Federconsumatori“: ritengono infatti di essere “stati spinti, in maniera obbligata ed inconsapevole, ad acquistare obbligazioni subordinate”, che erano “vendute dagli stessi dipendenti delle quattro banche come titoli sicuri e con tassi di interesse bassi, quindi che non presupponevano alcuna speculazione e rischio“.
Una versione ben diversa rispetto al quadro descritto dal premier, che domenica, intervistato dal Corriere della Sera, ha sostenuto che “queste persone non sono truffate: hanno siglato contratti regolari”.
Quanto al parziale indennizzo che l’esecutivo vuol mettere in campo, il comunicato lo definisce “un contentino” e anticipa che non lo accetterà perchè punta al risarcimento totale di capitale e interessi a azionisti e obbligazionisti.
La commissione Bilancio accantona emendamenti: “Affrontiamo il nodo alla fine dell’esame della Stabilità ”
Intanto a Montecitorio non si trova la quadra sull’intervento promesso da Matteo Renzi per “dare sollievo” almeno parziale agli obbligazionisti.
Domenica sera la commissione Bilancio della Camera ha chiuso la prima fase di esame del decreto, inserito nella legge di Stabilità con un emendamento dell’esecutivo, senza approvare alcuna proposta di modifica.
Gli emendamenti ritenuti meritevoli di approfondimento, una quarantina, sono stati accantonati e il presidente Francesco Boccia (Pd) ha fatto sapere che “permetteranno ai relatori Melilli e Tancredi di fare proposte” e “nella giornata conclusiva dell’esame della Stabilità in Commissione ci sarà modo di tornare sul tema per affrontare gli aspetti più delicati, anche alla luce di quello che dirà il ministro Padoan”.
Il Pd propone tra il resto di usare gli eventuali ricavi dalle azioni giudiziarie contro gli ex amministratori delle banche salvate, i Cinque Stelle chiedono che si metta mano ai dividendi della Banca d’Italia, la Lega punta su un fondo da 500 milioni di euro da istituire presso Cassa depositi e prestiti e Sel sullo sgravio fiscale del 26% sulle perdite.
Da più parti arriva poi la richiesta di far partecipi i risparmiatori delle plusvalenze che deriveranno dalla cessione delle bad bank.
Il governo si limita a ribadire che è escluso un intervento di tipo ‘orizzontale’, cioè per tutti.
La proposta Pd: risorse dai processi agli amministratori
Due subemendamenti a firma Pd prevedono che siano utilizzati “con priorità per il rimborso delle obbligazioni subordinate e ripartiti, pro quota, fra tutti i possessori delle azioni alla data del 22 novembre 2015″ i ricavi derivanti” dalle azioni giudiziarie in corso promosse dalle banche salvate verso gli amministratori delle stesse e le eventuali plusvalenze derivanti dal recupero dei crediti“. In tal modo pagherebbero almeno in parte i responsabili della crisi delle quattro banche, che erano commissariate da anni.
Dividendi Bankitalia ai piccoli risparmiatori
Il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento in base al quale una quota di dividendi annuali di Bankitalia non superiore al 3% del capitale dovrà essere destinata al rimborso di azioni e obbligazionisti “fino a concorrenza del valore complessivo della riduzione subita”.
Va ricordato che via Nazionale, sulla base del decreto “Imu-Bankitalia” varato dal governo Letta nel gennaio 2014, può ora erogare agli azionisti a titolo di dividendo fino a 450 milioni, equivalenti a un rendimento del 6% sui 7,5 miliardi di capitale. Un’altra proposta di modifica stabilisce che le obbligazioni subordinate oggetto di riduzione sono trasformate in azioni ordinarie della bad bank alla quale sono stati ceduti i crediti deteriorati delle banche “risolte”.
Un emendamento di Al-Possibile prevede la stessa cosa con l’obiettivo di permettere al risparmiatore di “beneficiare delle eventuali plusvalenze che si dovessero determinare al termine delle procedure di risoluzione dei crediti”. A rientrare nella’tutela sarebbero i titolari di quote non superiori a 100mila euro.
Scelta civica chiede invece di consentire il recupero fiscale del 26% delle perdite di azionisti e obbligazionisti delle quattro banche salvate “fino ad un massimo di 50.000 euro”.
Gli sgravi fiscali per le banche che contribuiscono al Fondo di risoluzione
Un emendamento Pd sancisce che le banche aderenti a sistemi di tutela dei depositanti “deducono, ai fini delle imposte sui redditi, le somme corrisposte anche su base volontaria al Fondo di risoluzione”. Un subemendamento simile è stato presentato anche da Ap, ma dichiarato inammissibile per mancanza di coperture.
Riferendosi a questo, il viceministro Enrico Morando ha detto che è comunque “all’attenzione del governo”.
Pd e Sel chiedono anche che siano esentate “da ogni versamento aggiuntivo” che potrebbe essere richiesto da parte del Fondo di risoluzione nazionale, le banche di piccola dimensione, con attivo inferiore a 2 miliardi di euro, che negli ultimi tre anni non abbiano distribuito dividendi agli azionisti e che siano orientate a finanziare in via prevalente enti non profit.
(da “Huffingtonpost”)
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