Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
LA MELONI RICAMBIA IDEA O FORSE NO: “PRONTA A CANDIDARMI”, BERTOLASO USA LA RUSPA: “TICKET IMPROPONIBILE”. “RINGRAZIO SALVINI: CON IL SUO MODO DI FARE CONTRO ROMA HA SUSCITATO LA REAZIONE POSITIVA DEI ROMANI”
Appena Bertolaso ha decretato il successo delle Gazebarie, ecco miss “piede in due scarpe” lanciare la sua candidatura con appena tre mesi di ritardo: “Chiedo un incontro risolutivo a Berlusconi e Salvini nella giornata di domani. Metto a disposizione anche la mia candidatura come gesto di amore e responsabilità .“.
In tre giorni è passata da “organizzatrice delle Gazebarie” a “No alle Gazebarie pro Bertolaso” fino al sacrificio estremo “sono pronta a sacrificarmi”, come se glielo avesse chiesto qualcuno, a parte Pappone (e pure per fregarla).
Quindi la Meloni si candiderà ? Eh no, troppo facile, va bene anche Bertolaso.
“Guido Bertolaso può essere un buon candidato e un buon sindaco se riesce a unire le forze di centrodestra. Se riesce a farlo e a vincere le perplessità che ancora diverse persone hanno, Fdi sarà con lui come lealmente ha fatto dall’inizio“.
Forse dimentica che non è stato Bertolaso a dire no a Salvini, ma Salvini a dire no a Bertolaso, ma andiamo avanti.
Allora va bene Bertolaso ?
Dipende: “se si presta a strumentalizzazioni che sono utili a tutelare un partito, allora saremo costretti a fare scelte diverse“.
Allora non vanno bene le gazebarie?
“Abbiamo contribuito al risultato dei gazebo invitando i romani a votare con spirito unitario. Anche il nostro impegno è stato sfruttato per delegittimare me e il movimento che rappresento.”
Ah ecco, allora le gazebarie, ora che sono andate bene, le ha organizzate anche Fdi, basta saperlo.
E noi che pensavamo che le avesse delegittimate lei alla vigilia, quando ha detto che non era più d’accordo.
Poi l’umorismo finale: “Potrei aggregarmi alla fiera della irresponsabilità collettiva“: tranquilla lo hai già fatto, non è necessario il bis.
Quando a Bertolaso viene chiesto cosa ne pensa dell’ipotesi che Meloni scenda in campo, l’ex capo della protezione civile ribatte: “Un ticket con Meloni per la sfida del Campidoglio? E’ improponibile. Il city manager (ruolo che andrebbe a ricoprire nell’ipotesi ticket con vittoria della leader Fdi-An alle elezioni) non fa il lavoro che fa il sindaco – ha detto Il city manager è il direttore generale del Comune, che è un esecutivo di quelle che sono le indicazioni politiche e operative che gli dà il sindaco e la giunta. Quindi siamo su due piani completamente diversi. o ci metto la faccia, non faccio operazioni per conto di altri”.
La corsa di Guido Bertolaso al Campidoglio appare ormai un dato di fatto.
Lo stesso leader di Forza Italia Silvio Berlusconi mette in chiaro che non ha intenzione di rimettere in discussione la candidatura.
“Se c’è una rottura”, dice, rispondendo ai cronisti che gli chiedono delle tensioni con Lega e Fdi, “è quella tra gli uomini d’azione che fanno, e quelli che sono politici per professione. Nella giunta di Bertolaso ci sarà gente d’azione. I politici facciano i politici, facciano i convegni e parlino. Qui bisogna decidere e lavorare.”
Nel pomeriggio aveva detto: “quando arriverà un politico che mi dice ‘voglio essere io al posto di Bertolaso’ lo guarderò e gli riderò in faccia. E gli dirò ‘mi vengono i brividi a pensare che tu possa immaginare, tu che non saresti capace di amministrare un’edicola, di fare il sindaco di una città come Roma’”.
Il messaggio agli alleati, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, non potrebbe essere più chiaro.
E il diretto interessato acquista sicurezza: “Io sono il candidato del centrodestra, non di un singolo partito”, dice Bertolaso, e annuncia: “Non ho motivi di dovermi fermare, sono i romani che mi spingono a questo punto, non i partiti. E se i romani mi spingono, allora vado avanti come una ruspa fino alla fine”.
Dopo di che rivendica: “Due mesi fa Salvini mi ha chiamato e mi ha detto ‘voglio che ti candidi a sindaco di Roma’. Io a quella telefonata sono rimasto, non l’ho più sentito”.
Così avvia la sua campagna elettorale, scegliendo per l’esordio una intervista a ‘Domenica Live’ su Canale5 con Barbara D’Urso.
Bertolaso risponde poi a Salvini: “lo ringraziamo – afferma – il suo agire e il suo affermare fatti, decisioni e idee che vanno contro l’interesse della Capitale, secondo il mio punto di vista, ha stimolato la reazione positiva di molti romani”.
Domani è un altro giorno, si vedrà …
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Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
“HANNO VOTATO QUASI 50.000 ROMANI”… BERTOLASO OTTIENE IL 96,7% DI CONSENSI
Guido Bertolaso fa l’en plein alle ‘gazebariè. Incassa il sì del 96,7% dei «quasi 50 mila romani votanti», secondo la stima presentata dallo stesso candidato sindaco del centrodestra. Che ora punta dritto al Campidoglio.
«Possiamo andare avanti anche senza Salvini», tuona l’ex capo della Protezione civile, che esclude un ticket con Giorgia Meloni – «improponibile» lo definisce – e si dice «molto preoccupato» per la situazione della Capitale, dal degrado al problema buche. «Il governo dovrebbe dichiarare lo stato di emergenza», afferma.
E lancia un appello a Palazzo Chigi per anticipare le comunali, a fine aprile o inizio maggio, ipotizza.
La ‘prova gazebò di Bertolaso è terminata oggi alle 13.30 quando hanno chiuso i banchetti voluti da Silvio Berlusconi per una sorta di ‘referendum’ sulla candidatura del suo ex sottosegretario.
Anzi, qualche banchetto ha ‘sforatò con gli orari: alcuni seggi hanno dovuto prolungare l’apertura a causa delle numerose persone ancora in fila che desideravano esprimere la loro opinione, spiegano dal comitato Bertolaso.
Fatto sta che alla due giorni di ‘gazebariè, secondo gli organizzatori, hanno partecipato quasi 50 mila romani.
«Siamo contenti, ci scusiamo per i disguidi ma la macchina organizzativa nel complesso credo abbia funzionato in modo egregio» commenta Bertolaso durante una conferenza stampa nel tardo pomeriggio per snocciolare i primi numeri della consultazione: le cifre, non ancora definitive, parlano del 96,7% dei votanti a favore della sua candidatura. Il 3,3% appena avrebbe invece votato no.
«I cittadini hanno risposto con entusiasmo e con grande vivacità a questa nostra chiamata. Un risultato straordinario» commenta Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia.
A proposito delle polemiche sul sistema di votazione, Bertolaso replica:
«Il documento d’identità è stato preso. In molti casi è stato registrato in altri no. Non avevamo imposto una regola ferrea», replica Bertolaso.
(da “il Messaggero”)
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Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
“SARO’ IN LISTA, MA SONO FERITA DALLA MACCHINA DEL FANGO”
Patrizia Bedori conferma il suo ritiro dalla candidatura a sindaco di Milano per il Movimento Cinque stelle.
Mentre è ancora in corso la riunione tra la candidata e gli attivisti milanesi grillini, ha ribadito: “Sarò sicuramente in lista, ma faccio un passo di lato (come aveva detto Grillo al momento del suo distacco dal Movimento ndr).
È colpa dei mass media se sono ferita – ha detto in lacrime – Non sono una politica con la faccia di ‘tolla’. La macchina del fango è partita subito, il gossip ha preso il sopravvento su tutto. Adesso vedremo di trovare una soluzione”.
“Qualcuno mi ha detto di andare avanti, ma non voglio fare i nomi di chi mi ha incoraggiata”. L’ormai ex candidata sindaco del 5 stelle ha chiesto ai militanti di sostenere la candidatura di Corrado, il terzo arrivato alle primarie pentastellate di novembre, ma la soluzione più probabile sembra invece, un azzeramento totale e la decisione di scegliere un nuovo candidato con votazione online.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
CANDIDATO SI RITIRA: “NON C’E’ TRASPARENZA”
“Senza immaginazione non c’è salvezza”, dice lo slogan dei Giovani democratici.
E di immaginazione ce ne vuole, guardando le foto dell’ultimo congresso romano di tre settimane fa, per convincersi che gli iscritti nella Capitale siano duemila.
La prova del nove, comunque, si avrà oggi quando l’organizzazione junior del Pd sceglierà — ai gazebo — il nuovo segretario nazionale.
Così direbbe la logica, ma quello che inizia è di nuovo un weekend di voto destinato a fare polemica.
Cominciamo dai numeri: a Roma, dicevamo, ci sono 1.900 iscritti nel 2015, settecento in più dell’anno prima.
Un dato anomalo, visto che a livello nazionale le tessere dei Giovani democratici si sono dimezzate nel giro di pochi anni, passando dai 50 mila del 2012 ai 25 mila del 2015, in linea con l’emorragia di iscritti al Pd “adulto”.
Doppiamente anomalo, il baby-boom degli iscritti romani, se si considera che alle primarie per la scelta del candidato per il Campidoglio, domenica scorsa, il voto degli under 30 è stato quasi sconosciuto ai radar dei gazebo.
Quello che si conclude oggi è un congresso scandito da accuse e veleni sulla scarsa trasparenza: inizialmente, il voto degli iscritti ai Gd valeva 1,5 punti e quello dei simpatizzanti soltanto 1, e questi ultimi per votare dovevano obbligatoriamente utilizzare una carta di credito intestata e pagare due euro.
Uno studente di Lodi ha fatto ricorso alla commissione di garanzia, che ha sentenziato: ogni voto deve avere lo stesso valore e l’uso obbligatorio della carta di credito discrimina i giovani senza una Visa in tasca.
Così, si è deciso di “aprire” le primarie. E pure troppo. Solo i simpatizzanti che si sono iscritti on line entro il 6 marzo devono presentarsi ai seggi con un documento di identità .
Agli altri, gli iscritti con tessera, basta semplicemente esibire il cartoncino di appartenenza ai Gd. È senza foto e la paura è che possa facilmente essere usato in serie: chi se ne accorge, se uno viola il regolamento e vota più di una volta?
Direte: andate ai seggi a controllare. Ma un’altra regola scritta delle primarie prevede che, escluso il presidente, gli scrutatori e i rappresentanti di lista, nessun altro possa “sostare nei pressi dei seggi e comunque a distanza inferiore di mt. 100”.
L’allarme è alto. E uno dei candidati, Dario Costantino — coordinatore della Federazione degli studenti e “erede” di Fausto Raciti — minaccia di ritirarsi dalla corsa se le primarie non vengono rinviate e le regole riscritte.
Non ci sono più, dice, “le condizioni minime per partecipare”: “Risultato a tavolino”. Gli indiziati sono i mentori del suo sfidante, Mattia Zunino: fedelissimo del segretario uscente, Andrea Baldini, e del commissario del Pd Roma Matteo Orfini, figlio dell’ex parlamentare Massimo Zunino (nominato durante il governo Renzi presidente di Mistral Air, la compagnia aerea di Poste Italiane), sostenuto da Davide Ragone, leader dei Future Dem e membro dello staff del ministro Maria Elena Boschi.
La corsa, sulla carta, è un po’ impari.
E il risultato di Roma è quello che può spostare il verdetto nazionale. I maligni arrivano a dire che nella Capitale sarebbero pronte delle “navette” per spostare gli elettori da un gazebo all’altro.
Ma il clima è di guerra ovunque. Alcuni congressi locali sono finiti in rissa: a Bari il segretario regionale uscente ha tirato lo statuto del partito colpendo un militante, a Napoli l’ex segretaria Antonella Pepe si è dimessa dopo aver denunciato anomalie nel tesseramento a Caserta e Salerno.
Ci sono Comuni con meno di 2 mila abitanti dove si sono registrati via web fino a 70 simpatizzanti.
Altrove succede l’opposto: sono stati dichiarati anomali 266 iscritti a Monreale, idem a Enna, in Molise e nella provincia di Barletta-Andria-Trani.
A Urbino, per dire, non è stata autorizzata l’apertura di un seggio, nonostante ci fossero 15 iscritti on line: quei 15, se vorranno, potranno farsi due ore di autobus e votare a Fano.
Antonio Monti e Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
IL PATTO TRA GLI OLIGARCHI E PUTIN: 110 FAMIGLIE HANNO IL MANO META’ DELLA RICCHEZZA DEL PAESE
Quando, poco prima di Natale, Grigorii Bedzhamov, presidente della federazione russa di bob, sparisce da Mosca, inizia un intrigo sportivo inconsueto in un Paese che ama l’agonismo invernale.
Recentemente il giornalista americano Patrick Reevell ne scopre le tracce a Monaco, dove al porto è ancorato uno yacht di 70 metri (da 50 milioni di dollari) di proprietà dello scomparso: l’intrigo diviene finanziario.
Successivamente la polizia arresta sua sorella Larisa Markus, presidente della Vneshprombank, accusata di bancarotta fraudolenta per un buco di bilancio di 2,5 miliardi di dollari.
L’intrigo muta in politico: tra i clienti della banca ci sono industrie di Stato e oligarchi vicini al potere – per esempio Nikolai Tokafrev, già agente del Kgb in Germania al tempo di Putin.
In Occidente, il caso di Bedzhamov è considerato sintomatico in un Paese che non riconosce democrazia e stato di diritto come fondamenta politiche, nè integrità e concorrenza come principi economici.
In Russia il caso è piuttosto orgoglio nazionale ferito. Il presidente Putin, che ha elevato il successo nello sport, insieme alla politica estera e agli interventi militari, a simbolo della rinascita del Paese, non può permettere che le avventure di un allenatore sportivo, ora latitante, influenzino le elezioni di settembre, minacciando il partito al potere, Russia Unita.
Il malgoverno che ha permesso l’arricchimento della famiglia Bedzhamov non è un privilegio esclusivo della Russia odierna – dove l’Ocse stima la corruzione a 25% del prodotto lordo, mentre la Banca Mondiale la pone al 48%.
La privatizzazione selvaggia è stata ereditata dalla presidenza di Boris Eltsin.
Negli Anni 90 infatti, prestiti privati concessi al governo come controparte di quote in aziende di Stato, trasferisce la proprietà delle imprese ex sovietiche a un pugno di amici del Cremlino: tra essi Boris Berezovsky (ora deceduto), Alexander Smolensky, Mikhail Khodorkovsky, Mikhail Fridman e Vladimir Potanin.
Rapidamente, i neo-milionari diventano miliardari speculando sul differenziale del prezzo domestico delle materie prime rispetto ai mercati mondiali.
Quando il presidente Putin entra in scena nel 2000, sigla un accordo con gli oligarchi: in cambio di un’assoluta lealtà , permette loro di mantenere affari e ricchezza.
La maggior parte si allinea; chi si oppone, per esempio Mikhail Khodorkovsky, finisce in Siberia.
Emergono nuovi oligarchi – Roman Abramovich, Oleg Deripaska, Mikhail Prokhorov e Vagit Alekperova – con conseguenze prevedibili.
Il divario di reddito in Russia aumenta vertiginosamente: le 110 famiglie più benestanti possiedono la metà della ricchezza privata, le aziende in loro mano producono un terzo del reddito nazionale.
Mosca, capitale mondiale dei miliardari, diventa un centro di riciclaggio: quasi 500 miliardi di dollari da quando Putin è al potere.
L’arricchimento basato sullo sfruttamento delle risorse naturali ostruisce lo sviluppo dell’industria.
L’economia continua a dipendere da gas e petrolio, che generano metà del bilancio federale e la maggior parte del reddito da esportazioni.
Il sistema produttivo, e poi quello sociale, entrano in crisi quando il crollo del prezzo degli idrocarburi riduce le spese sanitarie, dimezza le riserve valutarie e azzera i fondi sovrani dai quali Putin attinge per finanziare gli interventi in Ucraina e in Siria.
Alla crisi economica si sovrappone quella demografica.
Nel secolo scorso la Russia ha affrontato le conseguenze della rivoluzione (4 milioni di morti), la collettivizzazione di Stalin (2 milioni), e la guerra mondiale (13 milioni). In qualche generazione, bassa natalità e aspettativa di vita a soli 67 anni (15 meno dell’Italia), ridurranno la popolazione russa a cento milioni, un terzo in meno dell’attuale.
Antonio Maria Costa
(da “La Stampa”)
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Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
MOSCA LA ACCUSA DI OMICIDIO, IN PATRIA E’ UN’EROINA
Lo stile è proprio quello della top gun.
Coraggiosa e sprezzante, Nadezhda Savchenko ha mostrato il dito medio in diretta tv al giudice russo che chiedeva per lei 25 anni anni di carcere nell’aula del tribunale di Donetsk, cittadina russa omonima del tormentato capoluogo del Donbass: «Volevate una mia dichiarazione? Questa è la sola cosa che posso dirvi».
A sorprendere non era tanto il tono quanto l’energia di questa donna di 35 anni in carcere da quasi due e devastata da un infinito sciopero della fame interrotto solo da qualche rara nutrizione forzata imposta dai medici.
Nadezhda, che sia in russo che in ucraino vuol dire Speranza, continua comunque a reggere il suo ruolo di eroina della rivoluzione ucraina e di acerrima nemica della Russia.
A Kiev la amano, a Mosca la guardano con sospetto e poca compassione.
In attesa del verdetto, il 21 marzo, molti cittadini e anche intellettuali e star dello spettacolo scrivono e twittano a Putin per chiedergli di liberarla.
Un po’ per umanità , un po’ per il disagio di un processo quantomeno singolare.
La vicenda parte da uno shock non da poco per l’opinione pubblica russa: la morte di due popolari volti della tv uccisi nel Donbass durante un bombardamento dell’artiglieria ucraina.
Savchenko, secondo l’accusa, avrebbe fornito agli artiglieri le coordinate per colpire la postazione televisiva russa.
Carriera militare, un passato da tiratore scelto e poi da pilota di elicotteri da combattimento, Nadezhda nell’estate del 2014, durante l’insurrezione delle province ucraine filorusse si era arruolata volontaria nel battaglione Ajdar.
Molto ambigua è invece la ricostruzione di come sia finita nelle mani della giustizia di Mosca. Secondo alcuni lei stessa avrebbe chissà perchè varcato il confine, finendo per essere catturata. Altri sostengono, più credibilmente, che sia stata presa dalle milizie filo russe e consegnata ai loro “capi” di Mosca.
Per il governo di Kiev, invece ci sarebbe stato un vero e proprio rapimento.
In patria la top gun, che gli amici chiamano affettuosamente Nadia, è diventata un simbolo: «La nostra Giovanna d’Arco».
Certo non giova alla sua immagine, anche nei confronti dei governi occidentali che ne chiedono la scarcerazione, il fatto che sia diventata un’icona di quei gruppi militari armati che chiedono a gran voce in piazza «lo stermino di tutti i russi del paese». Perfino Yiulia Tymoshenko, che ha sfruttato la notorietà della pilota facendola eleggere deputato nel suo partito, ha messo da parte le magliette con il volto di Nadia. L’imbarazzo è reciproco e Nadia rischia di restare sola.
L’unica via d’uscita è una trattativa per uno scambio di prigionieri.
Poroshenko si offre, Putin fa sapere che «ci sta pensando». Resta il nodo fondamentale: la Russia non può ammettere di essere stata in guerra con l’Ucraina e non può dunque accettare in cambio militari russi catturati dalle forze di Kiev.
Nadia aspetta tra mille dubbi e sussurra: «Morirò prima di essere condannata».
Nicola Lombardozzi
(da “La Repubblica”)
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Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO ERA STATO INDAGATO E POI PROSCIOLTO A COSENZA
Per rappresentarla nel consiglio d’amministrazione dell’Istituto nazionale Tumori, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha scelto Andrea Gentile, figlio del collega di partito Tonino Gentile, sottosegretario per lo Sviluppo economico del governo Renzi. Toccherà dunque ad un calabrese presidiare per conto del Ministero il cuore amministrativo dell’eccellenza milanese per la ricerca e la cura in campo oncologico, che coordina le strutture pubbliche e private accreditate operanti in Regione Lombardia.
Avvocato trentaseienne, Andrea Gentile in passato è stato presidente dell’organismo di Vigilanza dell’Unicef-Italia e in Sacal, la società aeroportuale che gestisce lo scalo di Lamezia Terme, ma non vanta ampia esperienza in campo sanitario.
Anzi, quando da legale ha avuto a che fare con gli ospedali, è finito nei guai.
Nel 2014 Gentile junior è stato infatti iscritto sul registro degli indagati per truffa, associazione per delinquere e altri reati per gli incarichi di consulenza ricevuti dall’Asp di Cosenza.
Nel giro di un anno la sua posizione è stata archiviata perchè — si legge nel provvedimento — “dagli elementi raccolti non emergono, tra gli indagati, legami di natura illecita, bensì vincoli di natura professionale ed amicale”.
In più, sottolineava il giudice “l’attività delittuosa è del tutto inesistente”.
Proprio quell’indagine però costerà indirettamente al giovane avvocato Gentile un altro guaio giudiziario.
Nel febbraio 2014, l’editore Alfredo Citrigno e lo stampatore Umberto De Rose faranno infatti di tutto pur impedire la pubblicazione della notizia riguardante l’inchiesta a carico di Gentile junior sul quotidiano Calabria Ora.
Fallite le pressioni sul direttore della testata dell’epoca, Luciano Regolo, un misterioso blocco delle rotative impedirà al giornale di andare in edicola.
Un caso — divenuto noto come Oragate — finito al centro di un polverone mediatico costato le dimissioni al padre del giovane legale, all’epoca sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, ma tracimato anche nelle aule di giustizia. Per quella vicenda, la procura di Cosenza ha infatti aperto un’inchiesta che vedeva fra gli indagati anche Gentile jr.
Anche in questo caso però la sua posizione è stata archiviata, mentre sono finiti a processo Citrigno e De Rose . Quest’ultimo ha procurato anche un altro grattacapo al primogenito del sottosegretario.
Da presidente della principale controllata regionale calabrese, Fincalabra, De Rose aveva assegnato all’avvocato una consulenza da circa 38mila euro, secondo la procura “in assenza di alcun avviso pubblico e in assenza di alcun metodo di valutazione comparativo tra le offerte presentate e quindi in violazione dei principi di pubblicità , trasparenza e imparzialità ”.
Di tutt’altro avviso è stato invece il gup, per il quale non sarebbe stato commesso alcun reato. Quella di Gentile — ha sostenuto il giudice — non era “un’assunzione ma un incarico professionale esterno”.
Guai giudiziari e polveroni mediatici che non sembrano aver impedito al giovane avvocato di fare carriera, ma che non hanno disturbato più di tanto neanche quella del padre.
A circa due anni dalle dimissioni seguite all’Oragate, il senatore Tonino Gentile è tornato al governo come sottosegretario allo Sviluppo Economico, mentre continua a fare da ago della bilancia nel suo feudo di Cosenza.
Alessia Candito
(da “La Repubblica“)
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Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
L’ATTO DI ACCUSA DEGLI ESPULSI: REGOLE STRAVOLTE, DOSSIER E VELENI
Dopo le regionali hanno cominciato a nascere i “gruppi segreti”. Così li chiamano nel mondo underground del Movimento 5 stelle. Nessuno che non sia ammesso può partecipare e leggere i contenuti. Dentro si dialoga animatamente, a volte ci si insulta minacciando querele.
Sono ammessi quelli che dovrebbero essere i più motivati del Movimento 5 stelle, il gruppo pensante, i più dinamici: sono circa 160 nel gruppo attivisti e attiviste di Torino. Ma dalla rete segreta stanno cominciando le fuoriuscite: qualcuno è esasperato da toni e insulti, altri vengono “bannati”, come si usa dire in gergo. Improvvisamente sparisce.
E’ capitato a Manola Gozza, messa fuori ad aprile del 2015.
Le ragioni? Lei la racconta così: “Ero andata fuori Italia e quando sono tornata semplicemente non c’ero più. Ho chiesto ripetutamente spiegazioni a Marina Commisso e Gianni Limone del gruppo comunale che allora erano “amministratori”, ovvero quelli che autorizzano l’ingresso nel gruppo e controllano i contenuti. Nulla, non ho capito. In un riunione successiva del gruppo segreto ho chiesto spiegazioni. C’erano tutti, dal consigliere Davide Bono a Chiara Appendino e il marito. Sguardi bassi, nessuno ha risposto. Poi mi hanno preso da parte e mi hanno fatto capire che frequentavo gente non troppo gradita e avevo messo un “like” ad un progetto sottoscritto da Eleonora Bechis, uscita dal Movimento, e dalla deputata Giulia Sarti. Un progetto di volontariato che si chiama “Un sacco di vita””.
Fuori per un “like”? Cosa succede nel Movimento 5 stelle piemontese?
Il fiume del dissenso è in piena: si denunciano espulsioni, la presenza di dossier, si dice che le “regole non ci sono e cambiano ad hoc quando si va al voto ” e che ci sono “eletti che non dovrebbero avere il ruolo di “organizer” ma che invece organizzano e coordinano “.
Mentre a Napoli sono state espulsi attivisti perchè i gruppi segreti al nazionale non piacciono “qui in Piemonte sono ammessi e si diffondono”.
Il paradosso è che al gruppo segreto si risponde con “sotto-gruppi segreti” di dissenso a cui partecipano anche membri del gruppo ufficiale. Roba da film.
Da Torino mesi fa è partita una lettera indirizzata a Beppe Grillo in cui si segnalano casi e fatti. L’ha firmata Margherita Cardone, insegnante di matematica e fisica in pensione di 71 anni ed attivista da sempre, uscita volontariamente dal “direttivo” perchè “indignata dal comportamento verso Manola Gozza e la decisione di andare per avvocati per uno scambio piuttosto duro con un attivista all’interno del gruppo segreto”.
Tre pagine in cui si racconta persino delle dichiarazioni sulla presenza di dossier sugli attivisti.
“Come me, altri, anche alcuni eletti, hanno cominciato a criticare questo atteggiamento prevaricatore. Così hanno deciso di inventarsi un altro sistema facendo riunioni a porte chiuse per isolare quelli che facevano domande ed esprimevano critiche “.
A Torino, incalza Cardone “gli attivisti sono utili solo se offrono bassa manovalanza a bocca chiusa”.
A novembre dello scorso anno invia anche un sms a Roberto Fico: “Gli attivisti pensanti e onesti non possono più accettare la deriva autoritaria e costrittiva che stiamo subendo nel movimento piemontese. Possiamo documentare “.
Fuori da Torino il clima è più sereno? Non pare proprio.
A Nichelino Domenico Cuppari è stato espulso. Lui è architetto e ufficiale dell’esercito, in passato candidato sindaco e ora non più interesato al ruolo.
Dopo la sospensione avvenuta il 18 gennaio 2016 perchè avrebbe utilizzato su una pagina facebook il logo del Movimento, ha presentato ricorso al Comitato d’Appello nazionale dichiarando che a suo parere, e a parere di molti altri attivisti di Nichelino, la vera ragione dell’espulsione era invece “non consentire ad un nuovo meet-up “Nichelino in movimento-amici di Beppe Grillo” di poter presentare un candidato in antitesi a quella del gruppo locale.
L’espulsione è datata 28 gennaio. Il resoconto di Cuppari della riunione che si è svolta l’8 gennaio a cui ha partecipato anche il parlamentare Ivan Della Valle rivela quanto sia forte il disagio: “Avevo accompagnato questi attivisti che volevano presentare una candidatura alternativa.
Ma dopo molte discussioni Della Valle ha detto pubblicamente che si poteva andare alle primarie. Peccato che subito dopo noi siamo stati allontanati e in venticinque hanno votato la candidatura di Antonella Pepe.
Pochi giorni dopo c’è stata la conferenza stampa”. Ejlal Moughari, iraniano operaio specializzato, conferma e sintetizza quello che dice essere il clima: “Il metodo che usano è quello della supervisione. Loro vedono te e tu non puoi vedere loro. Le regole sono flessibili e dalle regole si esce quando si capisce che ci sono persone che possono mettere a rischio le poltrone del gruppo di potere”.
C’è pure lo strano caso di Lucia Pascalis, giornalista e attivista di Chivasso.
Dopo una denuncia di alcuni consiglieri del Movimento contro ignoti per “sospetta violazione della corrispondenza e presunto reato di ricettazione”, nel 2013 a casa sua si presentarono i carabinieri. E’stata assolta il 16 febbraio.
Sara Strippoli
(da “La Repubblica”)
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Marzo 13th, 2016 Riccardo Fucile
I SONDAGGI PARLANO DI TRADIZIONALISTI CHE SI ALLONTANANO MA SENZA TROVARE ANCORA UNA SINISTRA DI RIFERIMENTO… I CASI AIRAUDO, BASSOLINO E BRAY
È un fenomeno silenzioso, ancora non certificato dal sistema politico-mediatico eppur imponente: milioni di «vecchi» elettori stanno abbandonando il Pd e più o meno un numero analogo di nuovi elettori vi si stanno avvicinando.
Le intenzioni di voto al Pd ancora in queste ore restano su percentuali significative (tra il 30 e il 34%, a seconda degli istituti) ma quelle intenzioni sono la somma di un imponente ricambio di elettori, come dimostrano da due anni gli studi dei flussi elettorali del Cattaneo di Bologna e tutti i principali istituti di sondaggi
Un ricambio di elettori all’interno di uno stesso partito che non ha precedenti nella recente storia della Repubblica: in entrata quasi tutti gli ex elettori di Mario Monti e (in misura minore) di Forza Italia; in uscita c’è un elettorato di sinistra, ma non soltanto, che dopo un innamoramento iniziale per Renzi (boom alle Europee 2014), non ama lo stile e le politiche del premier: un elettorato prevalentemente over 60 e under 25
È esattamente questo bacino potenziale l’innesco non dichiarato, della fiammata di queste ore attorno alla suggestione di una scissione, evocata da Massimo D’Alema, in una intervista al «Corriere della Sera» nella quale l’ex premier ha indicato esplicitamente l’ipotesi di una «nuova forza».
Ma quella di D’Alema non è l’unica sirena nell’area ai confini del Pd.
Attorno allo spazio politico rappresentato da milioni di elettori delusi e in gran parte «parcheggiati» nell’astensione (come dimostrano gli studi del Cattaneo) si sono manifestati diversi «acquirenti», diverse offerte, un rosario di leader potenziali dell’area, sempre in litigio tra loro: Sel senza più Vendola; i fuoriusciti dal Pd, divisi tra i «tradizionalisti» come Fassina e D’Attorre e Civati; la minoranza Pd; un leader potenziale come Maurizio Landini, che non ne vuole sapere di beghe politiche e pensa ancora a conquistare la guida della Cgil, strappandola a Susanna Camusso.
Eloquente quanto sta accadendo nelle quattro città nelle quali si voterà alle amministrative di giugno.
A Torino i sondaggi sono concordi nel quotare Giorgio Airaudo, ex Fiom oggi Sel, su percentuali sorprendenti, poco al di sotto del 10 per cento; a Napoli Antonio Bassolino ha già detto che, se non avrà «giustizia» sulla questione delle Primarie, si presenterà in contrapposizione con la candidata ufficiale; ieri il vice di Renzi al Pd, Lorenzo Guerini, da Napoli diceva: «Non ci sarà una lista Bassolino». Ma se non gli daranno soddisfazione, l’ex sindaco di liste in appoggio ne ha già pronte tre.
A Milano fino a 48 ore fa l’area a sinistra del Partito democratico scommetteva su una candidatura prestigiosa, quella dell’ex pm Gherardo Colombo; a Roma da settimane è in atto un pressing su un personaggio fuori dagli schemi partitici, capace di catalizzare un elettorato colto e di sinistra, l’ex ministro dei Beni Culturali Massimo Bray.
Un «poker rosso» che è entrato parzialmente in crisi nel giro di poche ore: Colombo ha declinato, mentre Bray (che resiste anche in quanto direttore di una istituzione come la Treccani) non ha ancora sciolto la riserva e nelle prossime ore potrebbe spuntare un appello di intellettuali per farlo candidare.
Si tratta di quattro operazioni che insistono sullo stesso elettorato ma con registi e motivazioni diverse.
Antonio Bassolino col suo slogan «Di nuovo ci sono io», si propone come collaudato uomo di governo e al tempo stesso come espressione dell’anti-establishment, ma sicuramente non con un’etichetta di sinistra.
Massimo Bray invece è sospinto da Massimo D’Alema, con l’idea esplicita di intercettare la scissione in atto nell’elettorato del Pd.
Ma la minoranza di sinistra, dal suo “congresso” gli ha detto no: «Noi vogliamo dare una mano», ha detto Roberto Speranza nel passaggio più esplicito della sua relazione.
E quanto a Giorgio Airaudo, la sua è sfida a viso aperto al sindaco del Pd Piero Fassino, che con il ponte lanciato verso personalità (ed elettori) del centro-destra, ha scoperto il lato sinistro.
Dice Pippo Civati: «Da tempo ripeto che questa è un’area politicamente molto estesa, ma bisogna saperla coltivare con candidature di rinnovamento e comunque di alto profilo, come poteva essere quella di Gherardo Colombo o, come potrebbe essere quella di Massimo Bray. Altre candidature sembrano rispondere di meno a quei requisiti».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
argomento: Partito Democratico | Commenta »