Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
SE NON FOSSE STATO PER FINI, LA MELONI SAREBBE MAI ARRIVATA A GUIDARE UN DICASTERO ?
“Nessun uomo può dire a una donna ciò che deve o non deve fare. E in una città che ha come simbolo una lupa che allatta due gemelli la mia gravidanza non sarà un problema”.
Anzi ormai è diventato un valore aggiunto per la campagna elettorale femminista di Giorgia Meloni che pare si debba votare solo perchè è donna.
In effetti forse non esiste altra ragione per votare chi da vent’anni frequente le stanze del potere, arrivando a essere nominata persino ministro nel governo Berlusconi solo grazie alla quota spettante ad An e su intercessione di Gianfranco Fini.
In quel caso aveva accettato volentieri di fare quello che un uomo le aveva proposto.
Oggi ha intimato a Bertolaso di “farsi da parte” e il poveretto che pensava coi disastri ambientali di averne visto ormai tutti i generi, ora si è trovato di fronte a un nuovo cataclisma di arroganza e presunzione, il ciclone Giorgia.
Ha reagito da esperto di tsunami con un “non mi ritiro, vado avanti come una ruspa”, sfottendo il mandante del suo tentato omicidio.
Per ora gode ancora di buona salute, peccato che sia uomo e non in attesa, parte con 3 punti di penalizzazione più altri 2 per non avere sparato cazzate sui rom.
Può rimediare comprando un risciò: non avrà l’effetto di una carrozzina da bimbi, ma potrebbe sempre suscitare la compassione di qualcuno.
Anche se mai potrà raggiungere quella che provano i romani per il centrodestra.
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Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
CHE COERENZA, OGGI LA MELONI FA BENE INVECE A CANDIDARSI
I politici non brillano quasi mai per coerenza nelle dichiarazioni e nelle prese di posizione, e sarebbe facile gioco prenderli in castagna e dimostrare che cambiano idea a seconda delle convenienze.
Certo è che il leader della Lega Matteo Salvini in questi giorni l’ha fatta abbastanza grossa: a quanto pare per lui ci sono donne incinte che possono (giustamente) impegnarsi in politica, e altre (casualmente del fronte avverso) che invece devono stare a casa.
E così – oggi è arrivato l’endorsement ufficiale – ieri Salvini ha dichiarato che Giorgia Meloni, in dolce attesa, è abile e arruolata per la candidatura a sindaco di Roma. «Scopro ora un improvviso interesse per la vita delle mamme – ha detto il leader lumbard a Ballarò su Rai3 – come ci sono mamme architetto o operaie, una mamma può fare il sindaco o il ministro».
Eppure non sembrava pensarla allo stesso modo due anni fa.
Sarà perchè la futura mamma (forse) era Marianna Madia, che avrebbe dovuto diventare ministro del governo Renzi.
« Se Renzi vuole cambiare il mondo in tre o quattro mesi, come fa la signorina Madia a riformare la pubblica amministrazione se partorisce?».
Era il 28 febbraio 2014, e Salvini parlava a La Zanzara su Radio 24, tornando sulla nomina del ministro Marianna Madia, allora all’ottavo mese.
«Che senso ha? Per cambiare una macchina complessa come la pubblica amministrazione Renzi mette una donna che fra due mesi è in ospedale a partorire? Mia moglie – disse Salvini – non è tornata a lavorare dopo una settimana, altrimenti mi sarei preoccupato per lei e per mia figlia. Sarebbe stato meglio mettere qualcuno che avesse almeno davanti un anno di lavoro 24 ore su 24. Una donna che partorisce pensa giustamente a suo figlio, non pensa al ministero».
Dipende.
(da “La Stampa”)
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Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
PARLA LUI CHE IN LIGURIA HA IMPOSTO DUE RINVIATI A GIUDIZIO PER PECULATO
“A Berlusconi avevo chiesto di candidare persone nuove, pulite, ma lui fa fatica a capire come questo sia importante. Pazienza, vuol dire che per ora andiamo da soli dove necessario”: parole e musica del segretario della Lega Salvini, a giustificazione dell’ennesimo strappo a Torino, ovviamente anche qui con la ruota di scorta di Fratelli d’Italia.
Che Berlusconi non avrebbe dovuto candidare Bertolaso, ancora sotto processo, lo scriviamo da tempi non sospetti, quando per capirci Salvini e la Meloni invece ancora lo incensavano, prima della folgorazione sulla via di Damasco.
Ma come mai Bertolaso non va bene e invece Rixi e Bruzzone, i due maggiori esponenti della Lega ligure, rinviati a giudizio, insieme al capogruppo di Fratelli d’Italia, Matteo Rosso, per peculato nell’ambito dell’inchiesta sui rimborsi taroccati, andrebbero bene?
Con che faccia Salvini cassa Bertolaso e regge il moccolo a due leghisti sotto processo?
Fino a farli diventare uno presidente del consiglio regionale della Liguria e l’altro assessore all’Industria?
Ci voleva Toti per avallare una ignominia politica del genere.
Sarebbero questi i nomi nuovi e puliti?
Gente che da 20 anni fa il professionista della politica a spese dei contribuenti italiani?
Da che pulpito viene la predica.
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Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
E SALVINI A TORINO NON TROVA DI MEGLIO CHE CANDIDARE UN CONSULENTE DELLE BANCHE TANTO ODIATE A PAROLE.. OSVALDO NAPOLI REPLICA: “SALVINI SEMINA VENTO E RACCOGLIERA’ TEMPESTA, LO ASPETTO IL 7 GIUGNO QUANDO CONTEREMO I VOTI”
«A ognuno il suo mestiere». Matteo Salvini commenta cosìl’intervista rilasciata da Roberto Maroni al Corriere della Sera nella quale il governatore lombardo afferma che la scelta del candidato sindaco di Roma doveva essere lasciata a Berlusconi.
Non è la prima volta che Maroni e Salvini esprimono idee diverse sulle alleanze.
Il governatore è per esempio da sempre sostenitore di un centrodestra che includa anche i moderati di Ncd (che infatti governano con lui in Lombardia), mentre il segretario del Carroccio ha più volte ripetute di non voler intese con Alfano e Lupi.
Nell’intervista al Corriere Maroni ha sottolineato tra le altre cose come «la battaglia per la leadership del centrodestra non si vinca facendo la guerra all’alleato, ma con progetti e proposte».
E ancora: «La leadership la ottieni con la lotta sull’euro e sull’aliquota fiscale unica. E poi conquistando la fiducia di un’intera area».
Anche a Torino Lega e Forza Italia andranno per conto loro.
Alla candidatura fino a ieri unitaria di Osvaldo Napoli, oggi Salvini contrappone quella del notaio 58enne Morano, uomo vicino al mondo bancario: ha svolto la pratica notarile presso lo studio del notaio Marocco (presidente della fondazione Crt di Torino, uno dei principali azionisti di Unicredit). Dal 1987 al 1990 ha lavorato alla Citibank, quale consulente legale nell’area del corporate finance.
Un candidato che non potrà certo urlare contro “il potere delle banche”.
Unico rammarico di Salvini: gli hanno annullato una comparsata a Canale 5, dovrà rinunciare a insultare qualcuno in Tv.
A Salvini risponde lo stesso Osvaldo Napoli: “Se Matteo Salvini preferisce candidare il notaio Morano, ce ne faremo una ragione: Salvini conosce Morano, i torinesi conoscono Osvaldo Napoli”.
Per l’ex parlamentare berlusconiano il leader del Carroccio è in sostanza un bugiardo. “Le parole di Matteo Salvini non mi offendono, mi offende invece la sua incallita vocazione alla bugia. Il sottoscritto ha lavorato per 37 anni guadagnandosi da vivere lontano dalla politica, diversamente da Salvini che di politica vive. Se esiste il professionismo in politica, Salvini ne è il prototipo”.
Per il candidato forzista, Salvini si accorgerà “che gli elettori torinesi, e non solo, sapranno nella loro saggezza riunire nelle urne quello che si vuole dividere a causa di ambizioni sbagliate e velleità mal riposte. Salvini semina vento ma raccoglierà tempesta. A lui dico soltanto arrivederci al 7 giugno, quando avremo contato i voti di Morano e i miei”.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
PER SFRUTTARE L’ONDATA POPULISTA OCCORRE “ESSERE NUOVI” E NON AVERE GOVERNATO NEL PASSATO… NON E’ UN “RIVOLUZIONARIO” CREDIBILE CHI HA PASSATO PIU’ TEMPO ALLA BOUVETTE CHE SULLE STRADE, GODENDO DEI BENEFICI DEL SISTEMA
No, non sono impazziti. E dietro al tira e molla sulle candidature romane della destra non c’è solo il tema della sfida alla leadership berlusconiana, non solo quella che Ezio Mauro chiama «una contesa di eredità ».
Nel backstage di una destra governata sempre più dalle emozioni e sempre meno dal realismo politico, c’è l’ossessione di non perdere il treno dei movimenti populisti che avanzano in Europa, l’idea di poter essere se non il Front National francese o il Pis polacco, almeno l’Afd tedesco, e la convinzione che se la messe del voto di protesta, del voto anti-europeo e sovranista, del voto a dispetto, va al Cinque Stelle è perchè la guida berlusconiana è troppo vecchia e stanca per interpretare quel mondo lì, e forse neppure lo vuole.
Si immagina Roma come il laboratorio della svolta lepenista italiana. E si immagina questa svolta come qualcosa di possibile, anzi inevitabile, qualcosa che si sente nell’aria e che viaggia sulle suggestioni di Del Debbio, le invettive di Feltri, le analisi apocalittiche della Magli e della Fallaci, oltrechè sul tam tam dei social network e dell’esaltazione mistica sulle bacheche al grido di “Ruspe”.
L’ultimo pezzo che si è incastrato nel puzzle è il successo di Donald Trump, che offre sponde addirittura superiori al superomismo sovranista di Vladimir Putin e consente (oltre al resto) di non rinnegare lo schema occidentalista che è nel Dna della destra italiana.
Se lui vince parlando di muri, di pistole, di stupratori messicani, perchè noi no? Perchè dovremmo restare attaccati allo schema più o meno civile di una destra di governo se è palese che non governeremo mai più?
Questa è la domanda. E la risposta è questo caotico laboratorio romano dove il maggior affollamento di candidati sta nella fetta più piccola della torta elettorale — quella dell’estremismo di destra, 8/10 per cento nel 2013 — con la convinzione che quello spicchio sia destinato ad allargarsi a dismisura se ci sarà l’offerta giusta, e possa addirittura diventare un’onda altissima come è successo in Francia, in Germania, e soprattutto come sta succedendo in America.
Questa destra innamorata di Trump è però poco attenta alla storia e alla cronaca, e non si rende conto che i suoi modelli d’oltreconfine e d’oltreoceano hanno un vantaggio competitivo che nè Giorgia Meloni nè Matteo Salvini nè altri di quell’area lì potranno mai esibire: la verginità politica, l’essere nuovi, il non aver mai gestito nè città , nè Regioni, nè tantomeno governi centrali, la coscienza senza apparente macchia degli outsider ai quali nessuno potrà mai chiedere “perchè non l’hai fatto quando eri al potere tu?”. Ma non solo.
Come ai pugili, per essere davvero cattivi sul ring, serve “la fame”, ai politici che cercano il successo nell’emozione populista servono dosi di cinismo ai limiti della crudeltà che nessun italiano (per fortuna) possiede e che in Italia non funzionerebbero. Salvini può dire “ruspe” ma neanche lui riuscirebbe a stracciare le foto dei profughi infangati al confine greco dicendo “Non fatevi ricattare dagli occhi dei bambini” come ha fatto la tedesca Frauke Petry. Storace può fare battute sui ristoratori indiani, ma neanche lui potrebbe chiedere (come ha fatto Trump coi musulmani) la chiusura totale delle frontiere agli indù. La Meloni può parlare contro il rischio del terrorismo islamista, ma neanche lei arriverebbe a proporre di interdire internet ai ragazzi dei Paesi a rischio (sempre Trump).
La spregiudicatezza senza limiti che muove il successo dell’estrema destra americana ed europea non è pane per i denti di questi epigoni italiani, persone che hanno avuto la loro parte in tempi anche recenti, abituate più al comodo tran tran dei talk show che alla sfida di piazza, ben vestiti, ben nutriti, anche antropologicamente lontani dalla severità quasi monastica di Marine Le Pen e dal rigore calvinista della Petry, figlia e moglie di un pastore protestante, cresciuta nella Germania Est, 4 figli a quarant’anni e mai il vezzo neppure di una camicetta colorata.
Non hanno “la fame” dei pugili esordienti, non vengono dalla strada ma da carriere parlamentari lunghe un trentennio, con più bouvette che marciapiedi nell’ultimo tratto.
Questa destra che si vorrebbe estrema ed estremista ma è borghese e imborghesita da un pezzo, può trovare sintonia con spicchi sociali più o meno estesi, ma difficilmente riuscirà a intercettare gli stati d’animo del mondo più vasto dei perdenti della globalizzazione, cioè il vero nocciolo duro dell’inaspettato successo di Trump, ma anche di Sanders, o del Front National, ma anche di Podemos.
Può parlare al ceto medio impoverito, alle partite Iva spaventate dalla crisi, ma non all’enorme bacino italiano del non voto, che avrebbe bisogno di ben altri personaggi e suggestioni per tornare ai seggi, e che è al momento la sola area che potrebbe determinare sorprese elettorali.
La destra del Terzo Stato, insomma, quella della revolution bourgeoise del ’94, non può riproporsi vent’anni dopo come interprete del Quarto, e pretendere che quelli gli credano.
Flavia Perina
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
ANCHE ZAIA E MARONI PRENDONO LE DISTANZE DAL SISTEMAMOGLI… BERLUSCONI: “LA MELONI? L’UNICO LAVORO CHE HA FATTO IN VITA SUA E’ STATA LA BABY SITTER DA FIORELLO”
Con la ruvidezza che gli è propria e con la sintesi degna di un poeta ermetico, Bossi boccia l’assalto al cielo di Salvini, la sua battaglia per la leadership intrapresa contro Berlusconi: «Pensa davvero di diventare così il candidato premier del centrodestra? È un coglio…azzo».
Che tradotto in politichese vuol dire: non è rottamando un alleato che si conquista il primato, non è partendo due anni prima delle elezioni che si esce allo scoperto.
Più o meno ciò che nella Lega pensano anche Maroni e Zaia.
Si vedrà se il giovane capo del Carroccio vincerà la sfida, però una cosa è certa: Salvini ha formalmente lanciato la volata e alle sue spalle c’è un gruppone di altri pretendenti al titolo pronti a scommettere sul fatto che «il ragazzotto» sia partito troppo presto e che verrà battuto sul traguardo, quando sarà il momento.
Ma cosa ne sarà stato della coalizione quando verrà il momento? Quale forma nel frattempo avrà preso?
Se il timing di Salvini differisce da quello dei suoi avversari, è perchè il leader della Lega mira a rivoluzionare il centrodestra per trasformarlo in un blocco lepenista: perciò deve bruciare i tempi.
Gli altri competitor puntano invece sul medio periodo e su uno schema più ortodosso, simile al modello delle giunte di Lombardia e Liguria e dell’alleanza su Parisi per il comune di Milano.
L’accelerazione impressa da Salvini alla volata, ha imposto al gruppone di reagire. E c’è un motivo se ieri l’azzurro Toti ha rotto gli indugi, auspicando che il Parlamento inserisca nella legge sui partiti anche le norme per regolamentare le primarie: «Visto quanto sta accadendo, sarebbe l’unico modo per salvare il centrosinistra da se stesso e per salvare il centrodestra da se stesso».
La sortita di Toti viene interpretata come una possibile prospettiva da quanti, nel suo partito, temono l’assoggettamento a una forza «straniera» o peggio ancora l’irrilevanza.
In ogni caso è uno scenario che traghetta verso il futuro: ecco qual è la valenza della battaglia per il Campidoglio.
Il vaso di Pandora è stato aperto, perciò Berlusconi è furibondo con Salvini e la Meloni.
Con il primo ha interrotto ogni contatto, «con lui non voglio parlare».
Con la seconda ancora ieri mattina era propenso a discutere, perchè pensava di far rientrare la sua candidatura per la Capitale. Ma quando nel pomeriggio ha capito che non c’era più alcun margine di mediazione, ha perso la pazienza: «Nemmeno la ricevo… Se penso che l’ho fatta ministro…».
E giù una stoccata simile a quella riservata a Salvini «che di mestiere ha fatto solo la comparsa a Mediaset».
Nel catalogo con cui divide «gli uomini del fare» dai «politicanti», l’ex premier ha incasellato a suo modo la leader di Fratelli d’Italia: «L’unico lavoro che ha fatto nella vita è stato la baby-sitter a casa di Fiorello».
Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
“ERA TUTTO COMBINATO PER ARRIVARE A QUESTO”
“Sto pensando di candidarmi a Roma, alcuni amici me l’hanno chiesto e io il sindaco lo so fare. Come dice Berlusconi servono uomini del fare e io oltre a essere il segretario di Fare! ho dimostrato di aver le capacità di fare l’amministratore”.
Lo annuncia il sindaco di Verona e leader del movimento fare!, Flavio Tosi, nel corso di una conferenza stampa alla Camera.
“Già sono sindaco della Roma del nord (Verona, ndr) e penso che la capitale sia una sfida, non sono romano ma anche i romani mi riconoscono di essere un buon sindaco e comunque alle comunali si vota la persona, non l’ideologia. Amministrare la macchina romana – conclude – è una impresa ardua ma a Verona ho creato una città efficiente e ordinata”
“La genesi della candidatura di Meloni sarebbe stata lineare se avesse deciso di candidarsi a Roma al primo incontro con Berlusconi e Salvini. E invece quel che è successo è riassumibile nella parola ‘slealtà “.
“Lei e Salvini hanno detto di sostenere Bertolaso e poi hanno fatto di tutto per sputtanarlo e ora è chiaro che era tutto combinato per arrivare proprio a questo risultato. Questo è un modo molto brutto di fare politica e penso che gli elettori di centrodestra siano disgustati”, conclude.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
“IN TEORIA GIORGIA E’ PIU’ FORTE, MA IN CASO DI FRANTUMAZIONE DEL CENTRODESTRA RISCHIA GROSSO”
Gli analisti dei flussi elettorali, quelli che traducono in numeri gli umori (e i rumori) degli elettori, in attesa di un quadro chiaro, definitivo, vanno sostenendo che Giorgia Meloni goda di un appeal maggiore rispetto a quello offerto da Guido Bertolaso
Dietro di loro, anche se a distanza, Francesco Storace e Alfio Marchini.
Tutto ciò in contesto dove il centrodestra è tale, cioè unito.
Ma visto che si va verso una frantumazione della coalizione, dove ognuno correrà in proprio, l’ unica certezza è che il centrodestra diviso è destinato a perdere.
E allora prende corpo il ragionamento opposto: quale vale la candidatura di Giorgia Meloni? E quanto pesa Guido Bertolaso?
«Bisogna fare molta attenzione nell’ analizzare questa situazione», spiega Maurizio Pessato dell’ istituto Swg, «perchè la teoria viene superata dalla pratica. Se la Meloni gode di un presunto maggior appeal, questo non significa che è più forte di Bertolaso. L’ appoggio di Silvio Berlusconi, soprattutto a Roma, può rivelarsi determinante, portando in dote all’ ex capo della protezione civile quei punti percentuali in grado di fargli superare la Meloni. Resta il fatto che il centrodestra diviso non piace agli elettori, disorienta sconcerta».
(da “Libero”)
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Marzo 16th, 2016 Riccardo Fucile
E ORA RISCHIANO DI SALTARE ANCHE LE ALTRE CITTA’
Di fronte ai misteri che trascendono ogni logica le cose sono due: o ci si arrende, oppure si ingaggia una lotta sforzando e allungando al massimo l’umana comprensione.
Prima di arrenderci, noi vogliamo compiere gli estremi tentativi di capire le ragioni del caos del centrodestra a Roma.
Oggi, salvo una sorpresa clamorosa (e non sarebbe di certo un inedito) Giorgia Meloni annuncerà la sua candidatura a sindaco di Roma.
E dunque si aggiungerà a Francesco Storace, Guido Bertolaso e Alfio Marchini, oltre ai candidati dell’area ancora più a destra.
Una scelta tardiva per una candidata che tre mesi fa avrebbe messo daccordo tutti evitando le comiche dell’ultimo mese.
Noi ci chiediamo perchè. Perchè si è decisa soltanto adesso, dopo che un mese fa aveva esplicitamente escluso di correre considerando la propria condizione di giovane donna in dolce attesa.
Perchè il lasso di tempo intercorso è stato impiegato in un centrifugato di nomi dai profili più disparati, alimentando inutile gossip politico e disagio fra partiti e gruppi all’interno di essi.
Ora, invece, dopo settimane di esasperazione, dopo patti formalizzati (il comunicato stampa Berlusconi-Salvini- Meloni a sostegno di Bertolaso lo era) e poi stracciati, invece la strada del Paese rischia di essere smarrita.
Facendo cadere, l’una dopo l’altra, tutte le intelaiature di coalizione che si stavano formando a fatica. Da Napoli a Bologna, fino a Torino. E Milano chissà .
Insomma, sta saltando tutto, proprio nel momento in cui ci sarebbe bisogno di fornire all’elettorato di centrodestra, che non vota per ideologia ma per programmi, un saggio di responsabilità .
E noi ci chiediamo perchè, senza trovare risposta.
Almeno che non sia questa: una manovra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni per spingere Berlusconi alla marginalità . Altri ci hanno provato, negli scorsi anni, e non è andata loro benissimo.
E vogliamo escludere che poi Salvini faccia fare alla Meloni la fine già riservata a Marchini e Bertolaso.
L’operazione comporta rischi evidenti: che facendo flop un po’ dappertutto, addirittura con il probabile (a queste condizioni) naufragio elettorale della leader di uno dei tre partiti della coalizione, verrebbero giù tutti i fondamenti politici degli ultimi vent’anni e scapperebbero via gli elettori.
Siamo sicuri che chi si frega le mani per diventare – dopo il disastro – leader indiscusso della coalizione, sia pronto a far pagare a tutti, se stesso compreso, questo prezzo?
Gian Marco Chiocci
(da “il Tempo”)
argomento: Roma | Commenta »