Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
LA STATEGIA DI TOTONNO E’ RAFFINATA E RISCHIA DI LOGORARE IL PARTITO
Il cellulare di Antonio Bassolino squilla in continuazione. Più volte compare il numero di Valeria Valente, la vincitrice che sta cercando di ricucire.
Totonno non risponde, perchè prima ancora della politica — spiega ai suoi — è mancato il “rispetto”.
Riunito con i suoi, spiega che anche questa volta si procederà passo dopo passo: “È ancora lunga, lunghissima. C’è tempo e io in questo tempo da uomo delle istituzioni voglio impegnare le mie energie per il ripristino della legalità ”.
All’ordine del giorno, tra i suoi fedelissimi, c’è la creazione di una lista civica.
Un incubo per il Pd. Bassolino, per ora, frena perchè il suo schema di gioco non è “alla Cofferati”: la rottura, l’uscita, la battaglia per creare un’area di sinistra fuori dal Pd.
Nè è uno che ha rapporti organici e di particolare sintonia con la sinistra dem.
Una fonte a lui vicina, la spiega così: “Per D’Alema e per pezzi della minoranza Pd l’obiettivo è far perdere le elezioni a Renzi, usare cioè le amministrative per dargli un colpo. Per Bassolino l’obiettivo non è il logoramento, ma è davvero fare il sindaco”. Si spiega così anche la discussione tra i fedelissimi, con l’europarlamentare Massimo Paolucci, vicino a D’Alema, che spinge per una lista civica.
E altri bassoliniani storici meno inclini alla rottura che significherebbe l’uscita dal Pd.
Giovedì pomeriggio, nel corso di una riunione alla Fondazione Sud, Bassolino ha spiegato il senso dell’iniziativa di sabato, annunciata poi su twitter con uno slogan #Napoliriparte.
Nessuno spartito rancoroso, nessun tono da scissionista, anzi Bassolino sarà molto “inclusivo”. Parlerà come uno che ha sostenuto e vuole sostenere Renzi, in nome del rinnovamento: “Quel che è accaduto a Napoli — ha detto ai suoi — è una ferita per il Pd, per il rinnovamento, per la città . Non è possibile chiudere gli occhi”.
Tenere il “caso Napoli” aperto è il primo passo perchè la ferita sanguina ancor più di prima: “È incredibile – ripete l’ex sindaco – quello che è successo. Invece di esaminare il ricorso, dicono che è irricevibile perchè sono passate 24 ore. Ma io l’ho presentato a 24 ore dal fatto e il fatto è il video di fan page che ha mostrano quel mercimonio. E la Valente che fa? Invece di chiedere il ripristino della legalità , manda una memoria per dire che il ricorso è irricevibile”.
Già , la Valente. Qualcosa si è rotto anche a livello umano tra Totonno e Valeria, bassoliniana di ferro ai tempi d’oro.
Attorno a Mezzogiorno, alla buvette di Montecitorio, si incrociano la Valente e Anna Maria Carloni, moglie di Bassolino e parlamentare del Pd. Prima un momento di imbarazzo, poi un saluto gelido: “Valeria era un’amica – dice la Carloni — ma non è stata leale”.
Mezzo Pd è all’opera per evitare lo strappo con Bassolino. Lorenzo Guerini, colomba renziana, ad esempio sta provando a organizzare un incontro, per trovare una mediazione.
Anche Cuperlo, nei panni del mediatore lo ha chiamato.
Il problema, a questo punto, è che le parole non bastano: “Io — ripete Bassolino — ho votato Renzi e faccio la mia battaglia come uomo delle istituzioni. La città e quelli che hanno votato alle primarie non meritano questo sfregio. Il Pd deve riconoscere l’errore e correggere”.
Riconoscere e correggere significa mettere in discussione l’esito delle primarie, in quei seggi.
E infatti, nel corso della riunione in fondazione, è stato già pensato il secondo passo. Portare il ricorso in commissione nazionale dei garanti. Il che significa che, per giorni, si continuerà a parlare di Napoli.
La decisione finale, sulla lista civica, sarà presa solo vedendo la risposta della città e del grosso del Pd: “Le liste — ripete — si presentano a un mese dalle elezioni”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
GIANNINI FUORI, BOTTERI E MANNONI IN POLE PER IL TG…REPORT CONFERMATO…. RIOTTA IN CORSA PER BALLARO’
Cronache da Rai3, l’ex ridotta comunista o almeno di sinistra, ora in gestione al direttore Daria Bignardi.
Qui si consuma l’operazione culturale del servizio pubblico in epoca di Matteo Renzi. Qui si smantella (un po’) il patrimonio avito e, senza enfasi, il recente passato.
In Viale Mazzini adorano le scadenze che rimuovono gli impicci.
Il contratto di Massimo Giannini è in scadenza. Così non sarà rinnovato. Non è semplice, di più: comodo. Giannini ha ereditato Ballarò, un titolo legato a Giovanni Floris, che poi è diventato avversario a La7: testa a testa, sorpassi, rincorse. Il pretesto: lo share. Il contesto: la politica.
Ballarò è il più diffuso — ormai anche tradizionale — appuntamento con l’informazione di Rai3, il canale che (in teoria) plasma le opinioni. Per Antonio Campo Dall’Orto, il direttore generale, Giannini non è adatto a ricoprire quel ruolo.
Allora l’occasione — la scadenza a giugno di un accordo siglato due anni fa — è davvero provvidenziale. È una decisione editoriale verrà spiegato, ma Giannini — in maniera plateale — da mesi patisce le condanne mediatiche dei renziani, e non soltanto del maldestro deputato Pd Michele Anzaldi.
Mai l’azienda ha difeso il giornalista dall’orda del Nazareno. Mai il capo Matteo Renzi ha sconfessato Anzaldi nè calpestato lo studio di Ballarò.
Attorno a Viale Mazzini c’è già una serrata competizione per conquistare lo spazio che Giannini lascerà vacante.
Il più attivo del gruppo è Gianni Riotta, che la scorsa estate non ha illuminato la televisione con gli ascolti di Parallelo Italia.
E poi c’è il Tg3. Il direttore Bianca Berlinguer ha conosciuto il destino che tra un po’ di mesi sarà ufficiale: dopo sei anni e mezzo, non sarà più al vertice del telegiornale. Il posto è ambito, molto.
Tant’è che i presunti candidati fanno trapelare notizie errate.
Campo Dall’Orto non può puntare al tavolo del Tg3 senza considerare il Tg1 e il Tg2. Va trovato un equilibrio fra promozioni di interni e di esterni (già troppi).
E dunque c’è una soluzione interna per il Tg3: Giovanna Botteri o Maurizio Mannoni. Ma è ancora presto per un’idea valida. Non è presto, invece, per svelare il dialogo fra Viale Mazzini e la Berlinguer per un programma settimanale.
Il prossimo palinsesto di Rai3 prende forma ogni lunedì a Milano.
Dove Campo Dall’Orto ha convocato i responsabili dei canali e dove incontra spesso la Bignardi.
Gli interventi strutturali riguardano la prima serata di martedì con Ballarò e il telegiornale di Bianca Berlinguer. Escluse le novità ancora in cantiere, per il resto si preparano ritocchi: non marginali, però.
Confermato Chi l’ha visto, che fa risultati enormi. Forse più puntate per Report, che il dg apprezza.
Se Report di Milena Gabanelli s’allunga, Presa diretta di Riccardo Iacona s’accorcia? È un’ipotesi.
Un mese fa, Rai3 ha posticipato l’inchiesta di Iacona sull’educazione sessuale. Il giornalista ha comunicato l’episodio ai telespettatori, che hanno atteso mezz’ora in più. Ma in Viale Mazzini non hanno gradito.
È da valutare anche la collocazione di Gazebo in onda la domenica e il giovedì: potrebbe avere più tempo e meno giorni.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
“L’AUTORITA’ E’ COMPITO NOSTRO, NON E’ CONSENTITO ALLA REGIONE ISTITUIRE UN ORGANO SIMILE ALL’ANAC”
L’Autorità nazionale anticorruzione boccia il “clone” lombardo pensato dal governatore Roberto Maroni dopo l’ultimo scandalo Sanità , e che dovrebbe chiamarsi Arac (Agenzia regionale anticorruzione).
Il progetto è da “apprezzare”, si legge in una delibera firmata ieri, 9 marzo, dal presidente Raffaele Cantone, ma per legge “non è consentito al legislatore regionale istituire un organo avente compiti analoghi a quelli dell’Autorità nazionale anticorruzione”.
In base al testo anticorruzione 190 del 2012, si legge nella delibera pubblicata sul sito istituzionale, spetta all’Anac “approvare il Piano nazionale anticorruzione, contenente obiettivi e linee guide rivolte a tutte le pubbliche amministrazioni della Repubblica al fine dell’adozione di effettive misure di contrasto alla corruzione”.
Insomma, il “controllore” fortemente voluto dal governatore leghista dopo l’ennesimo scandalo tangenti che ha scosso la Regione, andrebbe a sovrapporsi a quello nazionale.
La cosa che Regione Lombardia potrebbe fare, scrive Cantone, è dotarsi “di un organo collegiale formato da membri di assoluto prestigio e specchiatissima moralità “.
La legge regionale sottoposta alla valutazione dell’Anac prevede che il Consiglio dell’Arac lombarda sia composto da cinque membri nominati dal Consiglio regionale su proposta della Giunta, scelti tra esperti di “alta professionalità e notoria indipendenza”.
I compiti, appunto, sarebbero una fotocopia di quelli attribuiti all’agenzia di Cantone, dal controllo alla prevenzione all’intervento su atti contrari alle regole di trasparenza.
Proprio ieri, mentre il consiglio dell’Anac esaminava il caso, Maroni pensava ai futuri componenti dell’Autorità : “Ho dei nomi importanti in mente”, ha affermato il presidente leghista a margine di un’iniziativa pubblica. “Ma aspetto martedì prossimo, il 15 marzo, che il Consiglio regionale approvi la legge regionale e poi provvederò a darne attuazione, proponendo appunto al Consiglio il nome del presidente e degli altri quattro membri dell’Arac”.
Tutta da decifrare la reazione di Maroni, che secondo quanto riporta l’Ansa accoglie il pronunciamento dell’Anac come “un sostanziale via libera”.
Ecco la dichiarazione: “Cantone mi ha preavvertito della cosa, non appena mi arriva il suo parere (che è pubblicato sul sito dell’Anac almeno da stamattina, ndr) lo studio e ci mettiamo al lavoro per le eventuali modifiche. Considero molto apprezzabile la decisione dell’Anac che è un sostanziale via libera”.
La presa di posizione ha suscitato le ironie del Movimento 5 Stelle, che parla di quella che arriverà il 15 in Consiglio come una “legge-pagliacciata” e dedica Maroni, rispetto alla delibera di Cantone, il detto “Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
“I PARTITI HANNO FALLITO, NOI ABBIAMO UN PROGRAMMA, GLI ALTRI NO”
Alfio Marchini, se un elettore le chiedesse cosa sta succedendo nel centrodestra cosa risponderebbe?
«A Roma nel 1993 nacque il centrodestra e nel 2016 si sta celebrando il suo funerale. Le faccio un esempio: Berlusconi al ballottaggio voterebbe per Renzi. Salvini per il M5S. E potrei continuare. Oggi parlare ancora di centrodestra e centrosinistra è puro accanimento terapeutico».
E lei, per chi voterebbe al ballottaggio?
«È un problema che lascerò volentieri agli altri. Anche se tv e parte della stampa cosiddetta democratica ci oscura andremo noi al ballottaggio».
Storace dice che in realtà Berlusconi vuol far vincere Renzi. Ci crede?
«Stiamo ai fatti: ancora devo sentire una polemica tra Bertolaso e Giachetti. Cosa avrebbe detto Andreotti che di questioni romane era un grande esperto?».
A pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca.
«Ecco appunto».
Quale è oggi il suo sentimento verso Berlusconi?
«Di gratitudine. Ha speso per me parole di grande stima e apprezzamento ancor più importanti perchè non richieste».
Alla fine Salvini e Meloni si allineeranno ai dictact di Berlusconi?
«Quello di Berlusconi è il centralismo democratico 2.0 del vecchio Pci. Togliatti avrebbe adorato».
Cioè?
«Come faceva Togliatti con i compagni nella direzione del partito, oggi fa lui con i suoi alleati ai quali dice chiaramente: vi ascolto, ma poi fate come vi dico io. Punto».
Si riferisce alla consultazione su Bertolaso che si terrà questo week end?
«Esatto. Le do una anteprima. La domanda che troveranno i romani al gazebo sarà questa: vuoi candidare sindaco uno come Bertolaso,oppure direttamente Bertolaso? Sarà un grande plebiscito democratico…».
Meglio le primarie del Pd?
«Scegliere tra quelle del Pd e quelle messe in scena per lo “sceriffo Bertolaso” è come chiedere a un romanista se preferisce che a vincere lo scudetto sia la Lazio o la Juventus. Pietà ».
Perchè attacca Bertolaso?
«Nulla di personale, ma ricorda il figlio che chiama il papà per farsi organizzare una gara dove lui è l’unico a correre. E la sua presenza tv è cinque volte superiore alla mia. È come combattere mentre gli altri ti tengono legato. Ma vinceremo anche così».
Parliamo di tasse. La Raggi e Giachetti non le abbasseranno. Lei invece ha detto di sì. Ci può dire come?
«Abbassare le tasse si deve e si può. Su un bilancio di 6 miliardi dove ruberie e sprechi sono evidenti si fanno risparmi per almeno 300 milioni per tagliare le tasse. Altrimenti tanto vale votare quei partiti che da destra e sinistra hanno saccheggiato Roma. Ho chiaro come e dove tagliare senza licenziare alcuno»
Quali saranno le sue priorità ?
«Rimettere Roma in sicurezza. Cultura come volano economico. Creare una comunità sicura, moderna, che tuteli gli anziani e aiuti i giovani. Voglio liberare l’energia di questa città soffocata da malaffare e camarille partitiche. E un piano di lotta alla droga per i giovani».
Che impressione le ha fatto l’omicidio del giovane Luca Varani?
«Dietro al dramma personale c’è un dramma sociale che nella città tutti si ostinano a negare. Tra i giovani c’è troppa droga e troppo poche regole. Troppi giovani anestetizzati dal benessere sono ormai incapaci di ascoltare i loro cuori».
Perchè i romani dovrebbero votarla?
«Perchè in tre anni abbiamo fatto parlare i fatti. Abbiamo rinunciato a poltrone e prebende. Siamo stati noi a mandare a casa Marino».
E perchè non Virginia Raggi
«I Cinquestelle sono organizzati come una riunione di condominio perenne. Qui ci vuole una grande squadra con un capo che decide e si assume la responsabilità delle scelte. Libereremo Roma dal malaffare e dal taglieggiamento quotidiano che i romani subiscono su tutto».
Ce l’ha ancora con i partiti?
«Hanno avuto le loro occasioni e hanno fallito. Hanno tradito tutte le promesse e oggi cercano ancora di camuffarsi dietro candidati di facciata. Non lasceranno mai cambiare il sistema che hanno creato e che alimenta il loro consenso. Dal medico Marino al medico Bertolaso è un film già visto».
Come affrontare l’emergenza rifiuti?
«Senza impianti, imporre la differenziata al 100% come ha detto Bertolaso è impossibile e troppo costoso. E dato che i maggiori costi si traducono in maggiori tasse sono assolutamente contrario ad andare avanti così. Rivoluzioneremo il sistema di pulitura della città e della raccolta e smaltimento dei rifiuti».
I problemi di Roma li conosciamo tutti. Le soluzioni possibili pure. Perchè a Londra si applicano e qui no?
«Perchè è sempre mancata la volontà politica. Con 400.000 voti di scambio, i partiti hanno conservato il loro potere per decenni e sperano di continuare a banchettare sulla pelle di Roma. Basta»
Luigi Frasca
(da “il Tempo”)
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Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
IL CASO DEL CONSIGLIERE REGIONALE LEGHISTA CHE VORREBBE BRUCIARE IL FIGLIO GAY
Chiamato a interpretare il pensiero politico di Giovanni De Paoli, il presidente della Liguria Giovanni Toti ha risposto come Tertulliano di fronte al mistero della fede: credo quia absurdum , credo perchè è assurdo.
Ecco il responso del governatore-apologeta: De Paoli, consigliere regionale leghista, non ha detto «se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno», ma «se avessi un figlio gay non lo brucerei nel forno».
Benchè questa seconda versione sia strampalata e sottintenda qualcosa di non detto su cui gli esegeti di De Paoli si dovranno interrogare (che avrà voluto dire? «Non lo brucerei, ma lo picchierei solo un pochino», o «lo caccerei di casa», o «lo farei curare»?), Toti gli crede «perchè è una persona perbene e un rappresentante delle istituzioni».
E il consiglio regionale della Liguria chiude il caso.
In venti giorni nessuno è riuscito a dare un senso compiuto ai barbarismi gutturali del consigliere regionale De Paoli .
Cinque testimoni sono sicuri di aver sentito la frase da orco, ma li hanno fatti passare per bugiardi, agit-prop delle famiglie arcobaleno, incapaci di precisare se il profeta di Valletti abbia parlato di forno, di caldaia o di stufa. Sottile diatriba.
Vi ha preso parte il presidente del consiglio regionale, Francesco Bruzzone, con una ruvida analisi del termine “stà®va”, stufa in genovese, pacifico arredo nelle case del nostro entroterra, buono per cuocere castagne e riscaldare, non certo per cremare i bambini.
Risultato: De Paoli non chiede scusa perchè dice di averlo già fatto, la Lega lo protegge, Toti fa il Tertulliano, la minoranza protesta a vuoto.
La Liguria, come dice lo statista della val di Vara, ha ben altri problemi, ed è vero.
Ma mi chiedo come possa risolverli, questi problemi, quando il consiglio regionale non riesce nemmeno a chiudere con dignità un incidente banale come questo, che torna a infangare la Regione in attesa del processo per le spese pazze.
Mi chiedo come si possa credere a un “rappresentante delle istituzioni” che si esprime così: «Nell’ordine naturale delle cose, scientificamente, tra uomo e donna c’è una diversità , ovviamente, c’è un polo positivo e uno negativo… per cui meno con meno si respinge, più con più… cioè» (trascrizione a verbale).
Mi chiedo che cosa abbia impedito a Toti di pronunciare almeno un monito sulla condotta che i “rappresentanti delle istituzioni” devono tenere in pubblico e ad esprimere un legittimo dubbio sul comportamento del consigliere.
Contano così tanto i 408 voti di De Paoli nel condizionamento leghista sulla giunta di centrodestra?
Alla fine è lui, il Grande Equivocato, a pretendere le scuse per una «campagna strumentale» che lo ha messo di mezzo perchè è «una persona semplice, che può essere fraintesa».
E c’è da scommettere che il suo discorso della stufa farà proseliti nei sottoboschi del rancore, dove elettori delusi sono pronti a seguire chiunque dia voce alle loro peggiori frustrazioni.
Il sonno della politica ha generato un altro piccolo mostro.
Alessandro Cassinis
(da “il Secolo XIX”)
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Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
A TRE GIORNI DALLA SECONDA CONSULTAZIONE FARSA, SALTA DI NUOVO IL BANCO NEL CENTRODESTRA A ROMA
L’idea era quella di anticipare di sette giorni i gazebo su Bertolaso per abbattere le possibilità di un nuovo scontro con la Lega.
Ma l’«accorgimento» adottato da Forza Italia e Fratelli d’Italia per venire finalmente fuori dal caos romano non ha sortito gli effetti sperati.
A sole trentasei ore dal week end che dovrebbe decidere la sorte del candidato sindaco del centrodestra, si alza il latrato leghista: «È assurdo che il referendum su Bertolaso lo organizzi il comitato elettorale di Bertolaso, è come chiedere all’oste se il suo vino è buono».
Diciamo più semplicemente che un tarocco vale l’altro: una pagliacciata quella leghista di una settimana fa, altrettanto questa.
Senza controlli esterni, senza elenchi certi dei partecipanti, con numeri e schede alla mercè degli organizzatori e di qualsiasi manipolazione.
Pochi minuti fa, di fronte all’impossibilità di manipolare a proprio favore il risultato, arriva la scomunica della Lega: “Non ci sono le condizioni di serietà e di lealtà per le gazebarie”. Ed è di nuovo caos.
“Non c’è alcuna chiarezza sulle regole di questo referendum su Bertolaso che non è, nè è mai stato il nostro candidato. Non il centrodestra, ma Forza Italia e Fdi vogliono Bertolaso” (quindi tutti senza Lega).
Come sono strutturate le gazebarie?
Una novantina i seggi organizzati tra sedi di partito e gazebo (55 in tutto), distribuiti in ognuno dei 15 municipi, per cui è stato già chiesto al Campidoglio il permesso per l’occupazione di suolo pubblico. Due i giorni di voto: sabato dalle 10 alle 18 e domenica dalle 9 alle 13. Contributo volontario da devolvere a un centro anziani di periferia da rimettere a posto.
Un foglio con tre quesiti: il primo su Bertolaso, il secondo sul programma, il terzo sulle priorità per Roma.
In realtà l’obiettivo iniziale dei leghisti era quello di «azzoppare» Bertolaso nei gazebo, da qui la richiesta di mandare almeno due tre «rappresentanti di lista» per ogni seggio (ammesso che trovino le persone).
E poi, a seconda dell’affluenza del primo giorno, far convergere qualche centinaio di fedelissimi a votare no.
Ma in Forza Italia non sono fessi e hanno preso le loro contromisure.
Una lotta tra taroccatori, ognuno padrone a casa sua, insomma.
In realtà tutto prosegue secondo programma già da noi indicato: Salvini non vuole farsi contare e ogni giorno fa casino solo per danneggiare gli altri e giustificare l’Aventino.
Storace stenta ancora a capirlo, ma prima o poi ci arriverà anche lui, la Meloni almeno in questo è più sveglia (per ora).
Tempo al tempo.
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Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
LEI E’ UN’ATTIVISTA IN FAVORE DELLE ARMI, AVEVA INSEGNATO AL FIGLIO A SPARARE
Fanatica della armi, aveva insegnato al figlioletto di appena quattro anni a maneggiare la pistola.
Jamie Gilt era orgogliosa del suo bambino, tanto da raccontare su Facebook di averlo portato a sparare con una calibro 22.
Peccato che soltanto 24 ore dopo la sessione di allenamento il piccolo abbia preso l’arma e le abbia sparato alle spalle, fortunatamente senza ucciderla.
L’episodio è accaduto in Florida mentre la trentunenne stava guidando.
Il bimbo ha trovato la semi-automatica nel sedile posteriore, carica. L’ha puntata contro il sedile e ha fatto fuoco.
Jamie Gilt, spaventata e ferita, ha cominciato a sbandare pericolosamente finchè una macchina della polizia si è avvicinata per darle aiuto.
L’incidente ha fatto immediatamente il giro dei social network americani.
Gilt è conosciuta proprio per il suo instancabile attivismo in favore delle armi e nella propria pagina Facebook spesso argomenta quanto sia giusto armarsi per difendersi.
A febbraio per esempio aveva postato una frase che a posteriori suona quasi ironica: “Il diritto di proteggere mio figlio con una pistola supera la tua paura della mia pistola”.
La donna d’altronde non ha mai fatto mistero di essere pronta a sparare a qualsiasi persona minacci la sua famiglia: probabilmente non aveva messo nel conto che il figlio poteva arrivare a usare un’arma contro di lei.
Ed è proprio questo il punto sottolineato nelle centinaia di commenti che ora inondando il profilo di Jamie Gilt: americani contrari alle armi che la insultano oppure prendono le difese del piccolo dicendo che se l’avesse uccisa sarebbe cresciuto con un trauma enorme.
Mentre veniva trasportata d’urgenza all’ospedale, la donna ha ammesso che a sparare era stato il figlio.
Ora potrebbe andare incontro a guai giudiziari: il bimbo non era allacciato al seggiolino e soprattutto Jamie aveva lasciato un’arma carica in macchina, senza preoccuparsi di tenerla al sicuro.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
“L’ONESTA’ TORNERA’ DI MODA”: NON NEL CASO DI ANGELO MALERBA, PROCESSO PER DIRETTISSIMA IN FLAGRANZA DI REATO
Il capogruppo del Movimento 5 Stelle nel Consiglio comunale di Alessandria Angelo Malerba, nel 2012 candidato sindaco per i pentastellati, è stato arrestato dai carabinieri.
È accusato di furto: avrebbe forzato un armadietto della palestra alessandrina che frequenta sottraendo il denaro contenuto in un portafogli al suo interno.
Ai domiciliari, Malerba, che ha 42 anni e fa il consulente assicurativo, sarà processato per direttissima.
Malerba, secondo quanto appreso, sarebbe stato arrestato in flagranza, mentre sottraeva 100 euro dal portafogli custodito in un armadietto della palestra da lui frequentata.
La convalida dell’arresto, e il processo per direttissima, sono previsti per domani.
I militari dell’Arma mantengono il massimo riserbo sull’inchiesta, che sarebbe partita alcuni mesi fa.
Il M5s ha espulso Malerba.
Nel 2012 Malerba è stato candidato sindaco per i pentastellati ed attualmente ricopriva l’incarico di capogruppo.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 10th, 2016 Riccardo Fucile
LA MARINA MILITARE ORGOGLIO DELL’ITALIA: “IO NON LASCIO INDIETRO NESSUNO, NEPPURE UN CANE”
«Non esistono muri in mare, per chi chiede aiuto».
L’Europa può decidere di sbriciolarsi, barricarsi, disseminare i suoi confini terrestri di filo spinato, per cercare di fermare i profughi, ma in mare vige un’altra legge.
Un imperativo morale: «Io non lascio indietro nessuno, neppure un cane» assicura il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare italiana, ammiraglio Giuseppe De Giorgi.
Che parla fuori di metafora, perchè, quando diresse per 72 ore consecutive, alla fine del 2014, le operazioni di salvataggio dei 400 passeggeri del traghetto Norman Atlantic, in fiamme nel canale di Sicilia, mantenne gli elicotteri in verticale sulla nave, nonostante il fumo e le fiamme, finchè non furono evacuati dal ponte anche gli ultimi esseri viventi: tre cani.
E proprio a uno di loro, il più grosso, l’ammiraglio e la coautrice Daniela Morelli hanno dato voce nel loro libro «S.O.S Uomo in mare» (Giunti Editore) per descrivere quelle notti e quei giorni di paura a bordo del traghetto sempre più rovente, sempre più inclinato, nel mare grosso.
La figura peggiore è quella degli umani che litigano per accaparrarsi i primi giubbotti di salvataggio.
«Quando c’è pericolo, molti perdono i freni inibitori. Per questo ordinai subito di calare a bordo un team di soccorritori che ristabilisse l’ordine. C’erano giubbotti per tutti. Pure per i cani».
Perchè il libro, in cui si parla anche dell’operazione Mare Nostrum e del calvario dei profughi, esce in una collana per ragazzi?
«Perchè non vorrei che le nuove generazioni crescessero pensando che sia giusto o normale abbandonare al suo destino chi fugge dalla guerra, e che si possano respingere e lasciar affogare masse di disperati».
Intanto però a Bruxelles si discute di confini marittimi e di blocchi.
«Non lo so. Noi blocchiamo soltanto i trafficanti di armi, uomini e droga. Ne abbiamo arrestati seicento con Mare Nostrum, una cinquantina con Mare Sicuro. Non esistono muri in mare per chi sta affogare. Non abbandoniamo neanche i morti. Tra poche settimane, fra la fine di aprile e l’inizio di maggio, la Marina Militare procederà al recupero, da una profondità di 375 metri, dell’intero peschereccio carico di immigrati naufragato nel Canale di Sicilia il 18 aprile dell’anno scorso. Nella pancia di quella nave sono intrappolati ancora almeno 300 o 400 corpi, stando alle testimonianze dei pochi superstiti».
Erano i passeggeri di terza classe?
«Sì, quelli che avevano pagato ai trafficanti 800 dollari a testa per finire rinchiusi nella stiva, fra le esalazioni di Co2, e a contatto con quel miscuglio di acqua e gasolio, sul fondo, che ustiona atrocemente la pelle. Ci volevano 1.000 o 1.500 dollari per un posto migliore, sul barcone. Abbiamo già recuperato 169 salme dal fondo del mare, altre 52 le avevamo ritrovate nell’immediato. Ora ci prepariamo a riportarle in superficie tutte. Per tutte è previsto l’analisi del Dna, a tutte deve essere data la possibilità di essere identificate e restituite alle famiglie».
Dopo più di un anno in mare?
«A 375 metri di profondità , il buio, il freddo, la pressione dell’acqua e la scarsità di fauna contribuiscono alla conservazione dei corpi. Il presidente del Consiglio, Renzi, ci ha dato l’incarico di recuperarli tutti. E lo faremo, a qualunque costo, con robot e sistemi pilotati a distanza».
Da Mare Nostrum a Mare Sicuro, a Eunavfor Med: con i nomi, cambiano gli obiettivi delle missioni
«I pilastri operativi di Mare Sicuro sono il ripristino dell’uso legittimo del mare, la protezione della sicurezza e degli interessi nazionali, come le piattaforme petrolifere, da possibili attacchi terroristici. Ma anche dei pescherecci italiani e dei mezzi di soccorso: è già accaduto che una nave della Capitaneria di porto fosse attaccata dagli scafisti ai quali aveva sequestrato il barcone. Eunavfor è un’iniziativa europea voluta dall’Italia, ed è servita come bastione per il controllo delle acque internazionali, le ispezioni dei mercantili. Un incremento degli obiettivi può venire dalla decisione dell’Unione Europea di passare a una nuova fase e di operare in acque libiche».
Lei che ne pensa?
«Sono valutazioni politiche in cui non entro. Noi abbiamo in zona la portaerei e nave ospedale Cavour, che ha tutte le capacità di comando e controllo delle operazioni, concepita per interventi di protezione civile. E poi il vecchio portaelicotteri Garibaldi».
L’anno scorso si era lamentato dell’insufficienza della flotta, delle navi obsolete.
«Ed è servito. Nel 2020 avremo i primi pattugliatori polivalenti d’altura: 136 metri di lunghezza, una piattaforma innovativa che permette di cambiare rapidamente configurazione d’impiego, per antipirateria, sorveglianza, ripristino di comunicazioni, elettricità , acqua potabile, in caso di calamità naturali».
Elisabetta Rosaspina
(da “il Corriere della Sera”)
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