Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
DALLA DEMOCRAZIA DIRETTA A QUELLA ETERODIRETTA DA WASHINGTON (COME SOSTENIAMO DA ANNI)
Prove tecniche di partito governativo e non più protestatario e anti sistema.
Addio al Movimento dedito solo a gridare e a inveire. Avanti (anche) con un Movimento che vuole proporsi come una forza rassicurante di governo. È la lenta, e inevitabile, metamorfosi che sta avvenendo ai Cinque Stelle, il movimento fondato da Beppe Grillo e sempre più plasmato da Gianroberto Casaleggio.
LA STRATEGIA COMUNALE ANTI PD
Le scelte nelle maggiori città in vista delle comunali sono emblematiche. Non solo per le candidature a sindaco. I Pentastellati hanno deciso di correre soltanto dove hanno maggiori possibilità di vittoria. Quindi quasi si snobba la corsa a Palazzo Marino, dove in sostanza è stata lasciata affondare la candidatura di Patrizia Bedori, che aveva un profilo programmatico, per puntare su nomi di professionisti giovani, ben poco barricadieri, molto pragmatici, con un appeal quasi moderato.
Nello stile, si direbbe, della prima Forza Italia. Quindi, come ha sottolineato oggi Alessandro Di Battista in una intervista al Fatto Quotidiano, il Movimento 5 Stelle punta tutto sulla vittoria a Torino e Roma. Rispettivamente con Chiara Appendino, bocconiana, poliglotta, manager, e con Virginia Raggi, avvocato e figura di spicco di quella sorta di normalizzazione dei Pentastellati analizzata dall’Economist.
CIRINNà€ E VATICANO
La trasformazione moderata e governativa del Movimento è emblematica anche con le ultime posizioni sul ddl Cirinnà . I bastoni fra le ruote posti dai Cinque stelle al disegno di legge fortemente voluto dal Pd sono noti. È meno noto che nella scelta netta di dire no alla stepchild adoption ha avuto un ruolo Grillo e i rapporti che il Movimento ha instaurato anche con ambienti del Vaticano.
Scrive oggi il giornalista del Corriere della Sera, Emiliano Buzzi, che segue da tempo i Pentastellati: tra Movimento e Vaticano: “Oltretevere c’è chi guarda con interesse alla candidatura di Raggi”. Non è solo una sensazione o un’indiscrezione. Emblematica l’intervista pubblicata sabato 19 marzo dal quotidiano della Conferenza episcopale italiana, Avvenire, a Virginia Raggi.
Scrive Avvenire prima di dare la parola alla candidata sindaco a Roma: “Proprio nelle ore in cui Area popolare presenta il suo disegno di legge contro l’utero in affitto e in Parlamento si annunciano altre iniziative in tal senso, Raggi annuncia: “So che anche i nostri deputati e senatori stanno lavorando in Parlamento per porre veri argini a questa prassi. Anche perchè — prima di tutto — vorrei ricordare che ci sono già centinaia di migliaia di bambini negli orfanotrofi e negli istituti di tutto il mondo che meriterebbero di ricevere il calore di due genitori. Per non parlare dell’attesa spesso interminabile di tante coppie, che devono aspettare anni e anni per poter adottare un figlio”.
STATI UNITI E DINTORNI
Il Corriere della Sera ha anche aggiunto che “la candidata sindaco nella Capitale è stata avvistata nei giorni scorsi nei pressi dall’ambasciata statunitense: si vocifera di un possibile incontro con rappresentanti degli Usa”.
Non è una novità che il Movimento sia in rapporti cordiali con i diplomatici americani, ha aggiunto Buzzi del Corsera: “Dopo l’approdo in Parlamento, ad aprile 2013, una delegazione di pentastellati con i capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi fece visita all’ambasciatore statunitense. In seguito i parlamentari Cinque Stelle hanno avuto diversi incontri ufficiali con diversi esponenti nel corso della legislatura e non è un mistero per nessuno che Di Maio in primis abbia stretto rapporti con la diplomazia a stelle e strisce”. Inoltre il 2 luglio 2014 tra gli ospiti della “Celebrazione ufficiale dell’Independence Day organizzata dal Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano”, c’erano Grillo e Casaleggio.
E lo stesso comico-fondatore nel 2014 ha preso parte alla festa del 4 luglio per l’Indipendenza Usa a Villa Taverna
LE ANALISI DI BECCHI E GALIETTI
Gli accenti anti Nato sono svaniti, le critiche al rigore di stampo merkeliano non si sono affievolite, mentre anche uno degli ex guru del Movimento 5 Stelle, Paolo Becchi, seppure da una posizione ora critica visto che ha annunciato di recente a Formiche.net l’uscita da M5s, ha osservato le simbiosi fra Casaleggio e umori di ambienti Usa: “Stiamo andando verso una nuova forma di democrazia: non quella diretta, bensì quella eterodiretta. Forse per l’oligarchia finanziaria dominante è ancora meglio della democrazia di facciata di Renzi. Del resto non è un caso che sin dall’inizio la diplomazia americana e le grandi banche d’affari abbiano avuto un occhio di riguardo per il Movimento, ed ora il Financial Times, parli in prima pagina in modo elogiativo della sua possibile ascesa a forza di governo”.
Inoltre, in una recente analisi di Policy Sonar, società di consulenza guidata da Francesco Galietti, si mette in evidenza come sia “degno di nota che il Financial Times, giornali tedeschi e anche alcuni media italiani tradizionali abbiano cominciato a trattare il M5S come un elemento duraturo e plausibile” del mondo politico della Penisola.
Ecco lo scenario finale di Becchi: l’establishment mondiale favorevole a un governo a 5 stelle in Italia. “Forse un partito ibrido, con un programma ibrido ma dichiaratamente filo-atlantico”
Si vedrà . Di certo la metamorfosi è in atto. Resta da vedere se e come questa svolta “moderata” sarà accolta dalla base della prima ora del Movimento.
(da “Formiche.it”)
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Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
DOPO LE CRITICHE ALLA SUA CANDIDATURA A SINDACO DI BENEVENTO, L’EX MINISTRO ATTACCA : “NON HA GLI ATTRIBUTI E L’INTELLIGENZA DI BOSSI”
“Chi ti ha chiesto mai una mano? Ma chi cacchio se ne fotte di te“.
Così l’ex ministro Clemente Mastella si rivolge al segretario della Lega Nord Matteo Salvini in una intervista registrata da ‘Fuori Onda’ (La7) sul tema della sua candidatura a sindaco di Benevento per Fi.
E’ un fiume in piena l’ex leader Udeur: “Non me ne fotte niente di Salvini, mi dispiace che piaccia a diversi italiani”.
“Lui sarà sempre un leader dimezzato — continua – un piccolo palloncino gonfiato che, prima o poi, si sgonfia perchè non ha gli attributi e l’intelligenza politica di Umberto Bossi“.
“E’ una specie di Le Pen o lepennino all’italiana” prosegue Mastella.
“Vuole diventare Dio politico, ma lui è una divinità molto modesta, un Dio minore e non sarà mai un Dio maggiore, è uno che dice senza pensare”.
(da agenzie)
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Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA MAPPA AGGIORNATA DI DOVE SI SONO ACCASATI
Potrebbero ricordare gli ex Dc e gli ex socialisti che si sono salvati dalle indagini di Tangentopoli e agli albori della seconda repubblica hanno trovato casa in Forza Italia, nel Pds, in An o nel Ppi.
Senza più un grande partito di riferimento come era appunto Alleanza nazionale, gli ex An sono sparsi un po’ ovunque.
E lo si sta vedendo nel caos del centrodestra romano, dove sono proprio loro i protagonisti della disintegrazione della coalizione.
Sparsi un po’ in tutti i partiti del centrodestra, spesso sono loro la fonte di divisione, perchè da quelle posizioni continuano a combattersi come facevano una volta nelle sezioni del Movimento sociale o di An.
Prendiamo la Lega, per esempio. Che a Roma non vale più del 2 per cento (secondo gli ultimi sondaggi) e non ha alcuna classe dirigente.
Ora, a parte il responsabile Gian Marco Centinaio, che non è romano e come primo lavoro fa il capogruppo leghista in Senato, nel Carroccio salviniano si sono via via aggregati alcuni personaggi di spicco della destra capitolina.
Come Barbara Saltamartini, ex An, che nelle sue peregrinazioni è passata anche da Fi e Ncd, per poi sbarcare alla corte salviniana.
Altra esponente donna di primo piano è Souad Sbai, che invece aveva lasciato il Pdl per Futuro e libertà di Gianfranco Fini.
Dell’ex leader di An c’è anche il suo ex capo di gabinetto, Salvatore Sfrecola.
Ma nel Carroccio ritroviamo pure Fabio Sabbatani Schiuma, uno degli esponenti di spicco di quella che fu la destra sociale: era lui l’organizzatore, qualche sera fa, di una cena romana in onore di Marion Le Pen, in visita nella Capitale.
Poi ci sono gli altri.
Fratelli d’Italia, naturalmente, di ex An è piena, visto che il partito si rifà direttamente a quella tradizione.
Qui, oltre a Ignazio La Russa, il regista dell’operazione Meloni è Fabio Rampelli, ex consigliere regionale ora deputato, da anni uno dei punti di riferimento della destra capitolina. Dove Rampelli è famoso per aver dato vita ai Gabbiani, ovvero i suoi seguaci, un tempo considerati una sorta di setta: nelle riunioni si mettevano in cerchio a recitare e cantare inni.
Rivale storico di Rampelli è sempre stato Andrea Augello che, dopo essere uscito da Ncd, ora è il king maker della lista di Alfio Marchini.
E con lui Augello si è portato tutta la sua corrente laziale che, nella capitale e nella regione, vanta un bel po’ di voti e all’epoca fu determinante per la vittoria alla Pisana di Renata Polverini e al Campidoglio di Gianni Alemanno.
E proprio l’ex assessore alla Cultura della giunta Alemanno, Umberto Croppi, oggi lo ritroviamo addirittura dall’altra parte della barricata, a sostegno di Roberto Giachetti. E, se l’ex radicale dovesse farcela, per Croppi potrebbe riaprirsi la porta di un assessorato.
Poi naturalmente c’è Francesco Storace. L’ex leader della destra sociale ed ex governatore regionale ormai sembrava sulla via del tramonto, e invece ha deciso di rimettersi in gioco, candidandosi.
E al suo fianco ha trovato molti ex An con cui da tempo nemmeno si parlava più: Gianfranco Fini, Gianni Alemanno, Italo Bocchino e Roberto Menia.
Quelli che qualche mese fa tentarono il colpaccio per prendersi la maggioranza dentro la Fondazione An (che gestisce soldi e beni immobili dell’ex partito), sconfitti dall’asse tra La Russa e Gasparri.
Infine c’è Forza Italia. Dove restano due vecchi missini come Maurizio Gasparri e Altero Matteoli, fedeli ancora al vecchio ex Cavaliere, ma ormai consiglieri assai poco ascoltati dal leader.
Mille sfumature di nero, dunque, a Roma.
Cui vanno aggiunti anche alcuni personaggi dell’estrema destra che spostano pochi voti ma fanno capire come sia radicata l’anima nera all’interno delle viscere della Capitale: Simone Di Stefano, candidato al Campidoglio di Casa Pound (che ha rotto l’alleanza con Salvini e si presenta da sola) e Alfredo Iorio, candidato di un rinato Movimento sociale che fa riferimento alla vecchia sezione del Msi di Via Ottaviano. Proprio quelli che, guidati da Roberto Fiore, hanno duramente contestato i membri della Fondazione An qualche mese fa all’Hotel Ergife.
Gianluca Roselli Palazzi
(da “Formiche”)
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Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
ANCHE NELLA CORSA A SINDACO E’ STATA RISPOLVERATA LA CATEGORIA POLITICA DELL’AMORE
Da un sentimento indomabile, ecco da che cosa sono mossi.
Non è l’ambizione nè la smania di potere e non il senso del dovere o la disciplina di partito: è l’amore.
«L’ho fatto per un gesto d’amore», ha detto pochi giorni fa il candidato del Pd a sindaco di Roma, Roberto Giachetti.
«E’ stata una scelta d’amore», aveva spiegato un paio d’ore prima Giorgia Meloni, rivale di destra.
E l’amore non è una deliberazione, è l’irresistibile.
E si direbbe un’epidemia, un virus davanti a cui non c’è rimedio: Guido Bertolaso, concorrente di Forza Italia, ha accettato la sfida «per amore».
Ecco che cos’è il fermento di cui è percorsa la capitale, un’effervescenza litigarella più che scissionista, sono farfalle nella pancia, disperati ardori quartoginnasiali, e l’indizio non mancava: il simbolo di Alfio Marchini, il cuore rosso, e il suo insistere con messaggi Baci Perugina: «Insieme, uniti dall’amore per la città », «non abbiamo puntato sulla demagogia ma sull’amore», e soprattutto «l’amore è una cosa seria».
Si sa, muove le montagne, e Francesco Storace in nome dell’amore prova a riunificare tutta la destra: guardiamoci in faccia, ha detto, «serve un atto d’amore».
Bisogna sfogliarlo questo diario segreto della politica italiana, guardare i cuoricini al posto dei punti sulle “i”, trovare le febbrili dichiarazioni d’amore eterno. Giuseppe Sala si è candidato «per amore di Milano».
Antonio Bassolino per un «atto d’amore verso la città ». Luigi De Magistris si ripresenta molto virilmente a Napoli spinto da «coraggio e amore per questa terra». Amore, amore, ancora amore, come da qualche tempo succede nelle cene in terrazza, in cui ci si chiama amore l’uno con l’altro, «amore mio», «amore bello», un amore comunitario dove «amore» è la moglie dell’amico, «amore» è l’amico stesso detto «amore» per disinteressato amore: «Amore mi passi il vino?», e mille braccia saranno protese verso la bottiglia.
Non sappiamo se avesse ragione Silvio Berlusconi quando diceva che «Forza Italia è l’amore e la sinistra è l’odio» ma di sicuro l’aveva quando ha avvertito che «l’amore è più forte dell’odio».
Eccolo il trionfo imprevedibile dell’amore. «Rischiamo per amore dell’Italia» ha detto Matteo Renzi dopo aver preso il posto di Enrico Letta, probabilmente anche per amore di Enrico Letta.
«Il nostro messaggio è l’amore per la politica della propria città », ha precisato Beppe Grillo, i cui mille vaffa erano i vaffa dell’amore deluso.
Gianfranco Fini nel 2007 sfilava contro Romano Prodi non in corteo, ma in «un enorme atto d’amore di un popolo che ama la sua patria, un popolo che possiamo chiamare il Popolo delle libertà ». Eppure Prodi aveva vinto per amore, solo «per amore dell’Italia».
Per amore si vince e si perde: «Mi sono dimesso per amore», diceva Walter Veltroni rinunciando alla guida del Pd.
«Lasceremo il governo per amore di Berlusconi», sosteneva Micaela Biancofiore dopo la condanna del capo in Cassazione, e ci ripenserà ora che l’amore tradito la porta ad abbandonare Forza Italia.
Non c’è immunità , l’amore è cieco, l’amore è pazzo, e infatti Nichi Vendola ha organizzato una mostra sul lavoro come «atto d’amore per l’art. 18».
Per Paolo Ferrero di Rifondazione il comunismo è «un atto d’amore verso l’umanità ». Più localmente, le manifestazioni di Pontida erano un «atto d’amore per la Padania», e questo era l’Umberto Bossi che non aveva paura d’amare.
Gesto d’amore l’utero in affitto, gesto d’amore il sottosegretariato, gesto d’amore le larghe intese, amore purissimo, prepotente amore adolescenziale che è un amore senza conseguenze, che ha soltanto bisogno di essere dichiarato, magari con gli emoticon, con gli occhietti a cuoricino, con i cuoricini pulsanti, con la profusione di punti esclamativi perchè un «ti amo» sarà sempre meno di un «ti amo!» e sempre meno di un «ti amo!!» fino ai «ti amo!!!!!!!!!» di Facebook, cioè l’amore a portata di mano. Che poi, chissà perchè, ci stiamo tutti sullo stomaco.
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA MAMMA GLI AVEVA DETTO: “TI ACCOGLIERANNO CON UNA FESTA, VESTITI ELEGANTE”
È arrivato così, con giacca e papillon, sulle coste siciliane.
Non ha più di quattro anni il bambino congolese dell’insolito e tenero scatto che lo ritrae vestito a festa.
Un vestito che lo ha accompagnato per tutto il suo viaggio, una lunga traversata partita dalla Libia, e che lo avrebbe preparato alla festa che lo attendeva allo sbarco.
La madre che lo teneva per mano gli aveva detto che sarebbe stato il viaggio più importante della sua vita, sarebbero arrivati in un Paese che li avrebbe accolti con una grande festa e dunque bisognava vestirsi eleganti.
Queste le parole di Marica Scacco, dirigente dell’ufficio immigrazione che si occupa dell’accoglienza dei migranti, sbarcati quasi in 5mila negli ultimi 5 giorni sulle coste siciliane.
Uno scatto che racchiude la speranza, un vestito per rendere meno amaro il viaggio verso l’ignoto.
(da agenzie)
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Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
LACRIME E ABBRACCI DURANTE LA MESSA NELLA CHIESA DEL GESU’ IN RICORDO DELLA STUDENTESSA VITTIMA DELL’INCIDENTE AL BUS DI ERASMUS
Francesca Bonello, genovese, non ce l’ha fatta. Viaggiava a bordo del pullman che si è schiantato a Freginals, non lontano da Tarragona, a 30 chilometri dalla capitale catalana. Nell’incidente hanno perso la vita 13 ragazze, di cui sette italiane.
Francesca Bonello abitava a Castelletto e studiava a Barcellona. Era nata il 14 giugno del 1992, studiava Medicina all’Universitat de Barcelona di Gran Via de les Corts Catalanes e aveva frequentato il liceo Classico Colombo.
Il padre è un ingegnere dell’Iren, la madre insegna Scienze al Doria. La famiglia è stata avvisata durante la notte e i genitori sono subito partiti per raggiungere il luogo della tragedia. A mezzogiorno in piazza Matteotti, alla Chiesa del Gesù c’è stata una messa. Alle 21 ci sarà la veglia serale.
Francesca era un’aspirante medico, impegnata e altruista, accompagnata da una forte fede cristiana.
«L’estate scorsa – ricorda padre Francesco, presidente della Comunità di vita cristiana di cui Francesca faceva parte – era andata in Ciad con il fidanzato Federico, che è medico, per mettere in pratica quello che stava imparando all’università , per aiutare gli altri».
Il rettore, Paolo Comanducci, che oggi ha listato a lutto il sito dell’ateneo, ha indetto per domani due minuti di silenzio a mezzogiorno per tutte le attività universitarie.
La sorella Marta: «Ora è il momento del dolore»
«Adesso non è il momento di parlare. Adesso è solo il momento del dolore».
Marta Bonello, 21 anni, sorella di Francesca, morta nell’incidente del bus in Catalogna, risponde a stento al citofono della casa in cui vive con i genitori, nel quartiere residenziale di Castelletto.
«Cercate di capire quello che stiamo vivendo» dice straziata dal dolore. Anche lei è iscritta all’Università di Genova, come la sorella, ma alla facoltà di ingegneria.
Nello stesso stabile vive anche una cugina della studentessa morta in Spagna. «Francesca era una persona speciale – racconta con la voce rotta dal pianto – una studentessa modello, in regola con gli esami. Era in Erasmus da un mese. Ma non posso dire altro, non riesco a parlare»
Ci saranno i suoi amici, forse anche la sorella più piccola Marta, alla veglia di questa sera per commemorare la tragica scomparsa di Francesca Bonello.
I ragazzi leggeranno dei messaggi per condividere il dolore della perdita della studentessa genovese.
Il ricordo di padre Cavallini
«Appena arrivata a Barcellona, lei che amava cucinare, ha fatto lasagne al tocco per venti persone».
E’ il ricordo di chi la conosceva bene, la stessa persona che oggi ha dovuto trovare comunque delle parole di fronte alla chiesa del Gesù in piazza Matteotti gremita di amici di Francesca Bonello.
Padre Francesco Cavallini ha infatti officiato la messa in ricordo di quell ragazza che «ovunque è andata si è sempre fatta amare. Era la persona più vitale che abbia mai conosciuto».
Cristiano”.
La chiesa del Gesù è gremita. Sono amici di Francesca Bonello o dei suoi genitori, accorsi per la messa in ricordo della studentessa genovese morta nell’incidente del bus a Freginals. «Era contenta e spaventata per quest’avventura. La conosco dai tempi del liceo – ha raccontato Paola, visibilmente sconvolta dall’accaduto – e non ho ricordi di lei in cui non sia sorridente».
Tra le altre persone presenti, anche una collega della mamma di Francesca che insegna al liceo Doria: «I genitori lo hanno saputo ieri sera e sono partiti subito. Non li ho chiamati per rispettare il loro dolore. Sono qui perchè ci tenevano a venire anche i suoi alunni».
La messa è stata celebrata da padre Cavallini. Presente anche don Nicolò Anselmi, padre spirituale dell’Agesci. Del gruppo 5 faceva parte anche Francesca, da tutti ricordata come molto religiosa. La studentessa genovese partecipava a molte attività di volontariato tra cui quella di assistere gli anziani all’istituto Paverano.
«E’ tempo del dolore e delle lacrime, non delle parole quelle ci saranno stasera», ha detto il prete che conosceva molto bene la giovane genovese.
«Francesca era una ragazza generosa che viveva la religione con una fede vera, concreta. Era andata in Romania e in Africa come volontaria. Ha lavorato tanto con i poveri. Era una persona piena di amici, solare, bella. La sua è stata una vita breve ma vissuta per gli altri», ha aggiunto Caterina, un’altra amica dei genitori di Francesca Bonello.
(da “il Secolo XIX”)
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Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
TRA FONDI ESTERI, FACCENDIERI, BANCHE E COSTRUTTORI
Il premier Matteo Renzi oggi salirà al Colle per confrontarsi con il Capo dello Stato sulle nomine dei vertici militari.
La partita delle nomine è fondamentale, per sbloccare la casella a cui tiene di più, quella dell’intelligence informatica, destinata a Marco Carrai.
L’incarico potrebbe essere ufficializzato già in giornata.
Ma chi c’è dietro Carrai? Quali sono i suoi soci? E soprattutto: perchè Renzi non può rinunciare alla sua nomina?
La risposta è proprio nella rete di rapporti, soldi e uomini, legati a doppio filo con Carrai.
Una rete che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare. Grandi imprenditori delle infrastrutture pubbliche, consiglieri di Finmeccanica, capi di importanti gruppi bancari, ex agenti dei servizi segreti israeliani, uomini legati ai colossi del tabacco. Oltre al solito fedelissimo renziano Davide Serra, finanziere trapiantato a Londra e creatore del fondo Algebris. Persino un commercialista accusato di riciclaggio.
Una rete che si snoda intorno a Carrai proprio dal 2012: negli stessi giorni in cui Renzi avvia la scalata al Pd e poi al governo.
Una rete che arriva sino a oggi, alla Cys4, la società di Carrai per la cybersicurezza. La stessa società a cui il governo si è aggrappato per giustificare le competenze di “Marchino”, come lo chiamano gli amici, per guidare il comparto dell’intelligence. Persino il ministro Maria Elena Boschi ne ha dovuto rispondere in aula.
Eppure, è proprio la presenza sul mercato della Cys4 a rendere Carrai un uomo in pieno conflitto di interessi.
Quell’estate calda in Lussemburgo.
Torniamo quindi al giugno 2012. Renzi annuncia la sua candidatura alle primarie contro Pier Luigi Bersani.
Due mesi dopo Carrai vola in Lussemburgo. È il primo agosto. Il Richelieu del premier crea una società , la Wadi Ventures management capital sarl, con poche migliaia di euro e un pugno di soci.
C’è la Jonathan Pacifici & Partners Ltd, società israeliana del lobbista Jonathan Pacifici, magnate delle start up che dalla “silicon valley” di Tel Aviv stanno conquistando il mondo.
A Carrai e Pacifici si uniscono la società Sdb Srl di e i manager e .
I cinque della Wadi Sarl sono gli stessi che oggi controllano il 33 per cento della Cys4, la società di intelligence di Carrai.
Un dato che in questa storia non bisogna mai dimenticare.
Ma perchè Carrai crea in Lussemburgo la Wadi sarl?
La risposta arriva dalle visure camerali lussemburghesi.
Fine principale: sottoscrivere e acquisire le partecipazioni di un’altra società , omonima e sempre lussemburghese, che in quel momento ancora non esiste: Wadi Ventures Sca.
Nasce nel novembre 2012. Renzi è in piena campagna elettorale. Il 27 novembre l’amico Serra, già finanziatore della Fondazione Big Bang di Renzi, versa i primi 50 mila euro nella Wadi Sca. E nelle stesse settimane Carrai, in Italia, pone le basi della futura Cys4.
Il 26 ottobre “Marchino” crea l’embrione della sua futura creatura, quella dedita alla cybersecurity, e che vede Renzi, proprio oggi, impegnato ad affidargli il settore informatico della nostra intelligence.
La ramificazione israeliana.
L’embrione della Cys4 si chiama Cambridge management consulting labs. È una società di consulenza aziendale, iscritta alla Camera di commercio il 6 novembre, un mese prima delle primarie.
I soci della Cambridge? Gli stessi della Wadi Sarl lussemburghese. Che così controllano anche la cassaforte Wadi Sca. Nella quale, dopo Serra, entra la Fb group Srl, di Marco Bernabè, già socio della Cambridge.
Stessi uomini, società diverse, che dal Lussemburgo portano anche in Israele. Bernabè è socio di un’altra Wadi Ventures, con sede a Tel Aviv, al 10 di Hanechoshet street. È la stessa sede israeliana dell’italianissima Cambridge. Il 2 dicembre Renzi perde le primarie.
Le società lussemburghesi legate a Carrai conquistano invece nuovi soci. Non dimentichiamo la squadra: gli uomini della Cambridge, sono gli stessi della Wadi sarl, che controlla la Wadi Sca. E in pochi mesi arriva un altro milione.
Con quali soci?
A marzo 2013, nel capitale sociale, entra la Equity Liner con 100 mila euro, creata nel 2006 da tre società (Global Trust, Finstar Holding srl, Regent Sourcing Ltd) rappresentate da Annalisa Ciampoli. La Finstar Holding, è del commercialista e faccendiere romano Bruno Capone.
La signora Ciampoli, pur non essendo indagata, è definita, in alcuni atti d’indagine — quelli su un’associazione per delinquere dedita al riciclaggio transnazionale — la collaboratrice di Capone.
Capone, invece, è indagato dalla Procura di Roma per riciclaggio in relazione a ingenti trasferimenti di denaro in Lussemburgo che non riguardano la Wadi.
Nel marzo 2012, dunque, il nuovo socio del gruppo di Carrai è un presunto riciclatore, tuttora indagato. Sei mesi dopo, la Equity Liner riconducibile a Capone, viene venduta a un’altra società , la Facility Partners Sa. E Renzi torna a candidarsi per le primarie.
Signori del tabacco e delle banche.
In quei mesi, la lobby del tabacco è impegnata nella battaglia sulle accise. Il collegato alla Legge di stabilità prevede un aumento di 40 centesimi sui pacchetti più economici. L’operazione però salta. Renzi in quel momento non è ancora al governo. Ma è in corsa per le primarie, stavolta può vincere.
Il presidente della Manifattura italiana tabacco, in quel momento, si chiama Francesco Valli.
È lo stesso Valli che, fino al 2012, è stato a capo della British American Tobacco Italy. Non è di certo un uomo legato al Pd. Anzi. Presiede per tre anni, dal 2009 al 2012, la Fondazione Magna Charta creata dal senatore allora Pdl Gaetano Quagliarello.
È lui il prossimo uomo ad aprire il portafogli. È il nuovo socio della Wadi Sca e del gruppo Carrai. Che la lobby della nicotina avesse finanziato Renzi, attraverso la fondazione Open, diventa noto nel luglio 2014, quando la British American Tobacco versa 100mila euro.
Il Fatto può rivelare che l’interesse della lobby risale a un anno prima: tra aprile e settembre, Valli versa 150 mila euro alla Wadi Sca, diventando anch’egli socio di Carrai e Serra. Valli, contattato dal Fatto, ha preferito non commentare.
Valli Maranzana
In pochi giorni si aggiunge anche Luigi Maranzana, che acquista azioni per 100 mila euro. È lo stesso Maranzana che oggi riveste la carica di presidente della Intesa San Paolo Vita, ramo assicurativo del gruppo bancario guidato da Giovanni Bazoli. Interpellato, non se n’è accorto: “Socio di Carrai e di Serra? Non ne so niente, Carrai non lo conosco, sono sempre stato lontano dalla politica — risponde al Fatto —. Ho solo fatto un investimento”. Chi gliel’ha suggerito? Clic.
Alla fine del 2013, quando Renzi diventa segretario del Pd e si avvicina a scalzare Enrico Letta, è il caso di fare qualche conto.
Nella Wadi Sca, in un solo anno, sono entrati un milione e 50 mila euro e cinque nuovi soci. A controllare il tutto c’è Carrai. Non solo.
Gli stessi soci di Carrai in Lussemburgo — Moscati, Bernabè, Pacifici, Sica e Giaroli — sono già attivi da un anno, in Italia, nella Cambridge, che a fine 2013 matura un utile di appena 46 mila euro. È destinato a salire vorticosamente nell’anno successivo. Quando Renzi diventa premier. Ed è proprio il 2014 a segnalare le novità più interessanti sul fronte lussemburghese.
Nominato in Finmeccanica, arriva il nuovo socio.
Nella primavera del 2014, dopo aver conquistato la segreteria del Pd e varcato la soglia di Palazzo Chigi, Renzi è già impegnato nella sua prima tornata di nomine per le aziende di Stato.
E nel cda di Finmeccanica entra un uomo che l’ha sostenuto sin dall’inizio: Fabrizio Landi, esperto del settore bio-medicale, tra i primi finanziatori della Leopolda con 10 mila euro.
“Ma lei pensa che con 10 mila euro ci si compra un posto nella società più tecnologica del Paese?”, dice Landi all’Huffington Post.
In effetti, tre mesi dopo la sua nomina in Finmeccanica, Landi versa altri 75 mila euro comprando altrettante azioni della Wadi Sca.
Non è l’unico a incrementare il capitale della Wadi e, soprattutto, a diventare socio del gruppo legato a Carrai. C’è anche un importante imprenditore che, proprio in quelle settimane, fatica a farsi ascoltare dall’ex ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, nonostante gestisca appalti pubblici per miliardi. Il suo nome è Michele Pizzarotti, costruttore.
Landi Pizzarotti
“Sostegno all’estero” per l’uomo delle strade. Ad aprile Pizzarotti ha un problema: riuscire a parlare con l’ex ministro Maurizio Lupi.
Per riuscirci, deve passare attraverso tale Franco Cavallo, detto “zio Frank”, amico di Lupi, che organizza tavoli con visione del ministro, annesso dialogo e strette di mano, in cene da 10mila euro: “Inizia alle 7? A che ora finirà ? Si cena in piedi?”, chiede Pizzarotti a “zio Frank”, il 19 marzo 2014, annunciandogli la sua presenza.
Dodici giorni dopo — il primo aprile 2014 — “zio Frank” gli fissa un appuntamento telefonico con Emanuele Forlani, della segreteria di Lupi, ma l’aggancio non funziona.
“Mi ha detto ‘devo vedere’…”, spiega Pizzarotti a zio Frank, “per l’amor di Dio sarà impegnatissimo, però, ragazzi, stiamo parlando di un’impresa che ha in ballo 4 miliardi di opere bloccate per motivi burocratici assurdi”.
Ecco, nell’aprile 2014, Pizzarotti ha un problema: tenta di parlare con Lupi perchè vede le sue “opere bloccate per assurdi motivi burocratici”.
Cinque mesi dopo, versa 100 mila euro in Lussemburgo, alla Wadi Sca, diventando socio degli uomini più vicini a Renzi. Eppure il business delle start up non è mai stato il suo core business.
Due mesi dopo questo versamento Renzi è a Parma, nell’azienda Pizzarotti, dove lo accolgono il patron Paolo con i figli Michele ed Enrica: “Occorre far ripartire l’edilizia”, dice davanti alle tv, “il governo vuol sostenere le imprese italiane all’estero”.
Di certo, in quel momento, c’è che è proprio Pizzarotti a sostenere un’azienda all’estero, per la precisione la Wadi sca.
Contattato dal Fatto, l’imprenditore spiega che i problemi sono rimasti anche con l’arrivo al posto di Lupi di Graziano Delrio che però, a differenza del predecessore, almeno l’ha ricevuto.
“Ci ha accolto, sì, ma senza alcun vantaggio per i nostri lavori”. Chi l’ha invitata — chiediamo — a investire nella Wadi? “Pacifici. Non sapevo fosse controllata da Carrai”. E sono due.
Poi aggiunge: “L’ho scelta perchè investe in start up in Israele, Paese più innovativo assieme alla California, dove peraltro la mia impresa lavora, nella convinzione di fare un affare azzeccato. Pacifici mi invia periodicamente report sull’andamento dei nostri investimenti”. E Israele, in questa storia, è davvero centrale.
Dal Mossad agli affari.
Alla Wadi Sarl, nell’estate del 2014, si aggiunge un’altra società , la Leading Edge, riconducibile a Reuven Ulmansky, veterano della unità 8200 dell’esercito israeliano, creata nel 1952, equivalente alla National security agency (Nsa) degli Usa, dedita da sempre alla guerra cibernetica e alla “raccolta dati” per l’intelligence israeliana. Ulmansky è socio di Carrai e degli stessi uomini che, pochi mesi dopo, nel dicembre 2014, partecipano con il 33 per cento alla neonata Cys4 che, guarda caso, vanta tre sedi in Italia e una a Tel Aviv.
Chi sono i soci della Cys4?
Per il 33 per cento, appunto, sono Sica, Moscati, la Fb di Bernabè, Pacifici e Carrai.
Quali sono i soci della lussemburghese Wadi Sarl?
Sica, Moscati, Bernabè, Pacifici, Carrai.
E Sica, Moscati e Carrai, amministrano la cassaforte Wadi sca, dove hanno investito i loro soldi Serra, il futuro capo di San Paolo Vita, Maranzana, il futuro consigliere di Finmeccanica Landi, l’uomo della lobby del tabacco Valli, il grande imprenditore Pizzarotti.
Con i nuovi soci si cresce.
Il 30 novembre 2014 la società porta il capitale a 1,5 milioni e delibera aumenti fino a 3 milioni.
Gestiti dagli stessi uomini che controllano, attraverso la Cambridge, il 33 per cento della Cys4.
E sul fronte italiano?
La Cambridge, amministrata dallo stesso gruppo, nel 2014 vede esplodere l’utile da 46 mila euro a 1,5 milioni.
Ieri Il Fatto ha contattato Carrai, che ha preferito non rispondere alle nostre domande. È per lui che il premier Renzi sta ridisegnando l’intelligence del Paese, ridistribuendo poteri e rischiando disequilibri e frizioni con il Quirinale.
Il tutto solo per creare un ruolo chiave da assegnare a Marco Carrai.
Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE DI ROMA CHIAMATO A PRONUNCIARSI SUL RICORSO DI TRE ESCLUSI DALLE PRIMARIE IN RETE
Puntare al cuore dei 5stelle, al regolamento che Grillo e Casaleggio hanno imposto per evitare “contestazioni sulla possibile partecipazione a elezioni politiche” sostituendo il famoso “non statuto” degli inizi.
Denunciare le scatole cinesi che governano la struttura grillina e il ruolo dell'”associazione Movimento 5stelle”, alias, clone del partito che sta in Parlamento, associazione che quando fa un'”assemblea totalitaria” riunisce quattro persone e solo due decidono, Grillo presidente dell’assemblea e Casaleggio segretario.
Quel regolamento va considerato “nullo, giuridicamente inesistente, di nessun effetto”, non si può applicare alle espulsioni recenti e passate.
In una parola, illegale.
È scritto nel ricorso di tre espulsi dalle primarie di Roma che hanno deciso di uscire dalle segrete stanze di staff e comunicatori per rivolgersi al tribunale di Roma.
Se i giudici seguiranno il filo della denuncia, il castello a 5stelle subirebbe un colpo durissimo.
I ricorrenti sono Paolo Palleschi, Antonio Caracciolo (il candidato che negava l’Olocausto) e Roberto Motta che chiedono di essere riammessi alle primarie grilline per Roma, vinte da Virginia Raggi.
Ma stavolta gli espulsi non contestano solo i requisiti che, a giudizio del Movimento, non avrebbero rispettato e mettono nel mirino il regolamento interno, varato in fretta e furia alla fine del 2014 per paura che i 5stelle fossero cancellati dalle elezioni per evidenti lacune in materia di democrazia interna.
Il regolamento, dice l’atto firmato dall’avvocato Lorenzo Borrè di Roma, ex iscritto al portale di Grillo, è stato pubblicato sul blog ma non è mai stato votato da un’assemblea degli iscritti, nè fisica nè via web.
È dunque una cornice stabilita dall’associazione clone ma che si applica al Movimento vero e proprio, a cui fanno riferimento militanti, amministratori locali e parlamentari.
Per la prima volta davanti a un giudice viene messo in discussione questo meccanismo e la violazione del codice civile, secondo Borrè. “Noi non abbiamo mai fatto causa – racconta il deputato espulso Massimo Artini – e non mi risulta che l’abbia mai fatto qualcun altro prima. Nei 5stelle non c’è niente di trasparente, ma preferiamo combattere con le armi della politica”.
Però, dice Artini, “è un bene che ci sia chi finalmente chiede a un giudice se una forza politica può essere gestita così”.
Secondo il regolamento a decidere le espulsioni è un comitato di appello composto da tre membri.
Due sono stabiliti dall’associazione ma votati dall’assemblea in rete, uno è scelto direttamente dal consiglio direttivo dell’associazione.
I componenti sono Roberta Lombardi, Giancarlo Cancelleri e Vito Crimi.
Agiscono sulla base del regolamento che, è scritto nel ricorso, “è nullo, giuridicamente, di nessun effetto in quanto imposto da soggetti carenti di qualsiasi potere e in quanto adottato in assenza di qualsiasi deliberazione assembleare e/o accordo (peraltro da manifestare unanimemente) degli associati”.
Per la prima volta un tribunale dovrà entrare nella spirale delle sigle e delle regole dei 5stelle.
E lo dovrà fare in tempi brevi visto che gli espulsi chiedono il reintegro prima della presentazione delle liste per le comunali, ovvero entro la fine di aprile.
È valida la procedura seguita dai 5stelle per cacciare i suoi iscritti?
Come si tengono insieme l’associazione alias e il Movimento che pur in mancanza di una legge sui partiti deve sottostare ad alcuni articoli del codice civile?
Risposte che finora sono state affidate alla lotta politica, alle denunce dei fuoriusciti, agli sfoghi privati dei parlamentari fedeli a Casaleggio e Grillo. La risposta ufficiale di Alessio Villarosa, considerato un esperto dei meccanismi grillini, è laconica: “Non conosco la situazione di Roma”.
Ma adesso quello che conta è l’ordinanza di un giudice, il Movimento deve superare la prova di un tribunale che valuterà la trasparenza dei suoi atti e della sua costituzione.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Marzo 21st, 2016 Riccardo Fucile
LE REGIONI DEL SUD IN FONDO ALLA CLASSIFICA
La riforma della pubblica amministrazione è un cantiere aperto: sono stati presentati soltanto i primi undici decreti attuativi, molti ancora ne mancano all’appello, e a volte viene da pensare che alcuni di essi abbiano uno straordinario significato mediatico, ma almeno per ora non troppa efficacia dal punto di vista della effettiva trasformazione della macchina della pubblica amministrazione.
Certo è che a leggere i dati riportati da uno studio della Cgia di Mestre – sulla scorta di un’indagine europea condotta dall’Ue sulla qualità della Pubblica amministrazione a livello territoriale – per adesso siamo decisamente indietro.
Lontanissimi dalla Scandinavia, ma anche da Paesi come Ungheria e Slovacchia.
E secondo i conti del Fondo Monetario Internazionale, se l’efficienza del settore pubblico si attestasse sui livelli ottenuti dai primi territori italiani, come Trento e Bolzano, la produttività di un’impresa media potrebbe crescere del 5-10 per cento e il Pil italiano di due punti percentuali, ovvero 30 miliardi di euro.
Nel complesso dei 206 territori interessati dallo studio dell’Unione Europea (che interessa anche Turchia e Serbia), le Regioni del Sud d’Italia compaiono ben 7 volte nel rank dei peggiori 30, con la Campania che si classifica a un davvero poco lusinghiero 202° posto nell’efficienza (inefficienza diremmo) della macchina pubblica.
Lo squilibrio tra regioni del Nord e del Sud – afferma la Cgia – determina il posizionamento negativo dell’Italia nella classifica, con un diciassettesimo posto e un indice negativo (-0,930) lontano dalla media europea (posta a zero).
L’indice fornito nell’analisi Ue – ricorda la Cgia – è il risultato di un mix di quesiti posti ai cittadini sulla qualità dei servizi pubblici, l’imparzialità con la quale questi vengono assegnati e la corruzione.
I servizi pubblici direttamente monitorati a livello regionale sono quelli a valenza più «territoriale» (formazione, sanità e sicurezza) ma l’indice tiene conto, a livello Paese, anche di servizi più generali come la giustizia.
Il risultato finale è un indicatore che varia dal +2,781 della regione finlandese delle isole Aland, che conquista la prima posizione, e il -2,658 della regione turca Bati Anadolu (Anatolia occidentale), che arriva in ultima posizione. La media europea è posta a zero.
Per l’Italia i servizi sono valutati come migliori nelle due province autonome del Trentino Alto Adige (indici superiori a 1) e nelle due Regioni a statuto speciale del Nord (Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia) che presentano un indice maggiore di zero, ovvero superiore alla media delle 206 regioni europee. In negativo tutte le altre Regioni italiane, ma con gap minori per Veneto ed Emilia Romagna, che tendono alla media europea (indici pari a -0,186 e -0,217).
Scorrendo il rank, a centro classifica vi sono due terzetti: il Centro Italia con Umbria (-0,495), Toscana (-0,533), Marche (-0,535) e il Nord Ovest con Lombardia (-0,542), Piemonte (-0,652), Liguria (-0,848).
Del tutto negativa, invece, la situazione del Mezzogiorno, a partire dal risultato meno pesante dell’Abruzzo (-1,097), fino a quelli peggiori di Sicilia, Puglia, Molise, Calabria (indici che variano da -1,588 a -1,687), per finire con la Campania (-2,242). Situazione critica anche per il Lazio che, con un indice pari a -1,512 si posiziona al 184esimo posto tra le 206 regioni europee.
Complessivamente, come detto, l’Italia si posiziona al 17esimo posto. La qualità dei servizi del settore pubblico è molto elevata nel Nord d’Europa con Danimarca (+1,659), Finlandia (+1,583) e Svezia (+1,496) ai primi tre posti.
A mezza classifica – ma molto lontani da noi nella valutazione – ci sono Germania (6° posto con un indice pari a +0,852), Regno Unito (8° posto con +0,803), Francia (10° posto con +0,615) e Spagna (11° posto con +0,131). Dietro di noi, Grecia, Croazia, Turchia, Bulgaria, Romania e Serbia.
Roberto Giovannini
(da “La Stampa“)
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