Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
PRIMO ATTO: AFFOSSARE BERTOLASO… POI APPOGGIO A M5S A ROMA E TORINO PER AVERE IN CAMBIO APPOGGIO ALL’EX ZECCA ROSSA DI BOLOGNA: I VECCHI AMORI DI UN EX LEONCAVALLINO NON SI DIMENTICANO… MA HA IL DIFETTO DI PARLARE TROPPO E RESTERA’ CON UN PUGNO DI MOSCHE
Il ben informato Francesco Bei su “La Stampa” ha anticipato i contorni dell’operazione:
È tutto pronto, la strategia è stata studiata nei giorni scorsi. Matteo Salvini farà fuori Guido Bertolaso, il candidato di Berlusconi a Roma. Infilzandolo il prossimo fine settimana con la stessa arma scelta dal leader di Forza Italia per plebiscitare l’ex capo della Protezione civile: le gazebarie. La «gazebata» (copyright Maria Stella Gelmini) prevede un centinaio di chioschi aperti per far esprimere gli elettori romani su un quesito semplice: siete d’accordo con la candidatura di Bertolaso? Non essendoci altri nomi sulla scheda, i cittadini potranno mettere una croce sul sì oppure sul no.
Tutto scontato? Non proprio. I leghisti hanno infatti deciso di rovinare la festa a Berlusconi. E quella che avrebbe dovuto essere un’incoronazione, rischia di trasformarsi in un disastro. Il piano di Salvini prevede infatti di saturare i gazebo forzisti con una massa di elettori pronti a votare “No” a Bertolaso.
L’attacco avrebbe dovuto essere pianificato ieri tra lo stesso Salvini e lo stato maggiore leghista nella Capitale (il vicesegretario Giancarlo Giorgetti e il commissario laziale Gian Marco Centinaio). Riunione poi saltata all’ultimo minuto. Ma il capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga, dietro le quinte della trasmissione Omnibus, qualcosa si è lasciato sfuggire: «A queste consultazioni di Forza Italia si può votare sì… ma immagino si possa votare anche no. E se Bertolaso venisse bocciato, Berlusconi dovrebbe prenderne atto».
Certo, i leghisti mettono in conto anche un controllo capillare del voto da parte dei forzisti. Decisi a non farsi travolgere dalle truppe cammellate di Salvini.
Ma qui l’ottimo Bei commette un errore di sopravalutazione: nella migliore delle ipotesi Salvini a Roma conta elettoralmente meno della metà di Forza Italia e un quarto delle forze di Fdi.
In pratica non conta una mazza, al massimo può portare 1000-2000 persone a votare no a Bertolaso, ammesso che individuino la casella.
E lo stesso Bei passa oltre sulle intenzioni del grande stratega:
Il Carroccio ha pronto anche un piano di riserva, nel malaugurato caso Bertolaso venisse comunque incoronato dalle urne. Se infatti Berlusconi, come sembra, dovesse insistere, la Lega è già pronta a mollare gli ormeggi. E presentarsi da sola nella Capitale con un proprio candidato di bandiera . Con quale volto? «Irene Pivetti potrebbe essere quella giusta», confida Fedriga. Ma ci sarebbe anche l’ipotesi di una corsa tutta sulla fascia destra, con un candidato lepenista come Francesco Storace. «Se la lega converge su di me – dice l’ex governatore del Lazio – di sicuro prende una barca di voti». Ma è improbabile che regalare «una barca di voti» a Storace (o Pivetti) sia l’obiettivo di Salvini.
Ulteriore commento: non è questa la strategia, se non come extrema ratio. La Pivetti porta al massimo il voto del cardinal Ruini, quanto a Storace, se si alleasse con la Lega, i voti li perde lui e li fa pure perdere a Salvini. Improponibile.
Ma arriviamo al dunque, secondo Bei:
Le voci più affidabili su quanto viene discusso a via Bellerio, sede federale della Lega, descrivono un quadro molto più credibile e interessante. Che chiama in causa direttamente il Movimento Cinque Stelle. Negli ultimi tempi infatti colpiscono i ripetuti attestati di stima che il segretario elargisce a due candidate grilline: la romana Veronica Raggi e la torinese Chiara Appendino. «Entrambe – ha ripetuto ieri alla Zanzara su Radio24 – hanno le idee chiare su quello che bisogna fare. Se nelle due città ci fosse un ballottaggio tra Pd e Grillo, voterei certamente per i candidati dei 5 Stelle».
Questo rinnovato endorsement sulle due ragazze M5s nasconde l’ultimo elemento del piano leghista. Un patto occulto di desistenza tra Lega e Movimento 5 Stelle per lanciare reciprocamente Appendino a Torino, Raggi a Roma e i due candidati leghisti a Bologna e Novara. Una desistenza mascherata, che prevede il voto disgiunto nelle quattro città : a Roma e Torino i leghisti metteranno una croce sulla propria lista e sulla candidata sindaca grillina; in cambio a Bologna e Novara il M5s non si scalderà troppo per far arrivare al ballottaggio i propri candidati. Lasciando spazio a quelli del Carroccio.
Questa è l’idea ovviamente di Salvini, non certo quella dell’elettorato grillino.
Il problema lo ha Salvini che a Roma e a Torino va incontro a due brucianti sconfitte, non certo i Cinquestelle che di Novara possono anche fregarsene, ma non certo di Bologna.
A Bologna chi rischia di più è l’ex zecca rossa Borgonzoni, imposta da Salvini come unica candidata sindaco del centrodestra, nonostante la contrarietà di Forza Italia e Fdi su una che ha un lungo passato come esponente dei centri sociali.
Vogliamo vederli gli elettori della Meloni che vanno a votare la “sindachessa della fattanza”, come viene soprannominata la leghista in città .
In conclusione: Salvini è all’angolo e cerca di sabotare il centrodestra per favorire solo i suoi due candidati locali.
Con Maroni e Zaia che aspettano sullle rive del fiume un suo passo falso.
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Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
CERCA COLLABORATORI E I 15 GIORNALISTI DE “LA PADANIA” IN CASSA INTEGRAZIONE SI INCAZZANO
“Sai scrivere *bene* e vuoi collaborare con Matteo Salvini? Questa è la tua occasione”.
Inizia con queste parole l’annuncio che dalla sera dell’otto marzo sta circolando sui social network della galassia salviniana.
“Vai subito a questo sito — si legge ancora -, compila il modulo, allegando almeno un tuo pezzo e vedremo se hai il Salvini Factor”.
Il link rimanda a un formulario da compilare con i dati personali e corredare con un articolo. La formula sembra quella del talent, cosa ci sia in palio non è ancora chiaro. Attorno all’iniziativa c’è il massimo riserbo.
Abbiamo provato a chiedere lumi direttamente a Matteo Salvini che ha commentato con un telegrafico “Mistero”.
Dall’ufficio stampa del Carroccio, al momento, non è arrivata nessuna spiegazione. Porte chiuse anche da parte di Luca Morisi, fedelissimo guru della comunicazione online del segretario leghista e probabile mente dell’operazione.
La prima a scriverne, nelle scorse ore, è stata Stefania Piazzo, giornalista affezionata al leghismo indipendentista della prima ora (già direttrice de La Padania) che non ha mai nascosto la propria posizione critica nei confronti del nuovo corso del partito.
Nel suo pezzo su L’Indipendenza Nuova, giornale online che dirige, si pone diversi dubbi sulla misteriosa iniziativa.
“Occasione? Gratuita? Simbolicamente retribuita? Uno stage? Giornalisti? No, basta saper scrivere ‘bene’. Dove quel ‘bene’ è già una virgola, anzi due, troppo fuori posto. Perchè oggi è questo il requisito per stare sul mercato, saper leggere, ma non saper far di conto per non dover costare troppo e non avere Ordini professionali o sindacati a discutere sui diritti di chi esercita una professione”.
E probabilmente il punto è proprio questo, sta nascendo un nuovo prodotto editoriale? Si sta forse tentando di gettare le basi per la creazione di un giornale salviniano? Una fabbrica di contenuti, di articoli, capaci di invadere la rete e moltiplicare il verbo del leader minimo?
L’ipotesi, non confermata, ha già risvegliato vecchi malumori.
Non è passato molto tempo da quel 30 novembre 2014, quando La Padania, storico giornale di partito, ha dato alle stampe l’ultima copia.
Politicamente la scelta venne difesa e spiegata con la necessità di far quadrare i conti sempre più magri delle casse del partito.
Di fatto il sospetto è che Salvini, nella foga rottamatrice, abbia preso la palla al balzo per disfarsi di tutti i carrozzoni di partito, senza andare troppo per il sottile, scegliendo cioè la via più breve.
Il fatto è che da allora ci sono quindici giornalisti in cassa integrazione, con una procedura di liquidazione in atto.
Quindici professionisti che erano e sono ancora in grado di scrivere *bene*, come chiede l’annuncio del talent di marca salviniana.
Quindici persone che oggi, dicono, si sentono prese in giro dal partito a cui hanno dedicato la loro competenza professionale e la loro passione politica.
“Non abbiamo scoperto nulla di più rispetto a quello che è scritto”, spiega Elisabetta Colombo, rappresentante del Comitato di redazione de La Padania.
“Al momento siamo molto amareggiati perchè per l’ennesima volta ci sentiamo presi per i fondelli, danneggiati nella nostra immagine . Ci troviamo di fronte a persone nella Lega Nord che non perdono occasione di manifestare il loro disprezzo nei confronti dei giornalisti de La Padania. Persone che si dimenticano che il giornale non ha chiuso per colpa di chi scriveva, ma per l’incapacità di chi negli anni ha commesso svariati errori amministrativi”.
Secondo Colombo il Carroccio ha già i giornalisti da far scrivere, quindi se Salvini ha in mente di creare un nuovo prodotto editoriale, prima di lanciare talent e reclutare nuove leve dovrebbe pensare alle risorse che ha in casa propria: “Al momento”, spiega ancora Colombo, “non sappiamo se si tratta solo di una iniziativa di cattivo gusto, fatta magari per raccattare qualcuno che scriva gratis o se, peggio, ci sia la volontà mettere in piedi una struttura con persone retribuite. Chiaro che se fosse così sarebbe ancora peggio e dovremmo pensare di intraprendere delle azioni che tutelino la nostra posizione”.
Una delegazione dei giornalisti de La Padania ha chiesto un incontro chiarificatore a Salvini per fare luce sul misterioso annuncio comparso in rete e decidere se e come rispondere.
Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
SE SI PRESENTA, E’ IL TRACOLLO PER IL PD A NAPOLI
Un vecchio leone ferito e disgustato: “Invece di riflettere e discutere — dice Antonio Bassolino – il Pd
chiude gli occhi. È un colpo di spugna che offende le primarie e la città ”.
È appena finita la riunione che ha respinto il suo ricorso.
I bassoliniani sono usciti, per impraticabilità di discussione: “I vertici del Pd — aveva twittato l’ex sindaco – hanno già emesso il verdetto prima che gli organi competenti abbiano esaminato i fatti. E’ una sentenza preconfezionata?”.
Il cellulare dell’ex governatore squilla ininterrottamente. In pochi, pochissimi, riescono a mettersi in contatto, per sapere la prossima mossa: “Vai avanti, siamo con te”.
Anche su facebook, l’invito del suo popolo è a scendere in campo con una lista civica, fuori dal Pd.
Ai fedelissimi la risposta è: “Sto riflettendo”. C’entra un rapporto emotivo, profondo, col Pd, che gli rende difficile seguire il modello Cofferati in Liguria.
Ma c’entra anche un metodo politico. Il “passo dopo passo”, per cui la situazione deve maturare, gradatamente.
Proprio per questo, lo ha cercato anche la vincitrice, Valeria Valente negli ultimi giorni. Conoscendolo bene, ha ravvisato già tutti i segnali di una decisione già presa, quella di candidarsi, che sta maturando.
Prima c’è stato uno scambio di messaggi difficile: “Sto facendo il nonno. Ci incontreremo quando ascolterò parole rispettose”.
Poi, subito dopo la riunione della commissione di garanzia, una dichiarazione di grande apertura: “Il rigetto del ricorso — ha dichiarato la Valente – non cancella eventuali responsabilità che, se accertate, richiederanno severe e rigorose sanzioni da parte degli organismi competenti, sia del partito democratico, sia di tutte le altre formazioni politiche della coalizione”.
Parole dettate anche dalla consapevolezza che una discesa in campo di Bassolino evidentemente significherebbe una sconfitta sicura del Pd.
Il problema è che, passo dopo passo, la macchina che porta alla rottura sembra essersi messa in moto.
Marco Sarracino, il candidato della sinistra dem, ai suoi compagni romani ha detto: “Oggi gli hanno dato l’alibi per rompere. Quello che abbiamo visto di fronte ai seggi è gravissimo e loro che fanno? Rigettano il ricorso e non ne vogliono nemmeno discutere. È chiaro che così lo spingi fuori”.
La decisione ancora non è presa e anche il mondo di Bassolino è in fermento.
“Extra ecclesiam nulla salus”, il vecchio precetto della chiesa comunista nella quale Totonno e compagni sono cresciuti.
Nel Pci, però, su un caso del genere si sarebbe discusso settimane. Nel Pd, Orfini, Lotti, Guerini, hanno un’unica parola d’ordine: chiudere il caso.
A Napoli già ci sono due partiti, prima ancora che l’ex sindaco maturi la decisione.
O prima che gli altri gliela facciano maturare.
(da Huffingtonpost”)
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Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
DOPO IL GRAN RIFIUTO DELLA BALZANI A SALA SI APRE UNO SPAZIO A SINISTRA
Da Francesca Balzani arriva il gran rifiuto a Giuseppe Sala.
Non sarà lei a guidare la lista ‘arancione’ che dovrebbe coprire il candidato sindaco di Milano sul lato più a sinistra della coalizione, raccogliendo in particolare i voti di Sel, di quella parte di Pd che alle primarie aveva preferito l’attuale vicesindaco a Sala e a Pierfrancesco Majorino, e i voti dei movimenti guidati da Paolo Limonta, braccio destro di Giuliano Pisapia.
Aumentano così le possibilità di una discesa in campo in veste anti Sala dell’ex magistrato di Mani pulite Gherardo Colombo, che dopo avere sostenuto Balzani alle primarie ha sinora preferito rimanere in attesa delle sue scelte.
“Una lista non si fa evocando nostalgicamente qualcosa e mettendo lì una faccia, ma
con dei temi programmatici”, dice Balzani ai microfoni di Radio Popolare per spiegare una decisione presa dopo la riunione di martedì sera con i sostenitori più stretti e annunciata in un’intervista al Corriere della Sera.
Balzani assicura che quella con Sala è “tutt’altro che una rottura” e promette di mantenere il suo impegno per sostenere in campagna elettorale il vincitore delle primarie.
Oltre che per portare avanti alcuni punti fondamentali che elenca così al quotidiano: “Massima attenzione e cura del patrimonio pubblico, delle aziende pubbliche, l’ambiente, l’azzeramento del consumo di suolo, la partecipazione e la trasparenza”.
Punti cari ai suoi sostenitori su cui probabilmente Sala non ha dato sufficienti garanzie. Ma sulla scelta di Balzani hanno di certo pesato anche i contrasti degli ultimi giorni, come quelli saltati fuori durante la cena di settimana scorsa in cui è stato impossibile arrivare a un accordo sulla lista arancione.
Da lì gli inviti dell’ex commissario di Expo e del Pd all’unità , con la risposta di Balzani a stuzzicare: “Basta parlare di liste e di incarichi, parliamo un po’ di idee, progetti e proposte. Invito tutti, a cominciare da Sala, a parlare di programmi, visto che è passato un mese ed è il caso di iniziare al più presto”.
Contrasti su cui nulla ha potuto l’evento organizzato lunedì al teatro Elfo Puccini, con tutti gli attuali assessori sul palco in un simbolico passaggio di consegne da Pisapia e la sua giunta a Sala.
A rimanere irrisolta è stata la questione della centralità del mondo arancione nella coalizione di centrosinistra.
La richiesta era di garantire tale centralità confermando Balzani nel ruolo di vicesindaco. Sala ha risposto di non avere nulla in contrario, “ma il tema non è al momento in agenda”.
Difficile del resto fare accettare una tale decisione a molti dei suoi sostenitori, come gran parte degli assessori e l’ex vicesindaco Ada Lucia De Cesaris.
Di qui il timore che il progetto politico portato avanti da Balzani e dai suoi sarebbe stato condannato alla marginalità .
A pesare anche la possibile assenza nella lista arancione di alcuni esponenti del Pd che avevano sostenuto Balzani alle primarie, e le poche risorse economiche messe a disposizione per la campagna elettorale.
Per Sala iniziano ora i veri problemi per quello che potrà accadere a sinistra.
Prima a sfilarsi dalla coalizione potrebbe essere Sel, che nel dopo primarie aveva condizionato la sua permanenza a un ruolo forte proprio dell’attuale vicesindaco.
Ma la preoccupazione maggiore per il Pd è che ora si faccia davvero avanti l’ex pm Colombo.
La sua candidatura piacerebbe infatti a diverse parti della società civile e otterrebbe l’appoggio di figure di sinistra come il presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo e il sociologo Nando dalla Chiesa.
Probabile in tal caso il superamento dei nomi di chi ha già dato la sua disponibilità a rappresentare la stessa fetta di elettorato, come il giornalista ed eurodeputato Curzio Maltese, l’architetto Luca Beltrami Gadola e l’avvocato Felice Besostri.
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
“SE AVESSI UN FIGLIO OMOSESSUALE LO BRUCEREI NEL FORNO”: SONO CINQUE I TESTIMONI CHE INCASTRANO IL CONSIGLIERE REGIONALE DELLA LIGURIA, MA TOTI FA FINTA DI NULLA
E’ stato indagato il consigliere regionale leghista della Liguria Giovanni De Paoli per diffamazione
aggravata.
Il sostituto procuratore Patrizia Petruziello lo ha iscritto dopo l’esposto presentato dal Comitato per gli immigrati e contro ogni forma di discriminazione dopo la la frase choc, smentita dallo stesso De Paoli, “se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno”, come riferito da testimoni, alcuni genitori dell’associazione Agedo e una dirigente regionale presente.
Il presidente della giunta regionale ligure GIovanni Toti aveva espresso soldiarietà al leghista, che la scorsa settimana ha chiarito di non aver più intenzione di chiedere scusa.
Oggi Toti fa il pesce in barile: “Se la magistratura scoprirà qualcosa su De Paoli, sono pronto a prenderne atto, però vige la presunzione d’innocenza, continuo a rimanere sulle mie posizioni che ho già illustrato in aula.”
Sarebbe interessante che Toti spiegasse cosa intende per “prendere atto”, in caso di condanna di De Paoli.
Ma forse la sua giunta che vive di un solo voto di maggioranza non gli permette uno scatto di dignità : prenderà atto di avere un altro consigliere condannato, uno più, uno meno…
(da agenzie)
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Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
COME FUNZIONANO NEGLI USA… DA NOI SONO SEMPRE STATE UN BLUFF: DALLA MELONI A CASALEGGIO, DA SALVINI AL PD
In Italia da anni si parla di “primarie” salvifiche contro il “potere dei partiti” nel definire le liste.
Lo spirito anticasta, pur legittimo, ha però generato un altro mostro.
Perchè il nostro Paese, a differenza della madre delle primarie, non garantisce un bel nulla: nè la legalità , nè la serietà , nè il controllo, nè l’indipendenza delle primarie.
Finiscono solo per essere lo specchietto per le allodole al fine di turlupinare in modo diverso l’elettore.
Basta vedere come funzionano negli Stati Uniti quelle “serie”.
Negli Usa e primarie sono un metodo di selezione dei candidati.
Sono definite più propriamente come primarie dirette, in quanto prevedono il coinvolgimento diretto degli elettori nella scelta dei candidati che essi dovranno poi votare.
Il criterio distintivo è quello della registrazione presso le liste di un partito, da non confondere con l’iscrizione ad un partito.
La registrazione in un partito non ha (necessariamente) implicazioni finanziarie o ideologiche. È un atto pubblico, non privato, nel senso che è regolato dalle leggi statali e non dagli statuti partitici.
Il tipo più diffuso è la «primaria chiusa».
Ad essa possono partecipare solamente quegli elettori che si sono anticipatamente registrati in un partito (ad esempio, nello Stato di New York la registrazione deve essere effettuata un anno prima della data prevista per la primaria diretta, nel Connecticut tre mesi prima, in South Dakota quindici giorni prima)..
Il registro è pubblico nel senso che è depositato presso un’autorità pubblica e da quest’ultima è scrutinato (aspetto da sottolineare).
Gli elettori ricevono una scheda in cui sono elencati solamente i candidati del partito in questione che corrono per una data carica politica. Questo tipo di primaria diretta è stato adottato in quindici Stati.
In Italia invece abbiamo assistito a “di tutto, di più”.
Nel centrodestra la Meloni è riuscita a farsi eleggere attraverso primarie dove era lei l’unica candidata (modello Bertolaso), Salvini a chiamare primarie una consultazione alla paesana senza controlli.
Il M5S a fare delle primarie interne via web dove il garante è solo se stesso, per di più lasciando il compito nelle mani del chiacchierato Casaleggio.
Nel Centrosinistra hanno votato alle primarie tutte le categorie “esterne” possibili: cinesi, filippini, rom, esponenti di destra, personaggi vicini alla camorra e alla ‘ndrangheta, con i riflessi giudiziari ben noti.
Il problema di fondo è semplice.
1) Non sono attendibili primarie dove non esista un controllo terzo e indipendente sui risultati. Quindi o si affida a società esterne certificate o pubbliche il controllo dei votanti, lo scrutinio e i risultati finali o queste consultazioni sono solo fantozzianamente una cagata pazzesca.
2) L’esito delle primarie è spesso inficiato da infiltrazioni di capibastone e malavita: le file di estranei al partito che vanno a votare (spesso dietro compenso) annullano la reale volontà popolare della base .
3) E’ assurdo che elettori dell’area avversa possano, andando a votare in massa alle primarie del partito opposto, determinare pure il leader degli avversari, cosa di cui in parte ha già beneficiato Renzi.
A questo punto sarebbe opportuno legiferare in merito e stilare una legge quadro che almeno elimini questi problemi.
In attesa di quanto sopra, nessuno parli più di “primarie” come “espressione della volontà popolare”: si limiti a fare banchetti di beneficienza con le arance tarocco .
Così si rende almeno utile a una causa nobile.
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Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
SE, COME LOGICA, FOSSERO ANNULLATI I VOTI NEI SEI SEGGI DOVE SONO AVVENUTE IRREGOLARITA’ EVIDENTI, IL RISULTATO DELLE PRIMARIE SAREBBE STATO RIBALTATO… IL PD DI RENZI PRIMA FA LE PRIMARIE, POI LE TAROCCA (MALE) E ORA AVALLA L’ILLEGALITA’
“Ai vertici del Pd qualcuno ha già emesso il verdetto prima che gli organi competenti abbiano esaminato i
fatti. E’ una sentenza preconfezionata?”.
E’ rottura tra Antonio Bassolino e i vertici del Pd.
Il post pubblicato su Facebook è arrivato mentre era ancora in corso la riunione della commissione di garanzia che dovrà decidere sul ricorso presentato per i brogli documentati da Fanpage in alcuni seggi per le primarie. Ricorso poi bocciato dalla commissione.
Ma la riunione è stata abbandonata in polemica dai suoi sostenitori: “Non discutiamo il ricorso inutilmente per poi farcelo dichiarare illegittimo, per un cavillo”.
Antonio Giordano e Vincenzo Serio, due membri della Commissione di garanzia per le primarie del centrosinistra di Napoli, vicini a Bassolino, hanno lasciato la riunione. Secondo i due, “la Commissione era già orientata a respingerlo. Non ci sono le condizioni per continuare”.
L’esame del ricorso, spiegano, ” doveva arrivare dopo la dichiarazione del presidente che si è trattato di un voto trasparente e regolare. Si preferisce con un cavillo evitare una discussione necessaria davanti a un disastro. Cosi è inutile discutere il ricorso, si anticipa l’orientamento della Commissione”.
Un punto contestato è il presunto ritardo nella presentazione del ricorso, sul quale, spiegano ancora Serio e Giordano, “c’è una richiesta presentata da Valeria Valente secondo cui il ricorso è irricevibile. Siamo nelle stesse condizioni del 2011 quando non c’erano le condizioni di trasparenza del voto. Qualcuno vuole giocare al massacro di questo partito”.
Anche i rappresentanti di Area riformista hanno abbandonato la Commissione.
La ragione è che “la Commissione è stata incompleta fin dall’inizio perchè mancano i rappresentanti del Partito socialista. Coerentemente con quanto detto fin dall’inizio – spiega Alfredo Affatato – andiamo via al momento del voto”.
Se annullati i voti incriminati, Bassolino vince per 316 voti.
Con l’annullamento dei voti nei seggi dove sono state documentate le irregolarità dai video pubblicati da Fanpage, l’ex sindaco di Napoli vincerebbe le primarie per 316 voti. Bassolino, e non Valeria Valente, sarebbe il candidato del Pd a Napoli.
I seggi in odore di irregolarità sono sei: tre a Scampia (Lotto T, Via Monterosa e il centro Polifunzionale, dove sono stati avvistati cosentiniani e consiglieri di centrodestra), due a San Giovanni a Teduccio (villa San Giovanni e la Sala Rusticone) e uno a via Vittorio Veneto a Piscinola. In questi seggi Valente ha raccolto 1578 preferenze, Bassolino invece 810.
Scorporandoli dal totale dei voti raccolti, l’ex governatore della Campania vincerebbe quindi per 316 voti.
L’attacco di Bassolino è una chiara risposta ad alcune uscite dei vertici del Pd nazionale, in particolare del presidente Matteo Orfini e del vicesegretario Lorenzo Guerini.
Entrambi hanno infatti invitato il partito locale a fare accertamenti sui brogli documentati da Fanpage ma hanno chiuso, prima ancora che la commissione di garanzia ricevesse il ricorso presentato ieri in serata da Bassolino, a ogni ipotesi di annullamento.
“Valeria Valente è la candidata del centrosinistra a Napoli”, ha detto Orfini alla Stampa: “Singoli episodi discutibili non inficiano il risultato” delle primarie partenopee. Quanto al ricorso di Bassolino, “non vorrei che qualcuno cercasse di mettere in discussione lo strumento perchè non gli è gradito l’esito”.
I sostenitori di Bassolino avevano chiesto alla commissione di garanzia di trasmettere la riunione in diretta streaming. Ma la proposta è stata rigettata.
“Vista l’attenzione nazionale sul tema in esame oggi ho proposto che la riunione fosse trasmessa in diretta streaming ma la richiesta è stata rigettata”, ha detto Giordano.
“La richiesta di trasmettere in streaming la riunione – ha aggiunto Giordano – è dettata da una necessità di trasparenza, di fronte al Paese che ci osserva in queste ore, perchè noi non abbiamo niente da nascondere. Mi è stata rigettata, sostenendo che il regolamento non lo prevede”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
ERA PRESIDENTE AL SEGGIO DI SAN GIOVANNI A TEDUCCIO: “MERCIMONIO ORGANIZZATO, HO DOVUTO SOSPENDERE IL VOTO”
“Dopo il disastro delle primarie del 2011 non immaginavo che alcuni di quei protagonisti ritornassero sul luogo del delitto. Che dire, i lupi perdono il pelo ma non il vizio…!!”.
A parlare non è un attivista 5 stelle o un avversario politico del Pd. E nemmeno un esponente della minoranza interna ai democratici.
La denuncia arriva da un renziano della prima ora, il senatore Vincenzo Cuomo. Che non solo accusa, ma fornisce anche ulteriori prove su quanto hanno dimostrato i video pubblicati da Fanpage: alle primarie del centrosinistra di Napoli non tutto è andato per il verso giusto.
Persone pagate per andare a votare, esponenti di centrodestra che danno indicazioni su quale candidato sostenere (almeno in uno dei casi a essere avvantaggiata dall’indicazione è la renziana Valeria Valente, poi vincitrice), truppe cammellate e quant’altro serve ad alimentare il sospetto di brogli.
Il primo effetto già c’è stato, con Antonio Bassolino che ha presentato ricorso contro l’esito delle urne.
Cuomo, dal canto suo, non usa mezzi termini per definire l’accaduto. E lui, delle consultazioni per la scelta del candidato sindaco partenopeo, è al tempo stesso testimone oculare e protagonista, visto che è stato presidente del seggio nel quartiere di San Giovanni a Teduccio.
Il senatore non le manda a dire: “Mercimonio organizzato, mercificazione del voto con persone organizzate scientemente davanti ai seggi”.
E ancora: “Fatti gravissimi” che “ledono l’immagine del Pd e che minano la credibilità delle primarie”.
Fatti “ben più gravi di quelli che si sono verificati nel 2011, quando le primarie furono annullate” e che “non vanno sanzionati in maniera regolamentare ma sul piano politico”.
Cuomo, del resto, ha presieduto il seggio davanti al quale FanPage ha ripreso il consigliere comunale Antonio Borriello mentre dava l’euro del contributo ad una, due persone.
In quel seggio è stato dalle ore 8 alle 21, con circa due ore di pausa. “Solo una volta ho dovuto sospendere le operazioni di voto — racconta all’Ansa- è quando verso le ore 12-12.30 mi sono reso conto che mentre la gente era in fila veniva avvicinata da alcune persone che non avevano alcun titolo a stare nel seggio“.
Poi la battuta, grottesca, per sdrammatizzare: “Ho notato un’affluenza più ‘spintanea’ che spontanea, ecco”.
Cuomo, tuttavia, ci tiene a chiarire che lui non ha assistito mai alla cessione di soldi all’interno del seggio: “Se avessi visto una cosa del genere avrei fermato tutto”.
Il video di Fanpage invece lo ha visto, al pari delle “facce inquietanti” davanti ai seggi.
La storia di dare l’euro per far votare la gente, la blocca così: “L’euro è un contributo. Nel mio seggio, e l’ho fatto mettere a verbale, circa una trentina di persone hanno votato anche senza dare l’euro. Quindi non è certo una giustificazione“.
Ecco perchè parla di “mortificazione” e ricorda le primarie di cinque anni fa, “una lezione che non è affatto servita”.
Cuomo è un fiume in piena: “Nessuno immaginava che dopo il disastro del 2011 osassero tanto — dice il senatore – nessuno avrebbe mai immaginato che si potessero registrare episodi così gravi, pensavamo fosse stata una lezione, ed invece non lo è stata”. E va anche oltre.
Una denuncia su tutta la linea: “Quelle primarie furono annullate per fatti molto meno gravi, per dei cinesi in fila. Tutto ciò che questa volta il video mostra, non solo indigna ma mortifica la miseria di chi è costretto a prestarsi a tale mercimonio ed offende le centinaia di militanti, me compreso, che pur tifando e sostenendo il loro candidato, pensavano che quest’occasione potesse rappresentare un volano per il Pd in vista delle imminenti elezioni comunali a Napoli. Dopo il disastro delle primarie del 2011 non immaginavo che alcuni di quei protagonisti ritornassero sul luogo del delitto. Che dire, i lupi perdono il pelo ma non il vizio…!!”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 9th, 2016 Riccardo Fucile
ANCHE A ROMA PRIMARIE TAROCCATE: LA TESTIMONIANZA AL “MESSAGGERO”
Schede bianche gonfiate per non far emergere il flop di partecipazione alle primarie di Roma. 
A far sospettare sulla regolarità delle primarie Pd di domenica scorsa non è solo il caso Napoli.
Secondo quanto scrive oggi il Messaggero, anche nella Capitale ci sarebbero state irregolarità , questa volta non imputabili a soggetti “esterni”, ma proprio alla macchina organizzativa delle consultazioni.
A parlare al quotidiano romano è un dirigente nazionale del Pd. Che svela: “Tra la notte di domenica e il pomeriggio di lunedì sono state gonfiate virtualmente le schede bianche e le nulle. Qualcuno pensava così di fare del bene”.
Virtualmente? Sì, perchè non ci sono schede inserite fisicamente nelle urne.
Si tratta, secondo il racconto del dirigente dem, di una modifica al dato dell’affluenza inserito direttamente nel database di calcolo.
Il dato delle schede bianche era parso subito anomalo: su 47mila e 317 le persone che sono andate alle urne, 2866 sono state le schede bianche, mentre 843 quelle nulle.
La rivelazione di oggi getta un’ombra sulla possibilità di camuffare e truccare non solo le intenzioni di voto (caso Napoli), ma anche l’esito, a urne chiuse.
Che quello dell’affluenza fosse un nervo scoperto era noto fin dalla vigilia, perchè queste consultazioni dovevano misurarsi con i 100mila votanti accorsi nel 2013 per Marino.
Tanto che subito dopo l’incoronazione di Giachetti è intervenuto il commissario Pd di Roma Matteo Orfini per sminuire il dato 2013 ed esaltare quello di domenica scorsa: “A Roma nel 2013 — ha detto — era andata più gente ai gazebo, ma erano i 100mila delle truppe cammellate dei capibastone poi arrestati, del pantano che portò a Mafia Capitale, delle file di rom”. Insomma, meno elettori, ma puri e certificati, a sentire Orfini. Anzi, secondo il presidente nazionale del partito le parole sull’affluenza del capo della minoranza Roberto Speranza sono “meschine”.
“Segnalo a Speranza che, mentre lui s’è guardato bene dall’occuparsi delle vicende romane, siamo passati nei sondaggi dal 16 al 30%”.
Intanto però emerge che una parte dei voti delle primarie siano stati inventati, almeno secondo quanto racconta il dirigente Pd al Messaggero: “Per gonfiare l’affluenza, per non far vedere che stavamo poco sopra i 40mila ma molto più vicini ai 50mila votanti. Quando poi sono stati diffusi i dati dello spoglio abbiamo capito l’errore, anzi, il boomerang“.
Il boomerang di una consultazione con quasi l’otto per cento di votanti che pagano due euro per lasciare bianca (6%) o annullare la scheda (quasi il 2%).
Nel 2013 il totale di bianche e nulle non arrivava al 2,5%. E il Pd non fornisce i dati dei singoli seggi.
Il sospetto su quanto accaduto è partito al termine dello spoglio dal comitato elettorale dello sconfitto Morassout, dove all’annuncio ufficiale di “50mila votanti” i conti non tornavano. E non di poco: ballavano almeno 7mila voti rispetto all’affluenza. Un trucco contabile virtuale su cui i vertici del partito continuano a tacere mentre minimizzano i “buttadentro” immortalati dai video di Fanpage a Napoli (“Ti diamo noi un euro se vai a votare Valente“).
E che tra l’altro getta un’ombra sulle Primarie in generale, vista la facilità con cui si possono manipolare i risultati.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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