Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
AVANTI COSI’, MATTEO: UN ALTRO PAIO DI VISITE IN PIAZZA DEL PLEBISCITO CON 500 AGENTI DI SCORTA E SCENDI AL 10%… CHISSA’ COME SE LA RIDONO BOSSI, MARONI E ZAIA (OLTRE A SILVIO)
Il sondaggio del lunedì della Emg di Masia per conto de La7, effettuato sabato e domenica, ha dato il
benservito alla premiata ditta Salvini-Minniti: insieme sono riusciti a perdere l’ 1% rispetto alla settimana precedente, dopo lo straordinario duetto all’ombra del Vesuvio.
Gli italiani non hanno particolarmente gradito la sceneggiata napoletana : la Lega cala dello 0,4%, la sodale Fdi scende dello 0,2%, mentre sale Forza Italia dello 0,4% , quasi a certificare che l’elettorato moderato non ha gradito la provocazione della zecca padana.
Ma si afflosciano anche i bicipiti del ministro Minniti: il suo Pd “versione muscolare”, forte coi deboli e debole coi poteri forti, perde un bel 0,5%, nonostante la visibilità mediatica del Lingotto renziano.
Salgono invece i Democratici e progressisti dello 0,2% e persino il morituro Ncd dello 0,1%, mentre si affaccia Campo Progressista di Pisapia con l’1%.
Centrodestra e centrosinistra uniti nella “difesa della democrazia” sono così riusciti a fare l’ennesimo regalo al M5S che sale dello 0,9% e ringrazia Salvini per aver distratto per una settimana l’opinione pubblica dal circo grillino di Roma.
I risultati in percentuale: MS5 30%, Pd 27,1%, Lega 12,9%, Forza Italia 12,2%, Fdi 4,9%, Democratici e Progressisti 4,2%, Ncd 2,6%, Sin. Ital. 1,4%, Campo Progressista 1%.
Non si hanno notizie del Polo Sovranista, Masia con cita i prefissi telefonici.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
NON UNO SCANDALO DI QUATTRO FURBETTI CHE MANIPOLAVANO I BILANCI, MA CRISI DI RAPPRESENTANZA DELL’ELITE CONFINDUSTRIALE
E poi si dice: “Oh, il populismo!”. Con lo spirito e lo stupore di chi evoca l’invasione delle cavallette.
Eppure a spiegare come l’onda populista, o come si dice oggi, anti-establishment, nasce e cresce, basta questa grande storia.
Uno delle architravi del sistema del paese, il giornale economico e finanziario che per decenni dalle sue pagine ha indicato (con non poca supponenza) la strada della correttezza economica, delle regole, del bene comune, si ritrova al centro di una sorta di “scandalo delle tre carte”: vedo non vedo, vendo non vendo, recupero e intasco. Parliamo della crisi del Sole24Ore, ma magari fosse solo la crisi di un giornale.
In verità si tratta della punta di un iceberg del declino di Confindustria e più in generale del capitalismo italiano, o meglio di una crisi che fa emergere nuovi rapporti e la marginalizzazione del settore del business.
Il 10 novembre 2011, nel famoso numero titolato (a nove colonne) Fate presto, scriveva il direttore Roberto Napoletano, richiamandosi alla lezione di Pertini, Einaudi, Ciampi e Giorgio Napolitano: “Cari deputati e cari senatori, cade sulle vostre spalle la responsabilità politica (dico politica) di garantire all’Italia un governo di emergenza guidato da uomini credibili che sappiano dare all’Italia e agli italiani la cura necessaria ma sappiano imporre anche al mondo il rispetto e la fiducia nell’Italia”.
Poi arrivò l’auspicio di altri governi di emergenza, la retorica della stabilità , all’insegna del rigorismo europeo mentre nel paese il “boom” dei Cinque Stelle non evocava affatto l’altro “boom”, ovvero il miracolo economico degli anni Cinquanta, fino a Renzi e a Sì al referendum, diventata la crociata del presidente di Confindustria Boccia, con tanto di previsioni apocalittiche del centro studi in caso di vittoria del No.
Più che una linea fondata su una visione del paese, la posizione di una lobby, culturalmente “romana” e “ministeriale”, che nel rapporto con la politica cerca di coprire la propria fragilità .
Che è la fragilità di un capitalismo con poche idee, progetti, capacità di rischio e di innovazione.
Una lobby “romana” che cozza col dinamismo rimasto nelle associazioni territoriali degli industriali che, proprio mentre Boccia era impegnato nella sua campagna per il Sì, firmavano il nuovo contratto dei metalmeccanici con Landini.
“Padroni” duri, si sarebbe detto una volta, come nel caso di Assolombarda, ma più concentrati sulle fabbriche che sulle compensazioni ministeriali. “Confindustria? È desaparecida” ha detto qualche giorno fa il segretario della Cgil Susanna Camusso. Perchè, al netto della cortesia col governo di turno, si è sostanzialmente eclissata dal dibattito pubblico, dalla crisi delle banche all’assalto di Vivendi a Mediaset e, soprattutto, alla crisi industriale del paese.
Lo scandalo editorial-finanziario si inserisce in questo “scomparsa” di ruolo.
Il Sole-24 Ore, fiore all’occhiello e principale posta del bilancio di Confindustria (circa un quarto), ha manipolato per anni i bilanci, come era facile osservare per chi si fosse soffermato sul fatto che le vendite schizzavano verso l’alto, mentre i ricavi scendevano.
Il tutto nel silenzio di presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati, direttori sfiduciati, assemblee.
E in tutti questi anni hanno taciuto le Marcegaglia, i Montezemolo, il vecchio padre nobile Abete, quelli per i quali Gianni Agnelli inventò la definizione di “professionisti della Confindustria.
Proprio mentre, da consumati “professionisti” della politica gli stessi hanno occupato — grazie al rapporto con la stanza dei bottoni — le postazioni chiave, come Montezemolo in Alitalia ed Emma Marcegaglia all’Eni, all’ombra di quel conflitto di interessi che già avvolse la sua presidenza di Confindustria, come emerge dalle inchieste che la riguardano.
Montezemolo, Marcegaglia, Boccia. La retorica sulla crisi di rappresentanza “sindacale”, ha coperto una analoga, e altrettanto profonda crisi di rappresentanza di Confindustria, che non solo non è più quella di un tempo, ma è una associazione in crisi di un capitalismo in crisi.
La verità è che, finita la fase della concertazione e del grande patto per entrare in Europa, e dopo la “svolta” liberista di D’Amato Confindustria si è rintanata nel fare lobby, più che nel fare “sistema” mentre la struttura imprenditoriale entrava in difficoltà in un mondo globalizzato.
Nel frattempo Marchionne e la grande distribuzione se ne vanno perchè hanno bisogno di nuove di regole per contrattare mentre gli imprenditori emergenti che esportano non entrano perchè considerano burocratica e ministeriale l’associazione di viale dell’Astronomia
Il Sole era il fiore all’occhiello, la prova di una classe imprenditoriale che sente di poter dare lezioni, anche nell’industria editoriale, a differenza delle omologhe associazioni di categoria europee — in Francia e Germania ad esempio – che non hanno un quotidiano.
Adesso si scopre che il fiore era appassito. E, con esso, rischia di appassire il suo presidente, che fino all’ultimo ha difeso il direttore uscente e Confindustria, come confidano parecchi associati anche se in pubblico tacciono.
In questa storia c’è tutto lo iato tra percezione di sè e la realtà , tra ruolo che si attribuisce un pezzo delle elite e rapporto reale con l’opinione pubblica e col paese.
E se nella polemica instaurata tra la leadership populistica di Trump e la bibbia del Nyt si ricorre alla categoria di “post verità ”, per spiegare il caso nostrano — quante volte nelle redazioni si è detto: “certo che è vera questa cosa, lo dice il Sole” — basta ricorrere alla più semplice categoria di “perdita della credibilità ”.
E non c’è da stupirsi se, domani o domani l’altro, Beppe Grillo o Luigi Di Maio proporranno di abolire Confindustria o di non leggere più quel giornale, perchè proprio questo è il senso della storia: non uno scandalo di quattro furbetti, ma pezzo di crisi dell’elite.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
APERTO UN BANDO PER SORVEGLIARE, APRIRE E CHIUDERE I PARCHI, UGUALE A QUELLO CHE FECE MARINO… MA I ROMANI NON PAGANO GIA’ LE TASSE PER UN SERVIZIO CHE NON HANNO?
Chi l’ha detto che a Roma le associazioni di volontariato non sono le benvenute? Certo, il Comune sta
procedendo senza troppi rimorsi allo sfratto delle Onlus e delle associazioni culturali che “occupano” immobili di proprietà del Comune senza riuscire trovare una soluzione diversa dal confermare l’indecente delibera 140/2015 votata dalla giunta Marino ma questo non significa che i volontari, quelli che non “fanno casino”, non chiedono nulla in cambio e soprattutto non costano un euro non piacciano alla giunta guidata da Virginia Raggi.
Lo dimostra un recente bando pubblicato sul sito del Comune e “finalizzato alla ricerca delle Associazioni di Volontariato, per lo svolgimento di attività gratuite relative al servizio di supporto alla vigilanza nelle ville, parchi e giardini cittadini“.
L’Avviso Pubblico del Dipartimento Tutela Ambiente è rivolto ad associazioni di volontariato che mettano a disposizione del personale per la vigilanza dei parchi cittadini che si occupino della sorveglianza delle aree verdi e della chiusura e dell’apertura dei cancelli.
Oggetto del bando sono trentuno parchi pubblici ed aree verdi per le quali il Comune di Roma sta cercando associazioni che si mettano a supporto del personale di vigilanza per consentire che i parchi romani rimangano fruibili e soprattutto vivibili da parte di cittadini e turisti.
Dal momento che le risorse non ci sono l’idea — che ricalca pari pari quella già avuta dall’amministrazione guidata da Ignazio Marino — è quella di chiamare a raccolta le associazioni di volontariato che abbiano personale in grado di dedicare un paio d’ore al giorno (due per l’apertura e due per la chiusura) alla gestione dei parchi.
In cambio i volontari riceveranno un rimborso spese chilometriche per l’utilizzo dei mezzi con cui raggiungere i parchi assegnati all’associazione affidataria e svolgere il servizio di sorveglianza interno nelle ore di apertura e chiusura, una tessera dell’ATAC non nominale per consentire gli spostamenti dei volontari, un rimborso spese di 300 euro l’anno per ciascuno dei 24 operatori (che saranno suddivisi in squadre da due) per un totale di spesa pari a 89.378,80 euro (che comprendono anche le spese per la copertura assicurativa).
Il progetto partirà in via sperimentale dal primo aprile al 31 dicembre e potrà essere rinnovato per 24 mesi.
La giunta guidata da Virginia Raggi continua quindi a confermare le decisioni prese da Marino, che quando aveva fatto pubblicare il bando era stato accusato (da destra) di sfruttamento del volontariato invece che mettere mano alle vere carenze e problematiche dei parchi di Roma.
Dovrebbe essere proprio il Comune ad occuparsene — e ci sarebbe da discutere sulla capacità di due volontari di fermare il degrado ed assicurare effettivamente la sicurezza — ma evidentemente è più comodo rivolgersi (quando non creano problemi) alle associazioni di volontariato che svolgono un ruolo di pubblica utilità .
Qualche tempo fa Beppe Grillo invitava i cittadini romani a diventare “sindaci dei propri 10 metri quadrati” della città in modo da alleggerire il carico di lavoro dell’Amministrazione.
La stessa Amministrazione alla quale i cittadini pagano le tasse proprio per occuparsi della manutenzione cittadina, della pulizia delle strade, dell’asporto dei rifiuti.
Già da diverso tempo però a Roma sono attivi una serie di Comitati e Associazioni che fanno proprio questo. Si va dai ciclisti di “Volontari ciclabile Tevere” che hanno ripulito la pista ciclabile lungo il Tevere, all’associazione “Tappami” che si occupa dell’annosa piaga delle buche delle strade cittadine.
In mezzo c’è il movimento “Retake Roma” i cui volontari si occupano di ripulire la città dai graffiti e dal “degrado” e infine l’iniziativa #Romasonoio lanciata l’anno scorso da Alessandro Gassman per segnalare situazioni di degrado urbano e prendersi cura dei “beni comuni”.
Queste associazioni non hanno particolari problemi con la Giunta perchè si prendono cura del bene comune senza creare “disagi” all’Amministrazione.
Per le associazioni culturali e le Onlus che invece sono sotto sfratto e hanno ricevuto ingiunzioni di pagamento la faccenda è diversa: anche se nel corso degli anni hanno ristrutturato gli immobili che gli sono stati assegnati, salvandoli dal degrado, e hanno fornito, in molti casi gratuitamente, la loro opera al servizio della cittadinanza rappresentano una spina nel fianco per il Comune che da Marino fino alla Raggi ha deciso di darci un taglio per paura di un nuovo scandalo affittopoli.
Perchè va bene fare i volontari e va bene ripulire Roma gratis, ma quando si tratta di interventi più incisivi che richiedono una presa di posizione chiara da parte dell’Amministrazione Comunale Virginia Raggi e Ignazio Marino la pensano incredibilmente allo stesso modo (e non è la prima volta).
(da “NextQuotidiano“)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
L’IDEOLOGIA DEL GENDER E’ UNA TEORIA COSTRUITA AD ARTE DALLE PERSONE CHE ‘HANNO INVENTATA PER AVERE UNO STRUMENTO PER ATTACCARE LE LEGITTIME RICHIESTE DELLE PERSONE OMOSESSUALI
In un meraviglioso (si fa per dire) video tratto dalla Scuola di formazione politica della Lega Nord a Lucca possiamo ammirare il giornalista Paolo Del Debbio che denuncia l’arrivo in redazione a Quinta Colonna di mail scritte da genitori preoccupati perchè i figli di 8 anni hanno chiesto loro “quando è che potranno cambiare sesso, perchè lo dicono a scuola”.
I bambini chiedono: “Mamma, quando potrò diventare anche io bambina?” e le bambine chiedono: “Mamma quando potrò diventare io bambino?”. Allora, al che le mamme chiedono “Perchè mi fai questa domanda?”. “Perchè ho sentito tanto parlarne e perchè dobbiamo essere solo così, sarebbe bello essere tutte le cose insieme. Ripeto: bambini e bambine tra gli otto e i dieci anni. Io se lo avessi saputo prima avrei portato le email, eh, avrei cancellato i nomi e ve le avrei fatte vedere.
Di che sta parlando Paolo Del Debbio?
Ma che domande: della fantastica Teoria del Gender. Ovvero di una cosa che non esiste, come non esiste un’ideologia del Gender.
Non esiste una teoria usata dalle “Lobby Gay” per scardinare l’istituto della famiglia e insegnare l’omosessualità nelle scuole.
Esistono invece i Gender Studies ovvero quelli che in italiano vengono chiamati studi di genere.
Questi studi mirano a individuare e a spiegare i motivi per cui ad un dato genere (maschile o femminile) vengano attribuiti dei ruoli specifici non strettamente legati alle caratteristiche sessuali (ad esempio perchè le donne guadagnano meno degli uomini). Questi studi non hanno prodotto una “teoria unificata” ma assomigliano più ad una costellazione di singole ricerche e modelli scientifici; poi, recentissimamente, qualcuno ha cominciato a dire che invece ci sarebbe stata una teoria unitaria, di cui però gli studiosi non sanno nulla.
L’ideologia del Gender è una teoria costruita dalle stesse persone che la criticano che hanno l’hanno inventata per avere uno strumento per attaccare le legittime richieste delle persone omosessuali:
Esistono molteplici studi di genere che analizzano come i ruoli attribuiti all’uno o all’altro sesso (maschio/femmina) siano sociali e strettamente legati alla cultura di appartenenza. Altrove, nel mondo, ci sono dipartimenti interi. Quindi possono variare da paese in paese e anche nello stesso paese nel tempo.
Non esiste teoria che rifiuti la differenza biologica tra maschi e femmine (e non uomini e donne, concetto di genere, non biologico sebbene in parte legato anche a questo ambito).
Nè esistono le fantasiose varianti « ideologia del genere », « teoria del genere sessuale », « teoria del genere queer », « ideologia delle femministe del gender ».
Insomma, nessuno vuole insegnare la Teoria del Gender nelle scuole, per il semplice motivo che non esiste.
Esiste solo nel modo di comodo in cui è stata inventata proprio da coloro che si oppongono all’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole.
Quello che esiste è invece un Disegno di Legge (DDL 1680) presentato dalla Senatrice Valeria Fedeli che però non è ancora stato discusso in Aula e quindi non può certo riguardare la materia del contendere visto che “i genitori” sostengono che il rischio è imminente anzi, che il Gender viene già insegnato nelle scuole.
Il DDL Fedeli propone l’introduzione “dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università “.
Per la precisione gli obbiettivi sono due.
La prima, fissare tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento e delle linee generali dei curricoli scolastici la cultura della parità di genere e il superamento degli stereotipi; la seconda, l’intervento sui libri di testo, riconosciuti in tutte le sedi internazionali, come un’area particolarmente sensibile per le politiche delle pari opportunità
Insomma si tratta di insegnare il rispetto delle diversità (non di inculcare la voglia di essere diversi) per garantire a tutti pari opportunità .
Con buona pace di Paolo Del Debbio e dei Genitori Preoccupati
(da “NextQuotidiano“)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
OGNI ANNO NASCONO 40.000 CORSI CON LO SCOPO DI RIEMPIRE LE AULE E ACCEDERE AI FONDI PUBBLICI, MA NESSUNO NE VERIFICA L’EFFICACIA
Di cosa vorremmo accertarci prima di iscriverci a un corso di formazione finanziato da soldi pubblici ed
europei con l’obiettivo di trovare lavoro? Che l’ente formatore sia serio, ovviamente. Che sia accreditato dalla nostra Regione.
Ma c’è una cosa ancora più importante: se in passato corsi simili si siano tradotti in nuovi posti di lavoro, e in che misura.
Conoscenza fondamentale per non perdere tempo e risorse, per evitare di arricchire gratuitamente i nostri formatori con soldi pubblici.
Conoscenza fondamentale ma inaccessibile perchè le Regioni, con qualche scarsissima eccezione, non fanno valutazioni per vedere se i disoccupati iscritti, pagati con fondi dell’Europa e dello Stato italiano, trovino poi lavoro grazie a quei corsi.
Ma c’è di più: quelle valutazioni le Regioni non sono tenute a farle.
La conferma arriva dall’accordo con il quale l’Italia fissa gli obiettivi per accedere alle risorse del Fondo sociale europeo per il periodo 2014-2020.
Quell’accordo avrebbe dovuto rimediare ai disastri della precedente programmazione, denunciati da un meticoloso lavoro di due economisti della voce.info, Roberto Perotti e Filippo Teoldi: 7 miliardi e mezzo polverizzati in 500 mila progetti di formazione privi di qualsiasi seria valutazione.
Ma così non è.
Nel nuovo documento, tra gli “indicatori di risultato” che dovrebbero dirci se un corso di formazione è utile o no, troviamo ad esempio: “Popolazione 25-64 anni che frequenta un corso di studio o di formazione professionale”, oppure “quota di giovani qualificati presso i percorsi di istruzione tecnica professionale sul totale degli iscritti”. O ancora: “Rapporto tra allievi e nuove tecnologie come Pc e tablet”. In altre parole, un corso sarà tanto più apprezzabile e quindi finanziabile quanto più alto sarà il numero dei suoi iscritti, o quanti più tablet saranno messi a disposizione dei suoi studenti
RIEMPIRE LE AULE
Dunque, basta riempire le aule e il gioco è fatto. Gli enti di formazione accreditati (in maggioranza privati) conoscono bene questo gioco: raccolgono un certo numero di disoccupati, contattano i docenti e infine propongono un progetto formativo alla Regione, che fa il bando e decide.
A quel punto scatta il finanziamento pubblico. E ciò senza che siano rispettate due fondamentali condizioni: quella di aver dato prova in passato di aumentare i posti di lavoro con corsi simili, o quanto meno quella di conoscere ciò che serve alle imprese di quel territorio.
POCHE VERIFICHE
Certo, stabilire l’efficacia del corso non è impresa facile e tuttavia ci sono valutazioni sicuramente più accurate che vengono puntualmente ignorate dalle Regioni, come quella che mette a confronto due gruppi di disoccupati simili, uno sottoposto a formazione e l’altro no, e va a vedere dopo uno o due anni quanti di loro hanno trovato lavoro.
Qualcosa del genere lo ha fatto tempo fa, in assoluta solitudine, la provincia autonoma di Trento grazie a un istituto di valutazione, l’Irvapp, per verificare l’efficacia di 64 corsi di formazione di lunga durata.
Ma tutto è affidato al caso, e dopo la bocciatura del referendum costituzionale, che avrebbe trasferito allo Stato la competenza esclusiva nel definire le “disposizioni generali e comuni” della formazione, le Regioni restano padrone assolute, con venti legislazioni diverse.
“Il vero problema – spiega Maurizio Del Conte – responsabile dell’Anpal, la nuova Agenzia nazionale per il lavoro – è che nella maggior parte delle nostre Regioni il finanziamento dei corsi è del tutto slegato dai risultati di inserimento lavorativo”. “Non solo – aggiunge Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato – la formazione è slegata anche e soprattutto dai bisogni delle imprese che potrebbero assumere e da quelli degli stessi potenziali lavoratori. L’unica strada per farla funzionare è il sistema duale applicato dalla provincia di Bolzano: il che significa ancorare i corsi ai contratti di apprendistato, progettarli insieme alle imprese interessate. Casi positivi li troviamo anche in Lombardia, Veneto, Friuli e a Trento. Lì dove invece non si dà ascolto alla domanda, ecco che la formazione diventa, come è diventata quasi dappertutto in Italia, un grande business autoreferenziale”.
IL BUSINESS DELLA FORMAZIONE
Ogni anno, per la triplice formazione a studenti, disoccupati e lavoratori, partono quarantamila corsi finanziati con fondi pubblici, oltre 9 milioni di ore, 670 mila allievi, centinaia di enti formativi.
E un miliardo circa di risorse pubbliche o istituzionali, tra Fondo sociale europeo cofinanziato dallo Stato italiano e Fondi interprofessionali gestiti da imprese e sindacati. Al quale si aggiunge il contributo individuale degli utenti.
Non si creda che siano tutti corsi inutili o quasi. Molte sono le iniziative lodevoli di enti formativi seri.
Il problema è che, sganciati dai fabbisogni delle imprese, la loro efficacia è affidata al caso. E così fioriscono pacchetti preconfezionati di inglese e informatica, questi ultimi proposti, dice l’Isfol, dal 37,4% delle strutture.
E su Internet si vendono addirittura kit per aprire corsi standard di formazione con l’indicazione degli uffici pubblici a cui rivolgersi per avere le sovvenzioni.
“Già – commentano all’Atdal, l’associazione dei disoccupati over 40 – non ha alcun senso proporre a un operaio cinquantenne disoccupato un corso di alfabetizzazione informatica quando è chiaro che un qualsiasi diciottenne sarà in grado di fornire capacità operative incomparabilmente superiori. Eppure conosciamo situazioni in cui questi tipi di corsi sono stati organizzati proprio per operai”.
Ma non ci sono solo i corsi standard, tutti più o meno generici. L’universo della formazione si popola anche di lezioni tra le più bizzarre, finanziate sempre con i fondi pubblici: dagli animatori teatrali agli assistenti di studi legali agli operatori sociali telefonici.
“E poi ci sono i giochetti più o meno sporchi come il gaming – spiega Francesco Giubileo, esperto in sociologia del lavoro per la voce.info -: un ente formativo, sapendo che un’impresa ha già deciso di assumere, organizza artificiosamente un corso, dimostrando poi che quel corso è servito a creare posti di lavoro”.
Di qui alle truffe vere e proprie il passo è breve. Le più clamorose quelle organizzate in Sicilia: almeno 200 milioni di fatture fittizie e servizi mai forniti, sui 4 miliardi di corsi di formazione messi in campo dalla Regione negli ultimi dieci anni.
Dai disoccupati agli occupati: anche qui la formazione mostra limiti evidenti, come rileva lo stesso Isfol. Si tratta di corsi brevi che le aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti con i soldi dei Fondi interprofessionali.
Nelle condizioni di scarsa produttività in cui versa gran parte del nostro tessuto produttivo, ci si aspetterebbe un orientamento formativo finalizzato all’innovazione e alla riqualificazione del personale meno istruito. Invece più della metà dei progetti è dedicata alla sicurezza del lavoro e al mantenimento delle competenze presenti, mentre a partecipare ai corsi sono soprattutto quadri e dirigenti.
L’ABUSO DEI TIROCINI
Ma il tema della formazione non finisce qui: oltre ai lavoratori che perdono il posto e agli occupati che tentano di riqualificarsi per conservarlo, ci sono gli oltre 2 milioni di giovani che non studiano, non lavorano e non si formano.
I pur apprezzabili contribuiti degli istituti formativi successivi alla scuola (ristorazione in testa) non bastano a scalfire il fenomeno.
Gran parte delle speranze di far perdere al nostro Paese il primato dei Neet è riposta nel progetto europeo “Garanzia Giovani”. I
n Italia, dopo una partenza fiacca, il progetto ha avuto una buona accelerazione: più di un milione di iscritti, oltre 800 mila presi in carico. Quanti hanno trovato lavoro? Non lo sappiamo in assoluto ma solo limitatamente ai 266 mila giovani che hanno completato il tirocinio: circa la metà ha firmato un contratto, e solo 30 mila ragazzi sono stati assunti a tempo indeterminato, l’11% dei tirocinanti.
Se poi andiamo a vedere in che consistono questi tirocini, ci accorgiamo che sono per lo più slegati dalla formazione, tanto che si sta diffondendo un nuovo clamoroso abuso, dopo quello dei voucher: si spacciano per tirocini (500 euro al mese di compenso quasi sempre pagati in ritardo) rapporti di lavoro veri e propri, gratuiti e senza contributi
Scaduti i sei mesi, niente assunzioni: si cambia solo tirocinante. E via per un altro semestre. Insomma, una prassi al limite della truffa. Contro la quale la maggior parte delle Regioni, che continuano e continueranno a gestire l’intero percorso formativo, si guarda bene dall’intervenire.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
“LA DINAMICA NON E’ CHIARA COME SEMBRA, CI SONO COSE CHE NON TORNANO”… IL FRATELLO DELLA VITTIMA: “NON VOGLIAMO VENDETTA, SOLO GIUSTIZIA, PERDONIAMO L’OMICIDA”… MARONI FA PAGARE AI CONTRIBUENTI LA DIFESA DELL’INDAGATO PER OMICIDIO… SE FOSSE RITENUTO COLPEVOLE SAREBBE UN BELL’ESEMPIO QUELLO DI UNA ISTITUZIONE CHE PAGA LE SPESE LEGALI A UN ASSASSINO
Dubbi e contraddizioni sulla versione di Mario Cattaneo, il ristoratore lodigiano che, nella notte tra giovedì e venerdì, ha sparato contro i ladri che si erano introdotti nella sua osteria tabaccheria, a Casaletto Lodigiano, uccidendo Petru Ungureanu, 33enne romeno.
“La dinamica non è così chiara come sembra, ci sono delle cose che non tornano”, dice il procuratore capo di Lodi, Domenico Chiaro. E spiega: “C’è un testimone che dice di aver sentito due spari, non uno solo. Quando sono arrivati i carabinieri lui non ha detto che c’era stata la colluttazione e che era partito un colpo. L’arma era già stata rimessa a posto dal figlio, scarica. Il secondo colpo,che c’era, era stato sparato o è stato tolto? Nelle prime dichiarazioni a caldo Cattaneo era stato un po’ reticente”. Ricostruendo le parole del ristoratore, il procuratore aggiunge: “E’ stato Cattaneo a spaccare la porta, che era stata chiusa dai ladri con una corda di nylon, per uscire. E’ stato lui ad andare incontro al pericolo, non stavano entrando loro. Era in corso l’aggressione ai beni, ma non alle persone. Cattaneo e la sua famiglia erano in pericolo di aggressione? Siamo nel campo di una possibile applicazione della legittima difesa domiciliare ma con dei limiti, altrimenti è il far west”.
Anche le lesioni che Cattaneo ha sul braccio non convincono il procuratore capo di Lodi: “Non sono lesioni da trascinamento, ma da colpo”.
La vittima.
“Io e la mia famiglia perdoniamo Mario Cattaneo davanti a Dio: non vogliamo vendetta ma solo giustizia”: sono le prime parole di Victor Ungureanu, fratello di Petru, arrivato in Italia da poche settimane.
I due fratelli hanno storie diverse, conferma il procuratore capo di Lodi: “Il fratello sapeva solo che Petru stava vicino a Milano”.
Sabato, il giorno dopo il tentato colpo nella tabaccheria dell’Osteria dei Amis, Victor, che oggi ha voluto vedere suo fratello morto prima dell’autopsia, aveva ricevuto la telefonata da uno della banda che gli diceva cos’era successo e, alla richiesta di chiarimenti e di sapere chi fosse la persona al telefono gli sarebbe stato risposto, sempre in romeno, “a te non interessa”.
“Purtroppo si sono portati via il cellulare del loro compagno morto, e hanno chiamato suo fratello da un cellulare non tracciabile”, spiega il procuratore. Qualcuno, di primo mattino, ha calpestato e strappato i fiori che erano stati lasciati ieri al cimitero di Gugnano di Casaletto Lodigiano, proprio nel punto in cui il ragazzo è morto.
Le reazioni.
Sul caso è intervenuto il ministro della Giustizia Andrea Orlando. “Con la giustizia ‘fai da te’ lo Stato si delegittima, e questo non è un bene”
Dalla Regione Lombardia, intanto, è arrivata la conferma che Cattaneo potrà accendere a un fondo del Pirellone per sostenere le spese legali.
Tanto pagano i contribuenti, mica Maroni di tasca sua.
(da “La Repubblica“)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
AGGUATO FUORI DA UN CAMPO DI TERZA CATEGORIA… IL 28ENNE CAPITANO RISCHIA DI PERDERE UN OCCHIO… L’AGGRESSORE AVRA’ AGITO PER POTER MANIFESTARE LIBERAMENTE LA DEMOCRAZIA , COME SANCITO A NAPOLI DA MINNITI: ISTIGARE AL RAZZISMO NON E’ REATO IN ITALIA
Un calciatore di 28 anni, Gianluca Cigna, che gioca in terza categoria nell’Atletico Villaretto, un
Comune alle porte di Torino, è ricoverato in gravi condizioni all’ospedale San Giovanni Bosco, nel capoluogo. E’ stato aggredito ieri pomeriggio, fuori dal campo, da un avversario della Mappanese che con i genitori lo ha atteso all’uscita.
I tre lo hanno picchiato poichè aveva preso le difese di un suo compagno di origini senegalesi, Mbaye Mamadou, vittima in campo di insulti razzisti.
Offese a cui, secondo una prima ricostruzione, era seguita una rissa in campo. Cigna, capitano dell’Atletico Villaretto, ha preso le difese di Mbaye.
Sembrava che la cosa fosse finita lì, pur all’interno di una partita caratterizzata fin dall’inizio da una forte tensione, come racconta il tecnico dell’Atletico Alessandro Padalino: “Quelli della Mappanese sono apparsi fin da subito ‘sopra le righe’ – racconta – l’unica persona che ha mantenuto la calma era il loro allenatore. Hanno iniziato a prendere di mira Mbaye e Gianluca ha cercato di difenderlo. Quello che è successo dopo la partita è un episodio schifoso che lascia tutti senza parole”.
Cigna è stato trasportato al pronto soccorso e si trova tuttora ricoverato in ospedale dove è stato operato: ha riportato lo sfondamento di un’orbita ed è in gravi condizioni ma non in pericolo di vita.
Questa mattina è stato sottoposto a nuovi esami. I medici sono preoccupati che a causa del trauma subito possa perdere un occhio o avere comunque danni irreversibili alla vista. Sull’accaduto sono ora in corso accertamenti da parte dei carabinieri. S
otto choc i genitori del calciatore. “I responsabili sono stati individuati e sporgeremo denuncia nelle prossime ore – spiega il padre di Gianluca, Giuseppe Cigna – ma aspettiamo che mio figlio sia in grado di raccontare quanto gli è successo”.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
LONDRA SE LA FA SOTTO: “NON PUO’, CREEREBBE GRANDI INCERTEZZE ECONOMICHE”
La Scozia risponde alla Brexit convocando un nuovo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito. “Il governo britannico rifiuta ogni compromesso che ci consenta di rimanere almeno dentro il mercato comune europeo, non ci resta altra strada che decidere da soli il nostro futuro”, annuncia Nicola Sturgeon, premier del governo autonomo scozzese, in un discorso a Edimburgo.
L’intenzione era nell’aria, ma Downing Street l’ha considerata a lungo un bluff, perchè i sondaggi davano i no all’indipendenza della Scozia in vantaggio sui sì e perchè nel 2014 gli indipendentisti hanno già perso, 55 a 45 per cento, un primo referendum sulla secessione dal Regno Unito.
“Ma i termini della questione sono cambiati”, afferma la premier Sturgeon. “Due anni e mezzo fa non sapevamo che restare parte del Regno Unito avrebbe significato uscire dall’Unione Europea”.
E sono cambiati anche i sondaggi, che per la prima volta danno i sì in lieve vantaggio o in sostanziale parità con i no.
La leader degli indipendentisti ha fissato anche la data della consultazione: tra l’autunno 2018 e la primavera 2019.
Dunque entro il marzo 2019, quando dovrebbe concludersi il negoziato della durata di due anni fra Londra e Bruxelles sull’uscita del Regno Unito dalla Ue.
“Vogliamo tenere il referendum in un momento in cui sia già nota la sostanza dell’accordo sull’uscita di Londra”, ha detto Sturgeon, “ma prima che sia troppo tardi”.
Tardi per cosa, è sottinteso: gli indipendentisti vogliono poter votare prima che il Regno Unito sia formalmente uscito dalla Ue, in modo da poter sostenere, se nel referendum prevarrà il sì all’indipendenza, che la Scozia ha tutto il diritto di restare parte della Ue anche se il resto del Regno Unito si appresta ad uscirne.
Restano due incognite. La prima è se il governo britannico alla fine permetterà il referendum.
Le premesse non incoraggiano gli scozzesi: “Non accetteremo niente che leghi le mani al primo ministro”, è il primo commento del portavoce di Theresa May.
Poi, in una nota, Downing Street argomenta ancora più duramente: “Un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia sarebbe divisivo e provocherebbe “enorme incertezza economica”. Il governo May s’impegna peraltro a negoziare ora la Brexit “nell’interesse di tutte le nazioni” del Regno Unito.
Ma rifiutare il referendum sarebbe l’equivalente di sconfessare due decenni di devolution in tutto il paese e andare a uno scontro frontale, con imprevedibili conseguenze politiche e legali, con la Scozia.
E’ possibile che Londra cercherà di rinviare la data del referendum a dopo la conclusione del negoziato di “divorzio” dalla Ue, ma non è detto che ci riesca.
L’altra incognita è la reazione della Ue: se accetterà o meno la Scozia tra i suoi membri, al posto del Regno Unito che se ne va, senza bisogno che Edimburgo si metta in coda per un lungo processo di ammissione.
A qualcuno l’ipotesi non piacerà , per esempio alla Spagna, che non vuole fare niente per incoraggiare la Catalogna verso l’indipendenza.
Intanto l’annuncio di Nicola Sturgeon è come “una bomba”, osserva la Bbc, sul percorso ad ostacoli della Brexit, che oggi dovrebbe ricevere l’approvazione finale dal parlamento di Westminster, con un voto della camera dei Comuni che — secondo le previsioni — rifiuti gli emendamenti approvati la settimana scorsa dalla Camera dei Lord.
In tal caso, già domani Theresa May potrà invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che dà il via ai due anni di negoziati di uscita dalla Ue, il processo formale verso il divorzio.
E Bruxelles si dice pronta “a lanciare i negoziati non appena quell’articolo sarà attivato” sottolinea Margaritis Schinas, portavoce capo della commissione Ue.
Adesso, tuttavia, con la questione scozzese, si profila con chiarezza il prezzo esorbitante che il Regno Unito potrebbe pagare per la Brexit: la disunione britannica.
Se ciò avverrà , si può scommettere come saranno ricordati nei libri di storia Nigel Farage, il primo a battersi per lasciare la Ue, David Cameron, che ha indetto il referendum sulla Ue, e Theresa May, che vuole portare a compimento la Brexit. I distruttori di tre secoli di unità nazionale.
Senza contare che alla Scozia potrebbe aggiungersi l’Irlanda del Nord, l’altra regione che ha votato a grande maggioranza per restare nella Ue nel referendum del giugno scorso. Good-bye Great Britain. Hello Little England.
(da La Repubblica”)
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Marzo 13th, 2017 Riccardo Fucile
A ZINGONIA IL 75% DEI BAMBINI DELLA MATERNA NON E’ ITALIANO: “BASTA SLOGAN E PROCLAMI, BISOGNA SAPER DARE DELLE RISPOSTE”
Sarà un luogo dove imparare a suonare uno strumento, a cantare e dipingere, ma anche modellare un
vaso o realizzare un graffito con le bombolette spray.
Soprattutto, sarà il luogo per promuovere l’integrazione delle nuove generazioni di Zingonia.
È il progetto della nuova scuola delle arti, un edificio che sorgerà entro qualche mese a fianco delle scuole medie.
Per il sindaco di Verdellino Silvano Zanoli è una scommessa sul futuro: «Si chiamerà International school of arts – spiega, chiarendo il motivo del nome –. International non è la scuola, ma sono i ragazzi che la frequentano. Qui in paese abbiamo oltre 60 nazionalità . Una realtà ormai consolidata con cui bisogna convivere e costruire». Zanoli è il primo cittadino leghista del paese e da giugno guida il municipio.
«Quando ci si trova ad amministrare un paese come questo – dice – devi mettere in pratica tutto quello che è possibile, ogni giorno al limite delle normative e delle leggi. Qui non puoi fare l’ideologo, o quello che lancia proclami e slogan, bisogna per forza guardare al concreto per dare risposte e tendere la mano a chi cerca di integrarsi».
La nuova scuola servirà innanzitutto a questo: dare un risposta alle nuove generazioni di Verdellino e Zingonia.
Le scuole del paese, infatti, vedono crescere di anno in anno gli studenti. Qui la crisi demografica non si sente e sono gli stranieri a riempire le culle.
Alla materna oltre il 75% dei bambini non è italiano, percentuale che scende a poco meno del 60% alle elementari e si assesta tra il 30 e il 40% alle medie.
Proprio alla secondaria di primo grado da quest’anno è partita la quarta sezione e ormai nell’edificio storico si sta stretti.
«La nuova scuola delle arti – chiarisce il sindaco – fornirà i laboratori agli studenti e nel pomeriggio si aprirà a tutti i ragazzi in primis con il supporto di Musincanto, la scuola di musica nata 3 anni fa proprio con l’intenzione di offrire un luogo d’aggregazione».
Musincanto è supportata, tra gli altri, dalla Fondazione Robur e da altre ditte che offrono borse di studio ai ragazzi di Zingonia.
La nuova scuola sarà costruita in legno nel giardino delle medie, il costo preventivato è di 350 mila euro e a fianco del Comune ci saranno contributi da privati.
«Alla scuola intendiamo portare anche forme d’espressione più vicine agli adolescenti come la street art dei writer – continua Zanoli – . Terremo i primi laboratori tra qualche giorno. Poi vorremmo lavorare sullo sport e sull’atletica, in particolare. Tanti ragazzi hanno grandi capacità , è giusto offrire loro tutte le possibilità per potersi realizzare».
Pietro Tosca
(da “Il Corriere della Sera”)
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