Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
ELIA MIANI E’ IL NUMERO DUE DELLA LEGA IN FRIULI: A CIVIDALE FA VEDERE CHE NON LI VUOLE, MA A UDINE VA A INSEGNARE IL MESTIERE AI PAKISTANI A SPESE DELLA REGIONE… “HO CAMBIATO IDEA, CHI DICE CHE SONO DELINQUENTI DICE UNA CAZZATA”
Il leghista della prima ora entra nel centro profughi col martello. Nessuna violenza: era un corso di formazione (pagato dalla Regione) che gli porterà in tasca 4mila euro oltre Iva. Protagonista l’assessore con delega alla sicurezza di Cividale Elia Miani, ex numero due del Carroccio in Friuli Venezia Giulia che non ha mai nascosto il suo orientamento in fatto di immigrati, tanto da firmare una petizione per impedirne l’accoglienza in un’ex caserma del suo Comune.
Miani però ha anche un altro lavoro. E’ titolare di una piccola impresa edile e nei panni del mastro carpentiere, pochi mesi dopo quella firma, tiene un corso per l’avviamento al lavoro dei profughi alla caserma Caverzarani di Udine.
Un corso organizzato da Confartigianato di Udine, pagato con un fondo regionale da 70mila euro.
La notizia fa capolino dal sito locale ilperbenista.it, qualcuno commenta sarcastico che “i soldi non hanno colore”, “altro che aiutarli a casa loro”, “lo sceriffo leghista con il portafoglio a sinistra”.
Sull’origine della storia le versioni divergono. “E’ stata la Confartigianato a chiedermelo”, giura Miani che si profonde in dettagli come fossero attenuati: “Eravamo a una cerimonia per la ricorrenza di Santa Barbara protettrice degli scarpellini, c’erano il prefetto, il presidente degli artigiani e il nostro provinciale. Io per il comune. Spiegano l’iniziativa e questa opportunità di insegnamento e mi chiedono di dare una mano. Io ho detto di sì, era una cosa che dal punto di vista politico magari non condividevo ma perchè no. Avendo tutti i miei dati loro mi hanno inserito e dopo due mesi, senza che neppure ci pensassi più, ero dentro”.
Insomma, candidato a sua insaputa. O poco più.
Versione assai diversa per Confartigianato: “Quando la Regione ha approvato il nostro progetto di formazione è stato fatto un avviso di selezione pubblica online. Miani — piega il segretario Luca Gortani — ha risposto a dicembre candidandosi per il ruolo di mastro artigiano perchè titolare di una piccola impresa. Il fatto che abbia anche un impegno politico non era causa di esclusione nè di preferenza. Ha appena cominciato”.
Già , e chi lo dice ora a Salvini?
Miani si trova così a dover giustificare in qualche modo la scelta di scarpellare al fianco dei pakistani, a pagamento.
“Che c’è di male? Come faccio a parlare di immigrazione se non tocco con mano il problema!”, dice.
“Ho anche sentito il segretario Fedriga, mi appoggia. Che qualcuno del mio partito, anche dei vertici, s’azzardi a farmi le pulci per questa cosa, sono con la Lega dal 1992 e ho dato più di quel che ho preso. Poi a Cividale coi miei 330 voti non mi spaventa nessuno”. Tenta anche di accreditare che la mission della Confartigianato fosse quella di “controllare” quanto avviene in Caserma, ma viene ancora smentito.
Comunque sia anche l’epilogo è singolare, degno di Walt Disney.
Miani all’età di 61 anni quasi si converte abiurando la fede dei fustigatori di razze non padane: “Chi dice che sono tutti delinquenti per partito preso dice una cazzata”.
Quella firma contro i profughi in caserma? “Questa settimana ha cambiato la mia visione delle cose, mi ha fatto crescere anche umanamente. Questi qui fuggono da situazioni terribili, se sanno qualcosa di agricoltura è già tanto, se gli diamo un mestiere magari possono tornare a casa loro o andare altrove ma hanno un’alternativa. Forse non lo avrei detto prima, ma è una cosa giusta”. I quattromila euro? Finora non ho preso nulla e alla fine potrebbero esserci sorprese, io non ne ho bisogno altri sì”.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
PARTITO QUANDO AVEVA 13 ANNI, DA SOLO E A PIEDI, SENZA DOCUMENTI NE’ SOLDI… 4.000 KM ATTRAVERSO MALI E ALGERIA FINO ALLA LIBIA… POI IL BASKET, GLI OCCHIALI E LA SCUOLA
Giorgio Maggi ha 63 anni, quaranta dei quali spesi sul parquet a insegnare pallacanestro. Ma un ragazzino come Omar, assicura, non l’ha mai visto: «Ogni volta che si presenta in palestra per l’allenamento saluta uno a uno tutti i compagni, l’allenatore, che sarei io, più tutti i componenti dello staff. Con la mano, proprio. Ci fosse anche il pubblico, saluterebbe pure quello. Ecco, in tutta la mia carriera non avevo mai visto uno così felice di allenarsi. Contento e riconoscente. Ma con la storia che ha alle spalle, forse non è poi così strano».
Omar ha 17 anni e gioca con l’Asd Arzaga Under 18: tre giorni alla settimana, più la partita nel weekend, che è come una festa.
Si presenta alla palestra al quartiere Primaticcio con l’immancabile sorriso e i suoi due metri di altezza sorretti da quelle due gambine secche secche da mezzofondista che l’hanno portato fin qui a Milano dal Gambia dopo un’odissea lunga due anni.
Ne aveva 13 quando, abbandonato a se stesso da una famiglia assente, ha raccolto la propria vita in uno zainetto – un ricambio di vestiti, molti sogni di normalità e poco altro – e ha percorso quattro mila chilometri a piedi attraverso Mali e Algeria, fino alla Libia.
Un viaggio di mesi che lui, nel suo italiano incerto ma chiaro, si limita a ricordare come «lungo», senza altre spiegazioni, perchè in fondo oggi è solo un ricordo, una cosa passata.
Ha dormito dove capitava, fatto piccoli lavori per mettere insieme il pranzo con la cena e soprattutto per pagarsi un viaggio attraverso il mar Mediterraneo.
Il resto è, purtroppo, la solita storia di disperati, il barcone malandato, i banditi, i sogni che spesso s’infrangono contro una realtà diversa.
Per sua fortuna, a lui è andata bene. Anche grazie allo sport, grazie al basket.
Era l’estate scorsa quando, sbarcato in Sicilia, Omar decide di risalire l’Italia a piedi e raggiungere Milano dove a luglio il Comune lo accoglie e lo affida a un centro Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
Non ha documenti, gli danno un alloggio dalle parti di Baggio, lo mandano a scuola e a fare sport. Basket.
Prima non ci aveva mai giocato sul serio, solo qualche canestro al campetto. Poi arriva il provino con l’Arzaga. Ed è qui che la storia s’arricchisce di un altro capitolo da romanzo dell’Ottocento, alla Dickens.
Solo che è tutto vero, come il resto. Durante la visita per l’idoneità scoprono che Omar è miope. Non lo sapeva neanche lui.
Per 17 anni ha visto poco o niente, ombre. Gli danno degli occhiali, non ne aveva mai indossati. La prima volta che glieli hanno messi sul naso ha detto solo una parola, «awesome». Eccezionale.
«Quell’emozione, come quando gli abbiamo dato le prime scarpe pagate con una colletta fra compagni, ce la porteremo dentro per sempre – racconta Maggi –. Ci è voluto un po’ per farlo tesserare ma ce l’abbiamo fatta».
«Awesome» continua a ripetere Omar.
Ma eccezionali, giura il suo coach, sono i passi da gigante che sta facendo: sul parquet dove migliora ogni giorno e a scuola dove è stato subito promosso in terza media. A giugno l’esame, passaggio fondamentale per il futuro, un canestro da non sbagliare.
Già , perchè l’odissea di Omar non è ancora finita del tutto.
Il peggio è passato, sì, non ci sono più deserti nè criminali, ma a dicembre farà 18 anni e la legge dice che per restare in Italia gli servirà un permesso di soggiorno.
Ha uno schema di gioco preciso: la licenza, poi una scuola professionale, quindi un lavoro. Che forse non sarà il basket.
Ma in fondo che importa?
Carlos Passerini
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
LE LEGGI ESISTONO GIA’, DARE DISCREZIONALITA’ AL POTERE SIGNIFICA GENERARE INGIUSTIZIE… MINNITI VUOLE RACCOGLIERE CONSENSO CAVALCANDO LA PAURA SULLA PELLE DEI POVERI CHE VANNO “NASCOSTI” DALLO SGUARDO DEI BUONI BORGHESI
Il decreto Minniti sulla sicurezza urbana, considerato da questo governo cosa di “straordinaria necessità e urgenza”, ha toni razzisti e classisti.
Per descriverlo in breve: i sindaci, per ripulire i centri storici delle città , avranno il potere di allontanare chiunque venga considerato “indecoroso”, non occorrerà che sia indagato o che abbia commesso un reato.
Il sindaco potrà così chiedere che venga applicato a queste persone un “mini Daspo urbano”. Daspo, perchè in Italia tutto è calcio e tifo, anche la politica. Si usa l’espressione Daspo perchè il tifoso può essere allontanato dallo stadio o costretto alla firma in questura il giorno della partita, in base anche a una segnalazione, non necessariamente è una condanna.
Stiamo assistendo alla criminalizzazione dell’uomo anche quando per fame rovista in un cassonetto della spazzatura per prendere ciò che altri hanno buttato via.
Potrà essere allontanato in linea di principio chi non veste, a insindacabile giudizio del sindaco e dei vigili urbani, “decorosamente”?
Le creste punk sono decorose o indecorose?
La moralità di un comportamento da cosa sarà valutato?
Se urlo ubriaco per strada commetto reato, quindi abbiamo strumenti di intervento. Se spaccio verrò arrestato. Se mi denudo ci sono già strumenti per intervenire. Se vendo merce contraffatta, commetto reato. Se occupo suolo pubblico, sarò multato.
E allora?
Questo decreto che parla esplicitamente di sindaci che possono allontanare in nome del decoro, quiete pubblica e moralità a cosa si riferisce?
Mi rispondo da solo, come mi risponderebbero i sostenitori di questa aberrazione: ma non essere demagogo, sarà il buon senso a determinare il grado di “indecorosità ” a cui il sindaco farà fronte.
Davvero? Se divenisse sindaco Salvini, ci troveremmo a veder allontanata ogni sorta di umanità che al nostro serve per sfogare il bugiardo “prima gli italiani” o qualsiasi altra propaganda razzista.
Dare discrezionalità al potere significa generare ingiustizie.
Arrivare a questa scorciatoia perchè la legge è troppo lenta significa dire meglio un’ingiustizia veloce che una giustizia lenta.
La ragione dovrebbe invece continuare a pretendere una giustizia veloce.
Maroni da ministro degli Interni aveva spinto per far nascere sindaci-sceriffi, ora Minniti arma questa possibiltà con questo decreto. Dietro le parole – che pronunciate nel contesto del decreto risuonano vetustissime e da catechesi – di decoro e moralità si nasconde ben altro.
Spogliamole della veste tecnica e sapete cosa rimane?
Rimane un sottotesto che risuonerebbe così: è dato al sindaco la possibilità di allontanare immigrati e disperati nell’immediato cosi che possano massimizzare il consenso dall’operazione.
Domandiamoci ora quale sarà il risultato di questo decreto vergognoso: centri storici magari ripuliti velocemente dai clochard e dagli immigrati e periferie ghetto.
Il provvedimento prevede che il questore, su segnalazione anche del sindaco, potrà allontanare dal centro gli indesiderati per un massimo di sei mesi.
È un regalo che viene fatto ai primi cittadini per raccogliere consenso sull’odio e la paura. Sindaci che non hanno più strumenti economici e sociali per portare avanti progetti, che non hanno altri strumenti.
Allontanare non significa risolvere ma nascondere.
Contrastare questo decreto non significa vedere il centro storico colmo di accattoni, accettare il barbonismo, invitare a riunioni di lavoratori ubriachi della domenica che occupano gli spazi della bellezza, significa obbligare ad affrontare le ragioni del disagio non a perseguitare il disagio.
Significa non ammettere scuse e scorciatoie.
Abbiamo già gli strumenti per contrastare i reati, questo decreto a cosa serve?
Questo decreto è solo una grande scusa per ramazzare di volta in volta chi si vuole, autorizzare ad un ingiustizia enorme i sindaci e trascurare l’origine dei problemi.
Il sindaco Nardella di Firenze dichiara alla radio che il decreto Minniti va bene. È consapevole il sindaco Nardella che la strategia dei parcheggiatori abusivi è tutta completamente gestita dai clan?
Se per gioco si camuffasse e cercasse di fare il parcheggiatore non troverebbe come nemico il nuovo sindaco sceriffo ma le famiglie che controllano quegli spazi.
I venditori abusivi hanno aggredito nell’indignazione della rete l’inviato di Striscia la notizia Luca Abete: la loro merce è tutta gestita dai clan, i loro stipendi miserabili vengono dai clan, della loro merce devono rispondere ai clan.
E come si risponde? Allontaniamo quelli non graditi ai sindaci. Velocemente, per massimizzare il loro consenso.
Lavoro, integrazione, sviluppo sono energie in un paese al collasso e allora si occhieggia alla disperazione del più cupo razzismo.
Il Movimento 5 stelle cosa fa? Si è astenuto. Astenuto perchè il decreto sarebbe “una scatola vuota senza fondi nè risorse, e molto probabilmente rimarrà lettera morta”.
E se non rimanesse lettera morta?
Non sarebbe stato più dignitoso un minoritario (230 favorevoli e 56 contrari) ma umano No?
L’astensione e il silenzio hanno tutto il sapore della complicità . Con questo decreto il Pd si mette fuori la storia che lo voleva figlio del riformismo italiano.
Cosa aveva reso la sinistra italiana di Kuliscioff e Turati, di Rosselli e Calamandrei un punto di riferimento internazionale? La capacità di coniugare riforma sociale con libertà , senso del reale con l’aspirazione di cambiamento.
Non il povero ma la povertà era il problema, non il criminale ma il crimine, non il ricco ma privilegio erano il problema. Non di disagio allontanato ma di disagio affrontato.
Non città fatte di centro pulito e mondezza spazzata in periferia.
Ma il contrario, il centro cuore di una città la cui periferia diventa sua espansione, avanguardia.
Idee che non ci sono più e senza idee non c’è più vita ma solo un investimento sul capitale in queste ore più facile da raccogliere: la paura.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
I NEOFITI FANATIZZATI SONO ADEPTI ASSATANATI DI UN CREDO INIZIATICO… E A GENOVA IL CERVELLO ALL’AMMASSO DIVENTA DELIRIO COLLETTIVO
Era stato proprio Paolo Putti a raccontarmi che i quadri Cinquestelle provenienti da antiche militanze nel sociale definivano “thugs” — teppisti — i neofiti fanatizzati del Movimento.
Come gli antichi strangolatori indù, seguaci non di un disegno politico quanto adepti assatanati di un credo iniziatico, in cui l’adesione comporta l’immediata sottomissione adorante alla suprema volontà del leader divinizzato.
Del resto taluni di loro avevano attraversato, quale passaggio intermedio alla conversione, una precedente passione dipietrista; in modalità credenti tanto acritiche quanto ringhiose, che già evidenziavano il manifestarsi di un culto fideistico del Capo.
Cervello all’ammasso, che ora diventa delirio collettivo e persegue la purificazione del mondo perseguitando i non sufficientemente determinati nella lotta ai miscredenti, virata in guerra di religione.
Una spirale di impazzimento da mettere paura, che ora trova la sua ennesima manifestazione a Genova con la defenestrazione di Marika Cassimatis.
Cinquestelle della prim’ora, scelta dal voto online quale candidata sindaco alle imminenti amministrative locali.
Dopo l’ostracismo dei guardiani della fede, che l’accusavano di tiepidezza nei confronti degli eretici alla Pizzarotti e varia apostasia, nelle vesti di Kalì è sceso dalle alture di Sant’Ilario Beppe Grillo in persona; per celebrare il sacrificio della reproba sotto forma di ritiro del sacro simbolo di appartenenza.
Confesso di essere senza fiato, un po’ perchè tempo fa avevo bisticciato con la Cassimatis in un’occasione pubblica proprio per il suo (ai miei occhi) eccessivo allineamento al Verbo pentastellare.
Anche se, successivamente, avevo accettato — come dice lei — di “fumare il calumet della pace; per via di comuni amicizie ambientaliste.
Fermo restando che continuava ad apparire ai miei occhi critici un po’ troppo ortodossa. Però salvata da una certa attenzione rispettosa nei confronti delle posizioni altrui: quell’atteggiamento che fungeva da antidoto al settarismo e al culto di Kalì che ora l’ha condotta al rogo mediatico.
Soprattutto mi stupisce l’evidente autolesionismo, apparentemente inspiegabile, delle scelte di chi “puote ciò che si vuole”: la Cassimatis, proprio per la sua personale storia politica, era la migliore scelta per riassorbire in sede elettorale le recenti fuoriuscite dal Movimento che hanno dato vita a “Effetto Genova” ed “Effetto Liguria”.
Mentre il rito sacrificale messo in atto produce l’effetto immediato di mettere fuori gioco il M5S nella consultazione del prossimo giugno.
Con Palermo, la più significativa dell’anno.
Seppure — a dire il vero — l’autogol trova la propria specularità in una ricca serie di corse al massacro sulla pelle della cittadinanza genovese: il Pd che si aggira alla ricerca di un candidato introvabile; Silvio Berlusconi che gioca una partita personale per screditare l’ex delfino Toti, nelle sue ambizioni di federatore a destra in prospettive anche nazionali, contrapponendo ai candidati del governatore un improbabile aspirante sindaco paracadutato da Milano.
Ma per Grillo-Kalì le motivazioni sono ancora più profonde.
Tutto ruota attorno all’appuntamento del 2018, quando si ritiene certa la conquista del governo nazionale e l’elezione a premier di Luigi Di Maio. E nulla deve disturbare il disegno.
Per cui si subisce ogni pasticcio romano di Virginia Raggi e si depura il movimento di ogni possibile bastian contrario. Come la Cassimatis.
Niccolò Machiavelli diceva che “il fine giustifica i mezzi”. Albert Camus replicava: “Chi giustificherà i fini?”.
Pierfranco Pellizzetti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
SIAMO ARRIVATI AL PUNTO CHE IL CANDIDATO SINDACO DI GENOVA E’ STATO SCELTO DAI MILITANTI DI ALTRE CITTA’: E UN INSULTO A GENOVA
Ma il successo alle elezioni politiche del febbraio 2013 ha segnato il trionfo del Movimento Cinque Stelle o l’inizio della sua fine?
È una domanda che dobbiamo porci tutti, soprattutto i tanti sostenitori entusiasti degli M5S. Senza pregiudizi. Senza partigianerie.
Il Movimento ha grandi meriti. È riuscito a dare voce alla rabbia, senza sconfinare nella violenza, nel razzismo come è successo in Francia, Grecia, Olanda e Germania
Una sfida che poteva essere utilissima anche ai grandi partiti, come il Pd. Che, invece, l’hanno ignorata.
Ma in quel giorno di febbraio è cominciata la vera sfida del Movimento: entrare in contatto con il potere, senza venirne corrotti. Senza cambiare faccia. Selezionare una classe dirigente nuova, dando finalmente spazio al merito e non alla sudditanza. Perchè sono capaci tutti, o quasi, a restare puri quando sei forza di opposizione e non devi vedertela con le poltrone, le ambizioni.
Venerdì a Genova è andata in scena una delle pagine più oscure della breve storia del M5S.
Questione di merito e di metodo, che in questo caso diventa anche sostanza. Il risultato delle selezioni online e la volontà dei militanti sono stati cancellati con un blitz che ha offerto la vittoria al candidato preferito dai vertici locali e nazionali del Movimento.
Siamo arrivati al punto che il candidato sindaco di Genova è stato eletto dai militanti di tutta Italia.
Così il dissenso locale è stato cancellato e il primo cittadino genovese è stato scelto da altri.
Un insulto alla città , non solo agli amici dei Cinque Stelle.
Affari interni, potrebbe essere liquidata così la questione. E invece no, perchè qui entra in gioco il destino di tutti. In questo caso di Genova e dei suoi cittadini.
Da mesi a Genova andava in scena uno spettacolo penoso: il Movimento si dilaniava tra correnti e ambizioni personali, dimenticando il destino di una città .
Fino a dover ascoltare il candidato vincitore che in un discorso faceva un elogio dell’appartenenza rispetto alla competenza.
Nemmeno Dc e Psi degli anni d’oro arrivavano a tanto. Proprio ciò che il M5S ha sempre detto di voler combattere.
Ecco il punto: barattare l’interesse di una città e della sua gente per quello di un partito. Se fosse così, sarebbe il tradimento più grave che una forza politica possa compiere.
Il Movimento Cinque Stelle si è posto obiettivi ambiziosi nel programma. Ma ce n’è uno perfino più grande: rappresentare la speranza.
Tradire una speranza, soprattutto se tanti cittadini la considerano l’ultima, è una colpa imperdonabile.
Ferruccio Sansa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
POCHI FILTRI, NESSUNA VERIFICA, MIGLIAIA DI INATTIVI, NON CI SONO TESSERE E QUOTE DI ISCRIZIONE
Pochi filtri e nessun rinnovo periodico.
Da quando è nato il Movimento 5 stelle, nel 2009, non è mai stata fatta una verifica complessiva degli iscritti.
Per questo nella base esiste una quota di inattivi, ossia persone che hanno tutti requisiti per partecipare a decisioni interne, anche le più importanti come la selezione dei propri candidati, ma che di fatto sono lontane dalla vita politica dei 5 stelle.
Alcuni hanno aderito anni fa, ma poi hanno abbandonato. Basti pensare che alla votazione per aggiornare il Non statuto, una di quelle con l’affluenza più alta, si sono espressi 87mila militanti, su un totale di oltre 135mila.
Si stima che gli iscritti “dormienti” siano migliaia.
Per questo a Milano si lavora per individuare il modo più adatto per conciliare l’idea di movimento aperto con una selezione interna della propria base. Una via per valutare l’effettiva attività di un iscritto, “pulire” le liste da quelli invisibili, e mettere un freno a dissidenti e critici.
Se per gli altri partiti le sottoscrizioni sono annuali e la tessera va rinnovata ogni 12 mesi, nel Movimento 5 stelle la procedura è diversa.
Non ci sono tessere, nè quote di iscrizione. Così come non è mai stato stato chiesto un rinnovo delle adesioni. Per diventare un iscritto certificato la strada da seguire è sempre la stessa da anni. Ed è molto lineare.
Basta compilare un modulo sul sito, con i propri dati anagrafici, inviare la copia del proprio documento di identità e dichiarare di “non essere iscritto a partiti politici” o associazioni in contrasto con i principi del Non Statuto.
“Alle votazioni in rete — si legge nel regolamento — sono ammessi gli iscritti dalla data indicata nel sito del Movimento 5 Stelle, aggiornata almeno una volta l’anno”.
Per quanto riguarda gli argomenti di interesse regionale o locale sono ammessi al voto i “residenti nell’ambito territoriale interessato”.
Per gli iscritti sono previste sanzioni disciplinari: il richiamo, la sospensione o l’espulsione.
Esiste poi un collegio di probiviri “composto di tre membri, nominati dall’assemblea mediante votazione in rete su proposta del capo politico” e scelti “tra i componenti dei gruppi parlamentari del Movimento”.
Ma se un militante non viene segnalato difficilmente la sua posizione sarà valutata dallo staff. E può quindi contribuire a definire l’indirizzo politico del Movimento e partecipare alle votazioni in rete.
È questo uno dei nodi che preoccupa di più diversi esponenti del Movimento, convinti che il meccanismo vada perfezionato.
E che non sia più adatto a una realtà che negli ultimi anni ha visto una rapidissima crescita di consensi.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
“NE RESTERA’ UNO SOLO”: AVEVA RAGIONE GRILLO, A GENOVA RIMARRA’ SOLO LUI E LA SUA PICCOLA CORTE DEI MIRACOLATI
Marika Cassimatis, la grillina che aveva vinto le Comunarie a Genova per poi essere definita incandidabile da Beppe Grillo perchè con alcune posizioni avrebbero danneggiato il M5s, attacca.
E attraverso Facebook lancia l’hashtag #effettodomino #m5s #genova2017 che affianca i commenti di chi si è schierato dalla sua parte.
Il caso Cassimatis provoca addii tra i grillini. Cassimatis rivela che «il Municipio della Valpolcevera ha perso 3 consiglieri su 4».
E pubblica il comunicato del Meetup Valle Stura a 5 Stelle che annuncia «un arrabbiatissimo addio» al Movimento.
“Per ora non penso ad adire le vie legali. Sto aspettando che lo Staff, al quale ho chiesto di vedere i documenti inviati contro di me, mi risponda» prosegue Cassimatis. «Siamo stati accusati in modo generico e pesante – ha detto Cassimatis -, io e le 28 persone della lista. Voglio sapere cosa c’è scritto in quei documenti. Li ho chiesti, aspetto risposte. Per ora non ho ricevuto nulla: nè documenti, nè una telefonata da Grillo».
La Cassimatis cerca di stanare Grillo affinchè metta nero su bianco le accuse per poi scatenare la contraerea.
(da “Il Secolo XIX“)
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Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
LA RABBIA DEI DISSIDENTI: NEL MIRINO ALICE SALVATORE, LUOGOTENENTE DI LUIGI DI MAIO A GENOVA
Era di appena tre giorni fa il clima di gioia tra i parlamentari che tiravano sospiri di sollievo perchè il ribaltone imprevisto a Genova, dove aveva vinto l’eretica Marika Cassimatis contro il candidato dei vertici, sembrava premiare la libertà del voto e la democrazia.
«Hai visto che alla fine funziona il nostro metodo? – gongolava Nicola Morra in Senato – Questo voto dimostra che non è vero che ci impongono le scelte dall’alto o per pressione di chi vorrebbe comandare sui territori come a Genova Alice Salvatore».
Passano 48 ore e lo stesso senatore, sbigottito, reagisce così: «Non rilascio alcuna dichiarazione».
Per capire lo scompiglio creato tra i parlamentari del M5S, compreso un insospettabile come Alessandro Di Battista, bisogna prendersi una licenza sulla frase con cui Beppe Grillo liquida la candidata vincente: «In qualità di garante del M5S, ho deciso, nel pieno rispetto del nostro metodo» (qui finisce la sua frase) «di fare come pare a me» (questo è quello che è accaduto).
Dopotutto lo ha teorizzato lo stesso Grillo assieme agli strateghi comunicatori della Casaleggio dopo le prime espulsioni: «Basta strapparsi il cerotto, lì per lì fa male, poi non senti nulla». E una conferma alle sue teorie il comico l’ha sempre trovata nei sondaggi: si fa un po’ di chiasso sui media dopo queste rotture così drastiche, ma poi tutto torna alla tranquillità e il M5S non cala.
Inutile chiedere commenti a Roberto Fico, a Roberta Lombardi, o a chi, come loro e come Morra, sperava che la lezione di Genova potesse essere un segnale per la ritrovata democrazia dal basso. Il silenzio imposto viene rispettato.
Solo qualche deputato accetta di rispondere sotto anonimato e spiega: «Questo è un altro chiodo sulla bara in cui stanno seppellendo il M5S».
Di certo si mette fine alla finzione della democrazia diretta in cui gli attivisti decidono liberamente sul blog. E se è comprensibile l’imbarazzo di chi si vede scippata anche l’ultima briciola di un’utopia, meno lo è l’insistente mutismo con cui ormai viene digerita qualsiasi decisione di Grillo se non è inquadrato in quel clima che i partiti avversari definiscono da «soviet stalinista».
Ma c’è dell’altro e lo spiega una fonte dell’ufficio di comunicazione: «Tra qualche mese si vota. Nessuno più farà apertamente delle critiche. Hanno troppa paura di non essere ricandidati».
L’ala movimentista del M5S è in un angolo. I dissidenti o scelgono di andar via, come sta avvenendo nei territori, o si piegano incondizionatamente a Grillo per un altro giro in Parlamento.
Anche se non convincono le spiegazioni arrivate a Roma. C’era una dissidenza organizzata che ha condizionato il primo voto di Genova?
È stato segnalato a Grillo, come dice lui nel post, «con tanto di documentazione, che molti dei 28 componenti della lista hanno tenuto comportamenti contrari ai principi del M5S»? Se così fosse, chi lo ha segnalato a Grillo – si chiedono i deputati – se le liste dei candidati non erano pubbliche e le conoscevano in pochi?
Un nome su tutti finisce sotto accusa: Alice Salvatore.
Consigliera regionale, ambizione sfrenata, ex candidata in Liguria, avversaria di Cassimatis, Salvatore è una fedelissima di Luigi Di Maio, con cui ha avuto un incontro a Imola due sabati fa assieme a uomini della Casaleggio.
Gli attivisti liguri e alcuni deputati non faticano a definirla «non solo divisiva ma distruttiva».
Come mai, si chiedono i parlamentari, a differenza della Lombardi che contro Virginia Raggi a Roma è stata brutalmente stoppata da Grillo che le ha detto di occuparsi solo di Parlamento, Salvatore può ficcare il naso nelle elezioni di Genova ?
(da “La Stampa”)
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Marzo 18th, 2017 Riccardo Fucile
“MI REPUTO UNA MILITANTE ORTODOSSA, CREDO NEL M5S”
«Poteva succedere a tutti, tranne che a uno». L’amarezza è nei dettagli.
La professoressa Marika Cassimatis è nella sua casa di Albaro, il quartiere borghese della città . Un tavolo, due tazzine di caffè.
Tanta voglia di chiamare le cose con il loro nome, frenata solo dalla timidezza congenita che coglie le persone travolte da fama e vicende di più grandi di loro.
Il metodo Genova era stato creato per far vincere Luca Pirondini, prescelto da Beppe Grillo e dalla sua proconsole Alice Salvatore.
Il superamento delle graticole, ovvero l’esame preventivo da parte dei militanti, e l’abbinamento con 28 aspiranti consiglieri comunali, erano prerequisiti che dovevano portare al candidato unico. Lo sapevano tutti.
L’unica a far finta di niente è stata lei, insegnante di geografia all’Istituto tecnico commerciale Rosselli, neofita della politica, fulminata sulla via di Beppe Grillo nell’ormai lontano 2012. «Che delusione. Credevo nella democrazia, e per questo mi ero messa in gioco. Evidentemente mi sbagliavo».
Che cos’ha fatto di male, professoressa?
«Me lo chiedo anch’io. Mi reputo una militante ortodossa, credo profondamente nei valori del Movimento. Pensavo di avere la carte in regola ma così non è. Ultimamente mi devo essere persa qualche passaggio».
Suvvia, non è bello cospirare con il nemico interno...
«Per carità . Mi accusano di avere avuto rapporti con Paolo Putti, il nostro ex candidato sindaco che di recente ha lasciato il Movimento».
Confessa?
«Beh, certo. È stato il portavoce di M5S Genova fino al febbraio 2017. Era difficile non averci a che fare. Per me e per chiunque altro».
Ma lei è una sua quinta colonna?
«Quando se ne è andato, non ha ceduto il posto di consigliere comunale a chi veniva dopo di lui. Una cosa che andava contro i miei principi. Ho contestato apertamente la sua scelta, anche su Facebook».
E di Pizzarotti che mi dice?
«Mi dichiaro colpevole. L’ho incontrato, è vero. Nel 2014, a una convention organizzata dal comune di Parma su ambiente e innovazione. In rete c’è anche il video. Mi sembra che all’epoca fosse ancora dei nostri, quindi era tutto legale. Finito con l’interrogatorio?».
Allora perchè l’hanno fatta fuori?
«Proviamo a capirlo insieme. Se c’era un ostacolo o un pregiudizio c’era tempo per valutarli insieme. Sono o no la stessa persona che venne candidata alle Europee del 2014 e alle Regionali del 2015?».
Le credo, sulla fiducia.
«Grazie. Se io sono quella di sempre, significa allora che sono cambiati i termini della competizione. Qualcuno ha introdotto il numero chiuso senza dirlo a nessuno. Infatti sono intervenuti solo a votazione conclusa».
Veniamo al dunque?
«Mi sembra una opzione valutabile quella che io abbia partecipato a una gara che prevedeva un solo vincitore, scelto in precedenza dai vertici nazionali e regionali di M5S».
Un noto musicista cittadino?
«Sulla notorietà ho qualche dubbio. Ma insomma, sì, Luca Pirondini. Per quello dico che la mia sorte poteva toccare a tutti, tranne che a lui».
Ha chiesto lumi ad Alice Salvatore, la plenipotenziaria ligure di M5S?
«Lei è la sponsor principale, e unica, del mio sostituto. Anzi, meglio che gli faccia lei la domanda. Con noi semplici militanti non parla».
Ma che bell’ambientino.
«La simpatia reciproca può anche non esserci. Quel che dovrebbe contare è il programma. Perchè M5S non è proprietà privata. Così mi è stato insegnato».
Si sente tradita?
«Con questa decisione hanno tradito M5S e i suoi principi, a cominciare da quello fondamentale della trasparenza. Per la prima volta hanno interrotto dall’alto un processo democratico. Non era mai successo prima. Uno spartiacque».
Colpa di chi?
«Qualcuno ha sbagliato. Non so se Beppe Grillo si è fatto mal consigliare. Comunque, questo errore rimarrà . E avrà un effetto boomerang».
Finisce qui?
«Con i 5 Stelle è finita, certo. Sono stata diffamata senza alcun riscontro. Ci vediamo in tribunale. Il mio attivismo continua. Vado avanti. Cercherò di dare voce a chi la sta perdendo, magari cominciando da queste amministrative».
M5S 2, la vendetta?
«Non dica così, che mi viene da piangere».
(da “il Corriere della Sera”)
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