Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
SERVONO SOLO A QUATTRO PERDENTI PER DIVIDERSI DUE POLTRONE IN SIMILPELLE…. CON IL PROPORZIONALE NON SERVE UNA COALIZIONE E NESSUNO ARRIVA AL 40%: LE PRIMARIE IN ITALIA SONO SOLO UNA GRAN PRESA PER I FONDELLI DELL’ELETTORE
Il tema delle “primarie” nel centrodestra è uno dei pochi argomenti “concreti” che vengono, più che dibattuti, sbandierati dai partiti della “coalizione possibile”.
In realtà delle primarie in sè non frega nulla a nessuno di coloro che le invocano, se non per una “prova di forza interna” da tradurre in percentuali di potere da dividersi in caso di vittoria.
E qui arriviamo al primo punto: indicare un premier di coalizione, con il ritorno al proporzionale e l’eliminazione del ballottaggio, NON SERVE A NULLA, per un semplice motivo, nessuno arriverà al 40%, quindi nessuna coalizione potrà accedere al premio di maggioranza e governare da sola.
A che serve indicare un candidato premier del NULLA?
E’ più semplice lasciare decidere l’elettore : chi prenderà più voti avrà un maggior peso nel dibattito interno, così funziona in democrazia.
Qualcuno a questo punto obietterà : ma le primarie permettono all’elettorato di centrodestra di “partecipare” alla scelta del leader e della linea politica.
I precedenti dimostrano che sono balle.
Quanti elettori di centrodestra hanno contribuito a far vincere le primarie a Renzi?
Le primarie hanno senso in Paesi ad alto tasso di democrazia partecipata e a prova di inquinamento di lobby e cosche, non in Italia.
Questo è il Paese dove un candidato alle prossime primarie Pd, nonchè magistrato, si appella agli elettori grillini e di destra per andare a votare alle primarie dem per “mandare a casa Renzi”.
In pratica spera di vincere con l’aiuto degli avversari.
Con le primarie, ai tempi del Msi, avrebbero fatto segretario Paietta: bastava che il Pci mandasse a votare i suoi attivisti ai banchetti missini e addio Almirante, Michelini e Rauti.
Poi ci sono i due penosi precedenti di Roma: alle comunali i gazebo della Lega prima e quelli di Forza Italia poi, con esiti già segnati dai vertici e schede mai controllate da autorità terza.
Vi immaginate che tarocchi ci sarebbero in zone “egemonizzate” da questo o quel partito?
Non a caso chi le vuole? Chi ha mano libera al Nord (Salvini), al Centro (Meloni) e al Sud (Fitto).
Se volete inserisco già le percentuali dei risultati in una busta e la apriamo il giorno dei risultati: sono certo che ci azzecchereste anche voi.
E perchè mai dovremmo sottoporci a questa farsa?
E chi vi dice che chi non ha votato per il vincitore delle primarie lo farà poi sulla scheda elettorale?
E chi vi dice che non voteranno elettori di centrosinistra?
E chi garantisce che non ci saranno schede taroccate?
E quale autorità terza controllerà le votazioni?
Chi verificherà che non sia indirizzata al voto manovalanza della criminalià (cosa già certificata per le primarie del centrosinistra) ?
La verità è un’altra: Salvini e la Meloni (con Fitto e Alemanno che cantano “aggiungi un posto a tavola, che c’è un amico in più”) vogliono rappresentare “non il centrodestra”, ma “il polo sovranista”.
Liberi di farlo, ma abbiano le palle di presentarsi da soli, così si fanno contare., come a Roma, dove il leader in pectore Salvini ha raccolto il 2% o come a Napoli dove non è riuscito neppure a presentare la lista.
Troppo comodo pretendere che “Forza Italia” e altri, che non condividono la loro impostazione, debbano fare i “portatori d’acqua” a dei ciclisti spompati.
Sullo Stelvio ci si arriva con le proprie qualità , non a forza di spinte.
Non a caso in Francia, si presentano due candidati distinti che “prendono voti a destra” e l’esito probabile delle elezioni francesi anticipa il destino delle due anime del sedicente centrodestra italiano.
Perderanno entrambi, a vantaggio di chi “prende anche voti a destra, ma non solo”.
Pedalate, gente, pedalate…
Per meditare occorrerebbe anche usare il cervello.
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
LA UE REVOCA L’IMMUNITA’ A MARINE LE PEN PER AVER POSTATO LA DECAPITAZIONI DI UN PRIGIONIERO DA PARTE DELL’ISIS… LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI, QUANDO LO SI CAPIRA’ SARA’ SEMPRE TROPPO TARDI
Il Parlamento europeo ha revocato l’immunità a Marine Le Pen, candidata alle presidenziali francesi e leader del Front National, in relazione alla pubblicazione sul suo profilo Twitter di immagini di violenze commesse da parte dello Stato islamico.
La commissione per gli Affari legali del Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza a favore della revoca dell’immunità .
Le Pen è indagata nel suo Paese per aver pubblicato sul social network, nel dicembre 2015, tre immagini violente di azioni commesse dall’Isis.
Tra esse, anche una legata alla decapitazione del giornalista statunitense James Foley. A Le Pen viene contestata l’accusa di “pubblicazione di immagini violente”, che in determinati casi può portare a tre anni di carcere.
Necessita una riflessione, al di là dell’episodio specifico: non è ammissibile in generale a nostro parere che un politico “sfugga” ai processi rifugiandosi dietro l’immunità parlamentare, nata esclusivamente per “tutelare” il diritto dell’eletto di esprimere le proprie opinioni politiche.
Marine Le Pen, pubblicando le foto dell’esecuzione di un essere umano, non ha solo mancato di sensibilità verso la famiglia della vittima, ma volutamente cercato di “dimostrare” l’efferatezza del terrorismo islamista con evidenti fini politici.
Libera di farlo, ma anche nel caso di assumersi le piene responsabilità della scelta.
Sapendo che in Francia tale decisione è considerata un reato, la strada maestra era quella di affrontare il processo, dimostrando le proprie ragioni e, in caso di condanna, scontare la pena.
Lanciare il sasso e nascondere la mano non è da destra, è da vili.
Appellarsi alla Ue (quella che si vorrebbe distruggere a parole) per mendicare l’indennità è mancanza di dignità .
E per molti, a destra, la dignità è superiore a qualsiasi condanna.
Se la destra vorrà tornare al centro del dibattito politico non solo per “negare diritti” ma per “affermare valori”, cominci a recupere un minimo di dignità .
Concetto non da “populismo” (come certi comportamenti sovranisti dimostrano) ma da destra vera.
Altra cosa.
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
TIZIANO RENZI E VERDINI, IL MOSAICO PERFETTO CHE METTEREBBE A NUDO IL SISTEMA DI POTERE DI RENZI… ORA TEME CHE L’INCHIESTA CHIUDA LA SUA EPOCA
Ci sono dei giorni in cui tutti gli elementi di una storia si compongono come in un mosaico perfetto. Squarciano il velo sul passato e spalancano le porte sull’ignoto, in questo caso al giglio magico.
Chi ha avuto contatti con l’ex premier racconta che, per la prima volta e a dispetto degli spin, la preoccupazione è tangibile: “Se si dimette Lotti, salta tutto”, sussurra la fonte.
Al momento la linea è fare quadrato, respingendo ogni accusa e attaccando i Cinque Stelle che presenteranno la mozione di sfiducia, in attesa degli sviluppi dell’inchiesta Consip.
E al momento la linea è “le primarie si faranno il 30 aprile”. Ovvero, non saranno rinviate, nè Renzi ha intenzione di intestarsi una “mossa” di conciliazione interna, nè tantomeno di fare “passi indietro”.
Il solo fatto che, tra ministri e nella war room dell’ex premier, si facciano questi ragionamenti, unito al silenzio inquieto e teso di un ceto politico solitamente ciarliero su ogni mezzo di comunicazione, tutto questo dà il senso di come il momento sia vissuto come una sorta di tentativo di Idi di marzo, politiche e giudiziarie.
Diverse volte, nella storia d’Italia, le inchieste hanno dato il colpo di grazia a leader già indeboliti politicamente, come accadde prima con Craxi e poi con Berlusconi.
E non è sfuggito, dalle parti dell’ex premier, il modo in cui stia leggendo la fase Giorgio Napolitano, uno che ai tempi del primo era presidente della Camera e ai tempi del secondo da capo dello Stato esercitò un forte ruolo di indirizzo politico.
In un’intervista a Concita Sannino su Repubblica è proprio Alfredo Mazzei, un suo amico storico napoletano, migliorista, collaboratore della sua fondazione, a raccontare la famosa cena in una “bettola” tra Romeo e il papà di Renzi.
E non è un mistero che tutto il mondo di Napolitano, da Violante a Macaluso, abbia fortemente invitato Orlando a candidarsi, poco prima che deflagrasse l’inchiesta e quando l’unica alternativa era Emiliano, troppo “grillino” per affidargli il Pd.
Ecco perchè fa davvero paura l’inchiesta Consip che, tra l’altro, dopo il 4 dicembre ha avuto un salto di qualità , con l’acquisizione di nuovi elementi probatori, a partire dalle confessioni di Marco Gasparri.
Perchè è evidente, sussurrano le stesse fonti, che il “babbo” di Renzi era indagato per traffico di influenza e ora l’attività della procura è volta a verificare se ci sono le condizioni per un’accusa di corruzione.
E che investigatori e inquirenti, che venerdì interrogheranno Tiziano Renzi, sono a caccia di prove del fatto che si facesse pagare per la sua mediazione.
Il “babbo”, ma anche “il Lotti”, e “Denis”: il processo Consip suona come un processo al sistema di potere costruito negli sfavillanti mille giorni di governo, che illumina la struttura materiale di quel potere scevra della sovrastruttura narrativa. L’inchiesta dell’Espresso su “pressioni e ricatti” che avrebbe subito l’ad di Consip Marroni dall’imprenditore Carlo Russo, amico di Tiziano Renzi, spiega questi anni di sodalizio inscalfibile tra Verdini, l’ex plenipotenziario di Berlusconi, e Lotti: l’asse inscalfibile, la stampella al governo, anche senza posti, perchè, a leggere le carte, non era il governo il vero interesse del sodalizio.
E spiega quelle frasi pronunciate da Bersani sulla mutazione genetica del Pd, “parla più con Verdini che con Speranza”, “questa non è più casa mia”.
Ci sono giorni, solitamente i più neri, in cui come si dice in gergo “arrivano tutte assieme”, ed arriva anche l’ennesima medaglia al valor giudiziario di Denis Verdini: la condanna a 9 anni (nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino.
Tutto questo quadro, fatto di accuse a uomini che, a partire da Lotti, solitamente non agivano a insaputa del premier, ha già cambiato tutto, al netto delle dichiarazioni ufficiali.
Ha già spostato il terreno di confronto delle primarie, tanto che più di un big ha suggerito di spostarle, ricevendo come risposta: “Sarebbe come ammettere la colpa”. E a quel punto “non la riprendi più” come è emerso lunedì sera, alla riunione dei franceschiniani, piuttosto mossa.
Un competitor di Renzi è un magistrato che, nel processo, sarà ascoltato come testimone per la vicenda degli sms.
L’altro è il ministro della Giustizia, che abita un Palazzo dove l’aria che tira si può sentire meglio che altrove.
E che, se mai qualche ultrà del renzismo dovesse chiedere di mandare ispettori in qualche esuberante procura, avrebbe il potere di dire di no.
Pare un mosaico perfetto, il passato nelle carte, il futuro del giglio magico come una porta sull’ignoto.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
E SPERANO CHE RENZI VINCA IL CONGRESSO… A NAPOLI SI GUARDA A BASSOLINO
Lavori in corso, scissione lenta e silenziosa. Neppure la diffida sul nome mette ansia alla sinistra uscita dal Pd. Anzi.
L’avviso spedito agli uffici di Camera e Senato sul divieto di utilizzo del nome cade nel vuoto e derubricato con una punta d’ironia.
Con “Articolo 1 — Movimento Democratico e Progressista”, ci occupiamo dei problemi degli italiani — taglia corto Roberto Speranza — non di Ernesto Carbone che invece per gli italiani è un problema”.
Carbone è il renziano che nel 2014 depositò la lista Democratici e Progressisti e ora minaccia di adire le vie legali perchè l’operazione dei bersaniani “rischia di creare confusione”. Già .
Forse però per il Pd non è certo il momento propizio per scomodare le carte bollate su una questione di nomi. Nessuno lo dice ma molti lo pensano.
Intanto le truppe che hanno lasciato il partito si mettono a battere il territorio per spingere l’associazione appena costituita.
Nel frattempo che il Pd si avvelena con il congresso e litiga sul tesseramento, il neo movimento parte dai temi del lavoro e le prime indicazioni sulle correzioni consistenti al Jobs act e sui voucher annunciate dal governo, segnano la prima tacca.
Si ragiona sui contenuti, fanno sapere i big, e la scissione avanza in silenzio, con la consapevolezza che saranno gli elettori di sinistra a premiare la scelta.
Silenziosa e dal basso, e da questo fine settimana sono decine le iniziative locali alle quali i bersaniani parteciperanno a livello locale in Veneto, Liguria, Umbria, Sicilia e Sardegna.
Ma il ragionamento “sui numeri” è che “solo dopo l’esito del congresso del Pd (specie se Renzi dovesse riconquistare la leadership) la scissione prenderà il vento”.
Molti sono restati nel recinto e il tesseramento in aumento (al netto delle operazioni poco chiare al centro delle polemiche) non deve ingannare.
Per ora le giunte regionali dove il partito è forte e strutturato, come in Emilia, non subiscono scossoni arginando le voglie scissioniste.
In Toscana il governatore Enrico Rossi, protagonista della rottura, è sostenuto da una maggioranza di renziani ma la sua poltrona nessuno sembra metterla in discussione. Nelle regioni dove il partito è più debole, saranno le elezioni amministrative a dare il segnale del cambiamento.
Tuttavia, anche nel monolite emiliano dove “la ditta prima di tutto” e dove pesa il fattore affettivo di una separazione, i nomi di Bersani ed Errani fanno proseliti.
“Smottamento consistente e qualitativamente pesante”, fanno sapere dai circoli, dove ricordano che il segnale dell’astensionismo delle ultime regionali (votò solo il 37 %) fu ignorato dal Nazareno.
Stufi di non decidere, di fare solo tortellini alle feste e allestire continui rodei elettorali: in tanti sono pronti a mollare.
Se Bologna resta unita (con il sindaco Merola in bilico verso Giuliano Pisapia), cominciano a vacillare altre roccaforti come Reggio Emilia e Modena.
Qui è stato già costituito il gruppo Mdp con cinque consiglieri comunali. Della giunta fanno parte due assessore molto vicine, e con la lista civica di sinistra potrebbe nascere il primo esperimento locale di “Campo progressista”.
A Piacenza e dintorni, con un Pd allo sbando e zero tessere, Bersani e Migliavacca potrebbero intestarsi addirittura la scissione più consistente di tutta la regione.
Spostamenti pesanti anche in Sardegna dove è data per imminente l’uscita dalla corsa della segreteria regionale di Yuri Marcialis, ex segretario a Cagliari e assessore forte della giunta Zedda.
Mentre infuria la bufera delle tessere, a Napoli tutti guardano alle scelte di Antonio Bassolino.
Negli ultimi giorni lo scambio di telefonate con il leader Mdp Speranza si è fatto intensissimo e, nonostante abbia rinnovato la tessera nei giorni scorsi, molti suoi fedelissimi scommettono sul suo addio al Pd.
Un altro capoluogo in ebollizione è Potenza dove hanno lasciato pezzi grossi del partito come il segretario provinciale e il capogruppo in comune portandosi dietro quattro consiglieri.
Ma le fotografie di chi sta sulla porta “aspettando di vedere cosa accade al congresso” sono numerose.
La più nitida è quella di Lecce, dove secondo le denunce dei renziani, D’Alema e i suoi presidiano dall’interno con il mandato di condizionare il congresso.
“ConSenso è una libera associazione nata dai comitati del No”, la replica del leader. Ovvero, anche nella battaglia congressuale, ognuno decide come comportarsi.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
“MI DISSERO CHE LORO ERANO ARBITRI DEL MIO DESTINO PROFESSIONALE”… LE RIVELAZIONI DELL’ESPRESSO
Luigi Marroni, amministratore delegato della Consip dal 2015 e renziano di ferro, lo scorso 20 dicembre si è seduto di fronte ai pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano.
Che lo hanno interrogato come persona informata sui fatti sul grande appalto da 2,7 miliardi di euro per i servizi pubblici chiamato Facility Management 4, sul presunto sistema corruttivo messo in piedi dall’imprenditore napoletano Alfredo Romeo (arrestato ieri) e su eventuali sollecitazioni ricevute da politici e faccendieri.
Marroni comincia a parlare subito, facendo saltare dalla sedia i magistrati.
Il dirigente renziano racconta infatti di un vero e proprio «ricatto» subito da un sodale di Tiziano Renzi, l’imprenditore Carlo Russo.
Riferisce di pressanti «richieste di intervento» sulle Commissioni di gara per favorire una specifica società ; di «incontri» riservati con il papà di Renzi a Firenze; e di «aspettative ben precise» da parte di «Denis Verdini e Tiziano Renzi» in merito all’assegnazione di gare d’appalto indette dalla Consip del valore di centinaia di milioni di euro
Leggendo carte e documenti dell’inchiesta L’Espresso è in grado di fare nuova luce su uno scandalo politico che rischia di travolgere la famiglia dell’ex boy scout di Rignano sull’Arno e, forse, di condizionare le imminenti primarie del Partito democratico.
Marroni ha infatti affermato, per esempio, che Carlo Russo, l’imprenditore indagato dalla procura insieme a Tiziano Renzi per traffico di influenze illecite, in occasione di un incontro a due negli uffici romani della Consip gli avrebbe chiesto in modo pressante di favorire una società nel cuore di Denis Verdini, ricordandogli che la sua promozione in Consip era avvenuta proprio grazie ai buoni uffici di Tiziano Renzi e di Verdini.
Di più: Russo avrebbe sottolineato a Marroni – dice ancora il numero uno della Consip agli inquirenti – come Tiziano e Denis fossero ancora «arbitri del mio destino professionale», potendo la coppia «revocare» il suo incarico di amministratore delegato della stazione appaltante: una spa controllata al 100 per cento dal ministero dell’Economia.
Marroni si è inventato tutto o davvero Carlo Russo lo ha intimidito tirando in ballo il suo futuro lavorativo nel caso non avesse fatto quello che gli si chiedeva?
Poteva davvero il babbo dell’allora presidente del Consiglio (insieme a un parlamentare di un partito associato alla maggioranza, Verdini) influire sulla nomina del numero uno dell’azienda pubblica Consip?
Tiziano Renzi e Denis Verdini si muovono davvero da unico gruppo di pressione, come sembra emergere dalle dichiarazioni di Marroni?
È un fatto che lo scorso 20 dicembre Marroni abbia raccontato ai magistrati altri dettagli rilevanti, spiegando come nel marzo del 2016 Tiziano Renzi in persona gli chiese un incontro riservato, effettivamente avvenuto – a suo dire – in piazza Santo Spirito a Firenze.
Il numero uno della Consip ammette con gli inquirenti che il papà dell’allora premier gli avrebbe chiesto in quel frangente di «accontentare» le richieste di Russo, perchè persona di sua fiducia. «Accontentare».
Tiziano stesso avrebbe presentato l’amico imprenditore all’ad di Consip durante un primo incontro avvenuto qualche tempo prima.
Marroni aggiunge pure che, di fronte alle sollecitazioni, lui non si è mai piegato. Avrebbe ascoltato con pazienza gli interlocutori, senza però dare seguito a nessuna delle richieste. «Sono stato un muro di gomma».
Istanze e suppliche arrivavano, ipotizzano gli investigatori, da diversi gruppi di pressione interessati ai bandi milionari.
I magistrati napoletani e quelli romani (la parte dell’indagine che tocca il Giglio Magico è stata trasferita per competenza a Roma ed è seguita dal pm Mario Palazzi e dal procuratore aggiunto Paolo Ielo), insieme ai carabinieri del Noe e alla squadra mobile di Roma stanno cercando di capire se i presunti facilitatori (tra cui Tiziano Renzi e Russo, che secondo il gip che ha dato l’ok agli arresti di Romeo si sono fatti promettere soldi per la mediazione su Marroni) lavorassero l’un contro l’altro armati per favorire aziende in lotta tra loro o se al contrario fossero un’unica banda.
I pm si stanno concentrando su due fronti: da un lato l’indagine capillare sul cosiddetto “sistema Romeo”, dall’altro lato, gli inquirenti hanno acceso un faro anche sui principali competitor di Romeo, ossia il gigante francese Cofely, capofila di un raggruppamento di imprese che avrebbe vinto (in via provvisoria) un numero di lotti assai maggiore rispetto a quelli ottenuti da Romeo.
È ancora Marroni che nomina Cofely Italia, oggi ramo di Engie Italia, nuovo brand del colosso dell’energia Gdf-Suez.
Cercando di specificare il ruolo di Verdini in merito alle pressioni ricevute sugli appalti FM4, il dirigente ha chiarito a Woodcock e a Carrano che alla fine del 2015 venne nei suoi uffici Consip il parlamentare di Ala Ignazio Abrignani, uomo vicinissimo a Verdini. Che gli avrebbe chiesto senza tanti fronzoli di «intervenire» per favorire il raggruppamento dei francesi nella gara.
Secondo Marroni, Abrignani parlava proprio «per conto di Verdini».
Il senatore avrebbe voluto che Marroni si adoperasse affinchè Cofely si aggiudicasse un lotto in particolare: quello, strategico, di Roma Centro, che comprende i servizi di Palazzo Madama, Palazzo Chigi, ministeri importanti come il Viminale e la Giustizia e il Quirinale.
Una gara periodica che nel 2011 era stata aggiudicati a Romeo, mentre il nuovo bando, anche se solo in via provvisoria, è stato assegnato proprio a Cofely. Marroni sostiene che dopo la visita di Abrignani non fece assolutamente nulla, limitandosi a informarsi dai commissari di gara su come stava procedendo il bando. Risposta della commissione: «Cofely sta andando bene».
L’Espresso ha contattato Abrignani, che conferma l’incontro con Marroni (spostandolo però di qualche mese in avanti), ma dando una versione diversa del contenuto. «Io sono un deputato di Ala, è vero, ma sono anche avvocato del Consorzio stabile energie locali, che ha partecipato alla gara FM4 insieme alla capofila Cofely», ammette Abrignani.
L’ipotesi di un conflitto d’interessi sul suo doppio ruolo di legale e parlamentare non sembra nemmeno venirgli in mente: «Abbiamo partecipato a cinque lotti. Nell’incontro che chiesi a Marroni cercai soltanto di capire quanto tempo ci avrebbero messo a decidere in via definitiva. Marroni mi disse che ci stavano ancora lavorando, perchè l’attribuzione era molto complessa. E che i risultati non sarebbero mai usciti prima della primavera del 2017. Infatti a oggi non c’è stata nemmeno l’aggiudicazione provvisoria. L’incontro? È avvenuto subito prima o subito dopo l’estate del 2016». In merito alle presunte pressioni di Verdini per far vincere Cofely, Abrignani dice che si è tratta di un «equivoco». «Verdini», spiega, «ha questo rapporto di vecchia amicizia con Marroni, anche i figli… Ma sono andato io a informarmi con il capo di Consip, quindi non so davvero come sia uscito che sia stato Verdini a informarsi su Cofely».
Abrignani ci dà un nuovo elemento che finora non conoscevamo: i due toscani Verdini e Marroni si conoscono. Da tempo. Sono addirittura due «vecchi amici».
In più, la sua ricostruzione cozza con un’altra dichiarazione che Marroni, quel venti dicembre, fa ai pm. Oltre alla conversazione con Abrignani, il dirigente racconta infatti anche di un faccia a faccia con Verdini avvenuto a luglio del 2016.
Durante il quale Verdini avrebbe detto al «vecchio amico» diventato numero uno della Consip che conosceva il contenuto dei suoi colloqui con Abrignani, che era «soddisfatto» e che avrebbe provato a far promuovere Marroni a «incarichi» ancora «più prestigiosi».
Il quadro disegnato da Marroni prospetta dunque un intreccio di interessi privati intorno ad appalti pubblici da centinaia di milioni.
Mostrando che intorno alla torta Consip hanno cercato di sedersi parlamentari, familiari e presunti mediatori legati, o ragionevolmente vicini, all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Attraverso pressioni, minacce, promesse che nulla hanno a che fare con il normale svolgimento di un bando di gara.
Una ricostruzione, ricordiamolo, ancora tutta da provare. Ma che getta un’ombra sul sistema di potere renziano negli ultimi tre anni. E che colpisce alle radici il Giglio magico, per l’ennesima volta investito dal sospetto di conflitti d’interessi, di pulsioni affaristiche, di commistioni tra politica e affari, di contiguità con politici come Verdini.
La vicenda Consip, soprattutto, fa tornare prepotentemente alla ribalta anche l’antico rapporto tra la famiglia Renzi e l’amico Denis: l’inchieste dell’Espresso in edicola domenica racconterà la genesi del legame, gli affari segreti, il ruolo di Lotti (Marroni dice ai pm che è stato lui a «luglio 2016» a metterlo in guardia dell’uso di intercettazioni telefoniche e ambientali, il ministro nega invece con forza), gli interessi di Alberto Bianchi, presidente della Fondazione Open e tra i capi del Giglio magico, dentro la Consip. Analizzando un sistema di potere sempre più oscuro.
(da “L’Espresso“)
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
TUTTI GLI IMPUTATI SONO INVECE STATI ASSOLTI DALL’ACCUSA DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Denis Verdini è stato condannato a 9 anni di reclusione dal Tribunale di Firenze al termine del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino (Ccf), la banca di cui è stato presidente dal 1990 al 2010.
Verdini, senatore e leader di Ala, non era in aula alla lettura della sentenza. Il Tribunale di Firenze ha calcolato in 7 anni di reclusione la pena per la bancarotta e in 2 anni quella per la truffa ai danni dello Stato per i contributi pubblici all’editoria.
Il Tribunale ha condannato il senatore di Ala all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
“A nome dell’intero gruppo al Senato esprimo massima solidarietà e piena, totale e incondizionata fiducia nei confronti di Denis Verdini”, afferma Lucio Barani, presidente dei senatori Ala-Scelta Civica. “Siamo – aggiunge – dinanzi all’ennesima sentenza politica, una prassi alla quale ormai ci siamo abituati negli ultimi decenni”.
“Non è finita, rispettiamo la sentenza ma siamo pronti a combattere e attendiamo le motivazioni per andare in appello”. Così Ester Molinaro, legale di Verdini. “Per ora – ha aggiunto Molinaro commentando la condanna – abbiamo dimostrato che non esiste alcuna associazione tra Verdini e i suoi presunti sodali, in appello dimostreremo che non sussistono neppure le altre accuse”.
Le altre condanne.
Cinque anni e sei mesi ciascuno per gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei e interdizione perpetua. Il deputato di Ala Massimo Parisi è stato condannato a due anni e sei mesi dal tribunale di Firenze dal tribunale di Firenze a conclusione del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino.
Per il parlamentare, uno dei più stretti collaboratori di Denis Verdini, i pm avevano chiesto una condanna a sei anni.
Tutti gli imputati al processo sono stati assolti dal collegio dall’accusa di associazione a delinquere.
(da agenzie)
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
“NON SI PUO’ INVOCARE TOLLERANZA ZERO VERSO I GIOVANI DELLE PERIFERIE ED ESSERE COMPIACENTI CON I POTENTI”…SFIDA ALLA DISOCCUPAZIONE, STOP NEPOTISMI, UNIFICAZIONE REGIMI PENSIONISTICI, VIA CELLULARI DALLE SCUOLE
Emmanuel Macron il moralizzatore: si presenta così il candidato centrista, che in una lunga intervista a Le Parisien promette di rimettere la morale al centro della vita politica, in aperta critica alle vicende giudiziarie in cui sono coinvolti i suoi due principali avversari di destra, Francois Fillon e Marine Le Pen.
Inaccettabili, per il leader di En Marche!, le loro critiche alla giustizia: “due candidati hanno deciso di attaccare deliberatamente lo Stato di diritto”, ha dichiarato durante la conferenza stampa per la presentazione del suo programma per la corsa all’Eliseo.
In politica, il risanamento morale – per il candidato di En Marche! – passa dalla fine del nepotismo e dal divieto di assegnare incarichi a familiari retribuiti con soldi pubblici, il tema del giorno in Francia dopo il Penelopegate che ha investito il candidato della destra, Francois Fillon.
Nell’intervista a Le Parisien Macron respinge l’idea di una “tregua giudiziaria” durante la campagna elettorale.
Per il candidato centrista, ci deve essere coerenza: non ci può essere tolleranza zero verso i giovani nelle periferie, e un atteggiamento compiacente nei confronti di potenti e colletti bianchi.
“I politici — dice Macron — non devono spiegare alla Corte come deve comportarsi, sia in ufficio che sul campo. Pertanto, quando i fatti richiedono un’azione legale, si deve procedere normalmente, anche se c’è una campagna in corso”.
Macron annuncia dunque una legge per vietare ai parlamentari di assumere parenti: “quando si tratta di denaro pubblico — spiega — non si deve essere nelle condizioni di poter assumere un famigliare”.
Quanto al mercato del lavoro, mentre Macron pensa al taglio di 120.000 impieghi pubblici, propone la conferma della settimana di 35 ore ma affidandone l’applicazione ad accordi azienda per azienda.
Per i disoccupati, obbligo di formazione durante il periodo in cui si percepisce il sussidio, che verrà sospeso nel caso colui che lo percepisce non accetti proposte di impiego a ripetizione.
Il sistema pensionistico dovrà essere semplificato e unificato, consentendo una modulazione dell’uscita dal mondo del lavoro fra 60 e 67 anni in funzione del settore. Alle imprese, si promette alleggerimento degli oneri sociali e fiscali
Sulla scuola, fa già discutere il divieto che Macron vorrebbe introdurre per i cellulari nelle scuole elementari e medie.
In Francia, circa l’80% dei ragazzi in prima media ha un telefono cellulare e il provvedimento rischia di provocare una rivolta.
Sul piano dell’ecologia e della “transizione energetica”, Macron varerebbe una rottamazione su ampia scala, con 1.000 euro per chiunque passi a un’auto non inquinante.
(da agenzie)
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
LA POLITICA IN BILICO TRA PAGNOTTISTI E MIGNOTTE DI PROFESSIONE
Il “vecchio dalla chioma bionda”, dall’altra parte del mondo, dice cazzate, un giorno si e quell’altro pure…
In Europa le forze sovraniste sembrano coagularsi (sempre più) intorno alle prime scintille di un redivivo Nazionalismo illiberale.
Rinasce il partito Nazista e qualcuno parla – nuovamente – di grande Germania…
In Italia, ovviamente, “dormiamo con la zizza in bocca” (per dirla alla Napoletana)… Scenario triste. Indecoroso.
Divisi, divisivi ed inconcludenti.
Sterili, sia nelle analisi che nella (conseguente) proposizione, sia concettuale che “ideale”.
Il rumore delle urla affascina troppo; confonde. Ottunde tutto, finanche l’anima. “Frenesia gossipara”… Sempre in bilico nel perenne match tra i “pagnottisti” – da una parte – e le solite “mignotte di professione” (dall’altro)…
Suonano (sempre più) le campane del giustizialismo illiberale; del socialismo bigotto; del “governo dei più” (inteso soltanto come mera massa); del sovranismo delirante. Accenni di becero Nazionalismo… La Patria non conta più. Ritorna la lusinga dell'”identità ” chiusa in se stessa. A volte diventa onestà . Un sorriso triste squarcia tutto, compresa la speranza…
Un quadro molto brutto. Quasi orrendo.
Senza “sapore” e dai colori dannatamente scuri… L’ascolto di un CD o la lettura di un libro fanno miracoli: almeno li, si riesce a volare…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile
L’INTERVISTA AL FATTO DI 4 ANNI FA DI UN UOMO CONTROCORRENTE
Il Barone nero li ha conosciuti tutti. Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, nobile famiglia trapanese, lunga militanza nel Msi, li ha visti da vicino i fascisti con le mazze, quelli con il doppiopetto e quelli che, dopo la fine del Movimento sociale, si sono costruiti posizioni di potere, fino a finire in cella: e (come Franco Nicoli Cristiani a Milano o Franco “Batman” Fiorito a Roma), non per qualche scontro di piazza.
“Nel 1989 rilasciai un’intervista a l’Europeo in cui indicavo quelli che ritenevo essere i mali di un partito — il mio, l’Msi — che non aveva saputo rinnovarsi. C’era un tumore a Milano, nutrito dai legami tra la famiglia La Russa e i Ligresti. Il combinato disposto tra politica e affarismo: questo tumore ha provocato metastasi. La politica è diventata uno strumento di affermazione sociale per morti di fame spirituali, che vengono ricoperti di soldi, ma restano morti di fame”.
Perchè La Russa e Ligresti?
La decisione di far diventare Gianfranco Fini segretario, per esempio, fu presa a Taormina in un albergo di Salvatore Ligresti, presenti il senatore Antonino La Russa, suo figlio Ignazio, Giorgio Almirante e Pinuccio Tatarella. Quando poi i figli adottivi di Almirante fallirono con la concessionaria di auto Lancia a Roma, furono salvati da Ligresti, che diede loro un’agenzia della Sai. Il male affonda lì. Sono moralista? Magari sì, ma a Milano, per vent’anni, tutto un mondo è stato nelle mani della famiglia La Russa: da Michelangelo Virgillito a Raffaele Ursini, fino a Ligresti.
Lei fu vicino a un personaggio contiguo a questo mondo, Filippo Alberto Rapisarda.
A metà degli anni 80, lui era latitante a Parigi, mi chiamò in ufficio. Sostenni la sua battaglia contro le banche. Ma presi un abbaglio: era un megalomane che per certi versi ricorda Berlusconi. Mi affittò un appartamento nel suo palazzetto di via Chiaravalle (dove poi nacque il primo club di Forza Italia). Pagai l’affitto a un suo emissario, per poi scoprire che l’immobile faceva parte di un fallimento. Sto ancora pagando (per la seconda volta) dieci anni d’affitto. E lo sto pagando, visto che dopo 34 anni il fallimento si è chiuso, alla vedova di Rapisarda.
Chi frequentava il palazzetto secentesco di via Chiaravalle?
Ministri, sottosegretari. Ma anche Alberoni, Sgarbi, Miccichè. E Dell’Utri, che conoscevo perchè me lo aveva presentato Rapisarda che mi aveva anche raccontato che Dell’Utri aveva fatto arrivare a Berlusconi i soldi della mafia.
I La Russa quando li conobbe?
Sono arrivato a Milano nel 1966. Allora il padre Antonino era il consigliori di Virgillito. Il figlio Ignazio faceva invece il contestatore. Ma quando presentai in Consiglio comunale un’interrogazione su un immobile dell’Ospedale Maggiore stranamente finito nelle mani di Ligresti, fui affrontato, a un comitato centrale del Msi a Roma, da Antonino. Stavo parlando con Walter Pancini (oggi direttore generale di Auditel). Antonino mi disse, in siciliano: “Bella questa giacca. Sarebbe un peccato rovinarla con due buchi”.
È vero che prese a schiaffi Ignazio?
Sì sì, faceva il bulletto. Fu verso la fine degli anni 80 durante una direzione provinciale del partito. Lui non m’invitava mai, anche se io ne avevo diritto visto che ero in direzione nazionale e deputato. Aveva una strategia di conquista del potere nel partito per arrivare poi alla conquista delle istituzioni. All’ennesima battuta, mi alzai e gli diedi quattro schiaffi.
E lui?
Incassò, senza dire una parola.
L’ha stupita scoprire che si comprano voti dalla ‘ndrangheta in Lombardia?
No, conosco bene Milano. E avevo annusato le infiltrazioni mafiose. Nella campagna elettorale del 2011 per il Comune di Milano, ho dato una mano a Barbara Ciabò (lista Fini). Due giorni prima del voto mi disse: “Vedrai, non ce la farò perchè Sara Giudice ha 3-400 voti di case popolari abitate da calabresi”.
E Formigoni?
Lo conobbi quando era deputato e sculettava nel transatlantico di Montecitorio.
Oggi, dopo una strenua resistenza, dice che vuole il voto…
Sta trattando su diversi fronti. Lui è l’espressione di quella che io chiamo associazione per delinquere di stampo cattolico. A Milano si è divisa gli affari con Ligresti, Moratti e i poteri di cui l’Expo è uno dei risultati.
Che effetto le fa il Consiglio regionale imbottito di indagati?
Compio 80 anni tra un mese, eppure riesco ancora a scandalizzarmi. Quando ho appreso quello che è accaduto, non credevo alle mie orecchie. Vede, ho fatto il capogruppo in Consiglio comunale a Milano e ci davano una stanza e un’impiegata. Ho fatto il deputato a Roma e mi davano 150 mila lire per ogni giorno che stavo a Roma e un milione per i collaboratori, di cui dovevo presentare i contratti al partito. Poi il berlusconismo ha creato danni irreparabili: modificazione antropologica della società attraverso le tv e inquinamento della politica con la dimostrazione che si può fare tutto impunemente. Ha portato nel partito frotte di impresentabili. Ma li vedete come vanno vestiti? Con questi gessati Palermo da finti gangster anni Trenta. È la politica dell’sms: soldi-mignotte-salotti tv.
Ora che succederà ?
Nelle famiglie nobili di un tempo, si sposavano spesso tra consanguinei. E a un certo punto si sperava che lo stalliere mettesse incinta la marchesa o la baronessa per portare un po’ di sangue nuovo. Spero che arrivi un centinaio di deputati grillini… Tutto il resto mi sembra l’acqua pestata nel mortaio. A Milano siamo solo all’inizio: ne vedremo delle belle, anche dal punto di vista giudiziario.
Va bene, allora la salutiamo…
Ma non mi avete chiesto della Daniela Santanchè!
Ah, prego, dica pure…
È un altro dei regalini di La Russa. I due hanno siglato un patto politico-mondano-commerciale. Ignazio l’ha portata a Milano, dove è diventata consigliere provinciale, e nel frattempo sovraintendeva agli “eventi ” (parola insopportabile) del partito. Intanto La Russa, dopo una ripulita e un passaggio da un sarto degno di tale nome, è entrato nei salotti buoni. A Cortina, in Sardegna. Lei ama dire che viene dalla società civile, io preferisco dire dalla società incivile, viste le frequentazioni (con Briatore, per esempio) di quando era ragazza e non ancora del tutto plastificata.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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