Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
PARLANO CONTRO I POTERI FORTI, POI CI VANNO A PRANZO … PAOLO MAGRI, SEGRETARIO DELL’ITALIAN GROUP DELLA TRILATERAL, INVITATO CON TUTTO GLI ONORI AL CONVEGNO A IVREA
«I grillini sono tutti doppia morale, parlano contro i cosiddetti poteri forti e poi ci vanno a braccetto.
Fico sul blog di Grillo: “Il fondamento della dottrina della Trilaterale è la netta separazione fra potere (kratos) e popolo (demos): un pensiero antidemocratico penetrato nella società attraverso i media e realizzato progressivamente dagli esecutivi occidentali”», afferma Emanuele Fiano, deputato del Pd.
«Bene, leggi il Fico-pensiero sulla Trilaterale e poi scopri che a Ivrea invitano ad un convegno per commemorare Casaleggio proprio il segretario del gruppo italiano della Trilaterale.
Come Di Maio — incalza l’esponente dem — che tuonava contro le lobbies e poi zitto zitto le incontrava».
A chi si riferisce Fiano? Basta scorrere l’elenco dei relatori al convegno Capire il Futuro che andrà in scena l’8 aprile all’Officina H per trovare, tra gli altri nomi, quello di Paolo Magri, segretario dell’Italian Group della Commissione Trilaterale oltre che direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.
«La doppia morale è nel dna dei 5 Stelle. Un po’ di pseudo rivoluzionarismo da salotto e da tastiera: fingono di essere dalla parte della gente, mentre le persone reali interessano solo come utenti dei lucrosi click per il blog», conclude il parlamentare. Nell’aprile 2016 aveva fatto scalpore il pranzo di Luigi Di Maio all’Ispi, ovvero il think tank più autorevole sulla politica internazionale, che conta come presidente onorario l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Oltre a Di Maio c’erano Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, e Mario Monti.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
SE VUOI FARE IL RIVOLUZIONARIO PRENDI D’ASSALTO IL PALAZZO, NON FERISCI 4 COMMESSI CHE SI GUADAGNANO DA VIVERE… E MAGARI USI ARGOMENTI REALI, NON LA PALLA DEI VITALIZI CHE NON ESISTONO PIU’ DA DUE ANNI
L’Ufficio di presidenza della Camera ha deciso di sospendere per 15 giorni i 19 deputati del M5S che lo scorso 22 marzo tentarono di fare irruzione nell’ufficio di presidenza mentre si votavano le delibere sulle pensioni dei parlamentari.
Lo riferisce al termine della riunione Riccardo Fraccaro, membro M5S dell’Ufficio di Presidenza.
Ai 15 giorni comminati ai 36 deputati per la tentata irruzione in Ufficio di Presidenza si aggiungono i 10-12 con cui sono stati sanzionati 29 deputati per le proteste in Aula. Nei due episodi in gran parte dei casi sono stati coinvolti e sanzionati i medesimi deputati. In tutto gli esponenti M5S sanzionati sono 42.
Per alcuni (Sorial, Vacca, L’Abbate, ad esempio) i giorni di interdizione in totale sono quindi 27.
Le sanzioni sono state votate da tutti i membri dell’Ufficio di Presidenza ad eccezione del pentastellato Riccardo Fraccaro e con gli altri due membri M5S assenti.
L’ufficio di Presidenza, sanzionando con 15 giorni la tentata irruzione del M5S in occasione del voto sulle delibere sui vitalizi, sottolinea come il comportamento «aggressivo» dei deputati che hanno rotto il cordone tentando l’irruzione nella Biblioteca della Presidenza abbia reso ancor più grave l’episodio a causa del quale, si ricorda, 4 assistenti parlamentari (3 uomini e una donna) sono dovuti ricorrere a cure mediche.
Tra i deputati sanzionati per la tentata irruzione figurano Alessandro Di Battista, Giuseppe Bresca, Massimo De Rosa (unico che riuscì ad entrare), Danilo Toninelli, Michele Dell’Orco, Marco Brugner
E in segno di protesta i grillini sono scesi in piazza, davanti a Montecitorio per protestare contro questa decisione.
Un flashmob davanti alla Camera per mostrare i volti dei deputati che fanno parte dell’ Ufficio di Presidenza della Camera: quelli che oggi hanno sanzionato 42 deputati del Movimento.
«Si tengono la pensione» hanno protestato i deputati del Movimento. La solita balla raccontata ai pirla.
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
AL CONGRESSO PPE A MALTA BERLUSCONI RIPRENDE LA SCENA… “A SALVINI CI PENSO IO, IL PERICOLO REALE E’ CHE VINCA GRILLO”
Silvio Berlusconi torna in Italia dal congresso di Malta del Ppe convinto di essere rientrato a pieno titolo nel gotha europeo.
E non per la claque dei circa 50 parlamentari azzurri che lo accolgono festosi al suo arrivo nella sala dell’Intercontinental hotel, e nemmeno per la ressa di fotografi e telecamere pur innegabile.
Le sliding doors del leader di Forza Italia stanno tutte in quei venti minuti di colloquio avuti con Angela Merkel.
E, scherzo del destino, è tutto merito (o colpa, a seconda dei punti di vista) di Beppe Grillo. È il vento populista che spira nelle sue vele a preoccupare davvero i suoi colleghi popolari, non quello del pur lepenista-trumpiano-putiniano Matteo Salvini.
Già perchè sta proprio qui, forse, la ragione per cui dimentica dei cucù, delle presunte battute ineleganti, delle risatine con Sarkozy, la Cancelliera tedesca ha accettato di avere un bilaterale con l’ex premier.
C’è un timore nel Partito popolare europeo e Berlusconi l’ha toccato con mano nelle ore in cui è stato a La Valletta: la paura che a vincere in Italia siano proprio i pentastellati. Timore che, peraltro, condivide.
È vero, le elezioni italiane saranno nel 2018 e prima c’è il fondamentale test del voto francese.
Eppure, c’è meno ansia per quel che succederà a Parigi piuttosto che a Roma. Perchè la convinzione, o almeno la speranza, è che alla fine Marin Le Pen possa piazzarsi seconda.
Ma una vittoria dei grillini è considerata molto più probabile e se questo si traducesse in un’Italexit dopo l’addio della Gran Bretagna, gli argini dell’Europa sarebbero completamente rotti.
L’ansia per quel che potrebbe accadere, mista all’inesperienza che viene riconosciuta alla classe dirigente grillina, val bene, dunque, un caloroso bentornato a Silvio Berlusconi.
“Tutti i leader che sono qui — dice l’ex premier alle telecamere – sono contenti che ci sia ancora in Italia la mia presenza in campo per garantire che non ci sia uno spostamento verso partiti populisti che sono molto temuti”.
Partiti: lo dice al plurale. Ma Berlusconi è convinto che il rapporto con la Lega alla fine non sarà un problema, che si troverà un accordo: “A loro ci penso io”, è il senso. Sebbene anche oggi il segretario padano, commentando il bilaterale maltese, incalzi: “Io preferisco altre frequentazioni”.
L’ipotesi di un listone di centrodestra diventa così più digeribile, perchè il Cavaliere è convinto che comunque toccherà a lui dare le carte, se il centrodestra vuole avere davvero chance di vincere le prossime elezioni.
E l’avanzata dei 5stelle quella che, garantisce Berlusconi ad Angela Merkel, potrà essere frenata grazie alla sua presenza, magari nel ruolo di “federatore dei moderati”. “Con me in campo — aggiunge — tutti i sondaggi dicono che Forza Italia può prendere il 10%-15% in più”.
A suggello di questo idem sentire, la posizione sulla Brexit e la necessità di reagire tutti insieme. “È un grande dolore — commenta – ma rispettiamo il volere degli inglesi. Ora è tempo di restare uniti. Per l’Europa era importante avere anche l’Inghilterra, ma dobbiamo accettare la separazione e adesso è importante che ci sia concordia sulle decisioni perchè i temi economici e il terrorismo vanno affrontati con coesione”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
RENZI VORREBBE VOTARE A SETTEMBRE MA SI SCONTRA CON LA LINEA DEL QUIRINALE: “SENZA SISTEMA ELETTORALE OMOGENEO NON SE NE PARLA”
C’è la tentazione. E c’è la realtà , coi suoi complessi principi, che la doma e la sopisce. La tentazione di Matteo Renzi della ripartenza in velocità : plebiscito ad aprile, voto il 24 settembre, assieme alla Germania, attraverso la forzatura sulla legge elettorale.
E c’è la realtà , che porta al Quirinale.
Fedele alla vecchia grammatica che, quando è impegnato il Parlamento, il presidente tace, Sergio Mattarella non parla. Anche perchè ha già parlato. E, per ora, non è arrivata risposta.
È tutto lì, il brusco principio di realtà : “Ragazzi — diceva sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli in Transatlantico — mi pare che qualche tempo fa il capo dello Stato aveva chiesto un paio di cosette tecniche, dopo la sentenza della Corte. E mi pare che la discussione non sia stata nemmeno affrontata. Il punto è questo, o no?”.
Nei giorni scorsi qualche contatto, discreto e riservato, col Quirinale c’è stato. E sia Ettore Rosato, il capogruppo del Pd, sia Maria Elena Boschi, due che hanno dimestichezza con il linguaggio istituzionale, hanno avuto la stessa sensazione.
E cioè che per Mattarella, il problema non siano i tempi della legislatura e il calendario, ma la necessità , come disse dal primo momento già prima della sentenza della Corte, di “omogeneizzare” i due sistemi di Camera e Senato, prima di andare al voto.
Altrimenti, andando a votare con questo sistema più che al voto si va al caos. Gli uffici giuridici del Quirinale sono stati già interpellati sulle “due o tre cosette” che andrebbero sistemate e sui cui c’è un vuoto normativo, sentenza della Corte alla mano, a partire dalla questione di genere al Senato.
Non è una posizione banale, soprattutto se messa in relazione alla tentazione della forzatura, soprattutto in questi giorni.
Perchè è evidente che ogni atto parlamentare di questi giorni racconta più che la ricerca di un’intesa, la ricerca di un’incidente.
La tentazione, appunto: forziamo sul Mattarellum, anche se non ci sono i numeri; il Parlamento boccia la legge che il capo dello Stato scrisse tempo fa, a quel punto si vota e basta, con la legge attuale.
Ecco che ieri, ad esempio, Rosato ha tentato il blitz, chiedendo calendarizzare subito il Mattarellum, tranne poi cedere su maggio.
In mezzo una accesa telefonata con l’orlandiano Andrea Martella: “Se forzi noi votiamo contro in commissione”. Ed è la stessa logica per cui, al Senato, il Pd ha affossato per ora la candidatura del palermitano Mimmo Torrisi, di Ncd, alla presidenza della commissione Affari costituzionali.
Una fonte alta svela il gioco: “Renzi sta gestendo la cosa in prima persona, vuole Cociancich o Mirabelli, perchè lo garantiscono sulla linea di forzare sul Mattarellum, non di cecare accordi e mediazioni”.
Tentazione e realtà . In un Transatlantico semideserto ci sono solo renziani puri, appena finita la riunione di mozione negli uffici del gruppo.
Più di uno, parlando informalmente, interpreta in modo frenante la posizione del Colle: “Mattarella, se non creiamo un sistema omogeneo, non ci manda a votare. E Matteo lo sa bene”.
Pare che ne ha parlato più volte con i suoi, perchè — a parità di spin su velocità e ansia rottamatoria — ha toccato con mano che è cambiata la forza reale.
E, stavolta, è complicato che possa reggere uno scontro istituzionale per andare al voto anticipato. Non è solo un fatto di Colle. O di Franceschini.
L’ex premier, raccontano i più sottili dei suoi, ha toccato con mano come sia delicato e complesso il Sistema, in un paese che al dunque non ha mai dato tutto il potere a uno solo.
Il Sistema sono le procure, con le loro inchieste a partire da Consip, ma anche con i loro spifferi sui giornali che fanno perdere parecchi voti, come hanno registrato i sondaggi.
Il Sistema sono i giornaloni, molto diversi rispetto ai tempi in cui stava a palazzo Chigi, ma anche quei mondi che scommettevano sull’uomo forte, non su uno che, a legge elettorale vigente, rischia di arrivare terzo dopo i Cinque Stelle e la destra.
In definitiva, avrà pensato il cattolico Mattarella, il principio di realtà è un aiuto, perchè le tentazioni portano all’errore.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
TRIONFO AL CONGRESSO DEI CIRCOLI, ANCHE SE GLI ISCRITTI SONO IN CALO… PRIMARIE IL 30 APRILE
Ultimi giorni di congresso nel Pd, domenica prossima tutti i circoli avranno detto la loro in vista delle primarie del 30 aprile ma al quartier generale di Matteo Renzi ancora non riescono a spiegarsi il ‘miracolo’.
“In ogni dove c’è un inaspettato pugni di voti in più”, dice il deputato renzianissimo David Ermini ragionando sui motivi per cui, alla fin fine, pur giocando in un partito con meno tesserati rispetto alle primarie del 2013, Renzi ha conquistato il cuore dei militanti Dem: a sua insaputa.
Una nota diffusa ieri dal Nazareno con i risultati dei primi 1.271 congressi locali dice che il segretario uscente ha conquistato il 69 per cento dei voti, ad Andrea Orlando va il 26,9 per cento, a Michele Emiliano il 3,9 per cento.
Finora hanno votato quasi 70mila iscritti su un totale di 425mila tessere nel 2016, che sono 90mila in meno rispetto al 2013, anno di primarie proprio come oggi (nel 2014 gli iscritti del Pd erano 376mila, nel 2015 395mila).
Meno iscritti ma evidentemente ‘buoni’ per Renzi, dicono i suoi un po’ sorpresi, certamente soddisfatti ma anche un po’ preoccupati.
Perchè un dato così positivo nei congressi dei circoli, unito ad una gara che finora si è svolta con toni molto bassi, potrebbe sfavorire la partecipazione alle primarie del 30 aprile.
Ecco perchè, mentre cercano di spiegarsi i motivi dell’inaspettato trionfo nel partito di un leader che solo 4 anni fa lo ha scalato e rivoltato con un calzino, i renziani stanno già lavorando alla campagna per le primarie. Oggi si è tenuta una prima riunione organizzativa del coordinamento della mozione Renzi.
“Immaginiamo una campagna più mirata, che incroci i posti di lavoro, le università , le realtà sociali che lavorano sul disagio e l’emarginazione”, ci dice il portavoce della mozione Matteo Richetti portando ad esempio l’iniziativa di sabato scorso a casa sua, nel modenese.
“Abbiamo tenuto un incontro con Matteo nella comunità di recupero per le ludopatie, con Padre Sebastiano Bernardini, il frate che ha creato la comunità anche con i 150 milioni di vecchie lire vinte in tv a un quiz di Mike Buongiorno…”.
Ecco, magari in giro non ce ne sono tantissime di persone che abbiano tali affinità con l’ex premier, anche lui concorrente di Mike negli anni ’90, ma l’idea è di incrociare comunque il paese. “Ci siamo accorti che l’errore sono state le riforme dall’alto. Ora le vogliamo far crescere dal basso”, dice Richetti.
Già , ma com’è che un partito con meno tessere, un Pd che nemmeno con Renzi si è salvato dalla crisi della politica tradizionale, ora si affida all’ex premier?
Richetti se la spiega così: “Evidentemente la sconfitta referendaria ha fatto scattare un allarme nella nostra base rispetto al rischio che il processo di cambiamento si arresti. Rispetto all’attacco al segretario è scattato un effetto di protezione del segretario stesso, che è diventato evidentemente patrimonio del Pd”.
Meno iscritti? “Nessuno sfugge alla crisi dei partiti e della politica — continua Richetti — è vero che la base associativa si va riducendo ed è vero che nei circoli non abbiamo folle oceaniche che si confrontano sulle tre mozioni congressuali, bensì spesso abbiamo gruppi di venti persone. Ma è importante anche questo: sono persone che invece di fare politica solo sul web, si confrontano dal vivo sull’Europa, il lavoro, la forma partito, la partecipazione, la democrazia. Noi ci proviamo: il Pd è il più grande partito che in Europa chiama i suoi iscritti a dibattere sulla leadership”.
“Non solo Matteo ha conquistato il grosso degli elettori del Pd — osserva Ermini — ma anche del Pci!”.
Che vuol dire? “E’ scattata la sindrome di difesa del segretario, ne sento parlare anche da parte degli iscritti anziani: si può discutere, ma non si lascia il partito, dicono. Ce l’hanno con Bersani e D’Alema, loro difendono l’unità del partito e l’ordine nel partito: il segretario è Matteo, lo si può criticare, ma lo si sfida al congresso”.
La metamorfosi è dunque compiuta. Renzi era quello che quattro anni fa scalò il Pd partendo dalla provincia Toscana, una lunga marcia fatta di tattica, attacchi sul governo (Letta), sulle regole del congresso: non passava giorno senza una polemica contro l’allora segretario Pierluigi Bersani.
Ora Renzi è l’establishment nel Pd, difeso dagli stessi militanti, quelli che son rimasti, contro gli attacchi esterni e interni. E per giunta non deve competere con altri ‘scalatori’.
Come dimostrano i dati dei primi congressi dei circoli, nè Orlando, nè Emiliano sono nelle condizioni di soffiargli il posto alla leadership di un partito in cui sono rimasti alcuni vecchi tesserati, ma molti sono anche nuovi e profondamente cambiati.
“Non si è determinata la frattura Ds-Margherita nemmeno con la candidatura di Orlando”, nota Ermini.
E succede quindi che anche a casa del Guardasigilli, a La Spezia, Renzi raggiunga quota 61 per cento, mentre il ministro resta fermo al 37 per cento. Oppure succede che a Bari, proprio nel circolo di Emiliano, Renzi riesca a battere il governatore per 59 per cento contro 38 per cento.
Chissà com’è, ma per ora non c’è storia. Il punto però è che non c’è tanta storia proprio in questa gara congressuale. Si è svolta con toni bassi, in fair play quasi perfetto tra i candidati. Troppo perfetto.
Una cornice che ha avvantaggiato Renzi, riconoscono i suoi, visto che a differenza del 2013 non deve conquistare il partito ma mantenere la posizione. Però il rischio è che una gara poco avvincente scateni anche poco tifo e dunque pochi partecipanti ai gazebo.
Ecco perchè già oggi il coordinamento della mozione Renzi si è riunito. Obiettivo: apparecchiare sin da ora la campagna che dal 10 aprile porterà alle primarie del 30 aprile. Domenica infatti si chiudono i congressi dei circoli, il 5 aprile si riuniscono le convenzioni provinciali che daranno i risultati ufficiali, il 9 aprile quella nazionale a Roma oppure a Milano. E poi dal 10 via alla campagna.
Scontato il confronto tv tra i candidati su Sky, come nel 2013.
Ma in prima linea, sia sui territori che sui media, non ci sarà solo Renzi, giurano i suoi. La linea del fronte verrà tenuta da Maurizio Martina, in ticket per la vice-segreteria, e lo stesso Richetti.
Con Michele Anzaldi a coordinare la comunicazione sui media. “Presenze mirate. E non si ripeterà l’errore del 4 dicembre: nessun one man show”, dicono dal quartier generale renziano, mentre cominciano a immaginare anche cosa farsene, dopo le primarie, di un partito che si sta ‘votando’ a Renzi.
Ma per questo è ancora l’alba.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
ALLUCINANTE LA NORMA: “DI BUONA FAMIGLIA CON UN LAVORO FISSO, NON DOVEVA SPACCIARE PER VIVERE”… AVEVA GIA’ TRE PRECEDENTI SPECIFICI E 600 DOSI DI HASHISH E 150 DI CRACK: QUESTO SAREBBE USO PERSONALE?
Se la legge fosse stata applicata in maniera diversa, probabilmente Mario Castagnacci la notte tra il 24 e il 25 marzo si sarebbe trovato rinchiuso in una cella o agli arresti domiciliari, lontano dal Mirò music club di Alatri.
E forse Emanuele Morganti sarebbe ancora vivo.
Perchè quello che gli inquirenti ritengono uno dei protagonisti del pestaggio costato la vita al 20enne è stato fermato insieme a tre amici la sera prima, il 23 marzo.
Durante un’operazione in un appartamento che il 27enne divide con gli altri tre ragazzi (estranei all’omicidio di Morganti) in zona Pigneto, infatti, i carabinieri di Roma hanno trovato 300 dosi di cocaina, 150 di crack e 600 di hashish.
E’ scattato l’arresto immediato per i quattro.
Ma il giorno dopo il gip, pur convalidando il provvedimento, ha rimesso in libertà il gruppo senza richiedere l’osservanza di nessun tipo di obbligo.
In sostanza il giudice ha accolto la tesi difensiva: quella grossa quantità di droga non doveva essere spacciata, perchè gli arrestati provengono tutti da buone famiglie, hanno un lavoro e uno stipendio fisso.
Secondo il gip, quindi, era destinata solamente al “consumo di gruppo“.
Non hanno pesato nemmeno i precedenti specifici di Castagnacci, che ha già tre procedimenti aperti sempre legati agli stupefacenti.
La sera stessa della scarcerazione, il 27enne — che stando alle indagini è l’autore del colpo mortale — insieme al fratellastro Paolo Palmisani (fermato anche lui) e ad altri amici, sotto l’effetto di alcol e droga, ha partecipato al massacro di Emanuele Morganti. Ammazzato di botte e sprangate davanti al Mirò music club. Per “futili motivi”. Nell’indifferenza generale.
Ma perchè Castagnacci è stato scarcerato nonostante sia stato trovato con tutta quella droga?
“La legge lo prevede, devi però riuscire a dimostrare che il quantitativo che possiedi è proporzionato alle tue disponibilità economiche e non è destinato allo spaccio. Sta poi alla dicrezionalità del giudice applicare o meno misure cautelari. In questo caso la scelta mi sembra stata azzardata, ma non posso entrare in merito della decisione” dice al fattoquotidiano.it un investigatore dell’Antidroga che per ovvie ragioni chiede l’anonimato.
Intanto Mario Castagnacci dovrà trovare un altro avvocato per difendersi dall’accusa di aver partecipato al massacro di Emanuele Morganti.
Il suo legale Tony Ceccarelli, che lo ha difeso in tutti gli altri procedimenti, ha infatti rinunciato all’incarico: “Voglio precisare che la mia scelta è stata autonoma, a prescindere dagli atti dell’indagine. E non è stata influenzata da fattori esterni (il riferimento è alle presunte minacce subite dagli avvocati di altri indagati, ndr). Per quanto riguarda la scarcerazione di Castagnacci — continua Ceccarelli al telefono con il Fatto.it — posso solo dire che il giudice non ha ritenuto opportuno applicare misure cautelari perchè sono riuscito a dimostrare che la droga trovata non era destinata allo spaccio. Il mio cliente, infatti, proviene dalla Roma bene. La sua famiglia possiede negozi di calzature all’ingrosso e Castagnacci, così come gli altri tre arrestati, ha un impiego stabile e un buono stipendio. Insomma, nessuno deve spacciare per vivere. E’ stato ritenuto che la droga trovata servisse veramente per essere consumata dai quattro. E inoltre è stata riconosciuta la non elevata quantità dello stupefacente, bensì la sua elevata purezza. Può sembrare strano ma le 300 dosi di cocaina trovate equivalgono a 15 grammi“.
E perchè non hanno pesato i precedenti specifici di Castagnacci? “Il mio cliente poteva restare libero in attesa di un procedimento perchè secondo il giudice non rappresentava un pericolo“.
Alessandro Bartolini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
IL SENATORE SI STAVA INTERESSANDO PER FAR TOGLIERE LE INTERDETTIVE ANTIMAFIA ALLE AZIENDE EDILI DI FAMIGLIA
Sono spuntati un po’ a sorpresa quei video con protagonista il senatore Carlo Giovanardi (ex Ncd, ora nel movimento Idea), che non sapeva di essere ripreso.
Al processo Aemilia, il più importante processo di mafia mai svoltosi in Emilia Romagna, iniziato già oltre un anno fa, martedì 28 marzo si parla della famiglia Bianchini.
L’impresa edile di famiglia di San Felice sul Panaro, in provincia di Modena, è finita nell’inchiesta con l’accusa di avere fatto affari con la ‘ndrangheta emiliana.
In particolare, quella con base a Reggio Emilia che i magistrati ritengono in legami strettissimi con la casa madre dei Grande Aracri di Cutro, in Calabria.
I video con Giovanardi (non indagato) sono stati registrati tra luglio e ottobre 2014 quando ancora non c’erano stati gli arresti e l’inchiesta Aemilia della Direzione distrettuale antimafia di Bologna non era venuta a galla.
Durante l’udienza in tribunale a Reggio Emilia, il maresciallo dei carabinieri Emidio D’Agostino, testimone chiamato dai pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, spiega che quei file sono stati ritrovati il 28 gennaio 2015, quando l’operazione Ae milia sfociò in decine di arresti. Non è chiaro perchè Alessandro Bianchini registrasse a insaputa degli interlocutori. Forse per una forma di tutela.
E qui bisogna spiegare un antefatto. La Bianchini Costruzioni, ditta leader nel settore edile in tutta l’Emilia Romagna e non solo, a metà 2013 era stata esclusa dalla white list della prefettura di Modena (la lista delle imprese autorizzate a lavorare negli appalti pubblici), proprio per i sospetti che avesse legami con uomini vicini alla ‘ndrangheta.
Un danno enorme per una azienda impegnata pienamente nella ricostruzione dopo il sisma in Emilia del 2012.
A quel punto Alessandro Bianchini — figlio del patron della ditta, Augusto (oggi imputato per concorso esterno in associazione mafiosa) — apre una sua azienda, la Ios.
Secondo la Dda di Bologna, era solo un modo per aggirare l’interdittiva e provare a mantenere gli appalti che la Bianchini Costruzioni aveva perso.
Ma anche fra il 2013 e il 2014 la Prefettura, che si avvale della collaborazione di tutte le forze di polizia, sospetta che in realtà dentro la Ios ci sia la partecipazione di Augusto Bianchini.
È in questo quadro che Alessandro Bianchini (imputato per intestazione fittizia di beni) è molto attivo per cercare di salvare la sua azienda.
Il rischio (che poi si materializza) è infatti che anche la sua Ios venga esclusa dalla white list. I Bianchini per risolvere la questione coinvolgono uno dei parlamentari di riferimento della zona, il modenese Carlo Giovanardi.
In un incontro in un bar il senatore, ignaro di essere registrato, spiega ad Alessandro e Augusto di avere parlato con l’allora prefetto e con l’allora questore (verosimilmente di Modena) e di avere chiesto ragioni del perchè anche l’azienda di Alessandro Bianchini stia avendo dei problemi.
Spiega di avere fatto una “rissa” intendendo di avere avere discusso animatamente con i suoi interlocutori istituzionali.
Poi spiega ai Bianchini di essere pronto a fare tutti i passaggi parlamentari. Giovanardi non sa che i due sono già sotto inchiesta da parte della Dda di Bologna.
A Prefetto e Questore avrebbe detto: “Se mi dimostrate che le persone con cui parlo io sono dei delinquenti, basta che me lo dite e buonanotte”
David Marceddu
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
“UN LUOGO DOVE SONO PARCHEGGIATE DELLE PERSONE CHE NON SANNO COSA POTRA’ SUCCEDERE”… SOLO IL 50% E’ REALMENTE SOGGETTO AD ESPULSIONE
È una storia di documenti. Lo sa bene Aziz. Lui è un giovane nordafricano che dal Cie di Torino è riuscito a fuggire due volte.
«Entrare o non entrare è una questione di sfortuna: sta tutto nell’incappare in un controllo di polizia ed essere beccati senza regolare permesso di soggiorno».
Ma anche se si hanno i documenti, varcare i cancelli dell’unico centro di identificazione ed espulsione attivo nel Nord Italia, non è semplice.
Lo abbiamo fatto, dopo due dinieghi del Viminale, accompagnando in visita il deputato Davide Mattiello.
I migranti sono chiamati «ospiti» ma da corso Brunelleschi l’impressione è quella di una struttura di massima sicurezza che spunta, quasi dal nulla, in un’area residenziale. Fuori, i dignitosi palazzi di Pozzo Strada.
Dentro gli «ospiti»: 118 uomini, nessuna donna (sui circa 140 posti disponibili). Persone che aspettano di essere identificate e rimpatriate. Una trentina i richiedenti asilo. In 16, invece, arrivano dritti dal carcere.
Sono trattenuti in quattro diverse aree circondate da inferriate alte fino a cinque metri. In ogni area un massimo di 35 persone divise in camerate da sette con letti a castello ben ancorati a terra per non essere usati come corpi contundenti in caso di protesta. L’ultima c’è stata un anno fa. «Mentre due aree sono inagibili per gli scontri del passato», dicono dal centro.
Un centro dove i numeri sono destinati a crescere: la capienza, con il decreto Minniti, dovrebbe arrivare a 150 e il «modello Torino» esportato in tutto il Nord e nel resto d’Italia: un centro per Regione.
Così funzioneranno i «nuovi Cie». Saranno chiamati Cpr, centri per il rimpatrio. «Ora facciamo una sorta di selezione all’ingresso», dice il personale dell’ufficio immigrazione dalla saletta dove vengono convalidati i decreti di espulsione.
A Torino la quota di rimpatri effettuati tocca il 60 per cento.
È maggiore della media: negli altri 5 Cie attivi nel territorio nazionale (Ponte Galeria a Roma e il Sant’Anna di Crotone i più grandi, ndr) un terzo dei trattenuti resta senza nome, e solo la metà viene effettivamente espulso.
Nel 2015 sui 5.242 trattenuti in Italia 2.746 furono rimpatriati.
La macchina nazionale, per ora, è tutt’altro che oliata. E anche sotto la Mole gli errori non mancano.
«Sono stato 90 giorni rinchiuso lì dentro», denuncia Omar, ragazzo di 24 anni che viene dal Gambia. È uscito per decorrenza dei termini massimi di permanenza il primo gennaio. Poco dopo gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato.
«Non ho ancora capito perchè mi tenevano lì», dice.
Una situazione temporanea e senza prospettive che riguarda la gran parte dei trattenuti dentro al Cie: non a caso, confermano dal centro, sono 26 (su 118) i migranti che fanno uso di psicofarmaci. Quasi uno su cinque.
«Ma con la diminuzione dei tempi di permanenza da 18 a tre mesi la situazione è migliorata», ribattono i gestori.
L’appalto è stato vinto dalla Gepsca, multinazionale francese del gruppo Gdf, che si occupa anche di strutture carcerarie.
Ma nel centro, a lavorare, sono perdipiù i dipendenti della coop Acuarinto di Agrigento. La gara vale quasi 850 mila euro l’anno. Il costo medio a giornata per migrante è di 37,8 euro.
«Tanti? In realtà riusciamo a malapena a garantire i servizi richiesti dal capitolato di spesa», racconta Emilio, un dirigente della cooperativa mentre cammina vicino alle ronde dei militari. In tutto nel centro lavorano una trentina di persone tra dipendenti della coop e personale medico. Senza contare le forze dell’ordine (circa 25) impegnate nella sicurezza.
«In vent’anni abbiamo visto che questo modello è inefficace: più di una persona su due non viene espulsa», spiega Guido Savio, legale dell’Asgi che è stato tra i legali sentiti in commissione al Senato per il piano.
L’altra rimane quella dei diritti: «C’è il rischio che si stringano accordi di rimpatrio con Paesi terzi non sicuri», dice il deputato Mattiello.
E il pensiero va all’agosto scorso: in 48 rimpatriati, con un volo charter partito da Torino, in Sudan. Lì dove, per l’Onu, è in corso la peggiore crisi umanitaria in 70 anni.
Davide Lessi
(da “La Stampa“)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
“VANNO EVITATI SGOMBERI FORZATI, VANNO GARANTITE PROTEZIONE LEGALE E ALTERNATIVA ALLOGGIATIVA”
evitare sgomberi forzati a danno delle comunità rom e garantire alle stesse, in caso di sgombero, protezione legale e un’alternativa alloggiativa adeguata
In una Nazione riconosciuta in Europa come il “Paese dei campi”, dove l’alternativa alla costruzione di “campi nomadi” sono stati per anni ruspe e censimenti etnici, la discriminazione e lo stato di segregazione imposti dallo Stato nei confronti dei rom rappresenta una grave violazione dei diritti umani fondamentali.
A dirlo senza giri di parole non sono attivisti o le solite organizzazioni per i diritti umani — da sempre accusate di buonismo e scarso senso della realtà — ma le Nazioni Unite nel Sesto Rapporto periodico redatto dal Comitato per i Diritti Umani che dal 6 al 10 marzo 2017 ha giudicato il grado di implementazione dei diritti umani fondamentali nel nostro Paese; al suo interno il capitolo dedicato alla violazione dei diritti delle comunità rom appare come il più ampio e dibattuto.
Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite è un organo composto da esperti indipendenti che periodicamente controlla in profondità lo stato di attuazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici di ogni singolo Stato.
Lo fa attraverso un rigoroso lavoro di osservazione e analisi a partire dalle relazioni inviate da organi istituzionali e organizzazioni indipendenti per poi redigere delle “osservazioni conclusive” alle quali, nel periodo successivo, lo Stato interessato è tenuto a tenerne conto.
Nel Rapporto reso pubblico ieri, 28 marzo, le Nazioni Unite hanno intimato all’Italia di «intensificare gli sforzi per sradicare la persistente discriminazione e la segregazione nei confronti delle comunità rom» che riguarda circa 28.000 persone presenti sul territorio nazionale in grave emergenza abitativa.
Per farlo indica alle autorità nazionali e locali tre percorsi definiti: «fornire mezzi effettivi e strumenti risarcitori per quanti hanno subito violazioni dei diritti umani conseguenti al decreto della “Emergenza Nomadi”», terminato nel 2012, i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti; «adottare tutte le misure possibili al fine di evitare sgomberi forzati a danno delle comunità rom e garantire alle stesse, in caso di sgombero, protezione legale e un’alternativa alloggiativa adeguata», «sospendere qualsiasi Piano sociale che possa tradursi nella realizzazione di nuovi campi o aree residenziali nelle quali le comunità rom risultino segregate».
Il messaggio è chiaro e non lascia ombra di dubbi.
Esso è rivolto a tutte quelle amministrazioni che invece di allargare il campo dei diritti a quanti vivono la marginalità e l’esclusione, hanno deciso di comprimerli sempre di più.
E’ rivolto in primis alla Giunta De Magistris che in queste settimane sta completando, ad un costo superiore al mezzo milione di euro, la costruzione di un nuovo “campo” in via del Riposo e che, prima di Pasqua, dovrebbe avviare la sgombero forzato del più grande insediamento informale italiano, quello di Gianturco dove da anni vivono 1.300 rom di nazionalità rumena.
Ma riguarda direttamente anche la sindaca Raggi che a breve approverà il suo sciagurato “Piano di inclusione rom” che, oltre a lasciare per strada migliaia di rom, di fatto si inaugura con la costruzione di un nuovo insediamento — rigorosamente per soli rom — nel XV Municipio.
Nel duro rapporto del Comitato troviamo anche uno specifico riferimento alla Capitale.
Il Comitato delle Nazioni Unite incoraggia l’adozione di «azioni necessarie per revocare tutte le misure di sicurezza restrittive imposte all’interno degli insediamenti segreganti per soli rom» e per questo riporta come esempio virtuoso la decisione dei mesi scorsi del Comune di Roma di congelare il bando per la costruzione del nuovo campo realizzato su approcci fortemente sicuritari e limitanti i diritti fondamentali. Ma neanche il tempo di ricevere un apprezzamento che la Giunta Raggi ha pensato bene di cambiare idea ed il 7 marzo scorso ha revocato la misura: il campo segregante e discriminatorio si farà e già nei prossimi giorni la Commissione giudicante procederà all’apertura delle offerte di quelle organizzazioni chiamate a contendersi il milione e mezzo di euro previsto.
Tanto costa a Roma segregare e concentrare 500 rom. Alla faccia dell’Onu e di Mafia Capitale, i cui ricordi si fanno sempre più sbiaditi.
Rispedita quindi al mittente la “medaglia” appena consegnata ed ancora una volta quello della “legalità ” appare un concetto dall’astrattezza assoluta e dall’applicazione totalmente arbitraria.
Una legalità che è facile urlare dentro i Palazzi ma che poi è terribilmente complicato declinare in diritti nelle periferie più estreme delle nostre città .
Carlo Stasolla
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: zingari | Commenta »