Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
IL SINDACO TOSI: “LA DATA SCELTA E’ UNA PROVOCAZIONE, FA IL GIOCO DEI VIOLENTI, COSI’ SCOPPIA UN CASINO E VA SUI GIORNALI”
Il 25 Aprile, Festa della Liberazione, Matteo Salvini a Verona sulla legittima difesa? «Anch’io sono per ampliare il concetto di legittima difesa, ma è sbagliata la data scelta per la manifestazione. È una provocazione».
Non le manda a dire il sindaco Flavio Tosi, leader del Fare!, al segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini, che due anni fa tra l’altro lo espulse dal Carroccio.
A margine della riunione di Giunta, Tosi alza…il tiro verso il suo ex segretario:«Salvini ha provocato Napoli e i napoletani, diversamente da me li ha offesi per anni, e poi va là a fare una manifestazione? È chiaro che qualcuno lo va a contestare. Quindi, ripeto, fare una manifestazione ci sta, ma non il 25 Aprile.
La richiesta avanzata dalla Lega Nord è di poter occupare piazza Dante per tutto il giorno con una manifestazione politica che dovrebbe cominciare ufficialmente alle 12. Una richiesta inoltrata alla Questura di Verona, il cui indirizzo pare sia quello di concedere lo spazio.
L’autorizzazione ufficiale però non è stata ancora data perchè mancano alcune carte.
“La data per l’evento del 25 aprile è provocatoria, fai il gioco dei violenti, non usare le Forze dell’Ordine come carne da macello”, è il tweet del sindaco Flavio Tosi diretto a Matteo Salvini.
E sempre di provocazione parla il consigliere comunale veronese Damiano Fermo: “Il 25 aprile è una festa nazionale i cui valori sono presenti nelle nostre vite più di quanto possiamo immaginare e non si può strumentalizzare per alimentare lo scontro tra partiti e cittadini. Spero quindi che prevalga il senso civico e morale”.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
“DECISIONE DISTORSIVA DEL PRINCIPIO DI LEGALITA'”…”VA SOLLEVATO CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE DI POTERI DELLO STATO”
“Il Senato della Repubblica oggi ha agito non secondo, ma contro la legge”.
Salvato Augusto Minzolini dalla decadenza gli onorevoli di Palazzo Madama hanno di fatto votato anche per la non applicazione della legge Severino, che pure ha voluto e approvato.
E ora che succede?
Lo chiediamo al costituzionalista Antonio d’Andrea che, in tempi non sospetti, aveva segnalato il rischio di “effetti distorsivi al principio generale di legalità ” derivanti proprio dalla sindacabilità della legge ad opera dei parlamentari.
Alla fine il colpo di spugna alla Severino è arrivato
E’ evidente che la decisione di oggi su Minzolini da parte dell’aula del Senato allarga il conflitto di poteri tra magistratura e politica, alimentato da Parlamento che si discosta dall’osservanza degli effetti necessari e obbligatori della condanna.
Perchè siamo arrivati a questo punto?
Perchè quando si è discusso della Severino e delle sue interpretazioni e applicazioni c’era chi ne dava una lettura molto restrittiva, quasi autopplicativa, e chi voleva creare uno spazio di interferenza politica rivendicando maggiore sindacabilità nell’applicazione delle legge.
In base a cosa il Parlamento si arroga il diritto di interferire con gli effetti di una legge?
I parlamentari fanno leva su un tema costituzionale legato all’art. 66 relativo alla “verifica dei poteri” che comporta per chi ha lo status di parlamentare una competenza camerale, giuntale prima e dell’aula. Una sorta di giurisdizione “speciale “esercitata direttamente dalle Camere. Il principio è giusto, ma la sua applicazione pratica realizza una declinazione dell’autodichia pesantemente distorsiva del principio di legalità generale per cui le regole che valgono per tutti hanno una riserva, in questo caso perfino quando il procedimento penale è concluso.
Cosa pensa sia accaduto realmente oggi?
Che il Senato abbia esercitato un potere che non gli compete. Mi spiego. Quando le camere sono chiamate a svolgere sia pure nel novero dell’autodichia funzioni che gli derivano da una competenza costituzionale non possono ignorare la legge. E’ vero che le Camere fanno da “giudici speciali” quando deliberano sulla verifica dei poteri, quando convalidano le elezioni o si pronunciano sulla decadenza legata a pronunciamo degli organi giudiziari. Ma devono agire secondo legge, non contro la legge.
Potevano agire in maniera più “lineare”?
Certo, se i parlamentari dubitavano della legge avevano tutti gli strumenti per bloccarla o modificarla. Potevano non votarla, e una volta approvata avevano modo di attivare l’incidente di costituzionalità presso la Corte.
Cosa può succedere ora?
Politicamente parlando poco. Solo il giudice ha una strada maestra, quello delle esecuzioni penali potrebbe sollevare il conflitto di attribuzioni. Non può che essere l’autorità giudiziaria a sollevare il conflitto tra poteri dello Stato perchè non è che alla Corte arrivi così. Bisogna capire se l’autorità , deprivata della sua sfera costituzionale nel veder garantite e osservate le sentenze che ha pronunciato da questo voto, ha la volontà di porre il problema alla Corte. Può una delibera di decadenza al Senato spingersi fino a vanificare il pronunciamento giudiziario?
Subito Forza Italia e non solo dicono che la Severino non vale più
Non è così, anche se certamente quella pretesa oggi ha trovato conferma addirittura in una votazione che sostanzialmente vanifica gli effetti della legge. E’ accaduto anche con Berlusconi, quando all’applicazione delle legge si è tentato di rispondere con distinguo e eccezioni non previsti di natura squisitamente politica e non collegata agli argomenti strettamente giudiziari.
Come se ne esce?
Il problema da impostare giuridicamente è la relazione che intercorre in questi casi tra l’autorità giudiziaria penale che conclude gli accertamenti con sentenza di condanna che comporta come naturale conseguenza la decadenza e l’intervento dell’organo parlamentare che dovendo per Costituzione prendere atto senza alcuna valutazione in realtà utilizza la discrezionalità per vanificare il pronunciamento. Il nodo, alla fine, è tutto qui.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Parlamento | Commenta »
Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO A MONTECITORIO SU PREVITI: “LA FUNZIONE DI DEPUTATO E’ UN PUBBLICO UFFICIO E NON GLI E’ PIU’ CONSENTITO DI RICOPRIRLO. LA CAMERA DEVE DISPORNE LA DECADENZA SALVO VIOLARE LA COSTITUZIONE E LA LEGGE”
Un parlamentare interdetto dai pubblici uffici? “Decade dal suo mandato ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione”.
Chi dispone della sua decadenza? La Camera d’appartenenza,”salvo violare le regole della Costituzione e della legge”, che sono “chiare e stringenti”.
E in caso contrario? “Significherebbe che un parlamentare, qualunque fosse il reato da lui commesso, sarebbe comunque inamovibile, conclusione infondata ma anche aberrante“.
Sembra un commento a caldo di un parlamentare d’opposizione, dopo che il Senato ha salvato Augusto Minzolini, per il quale la giunta per le Autorizzazioni aveva deliberato la revoca del mandato parlamentare.
E invece è il parere — chiaro, netto e documentato — fornito da Sergio Mattarella, l’attuale presidente della Repubblica che dieci anni fa era intervenuto alla Camera su un caso simile a quello dell’ex direttore del Tg1.
Era il 31 luglio del 2007 e l’aula di Montecitorio doveva votare la decadenza da parlamentare di Cesare Previti, condannato in via definitiva nel processo Imi — Sir e interdetto in perpetuo dai pubblici uffici.
“Quello che oggi in questa aula celebriamo non è un giudizio nel merito delle accuse formulate nei processi all’onorevole Previti. Non ci compete. Siamo chiamati a prendere atto di una decisione formulata dalla magistratura in tre gradi di giudizio, e passata in giudicato con la pronunzia della corte di Cassazione. Ne dobbiamo prendere atto e assumerci la responsabilità delle conseguenti decisioni che competono soltanto a questa Camera”, era stato l’incipit di Mattarella, che nel 2007 era parlamentare della Margherita. All’epoca, ovviamente, non esisteva la legge Severino. Montecitorio, però, doveva esprimersi sulla decadenza di Previti da parlamentare, perchè dopo la condanna in via definitiva e l’interdizione dai pubblici uffici aveva perso i diritti elettorali attivi e passivi.
Un caso quasi identico a quello di Minzolini, condannato in Cassazione per peculato e interdetto a sua volta, seppur soltanto per due anni e mezzo.
“Non è possibile in alcun modo, con nessun argomento, complicare la realtà dei fatti che è, al contrario, estremamente semplice — aveva detto Mattarella — Un cittadino interdetto in perpetuo dai pubblici uffici non è più titolare dei diritti elettorali, non può più votare e di conseguenza non può più essere eletto, e se è già stato eletto ed è parlamentare decade dal suo mandato ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione”.
Da costituzionalista esperto, l’ex ministro della Difesa ricordava che “l’articolo 66 della Costituzione, sopra la quale non vi è null’altro — sottolineo nulla — attribuisce alla Camera il compito di decidere sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità dei deputati, e l’onorevole Previti è divenuto, dopo le elezioni, ineleggibile. L’interdizione perpetua dai pubblici uffici comporta — come è noto — la perdita della titolarità dei diritti elettorali. Chi ne è colpito non può essere più nè eletto nè elettore, e difatti l’onorevole Previti è stato cancellato dalle liste elettorali. È sempre la Costituzione all’articolo 56, che dispone che può essere deputato soltanto chi può votare, e ciò non è più consentito all’onorevole Previti per effetto di quella interdizione”.
Sul voto relativo alla decadenza, poi, secondo il futuro capo dello Stato, la Camera non aveva più opzioni.
“La funzione di deputato — diceva — è appunto indiscutibilmente un pubblico ufficio, e non gli è più consentito di ricoprirlo. Soltanto la Camera, attraverso il voto dei suoi componenti, può disporne la decadenza o accertarne le dimissioni, e noi siamo chiamati a farlo, salvo violare le regole della Costituzione e della legge, norme che esistono — colleghi — diversamente da quanto si è detto, norme che esistono, chiare e stringenti“.
Mattarella parlava di dimissioni perchè poco prima dell’inizio del dibattito parlamentare, Previti aveva fatto pervenire alla Camera la sua disponibilità a dimettersi in extremis (al contrario di Minzolini, che lo ha fatto solo dopo essere stato “salvato” da Pd e Fi).
Gli altri esponenti di Forza Italia, però, avevano comunque provato a salvare lo storico avvocato di Silvio Berlusconi, con interventi alle quali il futuro inquilino del Colle aveva replicato. “Vi sono stati nel dibattito odierno alcuni abili, talvolta acrobatici tentativi di formulare argomentazioni volte a contestare la decadenza e le conclusioni della giunta, o addirittura volte a sostenere l’impossibilità di decadenza di un parlamentare, senza riflettere che ciò significherebbe che un parlamentare, qualunque colpa abbia commesso, qualunque fosse il reato da lui commesso, qualunque responsabilità abbia di qualunque natura, sarebbe comunque inamovibile, conclusione infondata ma anche aberrante. Si tratta di tentativi che si infrangono contro la chiarezza di quelle due norme della Costituzione”.
È per questo motivo che alla fine Mattarella aveva invitato i colleghi a votare per le dimissioni di Previti, perchè si trattava “semplicemente della verità dei fatti e di adempiere al dovere di rispettare le regole poste dalla Costituzione e dalla legge”. Dieci anni dopo, in Parlamento sarebbe accaduto esattamente il contrario.
E adesso che siede sul colle più alto di Roma, Mattarella potrebbe facilmente commentare quanto successo in Senato.
Al presidente basterebbe stampare una copia del suo stesso discorso senza cambiare quasi nessuna parola.
D’altra parte lo ha detto lui stesso poche ore fa incontrando gli studenti al Quirinale: “Io sono un arbitro non silenzioso ma discreto, intervengo quando il meccanismo si inceppa“.
Ecco presidente: si è inceppato.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Parlamento | Commenta »
Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
A 24 ORE DAL SALVATAGGIO DI LOTTI, 19 PD VOTANO CONTRO LA DECADENZA DEL SENATORE DI FORZA ITALIA, CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA A 2 ANNI E SEI MESI PER PECULATO… LA LEGGE SEVERINO NE PREVEDE LA IMMEDIATA DECADENZA
Ieri hanno salvato il ministro Luca Lotti, oggi il soldato Augusto Minzolini. Domani, già lo chiedono, Berlusconi.
Dopo infiniti rimandi la questione della decadenza dell’ex direttore del Tg1, aperta dalla condanna definitiva per peculato con interdizione, è approdata in Aula che ha votato per salvarlo: è passato con 137 voti a favore, 94 contrari e 20 astenuti l’ordine del giorno di Forza Italia che ha proposto di respingere la deliberazione con cui sette mesi fa la Giunta per le autorizzazioni aveva votato la revoca del mandato parlamentare.
All’annuncio del presidente Pietro Grasso: applausi, pacche sulle spalle, qualche lacrima e abbracci tra i sodali strenuamente o nascostamente avversi alla cacciata del senatore.
“Sono pronto a bere la cicuta”, aveva detto Minzolini a conclusione del suo discorso prima del voto. Pochi minuti dopo può tornare a brindare a Champagne grazie al salvataggio in extremis.
E infatti, puntuale, l’annuncio: “Ora ho vinto la mia battaglia, mi dimetto“. Parole, le dimissioni dovranno essere anche calendarizzate e poi votate. E potranno essere respinte. Così che Minzolini — benchè dimissionario a parole — nei fatti potrà rimanere al suo posto e maturare anche la pensione.
Per sminare il voto Forza Italia ha proposto non uno ma tre ordini del giorno (due poi ritirati) per neutralizzare il parere della giunta del 18 luglio 2016.
Il Pd aveva lasciato libertà di voto, opzione che si rivelerà decisiva: in dettaglio votano per il salvataggio 19 senatori Pd, altri 24 sono assenti al momento del voto. E tanto è bastato.
Ma in pochi minuti il tema politico è diventato già un altro: che fine fa la Severino oggi rottamata in Parlamento?
Forza Italia ha colto al volo l’occasione. “Con questo voto oggi il Senato l’ha abolita. Berlusconi dovrà essere reintegrato già domani perchè i due casi sono simili”, ha detto Lucio Barani, capogruppo di Ala-Sc al Senato.
Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia: “E adesso che fine farà l’infame legge Severino? Usata dalla sinistra solo contro il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi è rottamata una volta per tutte”.
I democratici si sono affrettati a respingere ogni accusa d’inciucio. “Il M5S è abituato alle fake news. Non c’è alcuna relazione tra il voto su Lotti e quello su Minzolini. Oggi il Pd ha scelto di lasciare libertà di voto. Libertà è un altro termine ostile per i Cinque stelle”, ha detto il senatore Pd Andrea Marcucci (che pure si è astenuto).
Un assist perfetto per il M5S che tuona legittimamente .
I grillini hanno organizzato una conferenza stampa poco dopo il voto e l’attacco più duro lo ha pronunciato Luigi Di Maio: “Non vi lamentate se i cittadini poi protestano in maniera violenta”, ha detto. “Si è trattato di un atto di una violenza inaudita, un atto eversivo contro le istituzioni della Repubblica, l’atto di un partito al governo che, da oggi, sancisce il principio che la legge non è più uguale per tutti. Per la legge di questo Stato, Minzolini non potrebbe fare nemmeno il collaboratore scolastico o il netturbino.”
Prima di arrivare al voto, si sono espressi in Senato i vari rappresentanti dei partiti politici che hanno motivato le loro posizioni.
Per i dem ha parlato il capogruppo Luigi Zanda, che ha lasciato libertà di coscienza: “I senatori e senatrici del Pd hanno libertà di voto”, ha detto. “Io voterò in conformità delle decisioni prese dalla Cassazione”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: la casta | Commenta »
Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
DOVEVA ESSERE “LA SVOLTA” SECONDO IL MINISTRO DEGLI INTERNI, I DATI DI FRONTEX DOVREBBERO INDURLO A TOGLIERE IL DISTURBO PER MANIFESTA INCAPACITA’: “IL 99% DEI 3.000 PROFUGHI SBARCATI AD AUGUSTA NELL’ULTIMO MESE PROVENIVA DA SABRATA”
Doveva rappresentare una “svolta”. Ma a oltre un mese dalla firma, l’accordo stipulato il 3 febbraio con il governo Al Sarraj e concepito per “evitare le partenze dei migranti irregolari” dalla Libia rimane al palo. Non funziona. Non parte.
Lo dicono i dati di Frontex, lo confermano gli addetti ai lavori: “Il 99% dei 3mila migranti sbarcati nell’ultimo mese — spiega Carlo Parini, capo del Gruppo interforze di contrasto all’immigrazione clandestina della Procura di Siracusa — proveniva da Sabrata“.
Città sotto il controllo nominale del governo con il quale l’Italia ha stretto l’intesa.
A febbraio, recitano i dati diffusi il 15 marzo dall’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera, in Europa sono stati registrati 10.900 arrivi totali, meno di un decimo di quelli totalizzati nello stesso mese del 2016.
Il discorso, però, non vale per l’Italia perchè il numero di arrivi complessivi segna +46% rispetto a gennaio a causa dell’aumento dei migranti che hanno seguito la rotta del Mediterraneo centrale, che a febbraio hanno sfiorato le 9mila unità .
Tradotto: dalla stipula dell’accordo con Tripoli, il numero dei disperati che hanno raggiunto la penisola è raddoppiato.
Il Paese di partenza dei gommoni è sempre lo stesso: la Libia.
“Il 99% delle persone sbarcate ad Augusta — spiega il sostituto commissario Parini — è partito da Sabrata”, città di origine romana situata a 78 km a ovest di Tripoli che “teoricamente dovrebbe essere sotto il controllo del governo” con il quale si era schierata con altri 9 centri costieri il 1 aprile 2016.
Quanti sono stati gli arrivi?
“Nel 2016 erano stati 26mila, dall’inizio del 2017 siamo già arrivati a 4mila“, prosegue il capo del Gicic scartabellando i rapporti ufficiali.
E l’intesa sbandierata dal ministro dell’Interno Marco Minniti? Non pervenuta: “Dal 1° febbraio — continua Parisi — sono arrivate 4 navi, per un totale di 2.633 migranti. Domani (16 marzo, ndr) ne attendiamo un’altra con a bordo 333 persone. Il totale fa 2.966, solo nel porto di Augusta”, punto di maggiore approdo in Italia. Un terzo di tutti gli ingressi.
Eppure poco più di un mese fa il governo aveva annunciato in pompa magna di aver trovato la soluzione a quella che continua pervicacemente a chiamare “emergenza sbarchi”: l’accordo con il governo di unità nazionale di Tripoli presieduto da Fayez Al Sarraj.
L’intesa era stata preannunciata il 9 gennaio dal capo del Viminale, volato appositamente a Tripoli per incontrare il premier del governo faticosamente messo in piedi dall’Onu, il ministro degli Esteri Siyala e i membri del consiglio presidenziale Maitig e Kajman, ed esprimere “l’impegno congiunto a lottare contro l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani”.
Il 2 febbraio era stato Sarraj a volare a Roma: “Siamo a una svolta“, l’accordo consentirà “una migliore gestione e regolazione dei migranti illegali”, esultava Gentiloni dopo la firma ufficiale del memorandum a Palazzo Chigi.
Con il conseguente codazzo di titoli di stampa uniti in coro nel magnificare le proprietà taumaturgiche dell’intesa.
Un memorandum dai contenuti generici — basato “sulla protezione dei confini sud” del Paese da dove passano migliaia di migranti, sull”adeguamento e il finanziamento dei centri di accoglienza usufruendo di finanziamenti disponibili da parte italiana e di finanziamenti dell’Ue” e sul “sostegno alla Guardia costiera libica” — approvato il 3 febbraio in un coro di osanna nel vertice informale Ue di Malta, che accoglieva la proposta della Commissione di “mobilitare 200 milioni di euro aggiuntivi” del Trust Fund per l’Africa lanciato nell’autunno 2015 destinati a rafforzare le forze di polizia libiche. Lo scopo lo aveva spiegato chiaramente il giorno prima Angelino Alfano, fresco ministro degli Esteri: “Evitare le partenze dei migranti irregolari”.
La Guardia costiera libica è ancora in attesa della consegna di 10 motovedette promesse dall’Italia (sei al momento in Tunisia e 4 in manutenzione in cantieri italiani), ma è dotata di uomini e natanti: le sue imbarcazioni incrociano al largo di Sabrata (dove all’inizio di febbraio 431 migranti erano stati bloccati su 4 gommoni e altri 700 venivano intercettati su barche di legno, secondo quanto comunicato dal portavoce all’agenzia Reuters), di Zwara e di Zawiya, nelle cui acque i pattugliamenti avvengono anche nelle ore notturne.
Gli uomini in mimetica dell’aspetto di guerriglieri arrestano i disperati, danno fuoco ai barconi ma spesso, troppo spesso, lasciano andare gli scafisti.
“E’ stata completata nei giorni scorsi la formazione del primo nucleo di equipaggi della Guardia costiera libica a bordo della nave San Giorgio — spiegava il 15 febbraio Minniti in audizione al Comitato Schengen — ora sono pronti e possiamo ricominciare a restituire le motovedette alle autorità libiche in modo che la Guardia costiera sia in grado di operare” (lo stesso identico concetto espresso in un’intervista al Quotidiano Nazionale un mese piu tardi, il 15 marzo, da Enrico Credendino, comandante della missione EunavforMed: “E’ stato completato il primo blocco addestrativo di 14 settimane e abbiamo preparato a tutte le funzioni gli uomini della guardia costiera, in totale 93 unità , su una nave olandese e sulla nostra San Giorgio”).
Un mese dopo i natanti in Libia non sono ancora arrivati e il 14 marzo, a più di un mese dalle fanfare che hanno salutato l’accordo, si è svolta la prima riunione del Comitato misto per l’attuazione del Memorandum.
Dal comunicato diffuso dal Viminale si ha la sensazione di essere ancora al giorno della firma: è emersa “da entrambe le parti la determinazione a portare avanti un impegno deciso, volto al raggiungimento di risultati tangibili“. Per questo il Comitato “continuerà il suo lavoro con un ritmo serrato per dare risposte rapide alle necessità ‘ più urgenti“. “Obiettivo comune — conclude la nota — resta la realizzazione di un contrasto efficace e tempestivo all’immigrazione illegale e ai traffici di esseri umani”. Efficace e tempestivo.
Marco Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
SPUNTA UN POST DEL 2012 FIRMATO DA GRILLO CON IL QUALE SOSTENEVA L’ESATTO OPPOSTO DI QUELLO CHE HA DETTO IERI PER SALVARSI DALLA QUERELA DEL PD
Il post del 2012: “Il responsabile sono io”. E così è lo stesso Grillo, con un post firmato del suo blog, a smentire se stesso.
Il leader 5 Stelle, evidentemte, dimentica, o finge di dimenticare quanto aveva scritto quattro anni fa, in quell’editoriale con il quale precisava di essere il responsabile editoriale del suo blog.
E quindi anche dei post non firmati.
Secondo quanto affermato dallo stesso fondatore 5 Stelle, sarà dunque lui a risponderne in Tribunale.
Ecco cosa scriveva Grillo nel 2012. “Vorrei ricordare, ancora una volta, che la responsabilità editoriale del blog è esclusivamente mia. Beppe Grillo”
La difesa dalle querele pd. In queste ore Grillo si difende così: “Il Blog beppegrillo.it è una comunità online di lettori, scrittori e attivisti a cui io ho dato vita e che ospita sia i miei interventi sia quelli di altre persone che gratuitamente offrono contributi. Il pezzo oggetto della querela del Pd – scrive – era un post non firmato, perciò non direttamente riconducibile al sottoscritto. I post di cui io sono direttamente responsabile sono quelli, come questo, che riportano la mia firma in calce”.
La coerenza non pare essere di questa terra…
(da agenzie)
argomento: Grillo | Commenta »
Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
ESPLODE LA GUERRA INTERNA TRA GLI ORTODOSSI DELLA LOMBARDI E I SEGUACI DELLA RAGGI
La notizia era nell’aria da qualche giorno e ora è divenuta ufficiale: nella Capitale, con la caduta della Giunta dell’VIII municipio (Garbatella e Ostiense), si è consumata la prima crisi politica conclamata dovuta alle divisioni interne a M5S.
Stamani infatti il minisindaco Paolo Pace ha deciso di gettare la spugna e di rassegnare le proprie dimissioni, in aperta polemica coi consiglieri “ortodossi” vicini alla deputata Roberta Lombardi, che in consiglio municipale avevano messo in minoranza i “governativi” fedeli al presidente e leali nei confronti della sindaca Virginia Raggi.
Un esito che la prima cittadina, consapevole delle ripercussioni che avrebbe potuto avere a livello cittadino e nazionale, aveva tentato in ogni modo di scongiurare, nominando una task-force di consiglieri capitanata dal capogruppo in Campidoglio Paolo Ferrara, con la missione di far siglare un compromesso alle parti, capace di riportare la situazione alla normalità .
Missione che, lungi dall’appianare le divergenze, ha ulteriormente esacerbato gli animi (si parla di contatti fisici e di strattoni nel corso del tentativo di mediazione la settimana scorsa nella sede del municipio) e ha portato Pace ad usare parole al vetriolo nei confronti degli ortodossi per motivare la scelta di dimettersi.
Pace ha parlato di “una maggioranza che si comportava costantemente da opposizione, controllando e criticando ogni atto della giunta prima ancora che venisse prodotto, effettuando veri e propri blitz negli uffici amministrativi e producendo così una indebita e inaccettabile ingerenza”.
Lo strappo tra la giunta e i consiglieri si è prodotto sulla questione dell’area degli ex-mercati generali, per la quale la giunta cittadina ha avallato il progetto di riqualificazione già approvato dalla giunta Marino.
Scelta a sua volta approvata dal municipio, contro cui però si sono schierati gli ortodossi, chiedendo che si ridiscutesse il tutto e si ripartisse da una consultazione dei residenti.
Ma al di là del casus belli, la situazione era apparsa complicata per l’incompatibilità delle diverse visioni e sensibilità messe in campo dalle due “correnti”: i consiglieri ortodossi erano arrivati a chiedere a Pace di non utilizzare il simbolo pentastellato nelle sue uscite pubbliche, e hanno mantenuto una linea aspramente critica sul progetto del nuovo stadio della Roma, tanto da appoggiare la contestazione in Campidoglio alla sindaca da parte del tavolo urbanistica del movimento, capeggiato da Francesco Sanvitto, che non a caso si è occupato anche dei mercati generali.
Ora che la crisi è deflagrata sul piano politico, su quello formale ci sono 20 giorni da far trascorrere nel caso vi fosse un ripensamento del presidente dimissionario, dopodichè la gestione del municipio passerà direttamente nelle mani della sindaca, che potrà decidere la data delle elezioni (si pensa ad un mini election-day assieme a Ostia).
Resta, in ogni caso, il vulnus all’amministrazione cittadina, e una situazione interna al Movimento preoccupante, se si considera che proprio in questi giorni si dovrebbe assistere al rush finale sul nuovo progetto di stadio a Tor di Valle, per il quale dovrà poi necessariamente giungere il via libera dell’aula Giulio Cesare, in uno scenario che a questo punto non risulta dei più rassicuranti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Grillo | Commenta »
Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
GALLERIE CHE POSSONO CROLLARE, CEMENTO CHE NON TIENE, BUCHI NELL’AMIANTO… UN INGEGNERE RIVELA LE TANGENTI CHE DIVENTANO UN PERICOLO
Perchè le grandi opere costano sempre molti miliardi in più del dovuto?
Come mai in Italia sono così frequenti crolli di viadotti, cedimenti di gallerie e altri disastri?
Perchè la Tav e gli altri mega-appalti ferroviari e autostradali sono al centro di continue retate per corruzione?
A rispondere a queste domande, per la prima volta, è un super-tecnico interno al sistema: un ingegnere che per più di vent’anni ha occupato una posizione strategica nella mappa delle infrastrutture nazionali. Il primo pentito delle grandi opere.
Giampiero De Michelis, nato in Abruzzo 54 anni fa, ha guidato i lavori dell’Alta velocità , i cantieri infiniti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e molti altri appalti, sempre con ruoli cruciali di “direttore dei lavori”: il primo e decisivo controllore pubblico delle imprese private. In ottobre è finito nel carcere di Regina Coeli con la retata (31 arresti) che ha coinvolto anche manager di colossi come Salini-Impregilo e Condotte.
In novembre De Michelis ha cominciato a vuotare il sacco con i magistrati di Roma e Genova.
Il suo è un racconto nero, che svela intrecci spericolati e dagli anni Novanta arriva ai nostri giorni, coinvolgendo ministri, grandi imprenditori, progettisti eccellenti, figli di politici e burocrati, funzionari di altissimo livello dello Stato.
“Deroga”: la parola magica
In carcere il pm genovese Paola Calleri gli contesta altre intercettazioni con parole pesantissime: «Sta venendo giù la galleria di Cravasco. E anche in quella di Campasso si sono arricciate le centine!».
I magistrati, preoccupati, hanno chiesto una serie di perizie sui tre tunnel più importanti della nuova ferrovia Milano-Genova. Una prima consulenza è stata consegnata: gli esperti, per ora, escludono l’ipotesi di forniture tanto scadenti da provocare crolli. Le indagini sulla sicurezza però continuano e l’allarme resta altissimo.
L’indagine è stata chiamata «Amalgama»: è la parola usata dagli stessi indagati, mentre erano intercettati dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, per descrivere l’evoluzione del malaffare.
Nella vecchia Tangentopoli la corruzione era diretta: buste di soldi in cambio di appalti d’oro. Oggi c’è una corruzione strutturata su almeno tre livelli, più difficile da scoprire.
Il fulcro è ancora il controllore pubblico che favorisce una cupola di imprese privilegiate, che ora lo ripagano indirettamente, dividendo la torta con altre società private, attraverso subappalti, consulenze o compartecipazioni in apparenza regolari. Il trucco è che dietro queste aziende c’è lo stesso pubblico ufficiale, che le controlla segretamente tramite soci occulti.
Con questi giochi di sponda, le grandi imprese comprano il controllore-direttore dei lavori, che a quel punto non controlla più niente.
L’11 novembre 2016 De Michelis ammette di aver beneficiato di questo sistema corruttivo e confessa, in particolare, che era suo il 50 per cento della Oikodomos, un’azienda intestata a un socio-prestanome, l’imprenditore calabrese Domenico Gallo, a sua volta arrestato in ottobre, ma conosciuto vent’anni fa nei cantieri della Salerno-Reggio.
Confermando l’accusa-base, l’ingegnere delle grandi opere spiega che il sistema esiste da decenni e non l’hanno certo inventato lui e Gallo: «È sempre stato così. Prima c’era la Spm di Stefano Perotti. Dopo gli arresti di Firenze il sistema è continuato con la Crono e la Sintel di Giandomenico Monorchio. E prima ancora c’era Lunardi».
Perotti è il progettista arrestato nel marzo 2015 con il potente direttore ministeriale Ercole Incalza. La Sintel è la società d’ingegneria dove lavorava De Michelis.
Il suo titolare Giandomenico è il figlio di Andrea Monorchio, l’ex ragioniere generale dello Stato. L’ingegnere Pietro Lunardi è l’ex ministro del governo Berlusconi che nel 2002 ha varato la contestatissima legge-obiettivo per accelerare le grandi opere in deroga a tutte le regole
Qui il pm Giuseppe Cascini, titolare del fascicolo romano dell’inchiesta, interrompe l’interrogatorio per avvertire l’indagato che, se accusa altri, diventa testimone e, se dichiara il falso, verrà incriminato. De Michelis se ne assume la responsabilità e giura di voler raccontare tutto dall’inizio.
I disastri del progettista-ministro
«La storia nasce ancora prima che Lunardi diventi ministro, quando progettava le gallerie per l’alta velocità Bologna-Firenze», esordisce De Michelis. «Lunardi era il progettista che doveva garantire certi ricavi alle imprese private. Da allora il sistema è rimasto sempre lo stesso: il progetto è fatto male in partenza, così poi si devono fare le modifiche, le varianti, che portano soldi in più alle imprese. Anche l’autostrada Salerno-Reggio Calabria è un progetto di Lunardi fatto malissimo. Le perizie di variante le faceva lo stesso Lunardi. C’era un accordo a un livello molto più alto del mio, che coinvolgeva i vertici del consorzio di imprese: io l’ho saputo dal manager Longo di Impregilo».
I magistrati gli chiedono riscontri oggettivi. Il tecnico arrestato descrive un caso esemplare di progetto disastroso targato Lunardi.
Si riferisce alla galleria Piale, a Villa San Giovanni, sulla Salerno-Reggio. De Michelis premette che per iniziare uno scavo del genere bisogna puntellare la montagna «con paratoie e micropali».
Una muraglia fondamentale per impedire le frane, per cui dovrebbe essere studiata al millimetro. Ricorda invece De Michelis: «Il capo-cantiere mi chiama e mi dice: “Ingegnere, qui non c’è niente, che facciamo?”.
Sono andato a vedere: il progetto di Lunardi prevedeva più di 30 metri di paratoie e micropali dove in realtà non c’era la montagna, c’era solo il vuoto». De Michelis non crede ai suoi occhi. Bisognerebbe fermare tutto e chiedere una variante: allo stesso Lunardi. Soluzione: «A quel punto ho tirato una riga dritta, siamo scesi con i micropali lì dove arrivava la montagna e siamo andati avanti».
De Michelis fa notare ai pm che il problema dei progetti variabili (e dei costi gonfiabili) è facilmente verificabile sulle carte: «Le varianti tecniche sono ammissibili solo per le gallerie. All’esterno le modifiche non dovrebbero esserci: se il progetto cambia, dovrebbero pagare le imprese private. Invece paga sempre la parte pubblica. Anche nel 2016, dopo le mie dimissioni dalla Sintel, hanno continuato imperterriti a fare varianti: me lo dicono i tecnici che sono ancora lì in cantiere».
Queste accuse colpiscono il cuore del sistema dei “general contractor”, inaugurato con l’avvio della Tav nel 1991 dall’amministratore delle Ferrovie Lorenzo Necci (morto dopo una condanna definitiva per corruzione) e poi perfezionato con la legge obiettivo di Lunardi.
In sintesi, lo Stato delega tutto a un consorzio di imprese private, che gestiscono direttamente i soldi pubblici: in cambio, dovrebbero assumersi tutti i rischi, tecnici e finanziari, e consegnare l’opera finita, “chiavi in mano”, al prezzo prefissato. «In realtà non c’è mai un progetto chiavi in mano», sostiene De Michelis.
«La legge prevede un’alta sorveglianza sui general contractor, che spetta all’Anas per le autostrade e all’Italferr-Rfi per la Tav, che dovrebbero controllare e approvare tutte le varianti che aumentano i costi. Ma tutta l’alta sorveglianza è finta. Per le mie opere Italferr non ha mai controllato niente».
Quando è stato arrestato, De Michelis era il direttore dei lavori degli ultimi “macro-lotti” dell’autostrada Salerno-Reggio e della nuova Tav Milano-Genova.
I magistrati gli chiedono se conosca altre grandi opere inquinate dal malaffare.
La risposta è istantanea: «Il Brennero. Per i tunnel ferroviari di Aica e Mules, Perotti ha vinto la gara per la progettazione, mi pare nel 2008, con una falsa certificazione firmata dal manager Z. ex dirigente Fiat. Questo perchè, per l’alta velocità Emilia-Toscana, il general contractor era il gruppo Fiat. Impregilo è nata dalla fusione tra Fiat-Impresit, Girola e Lodigiani». Tre aziende travolte da Tangentopoli.
Il verbale integrale è discorsivo, De Michelis parla al presente storico: «Quindi l’ex manager Fiat gli fa questo certificato e lo manda a Impregilo. Io sapevo che la gara era finta: erano previsti certi requisiti che io come Sintel ero l’unico ad avere. Invece così vince Perotti, che ha dietro Incalza. Quindi Giandomenico Monorchio mi dice: “Adesso vado da Incalza con mio padre e vedo di ottenere qualcosa in cambio”. Infatti gli danno in cambio il progetto della Porto Empedocle in Sicilia, quello fatto dalla Cmc. Tolgono il lavoro a Perotti e lo danno a Sintel, senza gara, con affidamento diretto. E così Sintel non fa ricorso per i tunnel del Brennero».
Va ricordato che in questo come in altri casi più gravi, De Michelis parla di appalti pubblici gestiti dalle imprese private senza alcun vincolo, grazie a una «norma criminogena», come viene definita nelle ordinanze d’arresto: un articolo della legge-obiettivo ha autorizzato le aziende controllate a scegliersi il controllore-direttore dei lavori (e a pagargli legalmente un ricco compenso).
Una norma-scandalo che ha trasformato le grandi opere in un festival dei conflitti d’interesse ed è stata abolita con il nuovo codice degli appalti sollecitato nel 2014 dall’autorità anti-corruzione.
Proprio le scelte dei progettisti, controllori e subappaltatori permetterebbero ai privati, ieri come oggi, di agganciare i grandi protettori a livello di governo, che De Michelis definisce «santi in paradiso».
«Il sesto macro-lotto della Salerno-Reggio l’ha vinto la cordata Impregilo-Condotte, che è la stessa del Cociv, il consorzio dell’alta velocità Milano-Genova. Allora l’affare comprendeva tutto: general contractor e direzione lavori. A quella gara globale, gestita dall’Anas, ho partecipato io come persona fisica su richiesta di Impregilo. Però poi il contratto l’hanno fatto alla Sintel, che mi ha confermato, ma come dipendente. Bisognava dare la direzione lavori alla società del figlio di Monorchio perchè il padre era al vertice di Infrastrutture spa, cioè era lui che decideva i finanziamenti pubblici, e poi è diventato anche presidente della commissione di collaudo.
Quindi in pratica è Monorchio senior che impone il figlio. Lo stesso succedeva con la Spm: era Incalza che sbloccava i finanziamenti e di fatto imponeva Perotti. Monorchio padre e Incalza erano i santi in paradiso di Sintel e Spm». I pm gli chiedono come fa a saperlo. Risposta: «Me l’ha detto personalmente Monorchio figlio, titolare della Sintel». Anche dietro la Spm ci sarebbero storie di famiglia: «Il padre di Perotti aveva fatto lavorare Incalza, il rapporto è nato da lì».
Nelle sue lunghe confessioni, il pentito indica ai magistrati un’altra società che sarebbe stata utilizzata dalle imprese delle grandi opere per arricchire Monorchio junior: «Il consorzio di Impregilo ha affidato alla Crono le prove di laboratorio per i cantieri della Salerno-Reggio. Sono contratti da cinque milioni di euro. Che la Crono fosse di Monorchio lo sapevano tutti».
Giandomenico Monorchio, finito agli arresti domiciliari, nega di aver commesso illeciti e sostiene di non aver mai approfittato dei poteri pubblici del padre. Anche Perotti e Incalza, a Firenze, hanno respinto tutte le accuse.
Lunardi non è neppure indagabile: i fatti a lui addebitabili sono ampiamente prescritti. Fino a prova contraria, dunque, bisogna presumere che siano tutti innocenti. Anzi, dopo Tangentopoli, è sparito il reato: la spartizione privata dei lavori pubblici si può fare a norma di legge.
Il metodo dei santi in paradiso
De Michelis conferma ai magistrati di possedere addirittura la copia di un patto segreto per dividersi i progetti in tutta Italia, siglato quando Impregilo era controllata dal gruppo Gavio, prima di essere scalata dalla Salini: «È un accordo scritto per la spartizione delle direzioni dei lavori tra la Sintel, la Spm e la Sina che allora era di Gavio».
Questo sistema spartitorio nato dopo Tangentopoli, secondo l’ex direttore delle grandi opere, rende inutile o quantomeno marginale la corruzione classica. Quando i magistrati gli chiedono se Monorchio junior, per avere quei contratti, abbia pagato tangenti, De Michelis risponde così: «Non sono cose che si dicono. A volte Monorchio mi diceva che doveva fare un regalo, certo, ma solo questo. Di più non so. Ma in questo sistema non c’è più bisogno delle buste di denaro. Dietro Sintel e Spm ci sono i santi in paradiso. Se non davano i lavori a loro, Monorchio padre e Incalza non finanziavano i progetti».
De Michelis, in pratica, ammette di aver dirottato sulle società dell’amico Gallo gli appalti che prima finivano a Monorchio e prima ancora venivano spartiti con Perotti. Di qui le proteste degli imprenditori intercettati: «Abbiamo creato un mostro!». Un’affermazione a doppio taglio: nelle grandi opere c’è un mostro che divora soldi, ma è stato creato dalle stesse aziende che lo pagano.
De Michelis parla anche della massa di subappalti gestiti direttamente dai general contractor. E mette a verbale i nomi di vari dirigenti di Impregilo che avrebbero incassato tangenti dai subappaltatori («Me l’hanno detto loro stessi»), uno dei quali è soprannominato «mister 3 per cento».
L’ingegnere arrestato denuncia anche una cordata di manager che si arricchirebbero da anni con «ruberie enormi»: una «Impregilo parallela», la chiama De Michelis, chiarendo che «nel gruppo ufficiale comanda Pietro Salini», mentre «lì comanda il signor C., in passato ha avuto un ruolo di peso nella gestione della tratta toscana dell’alta velocità , ora ufficialmente è solo un consulente esterno, ma in realtà è a capo di un ordine gerarchico: c’è, ma non compare».
Le grandi opere, precisa il pentito, producono colossali quantità di detriti e terre di scavo che dovrebbero essere accumulate in «cave di deposito», per essere poi rivendute e ridurre i costi. «Dai cantieri escono i camion con tonnellate di materiale, ma nelle cave ufficiali non arriva niente: quelli dell’Impregilo parallela intascano milioni rubandosi gli inerti e rivendendoli in nero».
Anche questa «Impregilo parallela» nascerebbe da rapporti di famiglia. De Michelis, infatti, spiega che il signor C. era «amico del papà » di un manager arrestato di Impregilo: «È lui che gli ha fatto assumere il figlio nel consorzio per l’alta velocità ». Per questo l’erede continua ancora a obbedire a quella «eminenza grigia di Impregilo». De Michelis aggiunge che aveva chiesto «un incontro a Pietro Salini, per fargli sapere della struttura parallela che aveva dentro Impregilo, perchè avevamo tutti il dubbio se lui sapesse o no. Salini però non ha voluto vedermi».
Questo presunto contrabbando di materiale da cava, sostiene De Michelis, sarebbe proseguito anche in Liguria, con le gallerie del Terzo valico. Ma qui emergono profili più inquietanti.
Emergenze amianto e cemento
«Il problema più grosso, per il consorzio guidato da Salini-Impregilo, è l’amianto, soprattutto per la parte ligure», denuncia il pentito. Anche i magistrati, nelle domande, parlano di materiale «marcio».
E l’arrestato conferma che le terre dove si scava per la nuova Tav sono altamente contaminate dall’amianto: «Ce n’è tanto», sostiene l’ingegnere.
La legge impone di analizzare tutto il materiale e smaltirlo in totale sicurezza. Il direttore dei lavori però non sa neppure dove sia finito con esattezza. Salvo poi indirizzare gli inquirenti verso una cava, la Isoverde, tra le più grandi della Liguria. «Poi parliamo anche di questo», lo blocca il pm, che sembra molto interessato alla questione. Ma preferisce trattare in successivi interrogatori questo capitolo che potrebbe riservare brutte sorprese per il territorio.
Probabile, dunque, che l’ingegnere venga riascoltato per chiarire i misteri dello smaltimento delle fibre di amianto.
In questo mare di ammissioni, tuttavia, De Michelis nega ostinatamente solo l’accusa di aver diviso con Gallo anche i soldi di società come la Breakout, che forniscono cemento.
«È vero che presentavo Gallo alle grandi imprese e portavo i manager a vedere le sue cave, ma lo facevo gratis, per amicizia. Per la Oikodomos facevamo al 50 per cento, ma con la Breakout io non c’entro».
Una posizione che ai magistrati sembra assurda: che senso ha ammettere la corruzione con alcune società e negare la stessa accusa con le altre? Proprio qui l’ingegnere minimizza anche le intercettazioni sul cemento scadente: «È un problema di consistenza, non di qualità . Mandavo indietro i camion solo per rifare le bolle formali».
Il pm Cascini non gli crede: «Perchè quando viene fuori che il cemento è colla o è troppo liquido, lei cerca di evitare che emerga?». La domanda resta senza risposta. Forse perchè è un segreto inconfessabile: chiunque ammettesse di aver usato cemento pericoloso, rischierebbe di rispondere non solo di corruzione, ma anche delle eventuali vittime di nuovi crolli di grandi opere.
(da “L’Espresso”)
argomento: denuncia | Commenta »
Marzo 16th, 2017 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DELLA G.D.F.: IN UN ANNO SCOPERTI 2.000 CASI DI FRODI IVA
Nell’ultimo anno il numero degli appalti pubblici irregolari è triplicato.
È questo il dato che più salta agli occhi leggendo il Rapporto Annuale 2016 della Guardia di Finanza, presentato questa mattina nel salone d’onore della caserma ‘Laria’ a Roma, alla presenza del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e del Comandante generale Giorgio Toschi.
Sprecati 5,3 miliardi di euro di denaro pubblico.
Alla destinazione del denaro pubblico è dedicata una parte consistente del dossier e il nostro Paese si dimostra, ancora una volta, incapace di gestirlo.
Grazie ai 2.058 accertamenti svolti su delega della Corte dei Conti, si scopre che l’Italia solo lo scorso anno ha avuto un danno patrimoniale di 5,3 miliardi di euro (denunciati 8.067 soggetti per responsabilità erariale) dovuto a sprechi e gestioni non corrette dei fondi pubblici.
I militari, come detto, hanno individuato nel corso del 2016 appalti pubblici dati ad aziende in modo irregolare per un totale di 3,4 miliardi di euro, denunciando 1.866 responsabili, 140 dei quali arrestati. E’ una cifra cresciuta del 200 per cento rispetto al 2015.
Nell’ambito del sistema previdenziale e sanitario sono state individuate truffe per 158 milioni di euro (8.926 persone denunciate, 87 delle quali finite in arresto), ma ben più grave è il buco creato da chi ha percepito o richiesto illegittimamente finanziamenti pubblici dallo Stato italiano e dalla Comunità Europea: 775 milioni di euro, che hanno portato alla segnalazione ai magistrati di 3.066 imprenditori e privati cittadini.
Sul piano strettamente penale, il Rapporto rendiconta l’esito delle quasi 4.000 indagini svolte nel 2016 su tutto il territorio italiano su dipendenti e funzionari pubblici per reati ed altri illeciti contro la Pubblica Amministrazione: 4.031 denunciati, di cui 241 arrestati; la metà dei denunciati è accusata di abuso di ufficio, il 21 per cento di peculato, il 23 per cento di corruzione e concussione.
Irregolari due ticket sanitari su tre.
Dai 12.803 controlli fatti per verificare la sussistenza dei requisiti di legge previsti per ottenere le prestazioni sociali agevolate e l’esenzione del ticket sanitario, emerge un dato allarmante: il 66 per cento delle prestazioni prese in esame era irregolare. In due casi su tre, dunque, il paziente non ne aveva diritto oppure non aveva diritto all’esenzione completa. Per lo Stato si tratta di un danno quantitativamente contenuto da 6 milioni di euro, ma che ben racconta un malcostume diffuso di proporzioni ben maggiori.
Quasi 600 segnalazioni di finanziamento del terrorismo.
Nell’ambito delle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, il Nucleo di Polizia Valutaria ha raccolto e analizzato nel corso dell’anno 21.512 transazioni dubbie. Di queste, 570 riguardano “possibili contesti di finanziamento del terrorismo” e sono tutt’ora sotto indagine.
Un milione gli interventi di polizia economica e finanziaria, che hanno portato alla scoperta di 2.000 casi di frodi iva e 1.663 di evasione fiscale internazionale, con il sequestro di quasi un miliardo di euro.
Nel campo del mercato nero, sono stati denunciati 19.000 lavoratori in nero e irregolari, mentre 180 milioni i prodotti illegali sequestrati perchè contraffatti, piratati o pericolosi, per un valore superiore a 2,4 miliardi. Ulteriori dettagli del Rapporto saranno diffusi durante la conferenza stampa.
Ai clan sequestrati 2,6 miliardi di euro.
Alla criminalità di stampo mafioso sono stati sequestrati 2,6 miliardi di euro: 5.242 proprietà , 281 aziende, centinaia di quote societarie, denaro in contanti. Confiscati anche 1.640 beni mobili e immobili più 239 aziende: valore complessivo di 1,3 miliardi di euro. Infine, 215 persone sono state denunciate per associazione mafiosa, 74 delle quali sono finte agli arresti.
Per il reato di trasferimento fraudolento di valori, indicatore dell’esistenza di prestanome, sono state denunciate 810 persone con 68 arresti.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »