Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
SALVINI E IL PATTO CON IL PARTITO DI PUTIN… GLI UTILI IDIOTI E I VENDUTI SONO SEMPRE ESISTITI
Prima la battaglia contro le sanzioni dell’Unione Europea alla Russia, ora un vero e proprio patto politico con il partito di Vladimir Putin.
Matteo Salvini — da fondatore dei Comunisti Padani — non perde dimestichezza con la linea di Mosca.
L’accordo firmato nella capitale russa tra Lega Nord e Russia Unita è definito di “cooperazione e collaborazione” e, anche se in concreto resta da capire di cosa si tratti, prevede — come dice lo stesso Matteo Salvini — unità di intenti su “lotta all’immigrazione clandestina e pacificazione della Libia, lotta al terrorismo islamico e fine delle sanzioni contro la Russia, che sono costate all’Italia 5 miliardi di euro e migliaia di posti di lavoro persi”.
Salvini ha incontrato non solo il cosiddetto “vicesegretario generale del Consiglio per le Relazioni internazionali” di Russia Unita, Serghiei Zhelezniak. Ma anche il ministro degli Esteri Serghei Lavrov: “Un interessantissimo confronto a due durato 35 minuti” racconta Salvini che dice di aver ringraziato il ministro “dell’intervento russo in Siria (quello che ha ammazzato decine di migliaia di civili innocenti …) .
Il testo dell’accordo con Russia Unita, che Salvini su Facebook definisce “storico”, prevede che le parti “si consulteranno e si scambieranno informazioni sui temi di attualità , sulle relazioni internazionali, sullo scambio di esperienze nella sfera delle politiche per i giovani, dello sviluppo economico”.
Qualcuno si candida ad agente del KGB insomma : d’altronde lo capisce anche un bambino che l’unico obiettivo di Mosca è quello di indebolire l’Europa e riacquistare il controllo del continente.
Obiettivo imperialista che la Russia ha peraltro sempre perseguito, anche nella versione oligarchica corrotta come quella attuale.
E di utili idioti e disposti a farsi comprare è pieno il mondo.
(da agenzie)
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Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
PRIMA DI ENTRARE IN PARLAMENTO DICHIARAVA REDDITO ZERO, ORA 98.471 EURO MA DICE CHE I CINQUESTELLE NON SI SONO ARRICCHITI CON LA POLITICA… ANDIAMO A FARE DUE CONTI ALLORA
Roberto Fico ci ha spiegato che non è vero che i parlamentari del M5S come lui, Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio prendono quasi centomila euro all’anno (98.471 per la precisione) ma che in realtà ne prendono “esattamente la metà ”, ovvero poco meno di cinquantamila euro all’anno.
Il conto è presto fatto: dei 10 mila euro lordi mensili che costituiscono lo stipendio dei parlamentari i Cinque Stelle hanno deciso di percepirne cinquemila (lordi). Secondo Fico i giornali che hanno parlato dei redditi dei politici hanno voluto “fare titoloni” per far credere che i parlamentari del MoVimento sono uguali a tutti gli altri quando non è così.
In sostanza quindi invece che guadagnare quasi cinquemila euro netti al mese i 5 Stelle ne incassano poco meno di tremila.
Secondo Fico questo li renderebbe molto diversi dai politici “di professione” ovvero da tutti gli altri parlamentari che incassano lo stipendio per intero e quindi anche da Virginia Raggi e Chiara Appendino che prendono più o meno quanto deputati e senatori degli altri schieramenti politici.
Questo però non significa che i vari Alessandro Di Battista, Roberto Fico e Luigi Di Maio non siano politici di professione, soprattutto per una ragione: prima di entrare in parlamento Roberto Fico e Luigi Di Maio (e con loro altri 49 deputati pentastellati) avevano dichiarato di non avere un reddito ovvero di guadagnare zero euro.
Di Battista invece nel 2012 aveva dichiarato redditi pari a 3.176 euro, ovvero in un anno ha guadagnato quanto ora prende in un mese. Questo si è un vero affare.
La tesi di Fico e di altri portavoce è che loro non si sono arricchiti con la politica, al contrario di quello che fanno quotidianamente da anni i parlamentari della casta.
Un ragionamento che i 5 Stelle sono costretti a fare per non fare la fine della Lega Nord, arrivata una ventina di anni fa a suon di “Roma Ladrona” e ora perfettamente integrata nei modi della politica romana, soprattutto per quanto riguarda il trattamento economico.
Per non perdere la purezza, ma al tempo stesso dovendo percepire uno stipendio i 5 Stelle devono dire che nessuno di loro ci guadagna dalla politica.
Di sicuro i parlamentari non saranno diventati milionari ma passare dal non avere un lavoro fisso — o non avere un reddito — a prendere più di tremila euro al mese (ovvero cinquantamila euro all’anno per cinque anni) è un bel salto di qualità e di quantità .
È moralmente sbagliato? Stando a quanto dicevano i pentastellati prima di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, sì, soprattutto se si tratta di esponenti della casta non laureati e non competenti.
Per quanto riguarda gli altri invece è giusto che la politica abbia un costo, a patto che i politici facciano ciò per cui sono pagati.
E a livello di produttività Roberto Fico risulta essere al 327° posto (su 630 deputati), non proprio uno dei primi della classe.
Non è vero però che i parlamentari prendono “solo” cinquemila euro netti al mesi, a questi però vanno aggiunti rimborsi per le spese sostenute — e rendicontate “al centesimo” dai Cinque Stelle — che i parlamentari a Cinque Stelle si fanno rimborsare da Camera e Senato.
Certo, a differenza degli altri parlamentari i pentastellati restituiscono (con qualche trucco per fare propaganda) tutto quello che non spendono.
Ma è proprio su quello che spendono i parlamentari pentastellati che la questione della trasparenza si fa più opaca.
Qualche tempo fa Roberta Lombardi si è scagliata contro quei parlamentari a Cinque Stelle che pur essendo di Roma si fanno rimborsare le spese per l’alloggio.
Ed è un peccato che la Lombardi non abbia fatto i nomi.
Ma non ci sono solo i romani: c’è il caso di Marta Grande, che nel 2013 fece notizia per aver rendicontato 12 mila euro per due mesi di affitto, che pur essendo di Civitavecchia (ad un’ora di regionale da Roma) spende 1.800 euro al mese di affitto (più 270 euro di spese per manutenzione e utenze).
Mediamente i parlamentari del MoVimento spendono intorno ai 1.500 euro al mese, che anche per una città come Roma sono decisamente alti.
C’è chi spende addirittura di più però, Il Dubbio ad esempio ha scoperto che il senatore Morra (che non è di Roma) spende 2.155 di affitto al mese (più le spese per utente etc.)
Addirittura la deputata padovana Silvia Benedetti ha speso nel maggio 2016 2.600 euro di affitto mentre c’è chi come Nicola Cappelletti ha dovuto pure “ristrutturare” l’appartamento avendo speso 1.500 euro di affitto e 1.400 euro di spese di manutenzione: un affarone.
Non è vero quindi — e lo si può dire guardando proprio il sito Ti Rendiconto — che i Cinque Stelle fanno attività politica prendendo solo “3.000 euro di stipendio” perchè — proprio come tutti i parlamentari — hanno le spese pagate.
E anche la rendicontazione non procede poi così rapidamente, siamo a marzo 2017 e la maggior parte dei Senatori e Deputati ha rendicontato le spese fino a ottobre 2016, con alcune eccezioni che hanno “già rendicontato” fino a dicembre 2016.
Prendiamo ad esempio Roberto Fico: ultima rendicontazione disponibile su Ti Rendiconto (a marzo 2017) è quella di ottobre 2016.
Roberto Fico dichiara di aver ricevuto rimborsi forfettari pari a 10.516 euro, quanti ne ha restituiti (ovvero non ha speso)? Ben — si fa per dire — 990 euro e 55 centesimi.
Tra le spese di Fico la parte del leone la fanno i 1.876.61 euro di spese di alloggio (1.400 euro d’affitto più le spese).
Se lo sarebbe potuto permettere con il reddito che aveva prima? La risposta è no.
Lo paga con lo stipendio da parlamentare? No.
Quindi alla domanda “i parlamentari dei Cinque Stelle si sono arricchiti?” la risposta è sì perchè dal momento che — come tutti — rendicontano le spese (certo, se prendi 3000 euro al mese e ti pagano l’affitto magari non è che ti devi fare rimborsare anche i 100 euro di spesa al supermercato, altrimenti sei “come gli altri” no?) quei 3.000 euro sono “tutto guadagno”.
Soprattutto se prima ne prendevi zero.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
LA GIUNTA RISCHIA DI CADERE SULLA RIQUALIFICAZIONE DEGLI EX MERCATI GENERALI… L’ENNESIMA SPECULAZIONE CHE I CONSIGLIERI NON VOGLIONO… E NEI MUNICIPI SE NE SONO GIA’ ANDATI 11 ASSESSORI
La base in rivolta contro una grande opera che ha i contorni della speculazione, i consiglieri che minacciano di sfiduciare il proprio (mini)sindaco.
Ma non parliamo del nuovo stadio della Roma e delle fratture interne al Campidoglio, che anzi sembrano essersi un po’ ricomposte negli ultimi giorni.
Lontano da Palazzo Senatorio, nella periferia Sud della Capitale, va in scena lo stesso copione già visto in Comune per la querelle di Tor di Valle.
Con toni ancora più esasperati, perchè qui i dissidenti sono ormai maggioranza e non si capisce più chi è ancora dentro e chi fuori al Movimento: nel Municipio VIII la minigiunta a 5 stelle guidata da Paolo Pace rischia seriamente di cadere sulla riqualificazione degli ex Mercati Generali, dopo che già a gennaio erano stati cacciati due assessori (sono oltre 10 gli allontanamenti su tutto il territorio, tra dimissioni e revoche).
Un altro cantiere urbanistico, avallato dal minisindaco col benestare dell’amministrazione di Virginia Raggi, che però vede ormai contrari la maggior parte dei portavoce.
Giovedì 2 marzo solo il mancato raggiungimento del numero legale ha evitato una resa dei conti sommaria in assemblea, solo rimandata alla settimana prossima.
Se non si troverà un compromesso, franerà un pezzettino del governo M5s della Capitale: la giunta verrà sfiduciata e il Municipio commissariato. Con degli inevitabili riflessi anche sul Comune, che ha avuto un ruolo non del tutto marginale nella gestione della vicenda.
DOPO LO STADIO, GLI EX MERCATI GENERALI
Il malessere nel Municipio VIII, la vasta area meridionale che comprende storici quartieri come Ostiense e Garbatella, si trascina da tempo.
A giugno, dopo la vittoria alle elezioni, il gruppo sembrava coeso. Ma quasi subito qualcosa si è incrinato: a partire dalla nomina di Massimo Serafini come vice e assessore al Bilancio, nonostante gli estremi di conflitto d’interessi (direttore generale di Confservizi Lazio, associazione che però collabora con il Municipio) denunciati da alcuni suoi colleghi di partito.
E poi comportamenti autoritari, mancanza di trasparenza, atti unilaterali, a sentir parlare i consiglieri.
Ora la crisi sta esplodendo sulla riqualificazione degli ex Mercati generali, zona centrale e in totale disuso su via Ostiense.
Un’altra grande opera urbanistica, proprio come il nuovo stadio della Roma, invisa alla base: perchè la convenzione (165mila euro l’anno per un’area di otto ettari dal valore almeno dieci volte superiore) sarebbe “un regalo ai costruttori”; e perchè il piano di costruzione già predisposto comprenderebbe solo uffici e grandi centri commerciali, con appena il 3% di opere pubbliche, contro la volontà della popolazione.
Un gruppo nutrito di consiglieri si è rivolto al Tavolo M5s Urbanistica (quello coordinato da Francesco Sanvitto, lo stesso che aveva preparato la delibera di revoca del pubblico interesse per Tor di Valle), che ha dato parere negativo. L’amministrazione, però, ha deciso che l’opera si deve fare: così la pensa il presidente di Municipio Paolo Pace; e fin qui pure la sindaca Virginia Raggi, anche perchè l’area è in totale disuso e non ci sono soldi per bonificarla, il progetto è in fase molto avanzata (più dello stadio: la Conferenza dei servizi si è già conclusa positivamente) e secondo l’avvocatura capitolina il rischio di una causa per danno erariale è concreto. Tutte ottimi ragioni per chiudere un occhio sulla convenzione.
PRONTA LA MOZIONE DI SFIDUCIA
Il gruppo M5s locale si è spaccato: con il presidente sono rimasti solo in 6, mentre 9 si sono dissociati. E a nulla è valsa l’opera di mediazione del Comune: a inizio anno la Raggi aveva inviato tre tutor (i portavoce comunali Pacetti, Zotta e Guerrini), rispediti al mittente.
Quando è stata convocata un’assemblea pubblica per discutere del progetto, altri consiglieri sono intervenuti per cercare di “silenziarla”. Tutto inutile.
La situazione, già molto tesa, è precipitata definitivamente la scorsa settimana in assemblea, dove uno degli uomini di Pace ha presentato una mozione favorevole al progetto insieme ai capigruppo dell’opposizione.
Il voto è saltato all’ultimo per mancanza del numero legale, ma ormai siamo arrivati al punto di non ritorno: i “dissidenti” hanno denunciato ai probiviri il firmatario, chiedendone l’espulsione, e sono pronti a far cadere la giunta.
“Ci chiamano dissidenti, ma sono loro che stanno tradendo i valori per cui sono stati eletti”, spiegano. “Così non è il M5s che sta governando il Municipio, non ha senso andare avanti”.
In tutto ciò, il Comune osserva preoccupato e prova a ricucire: fino ad oggi la Raggi si era schierata dalla parte di Pace, ora le cose potrebbero cambiare anche dopo l’autogol della mozione firmata insieme al Pd. “Noi non siamo contro la sindaca, ma le nostre istanze non sono mai state ascoltate”, precisano i portavoce locali.
Lunedì dovrebbe esserci un incontro in Campidoglio, un estremo tentativo di riconciliazione davanti alla sindaca, alla vigilia del consiglio municipale decisivo previsto per martedì: i “ribelli” chiedono le dimissioni immediate del vice-presidente Serafini, il ritiro del parere favorevole al progetto e l’apertura di un tavolo per capire se ci sono i margini per rivedere almeno in parte la convenzione. “In caso contrario la mozione di sfiducia è già pronta, dobbiamo solo presentarla”.
NEI MUNICIPI VIA 11 ASSESSORI
Che ci sia più di una frizione nel Movimento romano, del resto, lo si capisce anche dai tanti avvicendamenti nelle minigiunte a guida 5 stelle: addirittura 11 dall’inizio della legislatura, e non solo nel Municipio VIII.
L’ultimo ad andarsene in ordine di tempo, giusto un paio di settimane fa, è stato Claudio Bollini, nel Municipio XV: qui qualcuno aveva fatto male i conti sulle “quote rosa”, e dopo una nota ufficiale del segretariato il titolare dell’Urbanistica ha dovuto sacrificarsi per lasciare spazio ad una donna, ancora da individuare.
Certo, c’è chi ha lasciato per motivi personali, di salute o di lavoro (almeno ufficialmente): Emilio Giacomi all’Ambiente del Municipio V, Lucia Carletti, Elena Palermo e Cettina Caruso alla Scuola rispettivamente nel Municipio IX, VI e XI, Rita Pomponio alla Cultura nel VI. Ma il numero resta molto alto, e in diversi casi l’addio non è stato indolore. Nel Municipio VI (l’area di Roma Est e del Pigneto), ad esempio, il titolare dell’Ambiente, Andrea De Carolis, se n’è andato sbattendo la porta (è il terzo in pochi mesi), a quanto è trapelato per la diversità di vedute sul ciclo di rifiuti (lì si trova l’impianto di Rocca Cencia e il tanto contestato tritovagliatore).
Nel Municipio III (Montesacro, il quartiere di Roberta Lombardi e Marcello De Vito) è stata allontanata l’assessora alla Mobilità Patrizia Brescia, impallinata dalla sfiducia delle opposizioni e pure della sua stessa maggioranza.
Nel Municipio IV aveva fatto molto discutere la revoca di Emanuela Brugiotti, a causa delle troppe assenze dovute però alla maternità .
E poi c’è il caso ovviamente del Municipio VIII, dove a gennaio erano stati cacciati, sempre per divergenze urbanistiche, l’assessore Rodolfo Tisi, e pure la titolare della Scuola, Sandra Giuliani. Adesso a loro potrebbe aggiungersi proprio il presidente Pace, insieme a ciò che resta della sua giunta. “Saremo i primi a cadere, ma anche i primi a rialzarci”: un attivista di spicco locale ne è sicuro.
Lorenzo Vendemiale
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
IL SEN. ESPOSITO LASCIA GLI STUDI DE LA 7 DOPO IL SOLITO MONOLOGO DI DI MAIO… LE CONDIZIONI CHE PONGONO I CINQUESTELLE PER PARTECIPARE ALLE TRASMISSIONI E IMPEDIRE IL CONFRONTO
«Io sono stufo che ad ogni trasmissione Di Maio e Di Battista si sottraggano al confronto»: Stefano Esposito, senatore del Partito Democratico, lascia in polemica lo studio di Tagadà dopo l’intervista a Luigi Di Maio andata in onda durante la trasmissione.
«Ho aspettato diligentemente ma è stata fatta un’intervista-monologo. Io mi confronto con tutti. Di Maio ha detto una quantità di sciocchezze, le ha evase tutte, ha detto delle bugie infamanti. Io sono pronto a tornare quando Di Maio e Di Battista saranno pronti al confronto», ha concluso il senatore.
Le rimostranze del senatore Esposito sono in effetti giuste.
Da molto tempo infatti le trasmissioni televisive che ospitano alcuni esponenti del MoVimento 5 Stelle sono “costrette”, per portare a casa l’intervista, a organizzare un faccia a faccia con il conduttore.
Quando questo non succede, accade invece che la comunicazione del M5S metta il veto sulla presenza di alcuni ospiti, come ha raccontato il professor Paolo Becchi di recente.
Per questo fa anche sorridere che la conduttrice Tiziana Panella dica nel video «Io ho il diritto di intervistare chi voglio» quando sa benissimo che in realtà quello a cui si sta piegando è un obbligo: l’alternativa è o quel tipo di intervista o nessuna intervista. Vista invece la delicatezza dell’argomento — il caso Lotti e le possibili ripercussioni sul governo — sarebbe il caso di evitare interviste a due e concedersi al dibattito pubblico, dove ognuno potrà farsi la sua opinione.
Se non è troppo chiedere.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
“LEZIONI PER STRANIERI IN AULE AD HOC”… LA RIVOLTA DEGLI STUDENTI ITALIANI: “QUI NON CI SONO RAGAZZI STRANIERI, SOLO RAGAZZI”…. IN REALTA’ ERA UN ESPERIMENTO SOCIALE PER STUDIARE LA REAZIONE
Cosa accadrebbe se una mattina entrando in classe dovesse arrivare una circolare che impedisce ai ragazzi figli di migranti di stare con i compagni?
Alla scuola media “Pertini” dell’istituto comprensivo “Lanino” di Vercelli è successo. Nei giorni scorsi, in previsione della Giornata dedicata alla Memoria dei Giusti celebrata oggi in tutt’Europa, la preside ha scritto una circolare che citava queste parole: “A partire da oggi con effetto immediato, gli alunni con entrambi o anche solo un genitore di origine non italiana seguiranno le lezioni scolastiche in un’aula diversa rispetto a quella del resto della classe”. Firmato: Ferdinanda Chiarello, dirigente scolastica.
Una simulazione realizzata grazie proprio alla complicità dei ragazzi con genitori non italiani, che hanno retto la parte fino alla fine.
“Quando i collaboratori scolastici sono entrati in classe — spiega la preside — e gli insegnanti hanno letto la direttiva, i ragazzi cui era rivolta la circolare si sono alzati in piedi rassegnati, pronti ad uscire dall’aula”.
Ma è in quel momento che gli altri non sono rimasti zitti. Non hanno accettato l’ordine che arrivava dall’alto. Hanno alzato la voce contro la preside e i professori.
“Alcuni ragazzi erano pronti ad andarsene dalla scuola per protestare, altri volevano andare immediatamente all’ufficio scolastico provinciale. Qualcuno ha detto che avrebbe chiamato a Roma, il ministero. Ero a casa ammalata e mi hanno persino raggiunto telefonicamente per farmi sapere il loro dissenso”, racconta la professoressa Chiarello.
Una protesta “giusta” che è stata sedata solo quando gli insegnanti hanno svelato loro che si trattava di una simulazione per comprendere meglio quello che è accaduto con l’entrata in vigore delle Leggi Razziali in Italia.
“Bisogna provare, sperimentare sulla propria pelle cosa significa il razzismo. E’ inutile parlare di inclusione se non la si fa davvero. Nella nostra scuola, non ci sono ragazzi stranieri, ci sono solo ragazzi”, spiega la dirigente orgogliosa di essersi prestata alla proposta fatta dalle docenti della seconda della “Pertini”.
Sulla pagina Facebook della scuola, “Il giardino dei giusti del Comprensivo di Lanino”, i ragazzi e gli insegnanti hanno postato le loro riflessioni dopo l’inconsueta lezione: “Affinchè questa memoria — ha scritto una docente — non si faccia mai pietra gelida immobile, ma percezione viva, sofferenza a cui dare una risposta, che chiama con forza l’azione e la responsabilità ”.
Così anche un ragazzo ha scritto su un post-it fotografato e messo sul social: “Io ho proposto alla professoressa di portare tutta la classe nell’aula di arte dicendo che ognuno di noi è straniero. E l’abbiamo fatto”.
Oggi l’ultima tappa di questo percorso. Stamattina nel giardino della scuola in onore della Giornata dei giusti sono stati piantati due alberi: uno in memoria di Janusz Korczak, il medico e pedagogo polacco che rimase fino alla morte accanto agli ebrei orfani di cui si prendeva cura; l’altro per ricordare Faraaz Hussein, il giovane musulmano bengalese che è rimasto fino alla morte accanto alle sue amiche durante l’attentato dell’Isis a Dacca nel luglio dello scorso anno.
Alex Corlazzoli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
IN UNA ZONA INFESTATA DALLA CAMORRA GLI AGENTI SONO COSTRETTI A LASCIARE LA SEDE PER LAVORI SULL’IMMOBILE… MA DA 30 ERANO GIA’ STATI RIDOTTI A 2
Nove anni fa l’annuncio di un presidio dello Stato nella terra dei Casalesi.
Una sezione distaccata della Squadra Mobile di Caserta a Casal di Principe, lì dove c’era il regno sanguinoso di Giuseppe Setola e dove la camorra non è ancora sconfitta. Ma dei trenta poliziotti entrati in servizio nove anni fa ne erano rimasti solo due e anche quest’ultimi agenti andranno via.
Un segnale mortificante per lo Stato lì dove i segnali contano quasi quanto gli omicidi.
Ma perchè succede? Burocrazia sembra essere la risposta.
L’immobile usato negli ultimi anni dagli agenti come sede è una villa confiscata al boss Dante Apicella ma la struttura non rispetta più alcune norme tra cui quelle di agibilità antisismica.
E quindi i poliziotti se ne devono andare.
Antonio Borrelli, questore di Caserta, spiega che “la struttura ha bisogno di grossi interventi di natura logistica. Forse qualche anno fa si badava meno a questi aspetti. Ma i luoghi di lavoro devono avere i requisiti previsti dalla legge. E qui ci sono diversi problemi di sicurezza, a partire dall’acqua inquinata. Si tratta di interventi che non possono essere fatti con la presenza di personale all’interno della struttura”.
Molto amareggiato il sindaco anticamorra di Casal di Principe, Renato Natale. Che al Corriere della Sera — che ha riportato la notizia in prima pagina — dice “le norme di prima non vanno più bene e dunque la sezione della “mobile” non può più stare lì. Capisco tutto… Ma per noi è un disastro“.
Diversa invece la posizione del procuratore aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli, che al Mattino dichiara che “visti i problemi di organico di cui soffre la polizia di Stato, tenere aperte due sezioni in luogo di una è praticamente inutile.
E — continua — se la sezione distaccata di Casal di Principe può contare solo di due uomini, l’unica soluzione logica è chiuderla“.
E in effetti gli agenti che operavano a Casal di Principe erano via via diminuiti: dalla ventina iniziale a 15, nell’ultimo anno poi erano rimasti in due. Continueranno a indagare dalla sede di Caserta. Per Borrelli, “fin quando persisteranno i problemi in termini di personale, l’esistenza della sezione distaccata a Casal di Principe non ha ragion d’essere”.
Ed è indubbio che anche dalla sede centrale gli agenti continueranno a portare avanti la lotta alla camorra, ma la presenza fissa della Squadra Mobile nella cittadina a 20 chilometri da Caserta aveva anche un valore simbolico.
Come scrive Gian Antonio Stella l’abbandono dell’avamposto “è uno sbaglio (…) che rischia di dare un segnale pessimo ai cittadini perbene che, anche a dispetto delle difficoltà economiche, continuano a sperare nel riscatto. E incoraggiare i malavitosi, oggi in difficoltà , a rialzare la testa”.
“Lo Stato doveva fare di tutto per non chiudere la sezione della Mobile”, dice Emilio Diana, fratello di don Peppe Diana, il sacerdote ucciso dai Casalesi il 19 marzo del 1994 nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casale.
“Per i cittadini era garanzia di sicurezza, anche se oggi non c’è più quell’emergenza di una volta e, grazie anche all’attività del sindaco Renato Natale, si respira un’aria diversa a Casal di Principe”.
Anche Francesco Greco, procuratore della Repubblica di Napoli Nord, ritiene che sia “meglio tenere aperti i posti di polizia piuttosto che chiuderli, anche considerando il fatto che la presenza della Polizia di Stato nell’agro-aversano è assolutamente sottodimensionata, e che i Casalesi non sono definitivamente sconfitti”. E ribadisce che “la presenza sul territorio della Polizia di Stato è sempre un fatto estremamente positivo, specie in luogo simbolo come Casal di Principe”.
“Apprendiamo dai giornali, con vivo stupore, che, a causa dell’inagibilità dei locali, chiude la sezione distaccata della Squadra Mobile di Caserta nel Comune di Casal di Principe. Notizia inaccettabile e fuori da ogni logica rispetto al contrasto alla criminalità organizzata” afferma da Napoli Tommaso Delli Paoli, segretario nazionale del Silp Cgil. “Appare inopportuno che un posto di Polizia di estrema professionalità investigativa, nato e pensato dall’allora capo delle Polizia Antonio Manganelli per dare un forte segnale di presenza dello Stato su un territorio a forte penetrazione criminale e per la presenza di efferati clan malavitosi, come quello dei Casalesi, possa finire così.
Il Silp Cgil — continua il sindacalista — dice no a tale ipotesi e si mobilita, chiedendo che vengano individuati nuovi locali dove allocare il nucleo di investigatori che hanno permesso la cattura di importanti latitanti come Zagaria, Iovine, Setola e tanti altri. Inoltre, appare evidente che tale paventata ipotesi, in un luogo simbolo dello strapotere criminale come Casal di Principe, implichi emotivamente sui tanti cittadini onesti il senso di abbandono e di resa dello Stato. Non possiamo tollerarlo” conclude il sindacalista.
(da agenzie )
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Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
CHI HA GIA’ UN VISTO PER GLI USA ESCLUSO DAL DIVIETO, L’IRAQ DEPENNATO, TOLTO IL RIFERIMENTO AI SIRIANI E AI CRISTIANI… MA IL RISCHIO CHE SI TORNI DAVANTI AI GIUDICI RIMANE LO STESSO
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato il nuovo ordine esecutivo per bloccare l’arrivo delle persone provenienti da sei Paesi a maggioranza musulmana per motivi di sicurezza nazionale.
L’amministrazione ha più volte ritardato la firma sul nuovo provvedimento, dopo che la versione originale, che prevedeva di sospendere per 4 mesi l’ingresso negli Stati Uniti dei rifugiati (ma a tempo indeterminato quello dei siriani) e per 3 mesi quello dei cittadini di sette nazioni prevalentemente musulmane, è stata bloccata in tribunale. La novità è rappresentata dalla decisione di non includere l’Iraq tra i Paesi colpiti dal divieto; inoltre, la sospensione per 120 giorni si applica a tutti i rifugiati, senza sottoporre solo quelli siriani a un divieto a tempo indeterminato; è stato poi fissato a 50.000 il numero massimo di rifugiati da accogliere annualmente.
L’Iraq è stato escluso su pressione del dipartimento di Stato e del Pentagono per motivi politici, visto che Baghdad è tecnicamente un alleato; i Paesi sottoposti al divieto sono Iran, Siria, Sudan, Yemen, Somalia e Libia, gli stessi (oltre all’Iraq) del primo provvedimento.
Dopo le bocciature in tribunale, Trump ha preferito evitare di rivolgersi alla Corte Suprema, scegliendo di riscrivere l’ordine esecutivo.
I divieti presenti nella nuova versione non riguarderanno chi è in possesso di un visto di residenza permanente o di altri visti per gli Stati Uniti.
Il nuovo provvedimento non farà nemmeno riferimento a un’esenzione esplicita per le minoranze religiose che vivono nei Paesi colpiti dal divieto, considerata da molti critici un modo per aiutare i cristiani e discriminare i musulmani.
Il nuovo ordine esecutivo entrerà in vigore il 16 marzo. L’annuncio del nuovo bando che sospende i nuovi visti da sei Paesi musulmani è stato illustrato da tre ministri, il segretario di stato Rex Tillerson, l’attorney general Jeff Sessions e il segerario alla homeland security John Kelly, ma nessuno di loro ha risposto alle domande dei giornalisti.
L’ex Ceo di Exxon ha spiegato che l’Iraq è un “alleato importante” degli Stati Uniti nella lotta contro l’Isis, cosa che spiega la sua rimozione dalla lista nera. Sessions, ha sottolineato la “legalità ” del provvedimento, che è già stato definito “antiamericano” dal leader della minoranza democratica al Senato, Chuck Schumer. Kelly, ha invece detto che “viaggiare non è un privilegio universale”.
È la prima volta che Trump, al suo 46esimo giorno in carica, non firma un ordine esecutivo in diretta, davanti alle telecamere. Forse, per il presidente, illustrare la nuova versione del bando sarebbe stato come ammettere di aver sbagliato, visto che sono stati apportati dei correttivi.
Un’altra lettura è legata alla frustrazione trapelata, tra i suoi collaboratori, per la mancanza di visibilità , con i riflettori sempre tutti Trump.
Oggi il presidente non ha in programma alcuna apparizione pubblica. Perfino il briefing del portavoce, Sean Spicer, sarà a telecamere spente. Il bando bis firmato da Trump conferma i periodi di sospensione previsti dal provvedimento precedente: 90 giorni per i sei Paesi musulmani e 120 per i rifugiati, compresi questa volta anche i siriani, che inizialmente erano stati sospesi a tempo indefinito.
Confermata anche la riduzione del numero complessivo di rifugiati che verranno accettati nell’anno fiscale 2017: 50 mila, contro i 110 mila concessi dall’amministrazione Obama.
Il problema del fallimento del primo ordine esecutivo stava tutto nelle sue premesse: prima di emanarlo infatti Trump non ha seguito quella che è la prassi in procedure del genere ad esempio non ha consultato i leader del partito repubblicano e pare non abbia coinvolto nella decisione nè il Dipartimento della Sicurezza Nazionale (Homeland Securiy) nè il Dipartimento di Giustizia ovvero i due organi che avrebbero dovuto poi applicare l’ordine presidenziale.
Nella difesa davanti alla Corte d’Appello Trump ribadì che ad essere a rischio era la sicurezza nazionale, uno degli argomenti utilizzati dai legali del Dipartimento di Giustizia.
Argomentazione che però è stata rigettata dai giudici di San Francisco che hanno detto che lo Stato non è stato in grado di fornire prove a favore della tesi secondo la quale il travel ban avrebbe impedito l’accesso di pericolosi terroristi sul suolo statunitense e non ha fornito prove di una diretta e precisa minaccia terroristica proveniente dai sette paesi (Iraq, Siria, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen) della lista e non è stato riconosciuto il carattere di urgenza nella richiesta di ripristinare il divieto d’accesso.
I giudici non si sono invece espressi sull’accusa riguardante il fatto che l’ordine esecutivo emanato da Trump fosse fortemente discriminatorio nei confronti di gruppi etnici e religiosi.
Ma la Corte d’Appello ha ritenuto contraria all’ordine costituzionale l’affermazione della difesa che sosteneva che gli ordini esecutivi emanati dal Presidente non potessero essere sottoposti ad una revisione da parte della magistratura.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
GERMANIA , FRANCIA, ITALIA E SPAGNA: “DOBBIAMO ESSERE NOI A TRACCIARE LA STRADA”
“Dobbiamo avere il coraggio di accettare che alcuni Paesi vadano avanti. Le cooperazioni differenziate devono rimanere aperte a chi è indietro, ma dobbiamo andare avanti. La diversità può essere una forza, è una spinta per i nostri o cittadini”. È tutto in questa dichiarazione di Angela Merkel il senso del vertice che si è tenuto oggi a Versailles tra Francia, Germania, Italia e Spagna.
L’Europa è stata costruita sulla pace – ha ricordato Merkel – e “Versailles ne è uno dei simboli”, ma “se ci fermiamo tutto quello che abbiamo costruito potrebbe crollare”, ha detto la cancelliera nella conferenza stampa di apertura. “Abbiamo tutti l’obbligo di continuare la costruzione europea”.
Il vertice di oggi è considerato il primo di un’Europa a doppia velocità . Hollande ha invitato la cancelliera tedesca, il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni e il premier spagnolo Mariano Rajoy.
“Siamo i Paesi più importanti, tocca a noi dire che cosa vogliamo fare con altri”, ha spiegato nei giorni scorsi il presidente della Repubblica francese. E oggi in una intervista alla Stampa è stato ancora più netto: per “rifondare l’Europa” servono “diversi livelli di integrazione”.
Il premier italiano Paolo Gentiloni ha evocato “un’Europa sociale” e auspicato passi avanti per la difesa comune. “Abbiamo bisogno di un’Europa sociale. Siamo anche d’accordo, Italia, Francia, Spagna e Germania, per fare dei passi avanti nella Difesa per essere più forti del mondo”.
“Ci riuniamo in un momento difficile”, ha aggiunto Gentiloni. “Siamo consapevoli del clima che si è creato dopo la Brexit […]. Serpeggiano sentimenti di stanchezza nei confronti del progetto comune, noi restiamo convinti della validità del progetto europeo”. E ancora: “Se non ci fosse più improvvisamente l’Ue, tutti noi ne sentiremmo drammaticamente la mancanza”, ha aggiunto.
Per Hollande, Italia, Germania, Spagna e Francia hanno “la responsabilità di tracciare la via” per l’Unione europea. “Non vogliamo solo commemorare i Trattati di Roma, ma affermare insieme l’impegno per il futuro. Francia, Germania, Italia Spagna hanno la responsabilità di tracciare la strada, non per imporla agli altri ma per essere una forza al servizio dell’Europa che dà impulso agli altri”, ha spiegato Hollande aprendo il vertice a quattro di Versailles.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 6th, 2017 Riccardo Fucile
FILLON NON MOLLA E SARKOZY PREFERISCE PERDERE PIUTTOSTO CHE VEDERE JUPPE’ ALL’ELISEO
“Che spreco”. Sono amarissime le parole di Alain Juppè. L’ex premier commenta la dèbà¢cle del candidato Franà§ois Fillon.
“Siamo finiti in una impasse” osserva Juppè che smentisce di volersi presentare in extremis come uomo provvidenziale per salvare la destra dalla catastrofe annunciata. A proposito di una sua possibile candidatura al posto di Fillon taglia corto: “Lo dico una volta per tutte: non sono candidato alla Presidenza”.
Il sindaco di Bordeaux, 71 anni, sconfitto alle primarie del novembre scorso, nota che per lui è “troppo tardi”.
Pallido, Juppè ricorda la sequenza degli ultimi mesi: Fillon è stato designato con primarie popolari, ha ricevuto il sostegno di tutti i suoi avversari, era avviato a una vittoria quasi certa.
Ma da quando il candidato si è ritrovato coinvolto nello scandalo giudiziario sugli impieghi fittizi a moglie e figli non ha saputo difendersi, si è contraddetto rispetto alle lezioni di moralità che dava in passato e poi ha attaccato la magistratura con toni estremi e anti-istituzionali che hanno scioccato molti dirigenti della destra.
Da favorito nei sondaggi è precipitato in terza posizione, con l’ipotesi di non arrivare neppure al ballottaggio con Marine Le Pen.
Nonostante la manifestazione parigina organizzata ieri, in cui ha radunato il nocciolo duro dei suoi sostenitori, Fillon appare ormai isolato.
Tutta l’ala del partito legata a Juppè ha abbandonato la campagna elettorale, mentre esponenti centristi come Franà§ois Bayrou hanno deciso di allearsi con Emmanuel Macron.
Fino all’ultimo, molti hanno creduto che Fillon potesse essere convinto a farsi da parte anche alla luce dei sondaggi e dell’accelerazione giudiziaria.
“Nessuno può impedirmi di essere candidato” ha risposto ieri lui. Qualche minuto dopo Juppè ne ha tratto le conclusioni.
Il sindaco di Bordeaux aveva sempre detto che sarebbe sceso in campo solo in caso di ritiro di Fillon. Non è così.
Fillon minaccia di non sottomettersi neanche più alle decisioni del partito. Ormai ha i patrocini necessari alla candidatura e anche i finanziamenti per i suoi comizi.
Si è presentato nella manifestazione come il “candidato del popolo”. Ha perso i suoi principali collaboratori e deve ricostruire una squadra nei prossimi giorni per continuare la campagna elettorale contro tutto e tutti.
Nicolas Sarkozy ha avuto un atteggiamento ambiguo nella crisi del partito. L’ex Presidente ha sostenuto il candidato vincente delle primarie contro il suo storico rivale. “Meglio un Fillon perdente che un Juppè vincente” è una delle battute dei sarkozysti.
(da agenzie)
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